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Autore: Gabri_1266    15/08/2014    2 recensioni
«Sei in pericolo» le disse Cèline.
«No, se sono con te, se sono con la mia famiglia non lo sono.»
«Sei la Elements Eva, la prima Elements»
«Cosa…?»
«Ci sono certe persone che ucciderebbero per averti»
«Tipo chi?»
«Tipo me.»
Sanno usare le quattro magie, Sanno usare i quattro elementi. I più vulnerabili, i più ricercati, i più potenti. Gli Elements.
Genere: Avventura, Azione, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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1° Capitolo

LEI




 
"Quando ancora il Sole sorgeva da ovest il mondo della magia era percosso da guerra, malattia, fame.
I Tre Divini decisero così di convocare tutti i Puri e decidere cosa era meglio per lo stesso mondo magico. Tutti decisero di sacrificarsi per il bene della magia, in modo che i Tre Divini potessero ricreare la stirpe pura.
L’unico intralcio era il Dio Malio. Esso voleva il potere, il controllo e la supremazia sulla magia e sugli stessi Tre Divini. Allora il mondo ricadde nella guerra: Oscuri contro Lucenti.
Dopo mille anni la Divina Fenhora radunò a se i suoi quattro benedetti: Selena maga dell’aria, Hosel mago del fuoco, Denora maga dell’acqua e Guivorn mago della Terra.
Essi diventarono Elements e le ora loro note imprese salvarono Overon e le quattro terre.
La Divina Fenhora ora è la Salvatrice e fu lei a mandarci la salvezza attraverso gli Elements."

 Frammento da “Fenhora la Divina” , Biblioteca di Peren, Valli dell’Aria.

 
 
La città a quell’ora del mattino era gremita di gente. I passi riecheggiavano dappertutto sul lastricato delle strade e ai lati di esse gli artigiani non smettevano di gridare l' “alta qualità” della loro merce.

Eva scattava foto come se fosse impazzita. Lei amava acculturarsi su tutto e su tutti nonostante fosse una ragazza alquanto riservata e che amava farsi gli affari suoi.
La giornata che le si presentava di fronte era magnifica.

Il sole nuotava sereno fra le nuvole e risplendeva come se volesse far vedere a tutti i suoi raggi, il profumo del mare della Costa Azzurra apriva le narici ad Eva e la faceva sorridere.

Gli schiamazzi dei bambini si mescolavano al rumore della fontana di pietra che si innalzava nella piazza cittadina.

Eva si trovava proprio nella piazza dove si apriva un’ampia terrazza sulla spiaggia.

La ragazza si avvicinò e scattò una fotografia.

Dove la piccola pineta si apriva, si intravedeva il chiaro giallore della sabbia e gli ombrelloni multicolori aggiungevano alla giornata un tono ancora più allegro.

La sabbia, sul bagnasciuga, accoglieva il mare nelle sue calde braccia, mentre la gente passeggiava tranquilla in preda al relax e al caldo, che in quella giornata d’estate, regnava incessante.

Il cielo e il mare erano difficili da distinguere.

Infatti la enorme distesa d’acqua sembrava un quadro: era prevalentemente di un ciano molto chiaro ma qua e là si aprivano grosse macchie di tutte le tonalità di blu e azzurro.
Eva notò con la coda dell’occhio cinque signore che giocavano a carte sedute sulla sabbia bollente: rabbrividì.

Ormai, era ora di mangiare ed Eva tirò fuori un sandwich, avvolto nella carta d’alluminio, dalla borsa e cominciò a mangiarlo lentamente e goffamente mentre, sedendosi per terra poggiando la schiena sulla balconata, riguardava le foto di tutta la mattinata passata.

Erano circa 213 da quanto le diceva la sua vecchia e affidabile Nixon e tutte avevano un che di innaturale, quasi artistico.

Quando si alzò, qualcosa le venne addosso.

Era un bambino molto buffo con occhi grandi e capelli a caschetto.

«Mi scusi...» disse la madre arrivata col fiatone in fretta e furia «Era così bella quella maglietta»

«Non si preoccupi» rispose Eva con un gran sorriso.

La ragazza si alzò e, mentre proseguiva passeggiando, passò davanti ad una vetrina e si guardò nel riflesso.

