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Autore: lawlietismine    14/08/2014    4 recensioni
“Non sei un tipo di molte parole” borbottò come se lo stesse spiegando più a se stesso, ma l’altro in risposta grugnì infastidito, iniziando a faticare con il peso che stava tirando su. Fu uno dei pochi segni di vita che gli rivolse.
Stiles si concentrò sul suo volto, per studiarlo un po’: gli occhi verdi erano ridotti a due fessure, i denti stretti per lo sforzo e il volto imperlato di sudore.
Seguì pensieroso con lo sguardo una gocciolina che gli percorse il viso dalla fronte fino al collo, i cui muscoli erano decisamente contratti.
Chissà quanto gli ci era voluto per farsi quel fisico, si chiese guardandolo oltre la maglietta bianca completamente aderita al petto da quanto aveva sudato.
Sterek ~ [College!AU]
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Derek Hale, Stiles Stilinski, Un po' tutti
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Best gift of fate - Sterek



Capitolo 5

 


Stiles non avrebbe saputo spiegare come fosse arrivato a trovarsi in quella situazione, forse l’orgoglio un po’ ferito, forse la confusione nella sua testa, forse il bisogno di sentirsi voluto concretamente da qualcuno, oppure chissà che cosa, comunque Malia – a cavalcioni su di lui, entrambi sul letto della camera di lei – non sembrava interessata a una spiegazione.
Quando gli altri – dopo pranzo – avevano optato per un giro, lei aveva risposto per entrambi dicendo che avrebbero passato, visto che lui c’era già andato la mattina e che lei non aveva invece alcuna voglia.
Non aveva ribattuto, troppo pensieroso per poter fingere che gli importasse.
Non appena il gruppo si era allontanato, Stiles era stato praticamente trascinato nella camera:
Malia sembrava rapita, come se non avesse aspettato altro che un’opportunità simile, le sue mani correvano lungo tutto il corpo di lui, stringendo fra le dita la stoffa che le impediva un contatto diretto, sul petto, sulle braccia, sulle sue spalle, fino a fermarsi sulle sue guance libere e accaldate.
Stringeva e baciava, come se così avesse potuto convincerlo a non interromperla, come se così fosse riuscita a trasmettergli tutto quello che avrebbe voluto dirgli.
Marcava coi denti ogni singolo lembo di pelle che le capitava fra le labbra: il collo, il profilo del suo volto, il lobo, tutto ciò che sentiva bruciare contro di sé.
E Stiles ricambiò, dapprima incerto, poi sempre più coinvolto.
Non avrebbe saputo dire se fosse per la frustrazione che sentiva rodergli dentro, se per l’ansia che lo aveva colto quando Derek – rientrato in casa dopo di lui per il pranzo – non lo aveva neanche guardato, oppure se per il modo in cui aveva poi fatto sembrare che non fosse successo niente fra quegli alberi, come se lui se lo fosse solo immaginato, quasi a voler sottolineare che no, non poteva essere successo niente tra Derek e uno come lui.
Ma poco importava, perché adesso sopra di lui, a volerlo davvero, c’era Malia, e Stiles le strinse i fianchi quasi come per poterne essere più sicuro, come per averne la certezza assoluta, e si inarcò verso di lei per rendere più vivo quel bacio.
Malia non sapeva se ritenersi sorpresa per quel suo improvviso non cacciarla scocciato, oppure per il suo ricambiare perfino, apparentemente preso allo stesso modo, ma poco le importava, era certa che se si fosse fermata per pensarci o per chiederglielo, lui avrebbe cambiato idea.
E Stiles sapeva nel profondo che era sbagliato, lui non la voleva e questo lei lo sapeva, eppure non riusciva a smettere di spostare le sue mani dai fianchi alla vita, poi sulle sue gambe e subito dopo sul collo, teso per raggiungerlo.
Gli serviva quasi la dimostrazione che, nonostante il rifiuto categorico dell’altro – che mentre stava lavando i piatti in cucina, gli era passato velocemente accanto senza guardarlo minimamente – qualcuno che lo desiderava c’era, qualcuno che lo vedeva come l’uomo che era e che lo voleva per questo. Poi chiunque fosse, non era importante.
Lo Stiles del liceo probabilmente non lo avrebbe fatto, forse gli sarebbe corso dietro fino allo sfinimento, tormentandolo e riempiendolo di domande, proprio come a volte aveva fatto con Lydia, ma adesso gli sembrava stupido, soprattutto con la ragazza sopra di lui che lo riempiva di tutte le attenzioni che gli servivano.
Malia la conosceva da più tempo, Derek da solo una settimana: perché quindi scervellarsi troppo per lui? Non sapeva quanto avrebbe potuto dargli, non sapeva come era veramente, non sapeva niente se non l’orario in cui andava in palestra, dove abitava, quanto fosse bello il suo sorriso e come – insieme a quello – si illuminassero i suoi occhi.
Conosceva ora anche la sensazione del suo corpo vicino, del suo respiro caldo sulla pelle, della sua stretta sulle sue braccia e della sua espressione spaesata e combattuta in una situazione evidentemente fuori programma.
E diamine, Malia in quel modo non gli trasmetteva neanche minimamente le sensazioni che l’altro invece gli aveva fatto provare solo guardandolo dritto negli occhi per quello che era sembrato un tempo infinito.
Si ritrovò a gemere contro le labbra di lei solo al ricordo di come Derek avesse guardato le sue, di come si fosse avvicinato, di come l’avesse stretto, e fu con il ricordo di come poi l’aveva allontanato, che riaprì gli occhi e scansò la ragazza, quasi come colpito in pieno da un secchio d’acqua gelata.
Non avrebbe saputo dire tante cose, come per esempio il perché gli importasse così tanto visto che non lo conosceva come avrebbe dovuto o voluto, ma al pensiero ogni voglia si era spenta e semplicemente la realizzazione che sopra di lui non ci fosse Derek, si era presentata.
Ma Malia si sporse di nuovo, pronta a cancellare qualsiasi cosa avesse avuto nella testa, eppure Stiles si scansò ancora, districandosi da lei come si era districato dall’altro qualche ora prima, per poi scendere sbadatamente dal letto con il respiro a mille, e in un attimo, in un continuo mormorio di scuse - forse a lei, forse a Derek, o forse a se stesso –  semplicemente uscì dalla camera.
Quello che non aveva affatto previsto, arrancando malamente verso la sua stanza in cerca di un attimo di pace, era di trovarsi davanti proprio l’oggetto dei suoi presunti desideri, seduto da una parte sotto la finestra con un libro in mano e gli occhiali sul naso.
E quello che alimentava le sue fantasie, perché ad essere sinceri, se Derek Hale era incredibilmente bello e attraente nella sua tenuta da palestra, in quella da casa – allora –
era da infarto immediato, da completo arresto cardiaco.
Quei pantaloni della tuta grigi gli calzavano a pennello, per non parlare della canottiera bianca o degli occhiali da vista, poi in quella posizione da modello di Armani con un braccio poggiato sul ginocchio piegato, così da tenersi le dita fra i capelli scuri e disordinati, rischiava di far svenire qualsiasi malcapitato.
L’unica pecca di quella scena – e se Stiles non si fosse concentrato su altro per colpa dell’imbarazzo, non l’avrebbe neanche notato – era la stretta sul libro, che dava l’idea che l’altro lo volesse squarciare con le unghie, proprio come quella sui capelli: o il libro faceva davvero pena, o era arrabbiato per qualche ragione, oppure non lo voleva lì.
Stiles sperò tanto che fosse la prima.
In ogni caso, dopo una lunga e inespressiva occhiata, arrivò alla conclusione che il rossore sulle sue guance (dato non solo dalla foga di Malia) e che il suo boccheggiare da idiota, fossero abbastanza, perciò – senza aggiungere altro al suo silenzio – si richiuse la porta alle spalle e si decise a rifugiarsi nella camera del suo migliore amico.

