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Autore: HeySoul    14/08/2014    2 recensioni
Si limitava a studiarla da lontano, qualche volta. In una moviola di capelli disordinati ed espressioni concentrate, di gambe accavallate deliziosamente e i suoi calzini al ginocchio a farla sembrare più giovane.
Genere: Commedia, Generale, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Alex Turner, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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Chapter Two
 
“Well you cured my January blues,
Yeah you made it all alright.”


Il tempo sembrava essersi assopito, il rumore delle lancette veniva ora sostituito da quello dei respiri che rimbombavano nella testa di lui. Nel locale la musica faceva vibrare i vetri della porta d’ingresso come ad inizio serata ma ad Alex pareva silenzio quello che arrivava alle sue orecchie. O forse solo perché non vi erano più pareti a scandire il suo mondo. Le luci, da artificio accecante, divennero supernove. Se solo si fosse impegnato un poco, sarebbe persino riuscito a sentire le corde della propria Fender sotto le dita, con il suo suono raschiato e dolce. E le parole del testo di una canzone sconosciuto e mai scritto, le stesse che vorticavano nella sua mente proprio in quel momento, insieme alle luci e alla musica e al colore dei capelli di lei. Il suo sorriso era tutto quello e altro ancora, anche se rimaneva come inghiottito dall’oscurità.
Alexander spense la sigaretta che teneva fra le dita nel posacenere nel tavolino più vicino. Tutta la cenere era già caduta vicino alla punta delle sue scarpe, tanto la ricerca del coraggio di lasciare quell’incontro di sguardi sembrava assurda; o forse lo era solo la preoccupazione della scomparsa di lei, non appena avrebbe interrotto la magia di quell’incontro. Eppure ora i suoi piedi si muovevano velocemente sulle scale che collegavano il privè alla pista da ballo gremita di corpi danzanti, con il principio dell’adrenalina nelle vene, come se stesse andando incontro al più grande segreto dell’universo e lui fosse la persona più curiosa del mondo stesso. Gli scalini probabilmente scricchiolavano sotto il suo peso ma la musica e i suoi pensieri fitti non gli diedero la possibilità di scorgere quel dettaglio. Oltrepassò velocemente la figura dell’addetto alla sicurezza, guadagnandosi numerose occhiate. Ed ecco che davanti a lui, illuminati ad intermittenza, la stessa pila di cappotti accatastati lo salutava come se fosse un qualcosa che sarebbe rimasto incastrato sulla punta della penna con cui era solito annotarsi le idee. Lei era ancora lì, seduta con le caviglie incrociate e i suoi stivali chiari. Guardava dalla sua parte e probabilmente lo aspettava, senza nascondere un certo interesse. Non si scompose quando lui fece ancora qualche altro passo verso la sua direzione, piuttosto raddrizzò la schiena e sorrise con il suo fare dolce ed intelligente. Alex notò il colore di notte del suo vestito, piacevolmente sorpreso dalle curve che nascondeva sotto quel blu. Ricambiò il sorriso, alzando un angolo della bocca. Represse poi la voglia di estrarre nuovamente il suo fidato pettine, per ridisegnare la linea del suo ciuffo. La collana dorata che era solito portare al collo rifletteva i raggi delle luci artificiali, illuminandogli lo sguardo concentrato sul viso di lei. Quando le fu abbastanza vicino riuscì a notare l’esatta sfumatura nivea della sua pelle e del modo in cui il sorriso influenzava la guancia, formando una fossetta definita solo a sinistra.
«La vista è bella da lassù? O stavi solo giocando ad interpretare Raperonzolo?» Gli si rivolse con la più totale naturalezza, come se fosse stato un vecchio amico. Alex fu quasi infastidito dalla musica. Avrebbe dato qualsiasi cosa per poter avere la prima impressione su quella voce senza il tono volutamente alzato per sovrastare il rumore di quella stupida canzone. Decise di sorridere divertito, però, piuttosto che evidenziare quella sua piccola fissazione sul proprio viso. La guardò dall’alto verso il basso, con una mano affondata nella tasca e lo sguardo immerso nel pozzo scuro degli occhi di lei.
«Non sai nemmeno quante cose si possono vedere da quel posto. Ad esempio delle ragazze annoiate al lato della pista.» Parlare con quella tonalità forzatamente più alta del solito gli dava sui nervi ma l’aria divertita di lei sembrava calmarlo, mandando allo stesso tempo piccole scosse ovunque nel suo corpo e nella sua mente. In quel momento decise che non si sarebbe mai stancato di vedere quella ragazza ancora sconosciuta arricciare le labbra in una smorfia, insieme all’espressione scettica interpretata dalle sopracciglia alzate. Lui le si accovacciò accanto, inchinandosi e tenendosi in equilibrio sulle punte dei piedi, con la mano prima nascosta nella tasca ora appoggiata con naturalezza sulle cosce. 
«Ah, sì? E cos’altro si può vedere da lì?» Quel gioco era a dir poco delizioso per il ragazzo, e il modo in cui lei si piegò in avanti, protesa verso di lui, gli fece girare la testa. Aveva una malizia elegantemente studiata, in grado di non renderla volgare nemmeno se avesse avuto una scollatura ombelicale. E la dolcezza era in ogni suo minimo movimento e nelle lentiggini che le imperlavano il viso, rendendola più giovane di quanto in realtà non fosse. Alex non la smetteva di sorridere, arrivando persino ad allargare la piega delle labbra fino a coinvolgere l’altro lato della bocca. Fu rapito per un istante dall’idea di invitarla nel luogo tanto citato, sapendo quanto la musica fosse meno assordante e le luci poco insistenti, quando si ricordò degli altri tre, probabilmente troppo brilli anche per notare la sua assenza prolungata più del necessario. Dovette allora scacciare quel pensiero, non volendo infastidire la ragazza in alcun modo, contando sull’idea che Matt non si sarebbe risparmiato sulle battute.
Passò allora la lingua sulle labbra, insistendo su quel contatto fra sguardi.
