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Autore: Cygnus_X1    14/08/2014    8 recensioni
"Ci sono riuscita. Oggi ho detto di no, non posso essere più felice.
È così tanto tempo che ci provo. Oggi finalmente ce l’ho fatta, e ho scoperto che è facile.
Mamma dice che sono strana, ultimamente. Non sono strana, sono determinata.
Ho deciso di dare un nome a questa mia idea.
Non so, la fa sembrare più reale.
Ho visto un narciso fiorito, giù in giardino, prima. Alla fine è questo che voglio, no? Ho deciso di chiamare la mia idea così. Alla fine di tutto, io sarò così.
Narcisia."

[One shot partecipante al contest: "With flowers and words".]
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
- Questa storia fa parte della serie 'Collage of broken words and stories full of tears'
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Giorno 1
Ci sono riuscita. Oggi ho detto di no, non posso essere più felice.
È così tanto tempo che ci provo. Oggi finalmente ce l’ho fatta, e ho scoperto che è facile.
Mamma dice che sono strana, ultimamente. Non sono strana, sono determinata.
Ho deciso di dare un nome a questa mia idea.
Non so, la fa sembrare più reale.
Ho visto un narciso fiorito, giù in giardino, prima. Alla fine è questo che voglio, no? Ho deciso di chiamare la mia idea così. Alla fine di tutto, io sarò così.
Narcisia.

 
*
 
Una stanza piccola, arredata con uno stile ancora un po’ infantile nonostante la proprietaria non sia più una bambina da un pezzo. Nebbia grigia, evanescente, morbida preme sui vetri delle finestre, il cielo si fa sempre più buio. Un letto che ricorda quello delle principesse, con la testiera alta e arzigogolata e fin troppi cuscini colorati.
When you were here before
Couldn’t look you in the eye
You’re just like an angel
Your skin makes me cry
Sul letto, raggomitolata sopra le coperte stropicciate, una ragazza. Ha i capelli sparsi ovunque sul cuscino, le cuffie nelle orecchie e gli occhi chiusi.
You float like a feather
In a beautiful world
And I wish I was special
You’re so fuckin’ special
Dalla porta aperta entra un leggero profumo di pizza fatta in casa. Sua mamma si sta dando da fare ai fornelli.
But I’m a creep
I’m a weirdo
What the hell am I doing here?
I don’t belong here
«Mirage!» La voce le giunge ovattata dalla musica e dalla distanza. «È pronta la cena!»
I don’t care if it hurts
I want to have control
I want a perfect body
I want a perfect soul
Esita.
«Non ho fame!» grida di rimando.
I want you to notice
When I’m not around
You’re so fuckin’ special
I wish I was special
«Ma hai saltato anche il pranzo...»
«Ho mangiato da Juliet.»
But I’m a creep
I’m a weirdo
What the hell am I doing here?
I don’t belong here
Le lacrime iniziano finalmente a scendere. Due linee lucide e liquide sulle guance pallide.
She’s running out again
She’s running out
She’s running out...
Kenneth se n’è andato, di nuovo, e l’ha lasciata sola. Ma, in fondo, cosa può pretendere? Kenneth è innamorato di Juliet. Da un pezzo.
Whatever makes you happy
Whatever you want
You’re so fuckin’ special
I wish I was special...
Juliet... la bellissima, perfettissima, specialissima Juliet.
Vorrebbe così tanto essere come lei...
But I’m a creep
I’m a weirdo
What the hell am I doing here?
I don’t belong here
I don’t belong here
Si asciuga le lacrime, toglie le cuffie, si alza.
Ci è riuscita.
Sulla scrivania in legno di ciliegio, un quaderno verde.
Scrive di getto i suoi pensieri, mentre le lacrime ricominciano a scendere in silenzio.

 
*
 
Giorno 4
Mamma è via per lavoro da un paio di giorni, e tornerà tra una settimana. Karen deve studiare per l’università e sta sempre chiusa in camera. Praticamente, sono sola in casa.
Senza gente intorno che rompe, posso concentrarmi meglio sul mio obiettivo.
Mi sono spogliata completamente davanti allo specchio.
Faccio schifo, c’è poco da fare.
Ho due gambe grossissime, ributtanti. Grasso ovunque. Non posso mettere pantaloni stretti perché la pancia e i fianchi uscirebbero di fuori; non posso mettere minigonne o shorts per tutta quella cellulite.
Ho pianto mentre guardavo la pancia che neanche trattenendo il respiro diventa piatta come quella di Juliet. Ho pensato che non ce la farò mai. Ma poi mi sono arrabbiata. Se lei è perfetta, posso esserlo anche io.
Due giorni fa ho iniziato una dieta decente. 300 calorie al giorno. Sono uscita a correre per mezz’ora, mattina e sera. Oggi mi sono pesata: ho perso già sette etti.
Tornando a casa ho raccolto quel narciso, quello che mi aveva ispirato, e l’ho messo in un vaso davanti al mio specchio. È il simbolo della perfezione che sto cercando.
Io sarò perfetta.
Magra e perfetta come Juliet.

