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Autore: Yssis    14/08/2014    7 recensioni
Il bimbo urlò, e a Kidou parve di svegliarsi da un sogno.
Si allontanò subito dal coetaneo chiedendo scusa, dicendo che non sapeva cosa gli era preso.
Arrivò un istruttore che capita la situazione lo prese e lo punì severamente. Poi venne chiamato suo padre che una volta scusatosi per l’incresciosa situazione -così la chiamò – lo portò subito a casa e lo punì ancora.
Da quel momento Kidou capì che il suo desiderio di bere sangue –sangue umano – non andava bene. Era sbagliato.

Per il compleanno di _Juddy_ anche se in ritardo di qualche giorno ^^”
Happy KidoFudou day a tutti!
Genere: Angst, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Caleb/Akio, Celia/Haruna, Jude/Yuuto
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie '~ Universi paralleli ~'
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Forse la follia è previsione senza calcolo ~

Segreti e paure

Un giovane uomo ben distinto guarda attraverso il vetro dell’auto le affollate vie del centro con aria malinconica.
Le ombre dei cartelloni pubblicitari e delle insegne sono sformate dai raggi del sole obliquo nel cielo annuvolato.
Durante la notte pioverà, ma lui in poco tempo raggiungerà il suo studio e lì rimarrà fino a domani mattina. Ha molto lavoro da sbrigare, non può permettersi ritardi.
Però è così debole…

Si era sempre trattenuto, per il bene delle persone a cui teneva.
Aveva sempre cercato di controllarsi, così non l’avrebbero scoperto.
Non aveva bisogno di aiuto, lui, riusciva a cavarsela.
Solo, non dovevano scoprirlo. Altrimenti si sarebbero potuti spaventare.
E lui non voleva far paura…
“I-Io sono buono…! N-Non volevo… Ti prego, prometto che non lo faccio più!”

 

Scuote la testa, come a svegliarsi. E’ da tanto che non si nutre, e questo gli provoca strani pensieri… Strani ricordi…
Lui non ha bisogno di ricordarsi cos’è, né di cosa ha bisogno per vivere.
Per suo padre, i suoi dipendenti, il suo lavoro, per il mondo intero quel che importa è che abbia sempre la cravatta tesa e la risposta pronta in ogni discussione: del resto nessuno si occupa, e lui se la cava da sé.
Lo prende un capogiro nel momento in cui l’autista gli apre la portiera dell’auto annunciandogli il loro arrivo, e ignora il cellulare che sta vibrando nella tasca interna della giacca.
Appoggiandosi allo stipite del grande portone per non cadere, Kidou Yuuto entra, debole e provato, nell’edificio dove lavora, decidendo che la chiamata che sta ricevendo non è poi così importante. Magari dopo richiamerà…

La sua prima vittima fu sua madre stessa.
Non se ne accorse nemmeno da quanto era piccolo, sentì l’istinto di mordere e infilò i dentini aguzzi nel seno della donna che lo stava allattando.
Lei venne ritrovata morta dissanguata dopo qualche tempo, il bimbo piangeva al suo fianco e nessuno pensò che potesse essere stato lui.
Quel giorno i suoi occhi si iniettarono del sangue della madre e rimasero rossi.
Come un marchio, un segno indelebile della sua vera natura.
Quella di un mostro.

-Buona sera signore. Siete al lavoro anche oggi?-
Kidou ricambia il saluto della segretaria nella hall con uno sguardo deciso.
Attraverso le spesse lenti d’occhiale i suoi occhi tentano disperatamente di rimanere aperti, alcuni spruzzi di luce attraversano il suo sguardo come ballerini affaticati ma che seguitano la loro danza, eppure la giovane da dietro la scrivania sobbalza lo stesso, colpita dal cipiglio affilato dell’uomo.
Con un movimento impercettibile della bocca riprende fiato, e conta i passi che lo distanziano dal suo ufficio.

