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Autore: _Garnet915_    14/09/2008    5 recensioni
Guarigione. Un concetto che può apparire tanto semplice. Ma per alcuni è una ripida strada di montagna che sembra non offra alcun sentiero sicuro. Percorrerla da soli sembra una tortura. Ma forse con qualcuno accanto, una sicurezza può essere trovata. {NOTA: il titolo della storia è lo stesso di una canzone incisa in Giappone e dedicata al pairing Inuyasha/Kagome - lo stesso principale di questa fic - Questo, però, non significa che la storia sia una sorta di song-fic}
Genere: Generale, Romantico, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Inuyasha, Kagome, Kikyo, Sango
Note: Alternate Universe (AU), OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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3. Me no mae ni yami ga oshiyosete kitemo ~ Although the darkness before us keeps coming…


Ultimi giorni di maggio. Lezione di educazione fisica per le sezioni terza e quarta del primo anno.


I ragazzi erano in cortile a disputare una partita di calcio. Le ragazze, invece, erano rimaste in palestra per una partita di pallavolo.


Il che significava che anche lui era fuori.


Sospirò sollevata.


Non voleva vederlo.


Del resto, erano appena passati pochi giorni da quando lui le diede un due di picche senza pensarci due volte. Sapeva di non avere molte possibilità, con Hojo, però voleva togliersi quel peso dal petto. E, inoltre, si aspettava di esser trattata dignitosamente.


E invece no.


Il ragazzo, alla dichiarazione di Kagome, rispose con aria di sufficienza:


“Ah, no… si vabbè… però, mi spiace, ma tu non m’interessi manco un po’”


Ci era rimasta veramente di sasso.


Ok, d’accordo non era il suo tipo.


Ma lei era pur sempre un essere umano e si aspettava di essere trattata come tale! In fondo non le sembrava di pretendere molto! Non bisognava essere per forza Shokotan o chissà quale celebrità che mostrava ai quattro venti tette e culo per avere un po’ di occhi puntati addosso!


E poi… Hojo si mostrava sempre così gentile e carino con tutte le ragazze… anche con lei lo era stato. L’aveva vista in corridoio con un pacco assurdo di fotocopie in mano e si era offerto di portarle al posto suo


"Una ragazza non dovrebbe portare certi pesi tutta sola"


Le aveva detto in quel pomeriggio di metà aprile… Con il suo sorriso che… che… che l’ammaliò nel giro di tre secondi. E che nel giro di due settimane la fece innamorare perdutamente di lui. Amava il suo sorriso… il suo sguardo gentile… e poi, le sembrava un tipo così simpatico ed altruista… lo vedeva sempre ridere in compagnia dei suoi amici… aiutava chi aveva bisogno con i compiti… sembrava un ragazzo perfetto…


Ma le andò male.


Probabilmente era solo il classico ragazzo con la puzza sotto il naso o magari celava il suo vero “io” sotto una maschera. Non le importava, però, al momento sapere il motivo del suo comportamento. Voleva pensare a sé stessa e a risollevarsi il morale. Potevano chiamarla pure egoista, non le sarebbe importato proprio niente.


Ripensava ad Hojo mentre era seduta su una panchina con la sua squadra ad aspettare il suo turno per giocare. Né Kikyo né Sango erano in squadra con lei e, tra le sue compagne di squadra, non c’era nessuna con la quale voleva parlare un po’. L’unico argomento che aveva in mente e sul quale avrebbe anche speso ore e ore era “Hojo_è_un_verme”. E voleva parlarne soltanto con loro due…


Beh, non era l’unico argomento che aveva in mente…


Una fitta acuta alla schiena la distrasse per un momento dai suoi pensieri.


Ecco, appunto…


L’altro problema che aveva era di tipo fisico: erano ormai tre settimane che un tremendo mal di schiena non la lasciava in pace. Il dottore aveva ripetuto più volte che era una sciatica e che non c’era nulla di cui preoccuparsi. Tempo due settimane e sarebbe passato. Peccato, però, che di settimane ne erano passate già tre. Il dolore non diminuiva, anzi. Con i giorni, si fece più intenso: prima sentiva una fitta ogni tanto nella parte bassa della schiena, poi delle fitte sempre più forti alla gamba destra, poi a quella sinistra…


E da pochi giorni ormai sentiva fitte a tutte e due le gambe e alla parte bassa della schiena. Erano tre settimane che assumeva un farmaco derivante dalla morfina, su suggerimento del medico. L’aveva rassicurata che un po’ di morfina sarebbe stata sufficiente. E invece, niente. Anzi, ormai era totalmente assuefatta da quel farmaco e la morfina non le faceva più nulla: il suo fisico si era ampiamente abituato a quella sostanza…


Senza contare che i dolori erano più acuti quando stava ferma… e qual è il periodo della giornata in cui si sta fermi per più tempo?