 
*
 
Le due ragazze sono sedute su una panchina, nel caos del centro commerciale. La ragazza bionda sbircia nei suoi sacchetti.
«Dunque. Due jeans, una minigonna fucsia, un vestito nuovo per la festa di domani, tre smalti con i brillantini e un rossetto. Mia mamma mi ucciderà.»
Scoppia a ridere, scuotendo la testa. I capelli si muovono in onde morbide.
«Beh, in fondo è colpa sua. È lei che non ti ha messo un limite» risponde la ragazza castana, alzando le spalle.
L’amica annuisce. «Tu, invece? Mi hai detto che avevi un po’ di soldi da spendere ma non hai comprato niente...»
«Non ho visto niente che mi piacesse» risponde l’altra.
«Eh no! Tu non esci dal centro commerciale senza qualcosa di nuovo. Hai bisogno di un vestito per la festa! Non puoi venire in jeans e maglietta, non te lo permetto.»
La ragazza bionda si alza, determinata. Prende il polso dell’amica e la trascina verso un negozio.
Ridono entrambe.
«Dai, forza, è il tuo negozio preferito. Ci sarà sicuramente qualcosa che ti piace.»
La ragazza bionda comincia a frugare gli scaffali con gli occhi, seguita dall’amica, ancora con un’ombra di sorriso sulle labbra. Si guarda intorno anche lei, ma meno convinta.
C’è davvero troppa confusione, comincia a essere a disagio. Tanto a lei i vestiti non stanno bene, non le piacciono. Che ci fa lì?
Poi, all’improvviso l’amica le prende un braccio e comincia a trascinarla da una parte.
«Oddio guarda quello. Guarda quel vestito!»
La ragazza castana si gira e guarda.
Non può crederci.
È perfetto. Semplice, senza spalline, stretto sopra, per poi aprirsi in una gonna a balze lunga fino a metà coscia, con un nastro lucido a segnare i fianchi.
«Quello lo provi. Ti obbligo, Mirage. Lo so che ne sei innamorata, si vede.»
«Non ho il fisico adatto per quel tipo di vestito, Juliet... non tutte hanno una terza abbondante come te, sai?»
L’amica scuote la testa. Senza sentire ragioni cerca tra le taglie fino a trovare la sua e glielo sbatte in mano con decisione. Mirage sospira con finta esasperazione.
«Anzi, perché no, lo provo anche io... ma non nero, meglio bianco per me.»
Entrano in due camerini vicini per provare, come sempre.
Mirage si spoglia, cercando di evitare di guardare lo specchio. Odia gli specchi, la mettono a disagio. Non le è mai piaciuto il suo fisico.
Indossa il vestito con una punta di agitazione. Juliet la conosce troppo bene, e non ha potuto non notare che davvero lei è innamorata di quel vestito.
Si volta verso lo specchio, e l’ansia si trasforma in delusione.
Ma chi vuole ingannare? È Juliet quella con il fisico perfetto, non lei. Lei è così dannatamente sproporzionata! Praticamente piatta, ma con i fianchi troppo larghi.
Fa ridere, anzi, piangere.
Dove dovrebbe esserci il seno, il vestito le sta troppo morbido, vuoto. E se si volta di profilo, la pancia sembra ancora più enorme, visto che il vestito è aderente.
«Mir, mi piace tantissimo!» dice Juliet, entusiasta, dal camerino a fianco.
Poi le apre la porta, raggiante.
Mirage ha sempre ammirato l’amica. È sempre stata più bella, più magra, più perfetta di lei. E adesso l’invidia raggiunge le stelle.
Addosso a Juliet è perfetto. Le fascia il corpo esile come se fosse disegnato apposta per lei, segue le sue curve rendendola ancora più bella; la gonna si apre sulle sue gambe sottili, slanciandole. I capelli biondi della ragazza scendono in onde morbide sulle sue spalle e sulla schiena.
Sembra un angelo. Una modella. La perfezione.
«A me non sta bene, invece» dice, triste, cercando di mascherare tutta l’invidia che prova. È la sua migliore amica, non dovrebbe comportarsi così... eppure, non riesce. Non riesce a non invidiarla.
«Ma cosa dici, Mir! Ti sta molto bene, non fare la stupida.»
Le si avvicina, studiandola con occhio critico. Le raddrizza la gonna, le tira su il vestito, le stringe il nastro.
«Ecco. Vedi?»
No. Mirage non vede. Vede solo la sua migliore amica perfetta come lei non può neanche sperare di essere.
Juliet si accorge dei dubbi che ha, nonostante si sforzi di nasconderli.
«Senti. Tu adori questo vestito, si vede. E si vede anche che cosa ne pensi... però fidati di me se ti dico che una cosa ti sta bene, ok? Prendilo. Andiamo alla festa vestite uguali, sabato! È una cosa carina, no? E poi, è il diciottesimo di Cheryl. È importante!»
Le sorride, e anche a Mirage torna il buonumore. Vuole molto bene a Juliet. Certo, fa male sapere che Kenneth preferisce lei.
Ma è la sua migliore amica, e si fida di lei.