«Mi sembra di vedere la stessa ragazza sulla pista da ballo, forse alla fine la serata non era noiosa come pensava che fosse.» Si alzò, raddrizzando nuovamente la schiena, mentre le porse la mano destra, aperta con il palmo verso l’alto. Il suo atteggiamento non aveva un obiettivo carnale, era evidente dalla sua gentilezza velata che avesse solo voglia della compagnia di lei. La ragazza lo guardò con uno sguardo eloquente da sotto le ciglia lunghe e con il suo solito sopracciglio alzato, ma senza aggiungere niente, posò la propria mano minuta su quella di lui. Il contatto provocò nel ragazzo diversi brividi, dovuti anche ai movimenti sinuosi di lei compiuti per alzarsi e camminare verso la folla danzante. La differenza d’altezza era un dettaglio che deliziò Alex, notando quanto quella decina di centimetri in meno di lui potesse renderla ancora più graziosa. Le avvolse la vita, posizionando le mani poco più su dei suoi fianchi, mentre lei gli circondò il collo con le braccia, unendo le dita proprio vicino all’attaccatura dei capelli di lui. La musica era evidentemente sbagliata, per quanto ritmo e bassi avesse nel proprio sound, ma per loro sembrava suonare qualcosa di diverso.
«Qual è il suo nome, Signor Raperonzolo?» Chiese ad un certo punto lei, con quell’ironia che ormai la caratterizzava. La risata di lui suonò più bassa del solito, breve.
«Alex.» Si affrettò a dirle, continuando ad ondeggiare in mezzo al caos dei corpi.
«E lei, signorina annoiata?» Darle del lei era un gioco appena scoperto, divertente per quello scambio di battute, per quanto presto sarebbe stato abbandonato. La vide arricciare nuovamente le labbra in un sorriso, nonostante Alex fu catturato da una veloce ombra nei suoi occhi. Un pensiero, una preoccupazione. Prima che potesse indagare oltre, o anche solo pensare di farlo, si ritrovò ad accarezzare con i pollici il vestito di lei, senza mai spostare le mani di un millimetro.
«Eileen.»
Alex si rigirò quel nome sulla lingua, accarezzandone il suono nella propria mente, sperando invano che non venisse marchiato a fuoco da quelle lettere. Una canzone diversa da quella che davano nel locale gli balenò nella coscienza, quasi invitandolo a fischiettare. Passò un’altra volta la lingua sulle labbra, ricercando il contatto con gli occhi scuri di lei che aveva interrotto per qualche manciata di secondi.
«Come on Eileen*» Le sussurrò all’orecchio, abbassandosi quel tanto per poterle quasi sfiorare la pelle con le labbra. La sua voce bassa e sensuale, quella che a volte toccava delle corde nelle altre persone, suscitando emozioni – spesso attraverso le canzoni degli Arctic Monkeys – che lui non pensava di poter inviare, fece rabbrividire la ragazza, costringendola a stringersi nelle spalle, oltre che a sorridere imbarazzata. Distolse lo sguardo per quello che parve ad Alex come un eternità, prima di poter riaffondare nella pece delle sue iridi. Sembrava avere delle parole sulle labbra, tanto che il ragazzo dovette rendersi conto di aver solo immaginato il movimento della bocca. Non gli disse nulla, infatti. Eileen sciolse il nodo delle sue dita, lasciando scivolare le mani sulle spalle di lui, carezzando la sua giacca. Istintivamente lui fece lo stesso, interrompendo il contatto con il suo corpo femminile, non senza prendere a comportarsi con una certa incertezza. La dolcezza della ragazza aveva lasciato il posto ad un atteggiamento pensieroso, tanto da farla sembrare lontano di qualche galassia. Inaspettatamente, nel giro di qualche istante, lei riprese ad avere il viso luminoso e gli occhi vispi, presenti. Gli afferrò la mano, intrecciando le dita e tirandolo appena, giusto per comunicargli l’intento di spostarsi da lì. Lui recepì pigramente il messaggio, per poi seguirla senza porre nessuna domanda. Lo condusse con abilità fra i corpi lenti per l’alcool della discoteca, afferrando dapprima il proprio cappotto nell’angolo dell’incontro, per poi varcare la porta d’ingresso. I due si ritrovarono sulla soglia, presi in contropiede dal temporale appena iniziato. La pioggia batteva fitta sulla strada, non lasciando asciutto nulla sotto il proprio dominio. Lei sembrava divertita come se avesse appena ascoltato un aneddoto buffo, mentre si infilava il suo montgomery grigio, lasciando intravedere le calze candide oltre gli stivali.
«Hai un cellulare?» Gli chiese d’improvviso, mentre si scostava i capelli con abilità, liberandoli dal soprabito. Lui annuì distratto, quasi deluso dall’improvviso divieto di vedere le curve del corpo di lei. Affondò la mano nella tasca interna della propria giacca, estraendo il cellulare richiesto e porgendoglielo. Era curioso, poiché riusciva a notare perfettamente la linea di un modello simile al suo nella tasca del cappotto grigio. Eileen afferrò il telefono con le sue mani minute, illuminando il display, per poi prendere a digitare sulla tastiera. Alex rimase a fissarla, senza dire niente come se avesse avuto paura di interrompere qualcosa di importante. La pioggia veniva ora spostata dal vento, minacciando di bagnare anche loro due, nonostante fossero stati inizialmente riparati dall’edificio.
«Devo scappare. Ora hai il mio numero, nel caso avessi voglia di ballare ancora.» Gli porse l’apparecchio esattamente nel modo in cui aveva fatto lui e, quando lo prese, Alex si ritrovò ad abbassare il viso istintivamente. L’incontro delle labbra di lei era come una tempesta in piena regola, fuochi d’artificio e l’esplosione di una stella. Ricambiò il bacio finché gli fu concesso, prendendo ad accarezzarle i fianchi. Quando lei abbassò le proprie punte dei piedi, perdendo quei centimetri in più, si sentì imperfetto. Ma la scarica che quel contatto gli aveva donato sarebbe stata capace di tenerlo sveglio per delle notti intere, a guardare le stelle se fosse stato necessario. Le sorrise alzando l’angolo della bocca, volutamente malizioso, questa volta. La vide poi sparire sotto la pioggia, dove i capelli di grano si erano già fatti più scuri e pesanti. Alex si sentì un idiota nel momento in cui si ricordò di avere le chiavi dell’auto di Matt nella tasca della giacca, avrebbe potuto risparmiare a lei una doccia e avrebbe così guadagnato qualche minuto in più della piega dolce dei suoi calzini al ginocchio.
 
