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Autore: _Trilly_    14/08/2014    10 recensioni
Violetta, Angelica, Angie, Pablo, Leon, Diego, Francesca, Marco. Ognuno di loro ha un passato che vorrebbe cancellare, dimenticare. Si sa però, che per quanto si possa fingere che non sia mai esistito, esso è sempre là in agguato, pronto a riemergere nei momenti meno opportuni, portando con se sgomento e profondo dolore. Tutto questo perchè il passato non può essere ignorato per sempre, prima o poi bisogna affrontarlo. Ognuno di loro imparerà la lezione a sue spese.
Leonetta-Diecesca-Pangie
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Diego, Francesca, Leon, Pablo, Violetta
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Violetta si strinse maggiormente nel suo giacchetto di jeans, affrettando il passo. Un'altra dura giornata allo Studio era finita, una giornata che aveva passato evitando tutti come la peste. Non che ce l'avesse con qualcuno, ma non aveva voglia di sentirsi chiedere per l'ennesima volta come stesse e le accuse che sicuramente sarebbero volate contro Leon. Era stanca, maledettamente stanca.
Distrattamente, scorse il cellulare alla ricerca del messaggio che le aveva mandato Angelica. La donna infatti, le aveva detto che quel giorno avrebbero pranzato fuori e le aveva mandato l'indirizzo del ristorante tramite sms. Doveva ammettere che la cosa fosse curiosa, sua nonna non era mai stata una patita dei ristoranti, al contrario prediligeva il cibo fatto in casa, che considerava più sano e sicuro. Supponeva quindi che volesse presentarle qualcuno, magari un lontano cugino o una sua amica, chissà. D'altronde l'indirizzo che le aveva mandato, era di uno dei ristoranti più in voga della capitale argentina, quelli che di solito venivano frequentati da cittadini dei quartieri alti o da uomini d'affari, il luogo perfetto per suo padre insomma. Il pensiero di German e quindi anche quello di Maria, la fece intristire di colpo. Quanto le mancavano i suoi genitori, sembrava ieri che erano una famiglia felice e piena d'amore e invece erano ormai passati cinque anni da quando quel maledetto incidente glieli aveva portati via. Anche se aveva ripreso in mano la sua vita, il dolore continuava a perseguitarla, soprattutto quando si trovava da sola o quando si imbatteva in qualcosa che le ricordava loro. Non poteva negare che a volte, in quell'ultimo anno in cui si era impegnata per fare ordine nella sua vita, fosse stata tentata di procurarsi una bottiglia di alcool, come faceva ai vecchi tempi insieme a Leon e Diego e scolarsela tutta, per dimenticare almeno per qualche ora l'immenso dolore che l'affliggeva. Era stupido e ne era consapevole, ma che ci poteva fare se non riusciva a superare la morte dei suoi genitori? Le mancava ogni cosa di loro, a volte temeva persino di dimenticare i tratti dei loro volti o i suoni delle loro voci e per questo recuperava gli album con le vecchie foto e passava ore a guardarli, scoppiando inevitabilmente a piangere. Quando poi Diego e Leon, coloro a cui si era aggrappata con le unghie e con i denti per riuscire ad andare avanti, erano finiti in carcere, aveva creduto di non farcela, che sarebbe caduta in una depressione ancora più grave. Come poteva farcela senza suo cugino e l'amore della sua vita? A sorpresa però, chi l'aveva aiutata erano stati proprio coloro che fino a quel momento le avevano dato contro per le sue scelte sbagliate, ossia sua nonna, i suoi zii, Marco, Francesca e Camilla. Ora stava meglio, ma rivedere Leon e rendersi conto che lui non fosse disposto a cambiare per stare con lei, le provocava un profondo e immenso dolore. Nonostante tutto, non aveva mai davvero rinunciato al desiderio di poter un giorno tornare con lui. Leon era il suo primo e unico amore, la sola persona che riusciva ad immaginare al suo fianco. Era così sbagliato crederci ancora?