Diamine, la sua e quella di Malia erano accanto: che Derek avesse sentito tutto?
Perché fra i gemiti suoi e quelli affatto trattenuti dell’altra, di certo non potevano essere passati inosservati.
Per quanto all’altro potesse non interessare cosa faceva e con chi, Stiles non voleva dare l’idea di essere interessato a Malia, oppure alle distrazioni in generale, non dopo il piccolo ma significativo (almeno per lui) episodio nel bosco.
Derek avrebbe potuto dire che era impossibile, che non poteva essere serio vista la poca conoscenza reciproca, oppure altre cose del genere, ma Stiles sentiva di esserne certo: il colpo di fulmine lo aveva colpito in pieno, tanto da farlo completamente intontire.
Il problema ora era uscirne fuori, perché se riuscire a convincere Lydia era risultato inconcludente e inutile, farlo con l’altro sembrava allora un traguardo impossibile da raggiungere o anche solo da vedere in lontananza.

 
Lydia era una tipa molto intelligente, questo lo sapevano tutti, proprio come era risaputo che – dopo anni di amicizia – si era legata molto a Stiles, tanto quanto agli altri: se c’era qualcosa che non andava, lei era sempre la prima a capirlo, che lo facesse intendere o meno.
E per quanto il suo ragazzo fosse importante e necessitasse di molte attenzioni, i suoi amici bisognosi di aiuto venivano prima rispetto all’altro tipo di bisogni di Jackson, per questo dopo avergli concesso qualche bacio, si era allontanata dicendogli che doveva parlare con Stiles, e si era imposta sulle sue lamentele.
Ora così lo stava aspettando silenziosamente sotto il cornicione della veranda, poggiata alla colonna di legno con le spalle e con le braccia incrociate al petto, sul volto un’espressione seria e che non ammetteva repliche, tanto che – quando Stiles uscì imperterrito allo scoperto e la notò – si bloccò sul posto, capendo che non sarebbe potuto sfuggire all’amica.

Lydia li aveva sentiti, Scott e Allison, mentre si allontanavano piano piano dal gruppo per parlare da soli: quella era stata la conferma e se perfino loro lo sapevano e ne parlavano, allora sarebbe dovuta intervenire pure lei.

   “Non possiamo intrometterci molto, Scott” l’aveva un po’ avvertito Allison, con voce flebile così da non farsi sentire, cercando di essere convincente.
Il suo ragazzo, con l’espressione più abbattuta e da cucciolo del mondo, aveva sbuffando evidentemente dispiaciuto “Lo so” aveva replicato altrettanto piano “Ma mi spiace vederlo così, sento di dover fare qualcosa…”
La sua ragazza aveva annuito leggermente “Anche io, credimi” si era strinta maggiormente con le braccia introno a lui, che aveva fatto lo stesso con le sue spalle mentre continuavano a camminare indisturbati “Soprattutto dopo averlo visto rientrare in quello stato, mi chiedo cosa sia successo mentre erano fuori…”
Scott si era fermato di botto, prima di guardarla spaesato con gli occhi spalancati e “In che stato è rientrato? Fuori? Cosa?” se ne era uscito, cadendo dalle nuvole all’affermazione dell’altra, che lo aveva fissato scuotendo la testa: era ovvio che non se ne fosse neanche accorto, non c’era da sorprendersi.
E lì Lydia aveva scosso la testa proprio come la sua migliore amica, prima di procedere verso la sua imminente chiacchierata con il diretto interessato.