Aveva combattuto contro se stesso per tutta la mattina, cercando di dimenticare volutamente il proprio telefono per casa. Avrebbe dato qualunque cosa per vedere sua madre sbucare dall’angolo, sgridarlo per qualcosa che non aveva commesso, e sequestrargli quello che a malapena si poteva chiamare cellulare, con la minaccia di non ridarglielo fino al compleanno. Il ricordo della sua adolescenza gli solleticò per un attimo la mente, rischiando di renderlo più serio. Si ritrovava persino a pensare che non avere i suoi amici fra i piedi fosse una condanna. Proprio lui che solo la sera prima tendeva ad estraniarsi anche dalla più semplice delle conversazioni, nonostante i numerosi richiami di Matt. Ora quasi pregava per la compagnia dell’amico che, ironicamente, era fuori uso come gli altri due. L’alcool della sera prima li aveva condotti ad un leggero delirio e a battute squallide alle tre di notte. Quando li aveva riaccompagnati a casa si era persino preso la premura di condurli fino alla porta dei loro appartamenti. Avrebbe dovuto aspettare almeno quella sera per poter sentire nuovamente le loro voci, anche solo per recepire le lamentele sull’emicrania. Sospirò forse per l’ottantesima volta da quando aveva messo il piede fuori dal letto. Il sole della città californiana stava iniziando la sua discesa, lasciando dietro di sé quella luce soffusa e quasi arancione, più calda.
Seduto sulla poltrona della camera da letto, si rigirò fra le mani l’apparecchio telefonico. Era maneggevole abbastanza da passare da un dito all’altro come una bacchetta della batteria. Sbloccò il display, solo per poi vederlo annerirsi nuovamente. Si sentiva come una ragazzina alla prima cotta, con le guance arrossate e la voce flebile, dopo un sospiro. Avrebbe voluto darsi uno schiaffo, giusto per ricordare a se stesso la sua età, insieme alla virilità che solitamente lo contraddistingueva. Alla fine, dopo numerosi tentativi, si decise. Aprì la casella dei messaggi e ricercò nella rubrica il numero di Eileen, sorridendo nel momento in cui notò il suo nome affiancato da uno smile intento a fare l’occhiolino. Ora sì, che aveva ultimato la sua retrocessione ad adolescente. Senza soffermarsi oltre – perché altrimenti avrebbe dovuto ricominciare tutto d’accapo – si affrettò a digitare sulla tastiera.
“Numero sbagliato?”
 