I lunghi capelli castano chiaro si stagliavano in lievi ed impercettibili boccoli sulla grande canottiera bianca dove erano stampate due labbra rosso scarlatto. A livello dei fianchi, sempre sulla maglietta, c’era una grande chiazza rosa di gelato alla fragola che le aveva gettato il buffo bambino di prima. I collant neri risaltavano le sue snelle forme e finivano sulle converse bianche. Quel giorno Eva portava un capello alla stile “Cow-Boy” e degli occhiali da sole che le coprivano i suoi occhi color ghiaccio. I suoi zigomi dolci erano coperti con la massa di capelli che ricadeva sul seno. Aveva un naso dritto e due labbra leggermente carnose.

Sulla vetrina era scritto in grande “Boutique de le Perles de la Madame Freche”.

Eva era alquanto incuriosita. Davanti a lei c’erano decine di collier di perle adagiati su piedistalli di velluto blu.

Senza pensarci due volte, Eva entrò per la piccola porta di vetro e un campanello suonò.

Due signore si girarono.

Il negozio profumava di rose, pulito e aroma da signora.

Quando le due donne si girarono, Eva notò che una era dietro ad un bancone di marmo bianco mentre l’altra stava acquistando una collana formata da circa otto giri di perline minuscole.

«Posso aiutarla, Madame?» chiese la signora dietro il bancone con uno spiccato accento francese.

Da quel che riusciva a vedere, la ragazza, notò che portava un anello con un diamante e una lungo collier di perle giganti. I capelli di quella che secondo lei sarebbe stata Madame Freche erano biondi e raccolti in un basso chignon mentre la camicetta rosa pesca faceva risaltare i suoi fianchi formosi.

«Mi sa, Charlotte, che la signorina abbia avuto un po’ di curiosità» ora a parlare era stata la compratrice. Aveva un lievissimo accento inglese e portava un girocollo di diamanti. Due signore dell’alta borghesia, pensò subito Eva.

La signora inglese aveva i capelli grigi raccolti a nido d’ape e portava una giacca blu dai polsini color avorio e dai bottoni dorati. Aveva una gonna bianca che finiva poco sotto le ginocchia da dove spuntavano le calze nere. Le scarpe col tacco facevano risuonare il parquet del pavimento ad ogni suo movimento.

«Scusate» disse goffamente Eva «Ha ragione Miss…?»

«Chiamami Miss Ellis» rispose la cliente. Eva era abbastanza intelligente da capire che le signore francesi si chiamavano “madame” mentre quelle inglesi “miss”.

«Certo... Miss Ellis. Scusate me ne vado subito» rispose a disagio Eva. Poi la ragazza fece per uscire ma…

«Aspetta!» era Miss Ellis «Mettiti questo: è un portafortuna». Miss Ellis le offrì un braccialetto di semplici perle color ghiaccio come gli occhi di Eva.

«Gr-grazie, ma non doveva» disse imbarazzata.

«Suvvia è un semplice regalo. Ora vai, su!»
***

Eva era uscita dal negozio contenta, osservando il braccialetto. Ora il sole risplendeva ancora di più ed Eva era felice e soddisfatta.

Tirò fuori il cellulare che aveva appena emesso un biiip e lesse il messaggio: “Torna in hotel tesoro”. Era di sua madre ed Eva non se lo fece ripetere due volte.

Era un po’ stizzita, non voleva farsi sempre dire quello che doveva o non doveva fare.

Cominciò a riprendere la strada per l'albergo, ma in mezzo a tutta la gente che c’era in città si perse subito.

Tirò fuori il depliant dell’hotel e, come una turista curiosa, cominciò a leggere tutti i nomi delle stradine di quella cittadina di porto.

L’hotel Chantal, dove alloggiava lei, si trovava affacciato al mare.

Cominciò a leggere tutte le indicazioni e, con quel poco di francese che sapeva, cercò di cavarsela ma cominciava ad avere una crisi di nervi.

«Scusi» la interruppe una voce.

Lei si girò.

Era una donna che era vestita alla mo’ di detective. Portava un basco beige e un impermeabile dello stesso colore del capello. Dal basco usciva qualche ciocca corvina e la donna portava dei lunghi stivali di vernice nera che spuntavano da sotto l’impermeabile.

Fa un caldo pensò Eva E questa ha impermeabile e stivali di vernice.

«Ho visto che ha un depliant dell’hotel Chantal» disse la donna con voce elegante e strascicata, ma un po’ fredda.

Eva la guardò. Non si fidava. Aveva uno strano sospetto, qualche presentimento che le diceva di stare attenta.

«Sì» disse con un evidente tono sospettoso la ragazza.