   “Certamente è meglio di Malia, insomma” parlò, guardandolo dritto negli occhi “Non ho niente contro di lei, ma non potevi davvero passare da me a una come Malia, Derek Hale invece te lo posso concedere”
Stiles alzò gli occhi al cielo, lanciandole un’occhiata per farle intendere che non era proprio il caso di fare discorsi del genere, ma Lydia si limitò ad alzare le braccia a mezz’aria in segno di resa.
In un certo senso era davvero bello essere arrivati a un legame tale da riuscire a parlare scherzosamente anche della cotta che aveva avuto per lei, ma in questi casi invece l’avrebbe  davvero strozzata.
   “Volevo solo puntualizzare, ma passando a cose più serie…” spiegò, dandosi una leggera spinta per staccarsi dalla colonna, per poi sedersi al tavolo e fargli cenno di fare lo stesso “Spiegami un po’ come è la situazione” 
E con Lydia Martin c’era da aspettarselo, non era di certo il tipo da ‘hai voglia per caso di parlarne?’, perché finché l’altro non gliel’avesse detto, non si sarebbe mossa di lì e la cosa era evidente, traspariva dalla sua espressione con la bocca schiusa a ‘o’ e le sopracciglia inarcate.
Stiles sbuffò, prima di sedersi con lei e raccontarle velocemente – e torturandosi freneticamente le mani – cos’era più o meno successo, dall’inizio della settimana a quel momento, sotto lo sguardo attento dell’altra.
Se Lydia uscì sorpresa dalla sua espressione così combattuta, delusa, ferita e anche un po’ arrabbiata, non lo dette a vedere, ma invece “Sai” disse dopo un attimo di silenzio “Sono contenta che tu lo abbia incontrato” e per un attimo Stiles si chiese se avesse ascoltato almeno una parola, perché – con tutto quello che le aveva raccontato – come minimo l’altra avrebbe dovuto dirgli di mandarlo al diavolo.
   “Non fare quella faccia spaesata, Stilinski!” lo riprese, sbattendo una mano sul tavolo “Fai di nuovo davvero sul serio, per una volta, da quando ti sei rassegnato con me!”
Il diretto interessato preferì non rispondere, perché in effetti non sapeva cosa dire: era vero, per qualche assurda ragione, lui pensava seriamente a Derek.
Ma ciò non voleva dire che andasse bene farlo, perché era evidente a tutti gli effetti che no, Stiles Stilinski e l’amore (o qualsiasi cosa a esso ricollegato) non erano particolarmente compatibili fra loro, ora come anni prima, perciò era meglio escludere ogni cosa in partenza prima di ricascarci completamente.
Lydia capì per lui che , era troppo tardi, quando lo vide incantarsi fra i suoi pensieri fissando un punto impreciso dietro alle sue spalle, con sguardo sognante.
Sospirò, alzando gli occhi al cielo prima di alzarsi, afferrarlo per un braccio e trascinarselo dietro per farlo distrarre un po’ in qualche modo: la cucina, quella funzionava sempre, proprio come i videogiochi, ma Lydia non era disposta a immergersi in quelli.


Le cene fra amici erano la cosa migliore secondo Stiles, erano sempre in grado di distrarre e di calmare gli animi, di far scaturire qualche risata e di strappare qualche sorriso.
Inizialmente erano state una novità, ai tempi del liceo massimo si era ritrovato seduto in terra davanti alla play con Scott e dei cartoni di pizza accompagnati da Cola, poi si era unita Allison e solo dopo qualche altro tempo anche tutti gli altri, così era diventata una sorta di abitudine per tutti.
Volente o meno, almeno una volta a settimana doveva succedere.
All’inizio era stato un po’ un dramma, perché sopportare la vista della sua cotta con il suo ragazzo, magari proprio in casa sua, non era stato il massimo, poi però gli era passata e si era abituato, così era diventato un piacere o qualcosa del genere.
    “Questo coso fa davvero vomitare” Jackson afferrò al volo il suo bicchiere, lo riempì in un batter d’occhio e lo svuotò alla stessa velocità, per buttar giù in qualche modo il boccone appena preso, poi lanciò un’occhiata omicida a Stiles “Ma come diamine cucini?” lo riprese, ricevendo in risposta però solo un ghigno trattenuto e celato dietro al dorso della mano: …ma che? Facendoglielo notare, aveva sperato in un’espressione terrorizzata e desolata, non di certo divertita.
Ma tutto prese senso quando sentì un’aura negativa espandersi rapidamente al suo fianco e – voltandosi – incrociò lo sguardo adirato della sua ragazza, con le sopracciglia inarcate e i denti stretti, si rese conto di aver appena commesso un leggero errore: mai dire a Lydia Martin che aveva fatto qualcosa di sbagliato, anche se vero.
A Jackson sfuggì una risata nervosa, cercando di farlo passare per uno scherzo divertente, e “Eddai, non te la prendere…” tentò, portando subito una mano sulla sua gamba sotto al tavolo per accarezzarla “Stavo scherzando, sapevo che l’avevi preparato tu…” mentì spudoratamente, prima di tentare di allungarsi verso di lei per lasciarle un bacio, ma lei invece prima schiaffeggiò via la sua mano, poi voltò il capo dalla parte opposta, offesa.
Una risata generale scaturì da tutti quelli a tavola, mentre il profumo dei piatti –
quelli effettivamente preparati da Stiles – aleggiava nella sala, inebriando i sensi dei ragazzi a cena.
Il pomeriggio era passato piuttosto in fretta, i due amici avevano cucinato tutto il tempo, Malia era uscita sbattendo la porta e senza neanche guardarli, Derek non si era visto e gli altri erano rientrati dopo qualche oretta, piuttosto stanchi e bisognosi di cibo.
Ora la scena era più o meno: Allison e Scott vicini e sorridenti, Lydia e Jackson battibeccanti, Danny, Aiden e Ethan che parlavano con Isaac e Boyd, mentre Erica chiacchierava distrattamente con Kira, poi c’era Stiles che ogni tanto scambiava qualche battuta ma per il resto mangiava silenziosamente, Derek che si limitava a quest’ultima parte e Malia con il muso che infilzava il cibo come se avesse voluto distruggerlo.
   “Dovremmo farlo più spesso” Isaac si rivolse a tutti con un bel sorriso smagliante, ma prima che potesse continuare, Scott lo ammonì “Amico, a te basta andare in vacanza, non importa dove” seguito da una risata, e al ‘touché’ del diretto interessato, i due si batterono il cinque.
   “Ma non ti allargare troppo, Lahey” ci tenne subito a sottolineare Jackson “Ora, va bene che anche se ci siete voi, non mi trattengo minimamente, ma questo resta pur sempre il luogo di ritrovo mio e di Lydia e lo preferisco quando ci siamo solo io, lei e il letto” ghignò, prima di aggiungere velocemente un “o qualsiasi appoggio”.
La bella Martin gli mollò in un batter d’occhio una gomitata tra le costole, che non placò assolutamente le sue risate con gli altri ragazzi seduti, mentre le ragazze alzavano gli occhi al cielo come sostegno morale all’altra.
   “Dopo la tua considerazione sulla sua cucina, non ne sarei così convinto” l’avvertì Stiles, rigirandosi la forchetta fra le mani e lui lo fulminò con lo sguardo.
I primi tempi i due si odiavano, anzi, di più: il figlio dello sceriffo era spudoratamente cotto della sua ragazza, quindi entrambi avevano un motivo per farlo, ma con il tempo erano diventati molto amici, che lo dicessero o meno.
Ma la parte bella di questa amicizia era proprio il loro stuzzicarsi a vicenda, se gli altri non l’avessero conosciuti, avrebbero detto che si sarebbero ammazzati da un momento all’altro, invece era proprio quel loro modo di relazionarsi ad alimentare l’amicizia che era nata inaspettatamente con il tempo.
   “Stilinski non scherzare con il fuoco” gli borbottò contro, prima di afferrare un pezzetto del fallimento di Lydia dal piatto e lanciarglielo contro, ma venne prontamente evitato dai riflessi dell’altro.
In soccorso al povero malcapitato, corse Scott che “Lascialo stare!” sbottò, prima di imitarlo e lanciargli un pezzo di pane, che stavolta colpì in pieno il bersaglio, seguito subito dopo da un altro e un ‘ci mancherebbe, chi tocca la tua sgualdrinella!’ e così via, fin quando i due non presero a farsi la guerra come se non ci fosse stato un domani, sotto lo sguardo divertito dei soliti e quello attonito dei nuovi e non abituati.
   “Va bene! VA BENE!” Jackson si alzò in piedi, tentando di evitare le bombe che gli stavano arrivando, poi puntò il dito contro Stiles e “Ti sfido!” pronunciò le fatidiche parole “Scommetto che non hai il coraggio di uscire a quest’ora e andare nel bosco” gli fece derisorio, incrociando poi le braccia al petto soddisfatto.
Lydia e Allison lo fulminarono con lo sguardo, per poi passarsi esasperate una mano sul viso, mentre il diretto interessato nel sentirlo si era drizzato sulla sedia, improvvisamente interessato alla situazione generale.
Tutte le volte quei due finivano così: Jackson lo provocava con una scommessa stupida alla quale l’altro partecipava sicuramente per orgoglio.
Tutti quelli intorno guardarono la scena con una certa curiosità e aspettativa, fuori era già calata la notte e faceva un certo freddo, ma Stiles – senza dire niente – si avviò verso la porta, poi uscì, lasciandosi dietro un Jackson sghignazzante.