Spedì l’sms, dopo averlo riletto due volte e aver pensato per un minuto intero a rimandare più avanti, cancellandolo. Il punto era che le mancava, davvero. Sapeva a malapena il suo nome, e la sua voce era sfocata nei ricordi della musica alta. Voleva rivederla, il più presto possibile. Eppure, allo stesso tempo, pensava di aver ricercato un contatto troppo presto, evidenziando quella sua insicurezza. In più ora aveva preso a fissare l’orologio con insistenza, incominciando a pensare che il numero fosse sbagliato sul serio. O forse avrebbe dovuto chiamarla? E’ solo che si preoccupava di averla disturbata. I suoi pensieri degenerarono in quei quattro minuti di attesa. La sua gamba ballerina per il nervosismo si fermò di scatto quando il trillo definito della suoneria del suo cellulare tagliò il silenzio della stanza.

“Così poca fiducia in me, Alex?”
 
Quasi poteva immaginarsi il suo sopracciglio alzato e la fossetta a fianco del suo sorriso. E le lentiggini e le labbra soffici. Questa volta lasciò correre le sue preoccupazioni da scolaretto, rispondendo subito.

“Potevi rubarmi il cellulare e non l’hai fatto, ho già riposto la mia fiducia in te, ricordi?”

“Ti piacciono i dolci?”