«Mi saprebbe dire dove posso trovarlo?» chiese la donna.

«Allora…» la ragazza guardò la cartina «Deve salire per quel pendio» a quel punto Eva indicò una salita che si apriva a circa duecento metri da loro «Ed è il terzo hotel, le posso dire che ha i muri color nocciola.»

«Grazie » disse grata la donna. Poi scomparve nel nulla.
***
 
Tornando all’hotel Chantal Eva ascoltava il “Concerto in re minore per due violini di Bach”. Era una delle poche ragazze della sua età che amava la musica classica invece dei rapper o delle rockstar. Era una ragazza estroversa, che amava il suo modo di vedere e il suo mondo dei sogni e per questo si distraeva subito appena cominciava a vagare nel suo mondo delle nuvole. A volte persino suo padre si meravigliava di quanto goffa e distratta potesse essere.
 
Quell’anno erano andati in vacanza perché Eva amava la Francia e sua madre aveva usato i risparmi di tre anni proprio per accontentare la sua “piccola”.
 
Lei si ricordò quando gli avevano dato la notizia. Era al settimo cielo e per poco non rompeva le molle del letto di camera sua a forza di saltare. A sua madre era riuscita a dire solo un debole “grazie” fra le lacrime di gioia.
 
L’hotel era carino e molto grazioso. Aveva un’entrata colma di piante di ogni colore possibile, e, anche se non sembrava molto famoso nemmeno in quella cittadina, le sembrava caloroso e familiare. Era uno de quegli alberghi che vogliono imitare il lusso più sfrenato, ma con evidente sfortuna, anche se a Eva piaceva molto.
 
I suoi genitori: Delia e Richard Altec erano rientrati verso le due e mezzo del pomeriggio mentre ora erano le tre passate. Appena le avevano detto che erano stanchi e che si dovevano riposare, Eva aveva sbuffato; non ne poteva più di stare sola.
 
Eva prese l’ascensore e premette il pulsante del 1° piano.
 
L’ascensore era piccolissimo, con pannelli di legno a cui erano attaccate numerose cartoline di tutti i posti più famosi di Francia: La Tour Eiffel, la Corsica, Monte Saint Michelle, la Normandia.
 
Quando le porte dell’ascensore si aprirono, la camera 34/B era lì di fronte con la porta bianca socchiusa. Nel momento in cui aprì la porta Eva assistette ad una scena alquanto buffa che però la fece arrabbiare.
 
Sua madre portava una vestaglia verde smeraldo con ricamata sopra una fantasia a fiori gialli, mentre in testa portava un turbante formato da un asciugamano rosa shocking (tipici dell’hotel); dal turbante usciva qualche ciocca color biondo scuro, mentre suo padre Richard era sdraiato sul letto, portava solo le mutande e guardava la televisione.
 
«Eccomi» disse con tono di stizza la ragazza.
 
A quel punto i suoi genitori la fissarono.
 
Eva era furiosa. Le avevano detto che erano stanchi, ma erano lì tranquilli a guardare stupidi telefilm francesi.
 
La solita presa in giro pensò la ragazza
 
«Scusaci» disse sua madre avvicinandosi per darle un bacio in fronte. Eva si scostò.
 
«Alla faccia della stanchezza» disse Eva prima di allontanarsi verso la porta del bagno.
 
Il bagno della loro camera era alquanto minuscolo: rettangolare con un intero lato occupato dalla doccia-vasca da bagno.
 
Si spogliò davanti allo specchio e si accorse che le lacrime stavano scendendo velocemente sulle sue guance.
 
Stupida si disse Sei solo una stupida! Piangi per ogni cavolata.
 
Ma si sentiva stupidamente tradita dai suoi stessi genitori. Manco fosse l'ultimo giorno nel quale poteva star con loro!
 
La ragazza scrollo le spalle sotto la luce al neon del bagno ed entrò nella doccia.
 
L’acqua era calda e Eva chiuse gli occhi.
 
Le serviva quel momento per sé, per pensare, come solo lei amava fare.
 
Mentre l’acqua scendeva la ragazza si mise seduta sulla porcellana del pavimento della doccia, come per rannicchiarsi e nascondersi dal mondo che le era sconosciuto.
 
Eva era così: paurosa, goffa, secchiona e anche un po’ lagnosa (almeno così si definiva lei).
 