 
Ora, lui non era un fifone, quindi non si sarebbe mai tirato indietro, non avrebbe dato l’idea di esserlo a uno come quel Whittemore.
Ma chi voleva prendere in giro? Se poteva evitare cose del genere, lo faceva: il suo coraggio era ben tenuto in un cassetto sotto chiave, lo tirava fuori solo quando serviva per i suoi amici o cose così, per il resto sembrava inesistente al mondo intero.
Per questo percorse i primi trenta metri a testa alta, certo che lo sfidante – o qualcuno per lui – lo stesse controllando dalla finestra, poi – una volta fuori portata visiva – iniziò ad andarci più cauto, pesando ogni minimo passo per evitare di fare troppo rumore e aizzare così cose che dovevano restare calme e all’oscuro della sua presenza.
Non aveva mai capito se avesse paura del buio o no, a volte era piacevole, altre tutto il contrario, ma in quel momento sarebbe volentieri tornato indietro, o avrebbe fatto sorgere il sole con la forza del pensiero… Qualsiasi cosa, pur di aver a disposizione almeno un filo di luce.
Ma niente, proseguì imperterrito, troppo cocciuto per poter rinunciare a un semplice ‘scommetto che non…’.
Poi in un certo senso – una parte remota, molto remota, di lui – era quasi contenta di essere lì in quel momento, da solo.
Non perché non volesse stare con gli altri, ma perché forse c’era stato abbastanza per quel giorno (anche se così, in fondo, non era).
Non avrebbe saputo come dirlo, ma era okay per lui avere un attimo del genere.
Certo, non gli era dispiaciuta la compagnia di Lydia di quel pomeriggio, anzi, un giorno avrebbe dovuto fargli una statua e – conoscendola – l’avrebbe voluta in oro, enorme e perfetta nel dettaglio, quindi avrebbe dovuto impegnarsi! Ma quando si erano riuniti tutti a tavola, le cose erano tornate al principio: lei con Jackson, lui da solo.
E diamine, si sentiva una ragazzina di tredici anni alla sua prima cotta, e chissà quante volte si era già rimproverato di questa sensazione! Eppure non poteva farne a meno.
Derek e Malia si erano seduti distanti un miglio da lui, uno da una parte, lei dall’altra, entrambi con un motivo per stargli lontano, e la cosa gli aveva fatto contorcere lo stomaco in una stretta dolorosa.
Gli sembrava quasi di star partecipando a uno stupido programma tipo ‘una settimana per farlo innamorare’, ma stava completamente fallendo: gli era bastato un giorno per farlo incazzare, invece.
Scosse esasperato la testa, dando un calcio a un legno e rischiando già di per sé di scivolare così all’indietro.
Possibile che non potesse fare a meno di pensare a come sarebbe potuto essere stare effettivamente insieme a quell’altro? Si era sdraiato dieci minuti sul divano quel pomeriggio, per una pausa, e – chiudendo gli occhi – gli era venuta in mente una scenetta tipo perfect-boyfriend tutto zucchero e amore, il che non era stato tanto male, anzi, ma sapeva che non era neanche lontanamente realizzabile e quella era la parte insopportabile della questione.
E ora? Avrebbe dovuto continuare ad andare in palestra?
Certo, naturalmente, sennò non avrebbe più avuto l’opportunità per vederlo.
Non da solo almeno, non in pace.
E lui aveva bisogno di quell’ora scarsa, l’aveva capito quel lunedì sera quando era entrato in quel posto, si era iscritto e l’aveva incontrato.
L’aveva capito quando lo aveva riaccompagnato a casa, proprio come il giorno dopo quando era tornato laggiù.
Era stupido forse, ma era sicuramente qualcosa che Stiles sentiva e non poteva ignorare.
Magari ora non avrebbe più potuto passare quell’ora a tormentarlo, magari non avrebbe potuto rivolgergli la parola, ma avrebbe cercato un modo per far tornare le cose come prima, che a Derek interessasse o no, perché lui ne aveva bisogno davvero.
Fu con quei pensieri nella testa, che saltò in aria quando sentì un rumore da qualche parte lì intorno e si bloccò pietrificato sul posto: che diamine era stato? Lo sapeva, avrebbe dovuto fare qualche corso di karate da piccolo, perché diamine non l’aveva fatto?
O un corso di domatore per animali infuriati e pericolosi, fa lo stesso.
In ogni modo non aveva fatto un bel niente, quindi qualsiasi cosa fosse stata – o chiunque – lui non l’avrebbe saputa gestire, se non correndo via, ma anche qui c’era il problema, perché non era mai stato un gran corridore.
Quindi – ricapitolando – sarebbe stato preso.
E squartato.
Fatto a pezzetti.
Messo in una busta sottovuoto.
O avrebbero rivenduto i suoi organi al mercato nero, oppure su ebay, non si poteva mai sapere.
La sua espressione si fece pian piano terrificata, fin quando lo spezzarsi di un ramoscello non rimbombò dietro di lui, portandolo a voltare leggermente il volto e…
Un dannato cinghiale lo stava fissando con sguardo omicida a qualche metro di distanza e Stiles avrebbe scommetto che nel pacchetto quel coso gli stesse anche includendo un ghigno alla ‘aha sei fottuto, ora ti ammazzo’.
Fu proprio quella sua convinzione a dargli il via per svignarsela e con un gridolino poco dignitoso iniziò a correre, pregando ogni divinità per non farlo cadere dalla fretta sui suoi stessi piedi o qualsiasi altra cosa ci fosse stata per terra.
Neanche a dirlo, l’animale fece lo stesso e mentre Stiles sfrecciava come un missile con le braccia al vento, urlando a squarcia gola, il cinghiale lo seguiva sbuffando e caricando contro di lui per scacciarlo dal suo territorio.
Non poteva morire adesso, non così! Continuò a gridare come se – così facendo – avrebbe potuto convincerlo a smetterla, oppure spaventarlo, e a correre a perdifiato senza una meta precisa visto che vedeva a malapena il percorso.
Non si voltò neanche a controllare, perché - se l’avesse fatto – dopo circa dieci minuti si sarebbe accorto che niente lo stava più inseguendo.
Probabilmente perfino il cinghiale nel sentirlo e vederlo, si era fermato, aveva scosso il muso e se ne era andato senza perdere altro tempo.
Ma niente, Stiles continuò così, fin quando non vide un albero possibile da raggiungere e – una volta arrivato – saltò come un matto fino ad aggrapparsi a un ramo: restò lì.
Convinto a staccarsi solo quando sarebbe giunta la mattina, coì da poter controllare che la via fosse libera.
Fece per prendere il telefono dalla tasca, anche se – aggrappato in quel modo con gambe e braccia al ramo, gli era un po’ problematico – ma naturalmente nell’esatto momento in cui lo toccò con indice e medio tremanti, un rumore lo fece sobbalzare e il cellulare volò in terra, insieme al suo autocontrollo.
O meglio, l’autocontrollo che si era illuso di aver mantenuto fino a quel momento.
   “Stiles?!”
Cercò di concentrarsi e di capire se si fosse immaginato di sentire il suo nome in lontananza o se invece qualcuno l’avesse chiamato davvero, ma passarono altri secondi di silenzio che gli fecero scegliere la prima opzione.
   “Stiles?!”
Ancora. Ma stavolta fu certo di averlo sentito quel ringhio, mentre rimbombava nel bosco fino a raggiungere il suo corpo e schiantarsi su di esso in un forte brivido.
Che fosse un trucco dell’animale?