 
La risposta lo prese un attimo in contropiede, obbligando a fissare lo schermo per almeno un minuto. Si alzò dalla poltrona, facendo leva sulle ginocchia con le mani. Si spostò in cucina, appoggiandosi alla penisola.
 
“A chi non piacciono? Certo, sì.”
 
Ammise fra sé e sé che si aspettava l’ennesima aggiunta ironica, poco prima. Appoggiò il telefono a fianco del forno a microonde, ancora con le sopracciglia aggrottate. Prese un bicchiere d’acqua fresca, aspettando qualche informazione in più dalla ragazza. Si morse il labbro tre volte, nel giro di quei dieci minuti che sembravano un’eternità. Si chiese se lo facesse apposta, lei, a farlo aspettare più del consentito. E di nuovo l’immagine della ragazza con le labbra piegate in un divertimento malizioso, con i capelli scompigliati e le sue calze alte, le gambe incrociate sul materasso. Sorrise anche lui, mentre riafferrava l’apparecchio, dopo il suo ennesimo suono d’avviso. Quel pomeriggio lei sembrava essere più enigmatica di come la ricordava ma lo intratteneva con piacere, suscitando in lui una certa dose di curiosità. Infatti, l’ultimo messaggio indicava solamente un indirizzo e un orario. Diede un’occhiata veloce all’orologio presente in alto a destra del display, notando che mancava solo un’ora a quello che si poteva definire come un appuntamento. Si fece accarezzare dall’idea di prendere le redini del gioco nelle proprie mani, tenendola sulle spine, imponendole di interrogarsi sul suo arrivo e la sua effettiva presenza. Però cedette nel giro di qualche minuto, ritrovandosi a digitare nuovamente per avvisarla.

“Arrivo”
 