Esatto…


La notte…


Ormai erano quindici giorni che non dormiva… prima si addormentava, si svegliava e si riaddormentava dopo due ore passate a camminare per la casa… ora nemmeno quello serviva più.


La notte ormai era fatta per leggere libri di vario genere per passare il tempo.


Ad esempio, aveva letto “Noi, I ragazzi dello zoo di Berlino” in due sere appena. E, nonostante quel libro le fosse piaciuto davvero tanto, la morfina le aveva fatto dimenticare completamente la trama, il susseguirsi degli eventi, i nomi dei personaggi… insomma tutto.


Stesso discorso con i libricini della Yoshimoto, che amava alla follia. Leggeva e poi dimenticava.


Le sembrava di non concludere assolutamente nulla.


Ma non le importava…


Almeno, passava il tempo…


Sempre allo stesso modo… con la flebile luce della lampada sul comodino accesa, un bicchiere d’acqua e gli antidolorifici – da cui ormai dipendeva – sempre a portata di mano, un libro aperto… ecco, le bastava quello. Si accoccolava sul letto in posizioni sempre diverse non appena la schiena o le gambe si ribellavano e chiedevano pietà, avvolta dalla penombra della sua stanza…


Ogni tanto, le sembrava di saltare pagine intere del libro di turno.


Poi scopriva che, in realtà, le aveva lette ma con la mente altrove…


Del resto… fare la stessa cosa tutte le sere per tre settimane… dopo un po’ ti stufa, è ovvio… ma è brutto quando non puoi fare altro…


Era l’unico modo che aveva per affrontare il dolore da sola… per affrontare la solitudine notturna.


Perché, per quanto famiglia e amici potessero starle vicini, lei era l’unica che doveva veramente combattere.


E resistere.


Non poteva dare troppa preoccupazione alle persone attorno a lei.


Ognuno ha la sua vita.


Anche io ce l’ho.


E non posso dipendere in eterno dagli altri.



Se lo ripeteva spesso… ogni volta che, nel cuore della notte, le balenava in testa l’idea di chiamare sua madre oppure Sango, o ancora Kikyo…


Perché privare anche loro del sonno…?


Non basto io, come nottambula?



Anche se non dormiva, puntava sempre la sveglia del suo cellulare per le sei.


Le sei segnavano la fine della solitudine notturna.


Suo nonno si alzava e iniziava a rassettare il giardino, il tempio e il negozietto ad esso associato.


Anche sua madre era mattiniera. E si recava sempre in camera di Kagome, per vedere se la figlia aveva chiuso occhio almeno per un’oretta.


Ma la scena era sempre quella…


Trovava la figlia distesa sul letto, intenta a leggere distrattamente l’ennesimo libro e, accanto a lei, trovava l’ennesima scatola di antidolorifici mezza vuota.


Dovrò andare ancora in farmacia…


Kagome era, ogni volta, così distratta e allo stesso tempo stanca che non si accorgeva mai di sua madre…


La donna rimaneva sulla soglia ad osservare la figlia rannicchiata e dolorante che, ancora una volta, aveva passato la notte da sola…


E l’unica cosa che riusciva a dire era:


“Su, Kagome-chan… è ora di alzarsi…”


E la figlia… la guardava con quegli occhi stanchi e cerchiati e le sorrideva flebile.


Poi si alzava e si rintanava in bagno, dove rimaneva almeno mezz’ora a truccarsi pesantemente per nascondere le profonde occhiaie che aveva. Indossava l’uniforme, si spazzolava i capelli e via… senza nemmeno mangiare. Non aveva mai fame. L’appetito era l’ultima cosa a cui pensava…


Era sempre stanca…


Molto stanca…


Inoltre era nervosa…


Nervosa…


Molto nervosa…


La mancanza di sonno la rendeva facilmente irritabile.


Almeno a scuola cercava di calmarsi: lì non era a casa sua, c’erano regole precise da rispettare. E non voleva essere spedita in presidenza perché aveva alzato la voce. Evitava come la peste le persone che le stavano sulle scatole, parlava il meno possibile persino con Sango e Kikyo…


Le invidio, cazzo…


Se una persona non le stava sulle scatole, la invidiava.


La vedeva con il suo bel visino rilassato e riposato.


E si incazzava.


Perché io non posso dormire e tu sì?!


Ma non poteva certo urlare a Kikyo e Sango che le invidiava, non poteva implorarle di smettere di dormire così come faceva lei e imbottirsi di farmaci fino all’assuefazione totale. Non poteva certo chiedere loro di rincoglionirsi con lei.


Nessuno poteva fare quello che faceva lei.


E nessuno l’avrebbe nemmeno voluto.