Magari si era procurato un registratore o qualcosa del genere, o magari era uno spirito della foresta capace di provocare allucinazioni, perché era letteralmente impossibile che la voce fosse veramente la sua, quindi era probabile che la sua mente gli stesse giocando un brutto scherzo poco gradito.
Per un attimo si chiese se la corsa pazza che sentiva arrivare verso di sé, fosse quella del cinghiale rimasto indietro o quella della new entry, ma preferì limitarsi a chiudere gli occhi e spappolare il ramo in quell’abbraccio affettuoso non ricambiato.
   “…Stiles?”
E che diamine, a quella voce non gli aveva mai sentito pronunciare il suo nome e doveva ammettere che, sentirglielo fare con quel tono affannato e preoccupato, era la ricompensa migliore del mondo per l’attesa.
Probabilmente stava sognando, ma si sforzò per aprire almeno un occhio e controllare la situazione: Derek se ne stava a qualche metro di distanza con una torcia puntata contro di lui e uno sguardo perplesso.
Stiles non sapeva cosa dirgli, anche visto al contrario era la visione più bella del mondo e voleva godersela un altro po’.
   “…Che diamine stai facendo?!” gli ringhiò però lui “Che diamine avevi da gridare?!” lo rimproverò, muovendo qualche passo verso di lui e fu così che l’altro si ricordò del perché si fosse aggrappato a un albero.
   “Levati di lì!” gli strillò contro “C’è un cinghiale posseduto!” quasi si strozzò pur di fargli capire la gravità della situazione.
Gravità che Derek non parve cogliere, perché inarcò ancora di più un sopracciglio, schiudendo la bocca in un’espressione attonita seguita da un imbarazzante silenzio.
E Stiles colse al volo un dettaglio: l’altro lo aveva sentito gridare (evitò di pensare al suono stridulo della sua voce nello scappare) e lo aveva raggiunto, preoccupato per lui.
Mamma mia, non avrebba mai immaginato di vedere quel suo lato, tanto meno rivolto a lui.
Se fosse stato in terra, avrebbe fatto i salti di gioia dentro di sé, ma in quella posizione il sangue faceva dei giri strani e spingere il suo cervello così in là, gli avrebbe causato uno svenimento, ne era certo.
   “E io sono anche venu—oh cazzo” iniziò sbalordito, ma un secondo dopo, con una mossa molte volte più agile rispetto alla sua, se lo ritrovò seduto sullo stesso ramo al quale lui invece si era malamente aggrappato.
Non capì inizialmente il perché, ma quando seguì il suo sguardo, notò che il cinghiale li stava fissando come a voler dire qualcosa tipo ‘fate pure, tanto prima o poi dovrete scendere e io sarò qui ad aspettarvi’.
   “Te l’avevo detto ch—AH!” tentò, prima di sentirsi afferrare per la felpa e tirare su, fino a trovarsi anche lui seduto normalmente, con a fianco Derek poggiato al tronco occupato a fissare l’animale come se avesse voluto ucciderlo in mille modi diversi.
O forse era Stiles quello che voleva uccidere, visto che c’era finito per colpa sua in quella situazione, ma il figlio dello sceriffo preferì mettere da parte quella possibilità e “Grazie…” si limitò a borbottare, ignorando i muscoli doloranti.
Derek non lo considerò neanche, se ne rimase in silenzio a dondolarsi fra le mani quella torcia e ad aspettare il via libera.
   “Quindi…Um…” si ritrovò a sbiascicare qualche minuto dopo “Passeggiata notturna, eh…” evitò di guardarlo in modo diretto, concedendosi solamente qualche occhiata di sottecchi in modo eloquente.
Derek si voltò a guardarlo lentamente, con un sopracciglio inarcato, beccandolo per di più nel momento dell’occhiata e Stiles boccheggiò a vuoto a quella celata minaccia di morte: meglio stare zitti.
…Ma chi voleva prendere in giro? Lui era Stiles Stilinski e faceva sempre tutto il contrario di quello che doveva essere fatto, infatti “Senti, ma stamani…” disse incerto, neanche sapendo come continuare, ma non ce ne fu bisogno perché vide l’altro gelarsi sul posto e rivolgergli uno sguardo di fuoco – o qualcosa del genere, e le parole gli morirono in gola.
Era lì per dire qualcos’altro, fin quando non sentì un rumore in terra e con uno stridulo gridolino, si fece più piccolo che poté.
Ormai era troppo tardi per fare la figura del grande uomo davanti all’altro.
Aveva già detto di odiare il silenzio? Perché diamine, quello era cento volte più angosciante di quello che si creava delle volte tra loro in palestra, quando lui finiva gli argomenti a disposizione per i suoi monologhi.
   “Scott”
Quando lo sentì parlare, per poco non perse l’equilibrio finendo a terra, per fortuna Derek aveva – come già dimostrato – i riflessi migliori dei suoi e lo afferrò al volo.
Si scambiarono un’occhiata, prima che il più grande lo lasciasse andare e tornasse al suo posto, distaccato.
   “Lui mi ha chiesto di venire a tenerti d’occhio” spiegò atono, incrociando le braccia al petto con un che di indecifrabile.
Stiles non avrebbe saputo dire se – una volta tornati indietro – avrebbe abbracciato il suo migliore amico o se l’avrebbe soffocato con un cuscino nel sonno, ora come ora era piuttosto combattuto, magari se le cose si fossero mosse un po’…
Perciò si limitò ad annuire.
Derek prese un profondo respiro, ricacciandolo fuori quasi in un grosso sbuffo: diamine, non sapeva neanche lui perché avesse risposto di sì all’altro, perché non gli avesse semplicemente detto di farlo da solo.
Ma gli era sembrato davvero preoccupato e quando aveva accettato, aveva potuto vedere l’immensa gratitudine nei suoi occhi.
Quando poi dopo un po’ aveva sentito il ragazzino urlare come un matto, non aveva potuto far altro che iniziare a correre verso di lui, con il cuore a mille e una brutta sensazione.
E certo, brutta sensazione sì! Si era ritrovato bloccato su un albero, con un cinghiale alle calcagna e colui che avrebbe voluto solo evitare al fianco: cosa poteva esserci di peggio? Oh sì, Stiles che tentava di parlare riguardo quello che era successo quella mattina.
Ma come c’era finito in quella situazione? Lui, un tipo sempre nel suo, che non si imbatteva mai in niente fuori programma.
Una sola settimana – o poco meno – e Stiles Stilinski gli aveva stravolto la vita.
   “Senti Derek…” ripartì a parlare senza neanche guardarlo, ma torturandosi le mani “Probabilmente ti sei fatto un’idea sbagliata di me, penserai che io sia un ragazzino iperattivo e che non smette mai di chiacchierare… No, okay, forse questo è un po’ vero…” ci ripensò su, come se avesse trovato l’errore nel discorso che si era preparato mentalmente, poi continuò “…Penserai che mi diverta a incasinare gli altri, a rompere le scatole, a tormentarli, ma non è così” si concesse un’occhiata di sfuggita e lo trovò che guardava altrove, fingendo di non essere interessato.
Ma Derek lo stava ascoltando, eccome.
   “Cioè, sì è vero che ti tormento un po’” e quando lo vide con la coda dell’occhio alzare le sopracciglia, dovette farsi forza per continuare.
Se le sue mani avessero potuto, avrebbero chiesto aiuto da quanto le stava torturando.