Prese la sua giacca di pelle e il casco della moto che teneva vicino all’ingresso. Si fece un poco più serio, cercando di ricordare il percorso per arrivare all’indirizzo dato. Non fu difficile districarsi nelle strade di Los Angeles, avendo già memoria di quella particolare parte della città per essere stato là poco tempo prima, con Matt. Lasciò la propria vettura dove non avrebbe potuto disturbare, prendendo il casco ed estraendo il pettine dalla propria giacca quasi subito. Riportò i capelli all’ordine, in quell’acconciatura senza ciuffo ma che contribuiva comunque al suo stile anni cinquanta. Il suo anticipo non aiutava a combattere la leggera sensazione d’impazienza che lo costringeva a guardarsi intorno, ripetutamente. Aveva deciso di lasciare la sua fedele moto più in là, rispetto al numero sull’indirizzo, così da potersi tenere occupato, camminando con lo sguardo perso ovunque.
Il tempo diventò relativo e lui si concesse una pausa, un momento fuori dagli schemi e dal mondo, per guardare la ragazza da lontano. Quasi si sentiva come la sera prima, ad osservarla. Un ladro di bellezza e di istanti. I suoi capelli dorati venivano cullati dal vento, costringendola a riportarli continuamente dietro l’orecchio con le sue dita affusolate. Una sciarpa le scaldava il collo, proteggendola dove il cappotto oggi rosso non poteva arrivare. Alex passò la lingua sulle labbra, sorridendo ancora prima di vedere Eileen girare il viso verso di lui. E la scena era così simile alla notte precedente che i brividi rischiavano di diventare ricordi, mischiandosi con il passato. La luce naturale del sole ormai calante le rendeva decisamente più giustizia, decise Alex. Le illuminava il viso rendendo la sua pelle ancora più chiara, con le guance arrossate per il freddo in quel modo dolce. Il ragazzo si affrettò a raggiungerla, notando come si stringeva nelle spalle. Fu quasi amareggiato per l’assenza dei calzini candidi oltre il bordo degli stivali. Avevano lasciato il posto a delle calze scure che la riparavano dal freddo lungo tutte le gambe.
«Ehi.» La salutò lui, una volta arrivato ad una distanza accettabile.
«Ciao.» Il modo in cui sorrideva lo catturava ogni volta. Sapeva di essersi trattenuto un secondo di troppo sulle sue labbra, e ringraziò i propri occhiali da sole per averglielo potuto permettere. La sua voce era morbida e acuta, deliziosamente femminile.
«Troppo misteriosa? Avrei dovuto anticiparti qualcosa.»
Alex alzò un sopracciglio.
«No, davvero, va bene così. Niente di inquietante, giusto?» La vide prima allargare le labbra nell’ennesimo sorriso, per poi sentirla ridere. Quel suono lo catturò particolarmente, rendendolo praticamente certo di aver appena assistito a qualcosa di importante. Rise un poco anche lui, contagiato dalla sensazione di leggerezza che la presenza di lei gli regalava.
«Se per inquietante intendi dei muffin al cioccolato, allora sì.» Lei gli indicò con l’indice la vetrina del negozio dall’altra parte della strada. La scritta era in corsivo e citava: “Polly’s”. La vetrina presentava delle torte di pasta di zucchero, tutte colorate e con enormi cupcakes a decorarle. Gli sembrava un luogo così diverso da dove mai si sarebbe aspettato di entrare che lo incuriosì, ironicamente.
«Allora facevi sul serio con la storia dei dolci, eh?» Attraversarono la strada, stando uno al fianco dell’altra quasi si volessero tenere le mani a vicenda, ma senza avere il coraggio di prendersi una simile confidenza.
«Non si scherza con il cioccolato, Alex.» Lo ammonì con divertimento, con quel suo sopracciglio alzato e la fossetta proprio lì. Fu lei ad avanzare per prima, facendosi strada nel negozietto intimo e riscaldato. Non vi erano più di quattro tavolini e le sedie erano tutte diverse, di colore e stile. Solo un altro cliente occupava un posto, un ragazzo con un libro aperto in una mano e una tazza di tè nell’altra. Il classico bancone era stato rimpiazzato da delle vetrine ricche di ogni dolce immaginabile, dai tortini ai biscotti a forma di omino. Eileen aveva evidentemente confidenza con la donna dietro quel paese di delizie, tanto da potersi permettere di salutarla per nome. Chiese con la sua voce candida un cupcake alla crema e un cappuccino lungo, girandosi verso Alex, evidentemente fuori posto.
«Fidati di me.» Gli riferì, quasi sussurrando. Si sporse nuovamente in avanti, verso la donna di nome Renée, parlando di qualcosa che ad Alex sfuggì, mentre si perdeva in quello che lo avrebbe condotto al peccato di gola. Si ridestò in tempo per precisare un caffè amaro lungo, con la sua voce maschile e il suo accento.
Il dolce misterioso si rivelò essere un cornetto morbido, ripieno di crema al cioccolato e panna. Qualcosa che l’avrebbe portato ad ingrassare anche solo guardandolo, se solo non avesse avuto la classica costituzione magra. Si sfilò gli occhiali da sole, appoggiandoli sul tavolo a fianco del bicchiere di carta del caffè. Fece un movimento simile con il casco della moto, il cui laccio ancora teneva stretto tra le dita, lasciandolo invece andare vicino alla gamba della sua sedia.