 
*

Giorno 12
La dieta comincia a dare risultati interessanti. Ho perso già quasi due chili.
Posso farcela, posso essere perfetta come Juliet.
Posso essere Narcisia.
Non mi devo fermare, però. Il mio obiettivo è perdere dieci chili, arrivare a pesare 50. Per ora, mi devo concentrare su questo. Arrivare a 40 chili verrà dopo.
Il problema è che mamma ha iniziato a rompere. Dice che mangio troppo poco. Però le dico che non ho fame, e lei la smette.
In realtà non è vero. Ho sempre fame, tantissima fame, ma la controllo. Il mio obiettivo è più importante.
Sono brava a controllare la fame. Papà diceva sempre che non ero capace di fare niente, ma non è vero. Sono brava a dirmi di non mangiare.
Sarò magra e perfetta. Non sarà più come a quella stupida festa.
Juliet perfetta e bellissima nel suo vestito, io esattamente l’opposto. L’idea di vestirci uguali è stata un’idiozia: era ancora più palese quanto lei fosse più bella e magra di me.
La guardavano e l’ammiravano tutti.
Ma, in fondo, come biasimare Kenneth e gli altri? Juliet è perfetta e io no.
Adesso però lo diventerò anche io.

 
*
 
«Ehi.»
Mirage blocca il lettore mp3 sulle ultime note di Wrong. Solleva lo sguardo.
C’è un ragazzo davanti a lei: alto, capelli castani scompigliati, un lieve sorriso sulle labbra.
«Ehi.» Risponde al saluto, poi si sposta per fargli un po’ di spazio sul muretto.
Sono al parco, ma è deserto. Forse perché minaccia pioggia: il cielo è plumbeo, livido. Tira un gelido vento di tempesta.
«Juliet non è riuscita a venire, alla fine» dice Mirage, un po’ dispiaciuta. Lo sguardo del ragazzo sembra spegnersi un poco. Poi scrolla le spalle.
«Vorrà dire che saremo solo noi» dice, e sorride.
Anche Mirage sorride.
Già.
Solo loro due. È l’occasione migliore per dirgli quello che prova da due anni, ormai.
Ora che ci pensa, non sarebbe così strano che quella maledetta di Juliet l’avesse fatto apposta. Ovviamente, lei sa tutto.
Ma è solo quasi mezz’ora dopo, quando se ne stanno per andare perché inizia a piovere, che trova in qualche modo il coraggio.
La sua risata si interrompe di colpo, e lei torna seria. Il ragazzo sembra accorgersene, perché la fissa in modo strano, confuso e un po’ preoccupato.
«Kenneth» dice, senza guardarlo. I suoi occhi castani, quasi neri, la mettono sempre in difficoltà, e ora deve restare presente a se stessa. Per quanto può riuscirci con lui così vicino.
Sente un paio di gocce di pioggia caderle tra i capelli e sulle braccia.
«Tu... sei il mio migliore amico. Ci conosciamo da quando avevamo sei anni, però, beh, devi ammettere che... ci siamo avvicinati molto nell’ultimo periodo, non credi?»
Fa una pausa, prende un respiro. Ce la può fare.