   “Ma non lo faccio apposta, beh…” balbettò un po’, incapace di formulare bene il discorso e non sapendo come continuarlo “M-Mi metti in ansia e…”
Si ammutolì di nuovo.
Oh, questa era davvero bella: lui gli metteva ansia? Derek non l’avrebbe mai detto, visto che quando riusciva davvero a farlo con qualcuno, quello se ne stava zitto e il più lontano possibile da lui. Possibile che l’ansia che gli trasmetteva, portasse invece Stiles a stargli ancora più addosso?
Diamine… Ma a cosa voleva arrivare con quel discorso? Perché vederlo così tormentato, agitato e in iperventilazione, gli stava facendo venire una vergognosa voglia di aprire le braccia e lasciarlo avvicinare per consolarlo. Lui? Derek Hale che pensava una cosa del genere?
Gli veniva la tachicardia solo a rendersi conto che , l’avrebbe fatto, perché vederlo in quel modo gli dava una strana sensazione allo stomaco, simile a quella provata quando lo aveva sentito gridare, e totalmente diversa rispetto a quella che lo aveva travolta la mattina.
   “…Stiles” lo chiamò piano, quando lo vide cercare di dire altro, quasi in una supplica e lui drizzò subito la testa per guardarlo.
Aprì di nuovo la bocca e quasi gli si illuminarono gli occhi per qualcosa che l’altro non colse, ma quando lo vide muoversi per andargli in contro quasi gli prese un colpo, non seppe cosa fare fino a quando – per la troppa fretta – non lo vide perdere malamente l’equilibrio e volare di sotto prima ancora che lui potesse rendersene conto.
    “Stiles!” lo richiamò più forte, preoccupato e arrabbiato allo stesso tempo per la sua goffaggine senza fine, saltando anche lui subito giù per raggiungerlo, e lo trovò steso in terra a mugugnare dolorante.
Derek si guardò intorno: l’animale se ne era andato, probabilmente intimorito dallo scatto improvviso dell’altro, così si prese con calma il tempo di aiutarlo a rimettersi su.
Si accigliò quando lo vide scacciarlo leggermente, senza spostare la faccia spalmata sul terreno, quasi a nascondersi e a dirgli di lasciarlo lì: ma che diamine gli prendeva?
Lo afferrò di nuovo per il braccio, ma ancora venne allontanato con una scossa: dire che lo avrebbe fatto diventare pazzo prima o poi, era un eufemismo.
Ci provò ancora e stavolta ci mise la forza, fino a farlo voltare con la schiena in terra, ignorando i suoi lamenti e mugugni, e quando ci riuscì Stiles si portò le braccia sugli occhi, facendolo accigliare ancora di più.
   “La vuoi smettere?!” gli sbottò contro Derek, senza ricevere alcuna risposta.
Il fatto è che il figlio dello sceriffo stava provando qualcosa che non avrebbe dovuto provare, perché insomma, cadere da un albero dopo essere scappato da un animale ed essersi probabilmente perso, avrebbe dovuto intimorirlo e abbatterlo, invece, dopo aver sentito per la quinta volta – e , le aveva contate – il suo nome uscire dalle labbra dell’altro, gli aveva fatto venire i brividi.
Era sicuro di essere paonazzo, mentre le farfalle tentavano di mettergli sottosopra lo stomaco, e non aveva il coraggio di guardarlo, perché a quel punto era palese che qualcosa in lui si fosse risvegliato solo nel sentire la sua voce chiamarlo ancora.
Ma Derek non capiva, e la cosa – senza sapere perché – non faceva altro che frustrarlo sempre di più, tanto che con un altro strattone infastidito lo mise in piedi.
Stiles si bloccò quando sentì la sua stretta ferrea sulla sua spalla e quasi trattenne il respiro: non sei una ragazzina di tredici anni, non sei una ragazzina di tredici anni, non sei… Oh, al diavolo! Derek gli stava mandando in tilt le capacità mentali solo con una mano stretta sulla spalla, non era mica possibile!
Quando si sentì poi sbattere con la schiena contro l’albero su cui si erano arrampicati, giurò di stare quasi per morire.
Peccato che, aprendo finalmente gli occhi, si trovò davanti un Derek infuriato e lì lì per compiere un sanguinoso omicidio a mani nude: possibile che al posto di essere preoccupato, stesse pensando a quanto fosse attraente? Perché diamine, lo era eccome, quegli occhi, quelle labbra… Si perse probabilmente a fissarle un po’ troppo e con sguardo famelico, perché se ne rese conto anche l’altro, che pian piano mutò la sua espressione in un gigantesco punto interrogativo, confuso dalla sua reazione.
Stiles mugugnò in disaccordo quando sentì la presa su di sé farsi più lenta, quasi fino a scomparire completamente, ma lo fece invece in segno di piacere quando l’altro – forse per capire se era stato davvero il suo tocco il problema del lamento – tornò a stringere un po’, prima di strabuzzare leggermente gli occhi nel constatare che , era stato il suo lasciare la presa e causare il disappunto di Stiles.
Aveva già detto che lo avrebbe fatto diventare matto? Perché in quel momento ne fu più che certo, sentendo tornare la piacevole stretta allo stomaco che lo aveva pervaso quella mattina.
Non era possibile che il ragazzino che aveva di fronte riuscisse a ridurlo così, quasi a sottometterlo al suo volere, perché in quel momento, sotto quel suo sguardo, Derek avrebbe solo voluto assaporarlo senza sosta.
E la gocciolina arrivò, proprio quando Stiles – forse in un gesto nervoso, forse in un tentativo di persuasione – si passò la lingua sulle labbra schiuse, investendo e distruggendo l’autocontrollo di cui Derek era sempre andato fiero, e poi fu questione di attimi, prima che il più grande portasse anche l’altra mano sulla spalla libera di Stiles e si avventasse su di lui per baciarlo.
Se l’altro ne fu sorpreso, non ebbe il tempo di notarlo, perché tutte le sue attenzioni furono riservate a quelle labbra gonfie e morbide che gli sembrarono la cosa più buona che avesse mai assaggiato, poi al suo collo, dopo aver seguito e segnato con una scia umida neo dopo neo il tracciato invisibile che lo stava richiamando, per poi risalire ancora.
Stiles avrebbe giurato di star per svenire, le gambe gli si stavano praticamente sgretolando e la testa gli girava: che stesse sognando? Fece per contare le dita strette sulla sua spalla per controllare, ma quando sentì l’altro quasi mordergli il collo, si perse in un gemito di piacere che non avrebbe mai pensato di poter emettere.
Quando Derek tornò a baciarlo, lo lasciò approfondire: chi era lui per fermarlo?
Trattenne il respiro, però, quando lo sentì bloccarsi e irrigidirsi su di sé: che avesse sbagliato qualcosa?
Il maggiore rimase immobile, con gli occhi sgranati e mille maledizioni nella testa, incredulo di fronte a ciò che stava facendo.
Fece per allontanarsi senza neanche guardare l’altro, ma Stiles – di cui poteva sentire il respiro affannato – lo fermò, trattenendolo per la maglia.
   “Derek…” lo chiamò piano, e diamine, sentirsi chiamare in quel modo lo fece quasi crollare a terra.
Rimase sconvolto, poi, quando furono le mani del ragazzo a posarsi sul suo collo, prima che anche le sue labbra venissero catturate in una presa delicata e incerta, piacevolmente inesperta, che gli fece venire voglia di afferrarlo a baciarlo ancora.
Cosa che –  senza tanti ripensamenti – fece.