Passò qualche anno prima che il bisogno si ripresentasse.
Quella volta Yuuto lo avvertì chiaramente, ma non trovò motivo per trattenersi.
Era all’asilo, gli insegnanti erano distanti in quel momento e alcuni bambini lo stavano infastidendo.
Lui non era mai stato un bambino dedito ai piagnistei: voleva qualcosa e la otteneva, oppure se non la voleva la rifiutava.
Non aveva bisogno dell’aiuto degli adulti, lui.
Così senza troppe storie, quando per l’ennesima volta si ritrovò un bambino attaccabrighe fra i piedi, non fece altro che piegare il capo e morderlo all’altezza del collo.
Il suo istinto gli consigliò, non aveva altro a cui far riferimento.
Il bimbo urlò, e a Kidou parve di svegliarsi da un sogno.
Si allontanò subito dal coetaneo chiedendo scusa, dicendo che non sapeva cosa gli era preso.
Arrivò un istruttore che capita la situazione lo prese e lo punì severamente. Poi venne chiamato suo padre che una volta scusatosi per l’incresciosa situazione -così la chiamò – lo portò subito a casa e lo punì ancora.

Da quel momento Kidou capì che il suo desiderio di bere sangue –sangue umano – non andava bene. Era sbagliato.

Gli pare che il corridoio sia infinito, e quando finalmente si ritrova davanti alla rampa di scale viene colto da una vertigine pazzesca così opta per l’ascensore.
Ora è seduto alla sua scrivania. Tira un sospiro di sollievo, guarda fuori dalla finestra il sole che finalmente cala e tira le tende. Si bea per qualche istante della penombra in cui la stanza sta sprofondando, delle tinte tenuamente bluastre che le cose attorno a lui stanno prendendo. Poi accende la lampada che tiene sulla scrivania e lo sguardo gli cade su una vecchia foto lì appoggiata.
Ci sono due ragazzini –uno con i capelli noisette tutti acconciati in rasta e tenuti su da una coda alta e l’altro con un ciuffo di capelli mori e un pallone sottobraccio- appoggiati ad uno steccato con le braccia di uno intorno alle spalle dell’altro. Sorridono all’obbiettivo e sembrano invincibili, Kidou strizza l’occhiolino mentre il compagno ha un sorrisetto divertito dipinto sul volto.

Fudou, Fudou Akio si chiamava.
Era l’unica persona che aveva dimostrato davvero di amarlo.
Era l’unica persona per la quale Kidou aveva pianto.

Ricordava i suoi anni di liceo come i più sereni di tutta la sua esistenza.
Prima di allora si era deciso a non avvicinarsi più al sangue, a controllarsi in modo tale da non avvertirne più il bisogno.
Era stato male per lungo tempo, sempre più debole e sempre più pallido, si era ridotto a uno scheletro rivestito di pelle trasparente.

Poi era arrivato Fudou.
Quel ragazzino che come tutti aveva iniziato a prenderlo in giro, nei primi tempi.
A furia di ronzare attorno a Yuuto in qualsiasi momento della giornata però, forse qualcosa aveva capito.
Forse non era così insensibile come invece si diceva in giro.
Tanto fece che prese praticamente il posto dell’ombra del ragazzo con gli occhi rossi; questo all’inizio non lo considerava, ma lentamente prese confidenza con quello strambo ragazzo che voleva stare proprio con lui. Era interessato a parlare proprio con lui e non per profitto o per scherno.
Non aveva mai avuto un amico prima, e Fudou fu il migliore amico che potesse desiderare.
Per quegli anni che si frequentarono, Kidou riprese la voglia di vivere che a lungo gli era mancata.
Quando era con Akio, con quel Ciuffo arrogante e ribelle, sentiva di poter fare qualsiasi cosa: sentiva che insieme avrebbero potuto conquistare il mondo.
Poi si accontentavano di un campo erboso dove dare calci a un pallone raccattato per strada, fra i bidoni dove Fudou tirava la coda ai gatti randagi. Però era pur sempre un piccolo mondo, il loro. E andava benissimo così.

Poi un giorno- maledizione- si era svegliato e si era sentito debole.
Era da troppo che non ingeriva sangue e cominciava ad affaticarsi.
Era a casa da solo e non voleva che Fudou lo vedesse nel suo lato più terribile; così quando l’amico passò a chiamarlo sotto casa non rispose, sperando con tutto il cuore che Akio capisse e lo lasciasse in pace.
Non fu così, e mentre sentiva i passi del moro salire le scale pensava a qualcosa, qualsiasi cosa da dire per tenerlo lontano.
Non voleva fargli male… Gli voleva bene… Ma sapeva che non si sarebbe potuto trattenere, e questo lo terrorizzava.
Quando sentì il respiro di Fudou dietro la porta della sua camera si maledisse per avergli dato una copia delle chiavi della casa.