È sicura di avere le guance imporporate e i capelli scompigliati dal vento, mentre la pioggia si fa più presente. Non è nel suo aspetto migliore.
Ma non le importa.
«Voglio dire... siamo amici da dodici anni. E io, beh... non sono più sicura che tu sia solo un amico per me.»
Ecco, le è uscito, infine. La pioggia le sta inzuppando vestiti e capelli, ma è felice.
Solleva lo sguardo verso l’amico di sempre.
E non lo trova.
Kenneth sta guardando in basso, e sembra terribilmente dispiaciuto. Mirage aggrotta la fronte, mentre il suo cuore accelera i battiti. C’è qualcosa che non va.
«Mir» sospira.
C’è decisamente qualcosa che non va. La pioggia sembra così fredda, ora, dentro i vestiti e sul viso.
«Sei una persona fantastica, e ti voglio un sacco di bene, sei la mia migliore amica. Ma sei solo questo... la mia migliore amica.»
Il freddo le entra dentro, e rabbrividisce. Sa che non è solo a causa della pioggia.
«È così, quindi» dice, dura. Si fissa le mani per qualche secondo, cercando di trattenere le lacrime.
Non sente niente dentro, solo vuoto.
«Posso sapere, almeno... se c’è un’altra ragazza, chi?»
Lui esita, e lei sa che i suoi dubbi sono realtà.
«Dimmelo.» È fredda come il ghiaccio, dura come la pietra. «Me lo devi.»
Lui non la guarda.
Lei aspetta.
«Juliet» sussurra, infine.
Così Mirage scopre che in realtà non è vuota. È piena di cose. Tristezza, delusione.
Rabbia.
Invidia.
Si alza di scatto, lo guarda di nuovo. Sul suo volto la pioggia è mischiata alle lacrime, le linee d’acqua grigia le segnano le guance.
«Sono una persona fantastica, ma a quanto pare non perfetta come la mia migliore amica.»
«Mir...» Lui prova a dirle qualcosa, ma lei scuote la testa e sorride.
«Non ti preoccupare. È sempre stato così.»
Corre a casa, sotto la pioggia, in lacrime.

*
 
Giorno 36
Oggi ho raggiunto il mio primo obiettivo. Niente mi ha resa più felice di quel 49.8 sulla bilancia. Ora devo perdere altri dieci chili, non posso certo fermarmi qui.
Mamma è strana. Mi chiede in continuazione se ho qualcosa che non va. Non capisce che sto benissimo, finalmente. Presto sarò perfetta, sarò Narcisia.
Juliet mi ha chiesto se voglio uscire a fare shopping con lei, oggi. Le ho detto di no come le altre volte. Non uscirò con lei finché non sarò perfetta come lei. Sono stanca di sfigurare accanto al suo fisico da modella.
Credo che Karen stia cercando di fermarmi. Deve aver mentito alla mamma, è per questo che ora lei crede che io sia strana. Non mi interessa. Non mi farò fermare da lei.
È evidente che è invidiosa di me. È sempre stata lei quella più intelligente e più bella, papà lo diceva sempre. Ora che io diventerò magra, lei non sarà più quella perfetta. Così cerca di bloccarmi in tutti i modi.
Ma io non mi faccio certo fermare da una sorella invidiosa.
Non quando sono a metà strada.