No, ne era certo, non era possibile che in una sola settimana, qualcuno potesse entrare così nella vita di qualcun altro, stravolgerla e prendersela in quel modo, non era possibile essere così attratti da quel qualcuno, sentirsi come se le cose non avessero senso introno a lui, come se il resto non fosse importante.
Era impossibile, perché a Derek non era mai capitato e non aveva mai voluto credere alla stupida cosa del “c’è sempre una prima volta”.
Ma non gli importò in quel momento, perché quei pensieri svanirono nell’esatto istante in cui le braccia di Stiles si stesero intorno al suo collo e le mani si immersero fra i suoi capelli, afferrandoli e accarezzandoli come mai nessuno prima si era azzardato a fare.
E a Derek non poté far altro che piacergli, perché l’attimo dopo tornò a premerlo contro il tronco dell’albero per sentirlo più suo, più vicino, mentre – percorrendo tutto il suo corpo con le mani – succhiava, mordeva, assaporava quelle dannate labbra che dalla prima volta in cui si erano incontrati, non avevano fatto altro che muoversi contro il vento.
E diamine, la sua lingua… Aveva molte idee sul cosa fargli fare con quella, e il solo pensiero lo mandava in estasi.

   “Stiles? Derek?”
Nessuno dei due parve sentire o dare importanza al richiamo, fin quando le voci non si fecero più vicine.
Dannato Scott, prima o poi l’avrebbe ammazzato.
Stiles mugugnò ancora nel sentire il vuoto provocato dalla bocca dell’altro che si allontanava dalla sua e Derek gli rivolse uno sguardo indecifrabile a quel suono, mentre entrambi cercavano di riprendere fiato.
   “Stiles? Derek?”
Il secondo si mosse, prima un passo indietro, poi due, fino a voltarsi definitivamente e andare in contro al guastafeste.
Stiles lo sentì schiarirsi la gola prima di rispondere con un ancora roco e affannato “L’ho trovato, arriviamo” che fu – non certo per il significato – come musica per lui.
L’aveva trovato eccome.
Ma anche se contro voglia, lo affiancò per andare da Scott, che trovarono subito.
Ignorò lo sguardo che Allison – al suo fianco – rivolse loro, mentre il suo migliore amico non sembrava essersi accorto della situazione, prima che tutti e quattro riprendessero a camminare verso casa.
   “Allora…” parlò però la ragazza, con il tono di chi ne sapeva abbastanza “Che dite, facciamo qualcosa del genere anche il prossimo weekend?”
Ma Stiles sperò davvero di essere troppo occupato, quel prossimo weekend, per poter uscire: lo sguardo che gli rivolse Derek, gli fece intendere che probabilmente sarebbe stato proprio così. 