Troppo persa nei suoi pensieri, non si era resa conto di essere arrivata fuori al ristorante. Il locale era già strapieno di persone e fece non poca fatica a farsi strada fino alla sala interna. Dov'era sua nonna? Mentre camminava, si sollevò sulle punte, alla ricerca della donna. Niente, solo volti estranei, eppure il ristorante era quello. Continuò ad avanzare, guardandosi nervosamente intorno, poi finalmente la vide. Angelica era seduta a un tavolo in un angolo della sala e la salutava con la mano. Le sorrise, affrettandosi a raggiungerla. Solo quando fu a pochi passi, si rese conto della persona seduta con sua nonna. Era di spalle, perciò non aveva idea di chi fosse, ma appena li raggiunse, si paralizzò sul posto, il sorriso sul suo volto si gelò. “Thomas?” Chiese, esterrefatta. Seduto di fronte ad Angelica c'era proprio lui, Thomas Heredia. Non lo vedeva da quando era andata a trovarlo in ospedale e doveva ammettere che a primo impatto le aveva fatto un certo effetto. Aveva un occhio nero, un taglio sul labbro e qualcun altro sul volto e in aggiunta il braccio sinistro ingessato. Leon lo aveva conciato proprio male.
“Ciao Violetta,” mormorò il ragazzo, decisamente in imbarazzo. Era chiaro come il sole che avrebbe preferito trovarsi dovunque tranne che lì e il fatto che si guardasse continuamente intorno, quasi temesse un attacco terroristico lo confermava. Perché allora era venuto?
Quasi le avesse letto nel pensiero, Angelica si affrettò a spiegare: “Ho incontrato Thomas al supermercato. È stato dimesso ieri dall'ospedale e ho pensato di invitarlo a pranzo. È un ragazzo così a modo,” aggiunse, rivolgendo a Thomas un dolce sorriso, che lui ricambiò a fatica. Per Violetta non ci fu bisogno d'altro per fare due più due. Sua nonna, come Fran e Cami, stava tentando di fare da cupido tra lei e Thomas e quella cosa iniziava a darle sui nervi. Possibile che la considerassero un caso così disperato da non essere capace di trovarsi un ragazzo? In ogni caso non poteva mettersi a polemizzare davanti a Thomas, perciò si sforzò di sorridere, prendendo posto tra i due.
“Come stai?” Chiese allo spagnolo, ignorando il sorrisino soddisfatto sul volto di Angelica. Davvero credeva che solo perché gli stesse rivolgendo la parola le cose stessero andando come voleva lei?
“Meglio, ora riesco a sdraiarmi senza avvertire dolore ed entro tre settimane potrò anche togliere il gesso,” le spiegò il ragazzo, sorridendole. Anche se a disagio, Thomas continuava a guardarla in quel modo, come se non avesse mai visto nulla di più bello di lei e quella consapevolezza la fece arrossire nella zona guance, cosa che non sfuggì all'emozionata Angelica. “Sareste proprio una bella coppia,” commentò la donna, con gli occhi a cuoricino, facendoli avvampare di colpo.
Thomas abbassò lo sguardo e iniziò a battere il piede destro a terra in maniera frequente e nervosa, mentre Violetta dovette mordersi l'interno della guancia quasi a sangue, per non lasciarsi sfuggire un'imprecazione. Ma cosa stava saltando in mente a sua nonna? Era forse impazzita?
Rendendosi conto di averli messi in imbarazzo, Angelica si affrettò a chiamare il cameriere, che portò loro tre menù. La Castillo scorse i vari piatti con aria assente, mentre lo stomaco le si stringeva in una morsa. Avrebbe preferito essere dovunque, anche in classe per l'interrogazione di matematica, tutto pur di non trovarsi a pranzo con sua nonna e Thomas, con la prima che faceva di tutto per farli socializzare. Perché accidenti non la smetteva?
Se lo stava ancora chiedendo, quando vide qualcosa che la sconvolse ancora di più della vista di Heredia di poco prima. Nella sala infatti, avevano appena fatto il loro ingresso tre persone che conosceva molto bene, ossia Fernando Vargas, Lara e... Leon. Erano vestiti in maniera impeccabile, i due uomini in giacca e camicia e la ragazza con un grazioso abito dai colori pastello. Il suo sguardo si perse a fissare Leon, come faceva ad essere sempre così bello? Quasi si fosse accorto del suo sguardo, il giovane si voltò nella sua direzione e appena vide lei e le persone con cui era, si irrigidì paurosamente e il sorriso sparì dal suo volto. “Ancora lui,” digrignò, attirando l'attenzione del padre e della sorella, che non ci misero molto a capire. “Siediti e non fare scenate,” ordinò Fernando, glaciale, trascinandolo al tavolo più vicino. “Obbedisci, Leon.”