L’ultima cosa che vide furono gli occhi di Fudou.
Quel colore indicibile fra grigio e verde, quel mescolarsi continuo di tonalità che rendevano il suo sguardo imprevedibile.
Forse nella bramosia del momento qualcosa disse: una parola di scusa… d’amore… di morte…
Sperò con tutto il cuore, successivamente, di aver detto qualcosa a Fudou.
Sperò nel suo perdono, anche se sapeva di non meritarlo.
Quando si svegliò e si ritrovò il corpo del suo amico fra le mani pianse per giorni interi.
Suo padre era via per lavoro. Suo padre non c’era mai. E forse era meglio così.
Pianse Fudou e chiese perdono continuamente, fra sangue e lacrime.
Continuò a bere il sangue nel corpo del suo amico anche se non aveva più fame, perché non voleva che andasse sprecato.
Akio era stato splendido con lui in vita, e anche nella morte era stato fin troppo buono.
Si era fatto uccidere senza emettere fiato. Forse l’aveva abbracciato.
E lui l’aveva ucciso. Era un mostro, un vero mostro.
Ma il suo cuore era quello di un uomo, e da quel momento non aveva smesso un attimo di piangere.
Ogni mattino e ogni sera Kidou si sveglia ancora con l’immagine del suo amico esangue fra le sue braccia, e grida, e piange e chiede perdono. Ma sa benissimo che per un mostro come lui non esiste perdono. Si merita di vivere ancora, di vivere per sempre con questo peso tremendo addosso. Non merita la morte, sarebbe troppo facile. Non merita di raggiungere Akio dove ora si trova. Lì Akio starà bene, anche senza di lui…

Ora ha di nuovo fame, e si odia per questo.
Sente crescere dentro di sé un odio tremendo quando avverte il desiderio di sangue.
Perché sa che entro poco una persona morirà e lui non vuole essere un assassino. Non vuole fare del male, non vuole essere un mostro…
Ma è nato così, i suoi occhi sono rossi come il sangue di cui ha bisogno per vivere.
Questa è la verità, e lui si odia per questa verità che da sempre lo imprigiona.

-Signore è piuttosto tardi ormai. Le ho portato un caffè, spero lo gradisca. Vuole che le accenda la luce?-

“No bella fanciulla lascia spenta la luce.
Non c’è bisogno di luce quando dentro di me sono freddo e buio come un morto.”

Va verso di lei con un mezzo sorriso sulle labbra. La ragazza abbozza una riverenza e i suoi capelli blu si piegano con lei mentre porge la tazza.

**

Il caffè ha macchiato il pavimento. Era caldo, brucia ancora. Brucia insieme al sangue di lei, ai capelli che si sono macchiati del suo sangue.
Dolce, tiepido, come un bacio.
Un bacio sul collo, poi un altro e un altro ancora.
Yuuto continua a mordere, leccare e baciare il collo della sua giovane segretaria con bestiale cura, mentre lei che non ha più fiato per respirare lo guarda, supplicandolo.
Ma Kidou ha smesso di guardare negli occhi le persone di cui si nutre, fa troppo male; qualcosa ora tuttavia lo spinge a guardare il viso di lei.
“Haruna Otonashi si chiama”, improvvisamente, sfiorando quel grigio ceruleo dei suoi occhi, gli viene in mente.
Smette per un attimo di respirare anche lui, tanto quello sguardo sofferente lo colpisce.

“Ti ho sognata questa notte, dolce principessa celeste.
Perdona questi miei baci. Perdona questo mostro che ora amandoti ti uccide. “

Angolino sovrannaturale

-ho deciso di farci una raccolta perché sì (?). Sono piena di idee *w*
E’ la mia prima KidoFudou…
E’ la mia prima YuuHaru…
E sono morti entrambi! (?)
Cose che capitano, su su! XD
Una dedica speciale va a _Juddy_  per il suo compleanno~
Tanti auguri fatina <3
Ho fatto il possibile per rendere la shot credibile, ma non gradisco molto l’ambiente dei vampiri a essere sincera. Kidou però mi ispirava troppo in questa parte, spero sia sufficientemente IC ^^
Un commentino piccino piccino me lo lasciate?
A presto, e un forte abbraccio alla festeggiata <3
Ps: Happy KidoFudou day a tutti! (?)

Sissy

  
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