E si sentiva sola


Anche se era in mezzo alla gente…


Anche se non era rintanata in camera sua a leggere libri che avrebbe dimenticato…


Anche se non era in fase di solitudine notturna…


Si sentiva sola…


Era sola…


Nessuno poteva capire il dolore fisico e psicologico che provava. La gente poteva soltanto darle una pacca sulla spalla e dirle “Vedrai passerà” oppure fare promesse da marinaio come “chiamami anche nel cuore della notte… io risponderò!”


Come no…


Siete tutti un’orda di stronzi e pensate sempre e soltanto ai cazzi vostri! Vi limitate a dirmi che tutto passerà e intanto voi siete lì senza problemi in testa e io sono qui che affogo nella merda!



Da una parte, sapere di avere qualcuno accanto la rasserenava.


Ma, dall’altra, essere consolata da persone che non potevano capirla serviva soltanto ad aumentare la sua smisurata rabbia.


In giro si tratteneva ma a casa esplodeva.


Mandava al diavolo suo nonno e sua madre, ignorava categoricamente suo fratello Sota e si rifiutava di ascoltare i loro consigli.


Più volte sua madre aveva tentato di convincerla a tornare dal medico, ma lei rifiutava categoricamente…


“Tesoro, ormai le due settimane dette dal medico sono passate! Torniamo da lui, ti prego! Saprà cosa dirci! Io… io non ce la faccio più a vederti ridotta in questo stato!”


“Ah… è così…? Tu… tu vuoi tornare dal dottore… perché tu non sopporti più questa situazione………? …… ma chi sei? Chi cazzo sei tu per dirmi questo?! Chi cazzo sei, eh?! EH?!! CHI SEI?!?!?! Non sei tu che stai vivendo questa situazione, sono io!! E tu vuoi portarmi dal medico perché sei te che non ce la fai più?! Non è che lo fai per me! Lo fai per te! Sei una stronza!! Una stronza egoista del cazzo!! Ecco cosa sei, maledetta!!!!”


Quelle, ormai, erano le uniche parole che si rivolgevano.


Ti prego, andiamo dal dottore, non ce la faccio più… da una parte.


Stronza, non mi capisci, chi sei te… dall’altra.


Kagome sapeva di aver bisogno degli altri.


Ne aveva un disperato bisogno.


Però fino a quando avrebbe resistito non avrebbe chiesto l’aiuto di nessuno. Non le importava un fico secco se, per gli altri, lei era al capolinea… lei, semplicemente, non la vedeva così…


Posso resistere ancora…


Si ripeteva sempre


Posso ancora farcela…


Devo…


Devo…



Non appena si chiudeva nella sua stanza tornata da scuola, ingoiava una manciata di antidolorifici, scoppiava in un pianto liberatorio senza curarsi degli altri che potevano sentirla e si preoccupavano per lei, poi si ricomponeva, studiava, chiacchierava un poco con le sue amiche fino a quando non si innervosiva, cenava e poi si chiudeva nuovamente in camera sua, pronta ad affrontare l’ennesima notte da sola…


Sempre quella routine infernale... …


“Higurashi!”


Una sua compagna di classe la fece uscire dai suoi pensieri. “dai, su, tocca alla nostra squadra!”


Si alzò con non poca fatica per colpa del dolore che, quella mattina, si faceva sentire più del solito e raggiunse sul campo le sue compagne di squadra.


Si posizionò in seconda linea come stabilito in precedenza e attese il fischio d’inizio della professoressa.


Fiiiiii


Quel fischio la stordì.


E la cosa le parve strana.


Nessuna delle ragazze lì presenti era rimasta infastidita da quel rumore. Soltanto lei.


Possibile?


Era talmente assorta nei suoi pensieri che non si accorse che la palla, servita dalle avversarie, era diretta proprio verso di lei. Quando se ne accorse era troppo tardi: vide il pallone arrivarle davanti e cadere proprio ai suoi piedi.


Punto per le avversarie.


“Ehi, Higurashi! Che ti prende? Sta più attenta la prossima volta!” la incitò una sua compagna.


Sango da bordo campo e Kikyo nella squadra avversaria osservarono l’amica preoccupata.


Quel giorno era ancora più strana del solito.


Non aveva aperto bocca per tutta la mattinata se non per dire “buongiorno ragazze” appena arrivata.


Di solito si barcamenava al suo posto perché la schiena le faceva male e voleva a tutti i costi cambiare posizione. Quella mattina, invece, era rimasta ferma e immobile nella stessa posa: schiena eretta, testa abbassata e pugni chiusi.


All’inizio le due ragazze pensarono che, finalmente, il dolore le stava concedendo un po’ di tregua.


Ma capirono di sbagliarsi non appena videro i suoi occhi rossi e gonfi. Notarono addirittura una sottilissima striscia nera sotto il suo occhio destro: si era persino truccata male.


“Palla!”