“Papà ha ragione,” convenne Lara, guardandolo, seria. “Sei appena stato rilasciato, una sola sciocchezza potrebbe costarti cara.”
Leon storse il naso, sedendosi scompostamente e continuando a fissare quel tavolo che tanto lo aveva indispettito. “A quanto pare quell'Heredia vuole prenderle ancora ed è fortunato che sia un tipo generoso,” borbottò crudelmente, pregustando il momento in cui gli avrebbe messo di nuovo le mani addosso. Violetta era sua, sua e di nessun altro e se per farglielo capire doveva picchiarlo ancora, lo avrebbe fatto, lui non era di certo uno che si tirava indietro.
“Non fare l'idiota,” lo rimproverò Fernando, scorrendo distrattamente il menù e lanciandogli un'occhiata di tanto in tanto. “è già una fortuna che non ti abbia denunciato per quell'aggressione, non sfidare la sorte.”
Il giovane sospirò. Sapeva che suo padre avesse ragione, ma proprio non riusciva a sopportare che quel ragazzo andasse dietro a Violetta nonostante lo avesse minacciato e spedito in ospedale. Era inconcepibile. Probabilmente, dopo che era scappato dalla sua camera come un codardo se lo meritava, ma ora aveva capito il suo sbaglio, ora era pronto a lottare per lei. Se la sarebbe ripresa, costi quel che costi.
A Violetta nel frattempo, non era sfuggito il nervosismo di Vargas e la cosa l'agitò ancora di più. E se avesse aggredito di nuovo Thomas? E se l'avesse odiata? Non poteva permetterlo, Heredia non aveva colpe, era stata sua nonna ad averlo invitato. Doveva risolvere quella situazione e doveva farlo il prima possibile. “Scusate, devo andare un attimo in bagno,” esordì all'improvviso, sforzandosi di apparire tranquilla e sperando con tutta se stessa che Angelica non avesse notato i Vargas, altrimenti addio piano. Di sicuro non le avrebbe permesso nemmeno di fare mezzo metro. Quando però la donna si limitò ad annuire, comprese che non si fosse accorta di nulla e tirò un sospiro di sollievo. Ora o mai più. Affrettando il passo, si sbrigò ad imboccare lo stretto corridoio che portava ai bagni, convinta che Leon avrebbe colto il messaggio e l'avrebbe seguita. Se lo conosceva bene, non si sarebbe fatto scappare la possibilità di farle una scenata lontano da tutti.
Il bagno delle donne era una vera e propria suite. Le pareti erano tappezzate da lucide mattonelle rosa confetto e il marmo dei lavandini era così bianco che le sembrava quasi che luccicasse, per non parlare delle fontane color oro. Si guardò intorno, ammirata. Mai in vita sua aveva visto tanto lusso, forse solo a casa di Leon, anche se in quel caso si parlava di un lusso che non avrebbe dovuto appartenergli. Il ragazzo infatti, una volta aveva ammesso che suo padre potesse permettersi la reggia dove abitavano grazie ai suoi affari non proprio puliti. “Contrabbando, traffico di droghe, favori e cose simili,” le aveva detto con una traccia di ammirazione, che allora non aveva notato. Era così innamorata di lui, da non rendersi conto di ciò che le accadesse intorno e di quanto fosse sbagliata la vita che conduceva. Ora però lo vedeva e proprio per questo gli aveva proposto di cambiare, di diventare una persona responsabile così da coronare il loro sogno d'amore, ma lui non aveva voluto.
La porta alle sue spalle sbatté con foga, facendola letteralmente sobbalzare. Voltandosi, incrociò lo sguardo furioso di Leon.