 


 
 

Ehilà ~ 
Okay. Non mi esprimo. Sarà meglio, eh? 
Non sapete quanto mi c'è voluto per scrivere questo capitolo! Mamma mia, sono destinata a non finire neanche una storia, perchè quando arriva il momento, mi abbandona l'ispirazione! Non sapevo davvero cosa scrivere. 
Poi (ora) mi è arrivata l'illuminazione divina e... Nada, non mi sono neanche accorta che le cose praticamente si stavano scrivendo da sole. 
Dunque! Questo capitolo è un po' così... Ed è l'ultimo (?) sks. 
Ma spero vi sia piaciuto! Devo essere sincera... L'ho riletto man mano che scrivevo grandi parti, ma ora che l'ho finito non l'ho fatto: avrei cambiato idea e non avrei aggiornato, ne sono certa. Quindi se ci sono errori (spero di noç_ç) fatemelo sapere!
Ci sarà un epilogo naturalmente e ho già scritto le ultime 5 righe di quello, che sono molto
pucci pucci
OMG ho stra-superato le mie due ore giornaliere di pc! 
Dunque devo proprio scappare! GIURO che risponderò alle recensioni del quarto appena possibile! 
Spero davvero che il capitolo vi sia piaciuto e di sapere cosa ne pensate!
Grazie ancora a chi ha messo la fic fra le preferite/seguite e a chi ha recensito!
Spero come sempre di leggere qualche parere ^^ 
(Vi lascio il mio tumblr) 


Lawlietismine.
 


 
  
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