La squadra di Kikyo servì e stavolta Kagome cercò di non distrarsi.


Il servizio, ancora una volta, era rivolto a lei.


Si fece trovare pronta e si gettò sulla palla.


“Presa! Brava Higurashi!”


Kagome era riusciva a recuperare la palla. La schiacciatrice, poi, riuscì a fare punto.


Ce l’ho fatta! L’ho presa!


Fece per rialzarsi…


Una fitta acutissima glielo impedì.


Riprovò ma non ci riuscì.


Si spaventò…


Non riusciva nemmeno a muoversi!


Era lì, stesa sul campo prona e il suo corpo non era più in grado di ricevere ed eseguire gli ordini dettati dalla testa.


Alzati!


Alzati!



Non ci riusciva…


Il suo corpo sentiva soltanto dolore.


Era come impazzito, tremava per la paura e non capiva più niente.


La sua vista iniziò ad offuscarsi, la sua testa a girare…


Sentiva delle voci lontane chiamarla disperatamente:


Kagome!! Ehi Kagome!! Cos’hai?


Kagome-chan! Kagome-chan! Riprenditi!! Alzati!!


Higurashi!! Higurashi!!


Kagome!!



Il buio.


Il silenzio.


E poi più nulla…





Si svegliò di colpo sudata e terrorizzata.


Ancora.


Aveva ancora sognato di quel periodo…


Prese in mano il cellulare e osservò di nuovo l’ora.


1.30


Beh, aveva dormito un po’… almeno questo.


Si alzò dal letto e aprì la finestra per cambiare un po’ aria.


L’aria fredda di novembre sul viso l’aiutò a rilassarsi.


Richiuse la finestra velocemente cinque minuti dopo e si mise a sedere sul letto.


Ogni volta che doveva andare in ospedale aveva quel sogno.


E’ normale… hai paura di tornare indietro e rivivere il dolore


Le aveva detto il suo psicologo quando le confessò di sognare sempre la stessa cosa.


Il passato è passato, è vero.


Non passava più notti insonni, è vero.


Però il dolore c’era ancora.


Era un dolore diverso.


E forse addirittura peggiore.


Aprì il cassettino del comodino e tirò fuori un pacchetto rettangolare bianco e oro.


Contò quante ne erano rimaste al suo interno.


Solo due, cazzo…


Lo ripose con cura nel cassetto e poi tirò fuori la sua vera ancora di salvezza…


Era perfettamente pulita.


La scrutò un po’ come per accertarsi che fosse ancora lì.


Poi ripose anche quella e chiuse il cassetto.


Si rifugiò sotto le coperte.


Chiodo scaccia chiodo…


Si era detta quando iniziò.


Ma questo non lo aveva mai detto a nessuno.


Non voleva condividere con altri la sua salvezza…


Nota dell'autrice: le mie mani tremano ancora, come quando ero in fase di stesura del capitolo. E' arrivato in fretta questo capitolo: a dire il vero, non vedevo l'ora di scrivere questo pezzo. Un pò perchè è molto importante per la storia in sè e un pò perchè, ancora oggi, è per me doloroso ricordare quella fase della mia vita e volevo scrivere tutto quanto e "liberarmene" il prima possibile. Mettere nero su bianco è stato difficilissimo, volevo scrivere qualcosa di più ma poi non ce l'ho fatta. Beh, poi ho subito trovato un'idea per sistemare il seguito del sogno, quindi tutto a posto ^_^ Spero vi sia piaciuto anche questo, se lo trovate un pò confuso... pardon! Ah... e perdonate il linguaggio scurrile di Kagome! ^^" A dirla tutta in quel periodo io ero addirittura peggio! Mi sono molto limitata! XD

L'autrice risponde ai commenti:
ryanforever: ti ringrazio per il commento! :) Effettivamente sì, è molto difficile per me scrivere cose del genere... però, vabbè, ho scelto io di scrivere! ^^" Ah, sul ragazzo... hai fatto centro! :)
KaDe: Wow, ho fatto centro su qualcuno che non ama le Inuyasha x Kagome! ^^ Ne sono proprio contenta! Spero continuerai a seguirmi! Ah: dal tuo profilo ho trovato il messaggio no-profit :) Se non ti spiace, l'ho inserito anche nel mio! ^^
roro: sono proprio contenta che la storia ti stia piacendo! Davanti al tuo commento (come per tutti gli altri) mi sono sciolta! ^^ Leggere recensioni positive su una storia tanto importante per me significa davvero molto! Grazie!
Vorrei ringraziare anche Djibril83, Inu_Kagghy, Kagome_chan89, Aurora, Lou Asakura che hanno commentato il primo capitolo l'anno scorso! ^^ Volevo ringraziarvi nel capitolo precedente ma mi sono dimenticata! Chiedo venia!

Beh, al prossimo capitolo! ^_^
  
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