“A che gioco stai giocando?” Sibilò, avanzando verso di lei con le braccia conserte. Normalmente Violetta avrebbe indietreggiato, lui non l'aveva mai guardata in quel modo, quella volta però non lo fece, continuando a sostenere il suo sguardo. “Cosa vuoi, Leon? L'ultima volta che abbiamo parlato, non avresti potuto essere più chiaro.”
Un lampo attraversò lo sguardo del giovane, che sciolse le braccia dalla stretta in cui le aveva tenute fino a quel momento e le poggiò le mani sulle spalle, scrutandola con astio. “E quindi hai pensato bene di vendicarti, facendoti vedere con quello lì.”
Violetta lo fissò, esterrefatta. “Davvero pensi che volessi farti ingelosire? Per chi mi hai preso? Io non sono come te,” aggiunse, spingendolo lontano da se.
Leon non si scompose, anzi, quando lei lo spinse, un sorrisetto si fece strada sul suo volto. “Ma davvero? E allora perché sei a pranzo con lui?”
Quegli occhi verdi la trafiggevano con divertimento e presunzione, non perdendosi nemmeno un suo gesto e Violetta si sentì come se fosse stata sotto esame. “è stato architettato tutto da mia nonna,” ammise alla fine. “Lei vorrebbe che stessimo insieme.”
Vargas annuì, per nulla sorpreso. Era perfettamente consapevole che la nonna della giovane lo odiasse e che lo volesse a chilometri dalla sua innocente nipote, quindi non doveva sorprendersi se stesse tentando di farle frequentare un bravo ragazzo come Heredia. “Tu però non hai fatto nulla per scoraggiare i suoi piani.”
Violetta ruotò gli occhi, esasperata. “E che avrei dovuto fare, secondo te? Dovevo mettermi a urlare e a battere i piedi per terra?”
A sorpresa, il giovane sogghignò. “Ho sempre amato quel tuo particolare umorismo,” mormorò, avvicinandosi ancora a lei e guardandola con una tale intensità, che la fece arrossire di botto. “Tra l'altro,” proseguì, sfiorandole una guancia con l'indice. “Anche il tuo modo di arrossire continua a farmi lo stesso effetto.” L'attirò a se, facendo aderire i loro corpi. “Io lo so che non è cambiato nulla, noi siamo ancora una cosa sola. Il tuo corpo e i tuoi occhi fanno di tutto per farmelo capire, tu mi ami.” Quelle parole gliele sussurrò all'orecchio con voce calda e intrigante, facendola rabbrividire e arrossire ancora di più. Si sentiva come se fosse stata sotto l'effetto di un potente incantesimo, più lui parlava, più l'ammaliava e più le sue difese si indebolivano. Purtroppo Leon aveva ragione, ogni cellula del suo corpo le urlava di gettarsi tra le sue braccia, di inebriarsi del suo profumo, di aggredire le sue labbra. Lo desiderava, lo bramava come se ne dipendesse la sua vita. “Se quello sfigato ti si avvicina ancora, giuro che lo spedisco all'ospedale in fin di vita. Le cose di Leon Vargas non si toccano.”
Bastò quella semplice frase per mandare in mille pezzi il sogno in cui Violetta si era cullata fino a quel momento. Per alcuni folli istanti, aveva creduto che lui volesse dirle che sarebbe cambiato a favore del loro amore e invece le aveva dato l'ennesima cocente delusione. Leon non era pentito di quello che aveva fatto a Thomas, al contrario sembrava non aspettasse altro che ripetersi. Tra l'altro l'aveva definita una cosa sua, come se lei fosse stata un oggetto. “Lui è un delinquente e un prepotente, uno che è abituato a prendersi ciò che vuole fregandosene delle conseguenze.” Quante volte sua nonna e i suoi zii le avevano ripetuto quella frase? E quante li aveva ignorati? Possibile che invece avessero ragione? Leon la considerava una sua proprietà e voleva riportarla nella più buia oscurità, non voleva cambiare, voleva che fosse lei a farlo, ignorando quelli che erano i suoi desideri e aspirazioni. Quello non era amore, quello era semplicemente possesso.