 
*
 
Qualcuno urla, in cucina. Due voci che si sovrappongono.
Mamma e papà.
Mirage ha sei anni, ed è nascosta nell’armadio della sua cameretta. Non sente cosa si stanno dicendo. Sente solo le loro voci che urlano.
Lei odia quando succede. Mamma e papà litigano spesso, ultimamente. Mamma poi va in camera a piangere; Karen dice che papà le grida brutte cose.
Mirage odia quando succede perché poi papà viene a cercare lei, e le grida delle cose. Lei non capisce, ma sa che sono brutte. Si sente dalla voce. A volte le tira anche qualche sberla, forte. La guancia le fa male per tanto tempo, dopo. Diventa rossa e fa male.
Papà non va mai da Karen. Solo da lei. Karen le dice di non preoccuparsi, ma lei ha paura. È per questo che stavolta si è nascosta nell’armadio.
Le voci diventano più chiare, si stanno avvicinando. Mamma piange.
«È anche tua figlia!»
«Non l’ho mai voluta!»
Mirage si preme le mani sulle orecchie, ma le voci entrano lo stesso.
«Ha solo sei anni, Matt, ti prego!»
«Io non la volevo, non volevo un altro sgorbio brutto e stupido. Mi bastava sua madre!»
«Matt, non farlo!»
Sente i passi di papà risalire le scale. Si stringe le gambe al petto. Ha paura.
«Sgorbio!» grida, vicinissimo al suo nascondiglio.
L’ha sempre chiamata così. Mamma ha detto che sgorbio significa scarabocchio, e lei lo trovava carino, come nome. Solo all’inizio però. Poi papà ha cominciato a gridarlo in quel modo.
Mirage trattiene il respiro. Sente i passi di papà che va un po’ in giro per la camera, per poi andarsene.
Le voci riprendono, in salotto stavolta. Poi, la porta di casa che sbatte.
La mamma corre su per le scale. Entra in camera, e la chiama. Mirage apre un po’ la porta dell’armadio, sposta i cappotti ed esce.
La mamma ha tutte le guance bagnate di lacrime. Le sorride e l’abbraccia stretta.
«Non preoccuparti, Mirì. Papà non ti farà più male. Non dirà più quelle brutte cose. Lo manderò via, non dovrai più avere paura.»
Mirage non dice niente. Ha paura di papà, però è sempre papà. Gli vuole bene.
Non sa se è felice che vada via.

*
 
Giorno 57
Stupida! Stupida, stupida, stupida!
Non ce l’ho fatta.
Oggi ho mangiato.
Avevo tantissima fame. Ho mangiato tutti i biscotti e metà del pane, prima di riuscire a fermarmi.
Ho fallito. Non sarò mai perfetta, così.
Sono una stupida, proprio come diceva sempre papà.
Sono andata in bagno e ho vomitato tutto. È stato bruttissimo. Il dolore peggiore che ho mai sentito. La giusta punizione per aver mangiato. È giusto così. Ho fallito e devo punirmi.
Non posso rinunciare. La mamma e Karen pensano che io sia malata, ma non capiscono. E non mi fermeranno.
Io sarò perfetta. Sarò Narcisia.
Devo solo perdere altri sette chili. Quando peserò meno di quaranta chili sarò finalmente perfetta.

*
 
È stanca morta. È appena tornata dalla sua solita ora di corsa serale, e quasi non sta in piedi. Si sente svenire.
Ma è soddisfatta. Secondo i suoi calcoli, con quella corsa ha bruciato circa 230 calorie.
Apre la porta di casa con il fiatone. Anche solo salire le scale le ha fatto vedere macchie nerastre davanti agli occhi. Lo stomaco le manda le solite fitte dolorose.
Tutto normale.
A casa non è tutto normale, invece. Mamma e Karen non ci sono. Dove possono essere, all’ora di cena?
Voci al primo piano. Sono in camera, quindi?
Sale le scale ansimando, cercando di riprendere fiato. Si rende conto solo dopo qualche secondo da dove provengono le voci.
Camera sua.
La coglie un dubbio atroce. Ha nascosto il quaderno di Narcisia, prima di uscire, vero? Non ricorda.
Dimentica un sacco di cose, ultimamente.
Arriva in corridoio e si accorge che non sono solo due voci. Non riesce più a correre, ma cammina più veloce che può verso la sua camera, e spalanca la porta.
La mamma e Karen la fissano, inorridite. Ma non è su di loro che il suo sguardo si ferma.
Juliet, al centro della stanza, il mascara colato e gli occhi gonfi di chi ha pianto troppo a lungo.
Kenneth, con qualcosa di verde tra le mani e le lacrime agli occhi.
Il quaderno di Narcisia.
Se Mirage non fosse così stanca, avrebbe sentito il suo mondo crollare. Ma non ha energie.
Può solo restare in piedi, ferma, mortalmente stanca, mentre i suoi amici e familiari la guardano, vedendo forse per la prima volta davvero il suo corpo devastato, magro.
«Mir» dice Kenneth. Non l’ha mai visto piangere. Ora lo fa per lei. «Che cosa stai facendo?»





 
*******
Note: per questa storia mi sono documentata, per cui non ho sparato stupidaggini, o inventato cose. Ho scritto su questo tema perchè credo che anoressia e simili malattie siano davvero sottovalutate... e non dovrebbero esserlo.
La ripetizione in tutto il racconto delle parole "perfetta", "perfetto", "perfezione" è una scelta, per sottolineare l'ossessione della protagonista nei confronti della sua illusione.
Il testo della canzone in corsivo è "Creep" dei Radiohead.

 
   
 
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