«E’ ancora caldo e la sfoglia è croccante. E’ il mio preferito.» Lo informò lei, mentre si sfilava anche la sciarpa, oltre al cappotto. Il vestito che rivelò sotto il soprabito aveva dei buffi fiocchi di neve, sopra un celeste spento. Quel grazioso modo di vestirsi, insieme al dolce in cui aveva appena affondato il cucchiaino, la resero una creatura di fantascienza. Troppo fine con i suoi modi di fare eleganti per essere una semplice ragazza californiana.
Alex seguì il suo consiglio, cimentandosi a tagliare il dolce con le posate, piuttosto che rischiare di sporcarsi come un bambino con tutta quella panna. Era ovviamente buonissimo, dava quasi la sensazione di immergere le dita nel barattolo della crema al cioccolato tanto gli ricordava la sua infanzia.
«Il tuo vero nome è Alex? O è un diminutivo?» Le risposte a quel tipo di domande non erano il suo forte, come nelle interviste in cui tendeva ad aggiungere solo qualche piccolo dettaglio all’introduzione dei giornalisti stessi. Ma quella era piuttosto semplice, elementare.
«Alexander.» Chiarì lui, regalandole un mezzo sorriso. La sentì ridere, subito dopo, notando come i suoi occhi scuri si stringevano a delle fessure.
«Sei sporco di cioccolato. Proprio qua» Gli indicò un punto vicino al labbro inferiore, servendosi del proprio viso per mostrargli il punto esatto, ma, come succede di solito, Alex prese a pulirsi dal lato opposto.
«No, dall’altra.» Fu molto dolce vederla sporgersi sul tavolino, allungando la mano per carezzargli la guancia, prima di togliergli lo sbaffo di cioccolato con il pollice. Anche il ragazzo si era sporto sul tavolo, stando attento a non sporcarsi anche la camicia, tanto da poter incontrare il viso di Eileen a metà strada. Fu semplice unire le loro labbra, dopo. Un bacio che sapeva di crema e panna, decisamente più dolce di quello amaro di alcool della sera precedente. I due continuarono a mangiare poi, scoprendo piccole cose l’uno dell’altro, spesso senza domandare nulla. Ad esempio, era ormai evidente al ragazzo che Eileen avesse qualche problema con le domande troppo personali. Il modo in cui si stringeva nelle spalle e l’ombra di preoccupazione che le rendeva gli occhi ancora più scuri, ne era un chiaro segno. Accadeva ogni volta, prima che lei gli concedesse una mezza verità. Alex poté vantare solo poche informazioni su di lei, a fine conversazione. L’età di ventitré anni, il fatto che avesse una gatta nel suo appartamento, che le piacevano libri e che in quel periodo stesse lavorando a delle illustrazioni di uno per bambini, nonostante facesse la cameriera in un bar in fondo alla strada la mattina. Adorava il cioccolato e conosceva la Signora Renée da anni ormai. Era una persona semplice, di quelle che si alzano presto la mattina e vanno presto a letto la sera, di quelle che si concedono piccole follie solo di tanto in tanto. Il ragazzo si accorse di aver perso la testa per lei, di non riuscire più a trovare la via di fuga, né di volerlo fare. La baciò tre volte, in modi sempre più simili al primo di quella piacevole serata. Passeggiarono persino, lungo la via oltre il piccolo negozio. Il cielo aveva ormai sussurrato addio al sole, lasciando spazio ad una luna contaminata dalle luci della città.
«Ehi, io abito proprio qua.» Gli disse, girandosi e facendo alcuni passi al contrario, stringendosi nel suo cappotto rosso.
«Ti va di salire?»
Persino il suo appartamento la rispecchiava. Nelle tende candide, nelle luci soffuse delle lampade nascoste negli angoli delle stanze. Il parquet scuro attutiva i loro passi, ovattando i suoni delle calze di lei. La gatta di nome Medea ronfava calma sul divano, accogliendo il ragazzo con tranquillità. Fu una strana scena quella di Eileen e del suo rinchiudersi in un silenzio triste, l’evoluzione dell’ombra nello sguardo. In quei momenti rari le lentiggini sul naso sembravano ribellarsi contro di lei, facendola sembrare più vecchia. Alex non si permise mai di chiederle qualcosa, nemmeno come stava, temendo di ottenere l’effetto contrario a quello voluto.
Fecero l’amore quella sera, sorridendo con le guance arrossate, come se fosse stata la prima volta. Lui le accarezzava spesso le gambe lisce, riempiendola di soffici baci lungo il collo e un po’ ovunque. Lei rideva in quei momenti. Sussurrava spesso il suo nome, prima di ogni bacio che lasciava entrambi senza fiato. Si abbracciarono a lungo, dopo. Vennero cullati dal calore della notte e della stanza, dal silenzio dell’appartamento e dal rumore delle auto fuori. E quando entrambi si svegliarono il mattino successivo, con i capelli scompigliati e i vestiti stropicciati, sembravano solo innamorati, vivendo di quell’ironia nei discorsi e di voci calde, sconnesse.
 
*Come on Eileen, Song By Dexy’s Midnight Runners 


 
  
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