“Quanto mi sei mancata,” proseguì Leon, accostando le labbra a un soffio dalle sue. Dopodiché la baciò. Avvertire ancora il calore e il sapore delle sue labbra, la turbò a tal punto da pietrificarla sul posto, mentre lui la baciava con sempre maggiore intensità. Non riusciva a reagire, non riusciva ad allontanarlo. Il cuore le urlava di lasciarsi andare a quel bacio, il cervello invece voleva che lo interrompesse. Cosa doveva fare? Quando sentì la lingua del ragazzo fare pressione contro le sue labbra, capì che doveva prendere una decisione e alla svelta, così consapevole che poi ne avrebbe intensamente sofferto, lo spinse lontano da se, lasciandolo stupito.
“Non voglio stare con una persona violenta e pericolosa come te. Ho bisogno di stabilità, ho bisogno di una persona con cui fare dei progetti per il futuro e tu non ne sei capace. È finita,” aggiunse, evitando di guardarlo negli occhi. Se lo avesse fatto infatti, non sarebbe mai riuscita a dirgli quelle cose. Leon era così sbagliato, ma restava comunque l'amore della sua vita e lasciarlo era l'ultima cosa che avrebbe voluto, purtroppo però non aveva scelta, doveva scegliere la cosa migliore per se stessa e per il proprio futuro. Continuando a non guardarlo, si avviò verso la porta, sperando che lui non la fermasse, altrimenti era sicura che non sarebbe più riuscita ad andarsene. Per fortuna Leon non fece assolutamente nulla e così Violetta potè filarsela, con un dolore al petto che aumentava d'intensità a ogni passo che metteva tra di loro. Perché fare la cosa giusta doveva essere anche così doloroso? La ragazza continuò a chiederselo anche quando tornò da sua nonna e Thomas, sforzandosi di sorridere e partecipare alla loro conversazione, mentre non avrebbe desiderato altro che piangere e urlare fino ad addormentarsi.
Leon dal canto suo, si sentiva svuotato di ogni emozione. Credeva di essere riuscito a riprendersi Violetta, che tra di loro non fosse finita e invece lei lo aveva mollato. Non poteva accettarlo, non poteva e basta. Si appoggiò con la schiena contro le mattonelle rosa confetto, lasciandosi scivolare sul pavimento e prendendosi il volto tra le mani. Era tutta colpa di Angelica e dei suoi cani ammaestrati e non parlava solo dei genitori di Diego, ma anche delle sue amiche, di Marco e di Thomas, loro gliel'avevano messa contro, loro le avevano fatto credere che lui fosse un mostro.
“Leon, che fai nel bagno delle donne?” Una sorpresa Lara, fece il suo ingresso nel bagno e appena notò il fratello, si accigliò.
Lui scrollò le spalle. “Violetta mi ha lasciato,” mormorò alzandosi e sorpassandola.
“Lasciato?” Ripeté la ragazza, confusa. “E quando eravate tornati insieme? Leon, aspetta,” aggiunse, affrettandosi a seguirlo. Ora più che mai, suo fratello aveva bisogno di lei.




Diego sbuffò sonoramente, spegnendo la televisione, che stava trasmettendo l'ennesimo notiziario su chissà quale catastrofe e gettò il telecomando in una delle fessure del divano, dov'era stravaccato a peso morto. Iniziava davvero ad averne abbastanza di quei pomeriggi chiuso in casa, lui che era sempre stato un tipo attivo e pieno di vita. Quando era piccolo, la febbre era il suo incubo peggiore perché non poteva uscire a giocare e da grande le cose non erano cambiate, odiava stare in casa, lo odiava con tutto se stesso. Se poi la sua mente rievocava quel momento con Francesca, le cose non potevano che peggiorare. Cantare con l'italiana, specchiarsi nei suoi occhi scuri e rendersi conto che quei sorrisi fossero per lui, gli avevano fatto provare delle strane sensazioni, un qualcosa che andava oltre l'attrazione fisica. Quando si era avvicinato per baciarla, aveva sentito di voler assaporare quelle labbra e nemmeno per un attimo aveva pensato al sesso, cosa non da lui. Diego Galindo aveva sempre pensato solo al sesso quando aveva a che fare con una ragazza, mai si era interessato a voler avere una conversazione o a condividere un hobby. Che gli stava prendendo? Scosse la testa con decisione. Il problema era che essendo stato chiuso in carcere, non aveva avuto nessun approccio con il gentil sesso e perciò ora ogni più piccolo contatto con una ragazza lo mandava in confusione, doveva per forza essere così.
“Diego, tesoro, puoi aiutarmi?”
Una trafelata Angie, aveva appena ritirato da fuori al balcone diverse lenzuola e le aveva poggiate sul divano, spostandosi poi una ciocca di capelli che le era caduta sugli occhi.
“Cosa devo fare?” Chiese il giovane, scattando in piedi, desideroso di fare qualsiasi cosa per liberarsi dalla sua apatia.
“Aiutami a piegare le lenzuola,” sorrise la donna, porgendogli i lembi di un lenzuolo rosa pastello, probabilmente del letto suo e di Pablo. Iniziarono così a piegare le lenzuola appena asciugate, mentre un delicato profumo di lavanda, appartenente a uno dei detersivi preferiti di Angie, invadeva le loro narici.
“Ti vedo pensieroso,” mormorò lei all'improvviso, posando sul tavolo l'ennesimo lenzuolo ormai piegato. Che li avesse lavati proprio tutti? Incredibile quanti ce ne fossero.
Diego annuì. Era inutile negare, sua madre avrebbe insistito finché non fosse riuscita a farlo parlare, perciò tanto valeva facilitarle il compito.
Angie iniziò a torturarsi nervosamente il labbro inferiore, indecisa su come iniziare il discorso, poi però decise di agire d'istinto. “Marco mi ha detto che ti ha visto parlare con Leon Vargas allo Studio,” mormorò, pronta a qualsiasi reazione da parte del figlio, che sorprendendola, ghignò. “Sapevo che te lo avrebbe riportato, ama causare dissidi tra di noi,” commentò, con un tono chiaramente ironico, che lei decise di ignorare. Se lo avesse aggredito infatti, non avrebbe ottenuto alcuna risposta da lui. La bionda allora, lasciando perdere i panni che ancora dovevano piegare, prese il figlio per il polso e lo condusse in cucina, consapevole della confusione che gli stava attraversando lo sguardo.
“Mamma, che succede?” Chiese infatti il ragazzo, sedendosi su una delle sedie di legno, mentre la donna riempiva due bicchieri di succo d'arancia, per poi sedersi di fronte a lui. Angie scrollò le spalle. “Ho bisogno che tu sia sincero con me, Diego,” esordì, bevendo un lungo sorso e fissandolo, seria.
Diego lanciò un'occhiata al bicchiere che lei gli aveva messo sotto il naso, poi si portò nervosamente una mano nei capelli, scompigliandoli. Sapeva già cosa volesse sapere sua madre, in fondo se lo aspettava che prima o poi avrebbe voluto parlargli a quattrocchi. “Vuoi sapere che rapporto c'è adesso tra me e Leon, non è così? Temi che possa ricadere negli sbagli del passato.”
La Saramego sbiancò, non si aspettava che suo figlio sarebbe stato così diretto, né che avrebbe capito subito quali fossero le sue preoccupazioni. “Diego,” iniziò a disagio. “Non voglio che tu pensi che ti stia accusando.”
“Lo so, tranquilla,” annuì il giovane, abbozzando un sorriso. “Dopo quello che ho combinato, è normale se ora sei preoccupata.” Poggiò poi una mano su quella della madre e gliela strinse. “Ho incontrato Leon fuori dallo Studio e abbiamo parlato del carcere, di come stessimo e cose del genere. Non sono rientrato nel giro e non ho intenzione di farlo, te lo giuro,” aggiunse, fissandola serio. “Non sono un santo e mai lo sarò, ma non voglio tornare in carcere. Voglio prendere in mano la mia vita e vivermela fino in fondo.”
Di fronte a quella determinazione e a quella sicurezza, Angie sorrise. Diego sembrava così sincero, quindi perché non dargli un po' di fiducia? “Se mi dici che le cose stanno così, allora ti credo,” sentenziò, rafforzando la stretta delle loro mani. “Lo sai che ti voglio bene e che voglio solo il meglio per te.”
Il giovane annuì. “Anch'io ti voglio bene mamma e farò del mio meglio per rimediare ai miei errori. Non voglio più deludere né te e né papà.”
“Oh, tesoro!” Emozionata, la bionda fece il giro del tavolo e lo stritolò in un forte abbraccio. “Noi ti aiuteremo, sempre e comunque, non ti abbandoneremo mai.”
Diego sorrise, ricambiando l'abbraccio. “Lo so mamma, lo so.”




“Sono esausto,” mormorò Marco, richiudendo il libro di matematica e lasciandosi andare ad un sonoro sbadiglio. Francesca, seduta sul letto accanto a lui, annuì. Erano ore che stavano lavorando sulla moltitudine di esercizi che il professore aveva assegnato, ormai non avevano più la forza nemmeno per fare una semplice addizione. L'italiana si allungò per prendere da terra il suo zaino, così da infilarci il grosso libro e il quaderno, dov'erano scritti ordinatamente tutti gli esercizi ultimati. “Abbiamo finito i compiti, vero?” Chiese al ragazzo, dando un'occhiata all'orario dal suo cellulare.
Marco annuì. “Si, ora possiamo riposarci in santa pace, il dovere è fatto.” Dopodiché si sdraiò, tirando la ragazza al suo fianco, facendole poggiare il capo contro il suo petto. Seppur imbarazzata, lei non si ritrasse. In fondo le piaceva stare tra le braccia di Marco, la faceva sentire protetta, al sicuro. Lui era la sua roccia, la sua sicurezza.
Proprio mentre pensava a questo, la porta della camera del giovane si aprì e prima che potessero fare qualsiasi gesto per ricomporsi, un Diego carico di indumenti piegati ordinatamente, fece il suo ingresso.
“Non lo sai che si bussa prima di entrare?” Sbottò acidamente Marco, cosa che fece sogghignare il fratello maggiore, mentre riponeva i vestiti sul suo letto e scrutava i due con saccente ironia. “Vi ho forse interrotti? Naaaaaa, impossibile,” aggiunse divertito, cosa che indispettì Marco, che difatti si mise seduto e gli rivolse un'occhiata raggelante. “Fatti gli affari tuoi e vattene.”
Diego non si scompose, al contrario continuò a sorridere, mentre Francesca, che si era a sua volta seduta, si torturava le pieghe del vestito a pois, a disagio.
“Te ne vai?” Proseguì Marco, ma il ragazzo lo ignorò, iniziando ad aprire gli armadi e a riporvi i vestiti, mentre un odioso sorrisetto faceva bella mostra di se. Francesca nel frattempo, spostava lo sguardo dall'uno all'altro, indugiando in particolare sul maggiore dei due e quando se ne rese conto, avvampò, addentandosi il labbro inferiore con rabbia. Cosa le prendeva? Come poteva anche solo fermarsi a guardare un tipo del genere? Doveva toglierselo dalla testa e subito. Proprio per questo, quando la sua mente rievocò il ricordo di lei e Diego a un soffio dal baciarsi, attirò Marco a se e lo baciò. Il ragazzo rimase inizialmente sorpreso, poi però iniziò a ricambiare dolcemente.
Solo dopo aver finito di riporre i vestiti, Diego tornò a guardare i due, rendendosi conto che si stessero baciando. Quella visione lo disgustò. Come diavolo gli era saltato in mente di baciarsi davanti a lui? E perché la cosa gli dava tanto fastidio?
Si schiarì la gola, facendoli letteralmente sobbalzare. “Potreste evitare queste smancerie davanti a me? Non vorrei rimettere tutto quello che ho mangiato.” Il suo doveva essere un tono ironico, ma si rese conto che gliene fosse uscito uno piuttosto infastidito. Se Marco non se ne accorse, iniziando a sproloquiare sul fatto che ne avesse abbastanza delle sue battutine, Francesca sorrise soddisfatta. Più chiara di così non poteva essere, sperava davvero che non le si avvicinasse più come quel giorno che avevano cantato insieme e che soprattutto, il suo cuore si liberasse di quelle vecchie e assurde fantasie adolescenziali. Se aveva provato qualcosa per Diego, era stato in passato, prima di conoscere Marco. Era il minore dei Galindo il ragazzo che amava e che doveva amare.
“Ora vattene e lasciaci soli!” Quell'esclamazione del suo ragazzo, la riportò alla realtà. I due fratelli erano uno di fronte all'altro e si fronteggiavano con occhiate raggelanti. Marco era furioso, ma mai quanto Diego, che lo prese per il colletto della t-shirt, sollevandolo mezzo metro da terra. “Non ti permettere più di parlarmi così, chiaro? Questa è camera tua quanto mia, se voglio entrarci tu non me lo puoi proibire.” Detto ciò, lo lasciò andare e dal suo armadio prese la giacca di pelle. Prima di uscire dalla camera, rivolse un'ultima occhiata verso Francesca, che però si fissava le scarpe, mentre Marco le si sedeva accanto, stringendo forte i pugni. “Bye bye,” li salutò, agitando la mano destra in direzione dei due. Il fratello storse il naso, la ragazza invece sembrava ora fin troppo nervosa. A che gioco stava giocando? Marco era troppo ingenuo e casto per mettersi a baciare la fidanzata davanti a lui, era stata chiaramente lei a iniziare, ma perché? Possibile che quello che stava per succedere in quell'aula l'avesse turbata tanto?
“Dove vai?”
Diego, che aveva ormai indossato la giacca ed era a pochi passi dalla porta di casa, si voltò di scatto verso Angie, che lo fissava a braccia conserte. “Sai che non puoi uscire.”
Lui annuì, passandosi nervosamente le dita nel ciuffo corvino. “Ho bisogno di uscire, mamma. Entro un'ora sono di nuovo qui, te lo giuro.” I suoi occhi sembravano così sinceri e normalmente la donna gli avrebbe creduto, ma dopo quello che era accaduto non poteva, non poteva e basta. Proprio per questo, scosse la testa, dispiaciuta. “Scusa Diego, ma non posso farti uscire. Tuo padre non c'è e questa responsabilità non me la posso prendere.”
Era tranquilla, risoluta, consapevole che nonostante tutto, stesse facendo la cosa giusta e Diego non poteva biasimarla. In passato non aveva fatto nulla per meritare la sua fiducia.
“Hai ragione a non fidarti di me,” concordò, con un sorriso amaro. “Ma davvero, ho un disperato bisogno di evadere da queste mura. Concedimi di andare nel parco di fronte casa, da qui puoi vedermi,” proseguì, guidandola verso il balcone del salotto, da cui c'era una perfetta visuale del parco in questione. “Non mi muovo da lì, te lo giuro.” Si portò una mano al cuore a mo di giuramento e Angie non potè fare a meno di scuotere la testa, divertita. “Non ti arrenderai finché non ti dirò di si, vero?”
Diego ghignò. “Mi conosci troppo bene, ma sul serio, farò il bravo,” promise. “Mi faccio solo una passeggiata e prima di quanto pensi, sarò già qui. Se vuoi, puoi controllarmi da qui e posso anche lasciarti il mio cellulare, così non chiamo nessuno.” Entrambi sapevano che quel 'nessuno' corrispondesse al nome di Leon, non c'era bisogno di fare il suo nome, anche perché meno lo sentiva e meglio era per la Saramego. Quando però Diego le porse il suo cellulare, lo allontanò con un gesto della mano. “Non deludermi,” sussurrò con un filo di voce.
Un grande sorriso si distese sul volto del giovane, che la strinse in un forte abbraccio. “Non lo farò mamma, te lo prometto.”






Hola!
Vilu ha lasciato Leon!! :( Certo, Angelica con questi pranzi non ci sta aiutando, ma ahimè il vero problema dei nostri Leonetta è proprio Leon. Lei lo ama davvero e lo sta dimostrando, ma lui continua a sbagliare. Perché non capisci, Leon, perché? :( awwwwww almeno possiamo gioire per il bacio che finalmente è arrivato *________* Diego nel frattempo rassicura Angie circa le sue intenzioni e allo stesso tempo deve confrontarsi con le strane sensazioni che gli provoca Fran, compreso il fastidio alla vista del bacio della ragazza con Marco. Quest'ultima spera davvero così di poter tenere a bada ciò che prova per Diego.
Spero che il capitolo anche se triste vi sia piaciuto :3
Baci <3


 
  
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