Il vapore si alzava in volute lente e pigre dalla doccia mentre la ragazza canticchiava il concerto che stava ascoltando poco fa. Erano note arzille e veloci, che si incastravano tra loro come un puzzle.
 
Mentre si metteva il bagnoschiuma alla vaniglia e al cocco. la ragazza sentì delle voci provenire dalla camera da letto, ma, in quel momento di relax e beatitudine, non ci badò.
 
Non voleva altre preoccupazioni. Voleva rilassarsi e non pensare a nulla.
 
Quando uscì dalla doccia, Eva aveva i capelli un po’ umidi a causa del vapore e il profumo del cocco le invadeva le narici.
 
Saresti anche bella si disse fra sé e sé o solo stupida. Ci sono altre ragazze decine di volte più belle di te. Tu sei secchiona e anche goffa. Ma chi ti vuole?
 
Non era stata lei a parlare, ma una vocina che le era impressa nella mente dal giorno in cui era nata a cui la ragazza dava sempre ascolto.
 
Si vestì con le cose che si era preparata prima di entrare in doccia: una canottiera di chiffon gialla, una giacca di pelle nera con le borchie che lei amava tanto, dei jeans scuri attillati e le sue converse nere.
 
Almeno così sembrò una sedicenne qualunque  pensò.
 
Eva stava uscendo dal bagno quando vide una donna che parlava con i suoi genitori.
 
Improvvisamente si bloccò: aveva uno strano presentimento, come una minaccia incombente in agguato. Solitamente non era una che si faceva i fatti altrui ─ anzi non se li faceva mai ─ ma non riuscì proprio a trattenersi, così la ragazza richiuse la porta silenziosamente e osservò la scena.
 
Era lei! La donna con cui aveva parlato prima. Un piccolo e fastidioso senso di rammarico le si affondava nel cuore come una spina velenosa.
 
Prima non aveva fatto tanto attenzione ai connotati della volto, tant'è che nel giro di pochi attimi si era già dimenticata il colore dei capelli. Però, adesso che la guardava da un angolo della stanza, doveva ammettere che era proprio una bella donna: alta, coi capelli di un nero irreale, li portava sciolti ed essi erano dritti come se avesse appena fatto la piastra. I suoi occhi, che prima erano coperti dagli occhiali, erano ─ e questo spaventò molto la ragazza ─ bianchi come il latte, gli zigomi come se fossero stati scolpiti nella dura pietra e il vestito che portava era bizzarro. Era fatto di stracci, tutti con diverse tonalità di nero; arrivava fino al pavimento e sulle spalle portava uno scialle di seta oscuro.
 
Nonostante fosse di una beltà quasi sovrannaturale, Eva aveva paura: c’era una strana aura che circondava quella donna. Una bellezza pulita, ma incredibilmente inquietante. Un pericolo.
 
Al fianco della donna, c’erano due uomini in smoking e dalla loro schiena uscivano due ali con le piume color carbone. Eva, quando se ne accorse, per poco non gridò e si dovette premere le mani sulla bocca per non far uscire alcun suono.
 
Erano orribili, come mostri.
 
Uno non aveva le iridi e il suo volto era attraversato da una grande cicatrice. I capelli erano brizzolati e si scurivano verso la radice.
 
Eva distolse lo sguardo e lo volse sull'altro.
 
L’altro uomo (se si poteva definire tale) era grasso e grosso come un armadio, aveva due tremendi occhi rossi e dai capelli candidi come neve uscivano alcune ciocche cremisi. come sangue fresco colato su un bianco manto innevato.
La ragazza era sconvolta. No, aspetta... si disse per tranquilizzarsi Questo è di sicuro un sogno. Un terribile sogno, ma che presto finirà...
 
Così stette ferma e immobile ad aspettare che quell'orribile incubo passasse. Ma sapeva, in un angolino nascosto del suo cervello, che non era affatto così.
 
La donna fece un passo leggero e felino verso sua madre, con aria minacciosa. «La Element, Altec» disse fredda. La donna aveva quella voce strascicata, elegante e affascinante uguale a quella che aveva avuto anche con lei.
 
«Scordatelo, Jeva» sibilò sua madre fissando torva gli occhi della donna.
 
Frena, frena, frena!
 
Che cosa era una Element?
 
La ragazza era spaventata, terribilmente spaventata. Che cosa volevano quelle persone? E perché erano simili a mostri?
 
Eva cercò di ripetersi che era solo un bruttissimo incubo. Ma più andava avanti in quel sogno, più le sembrava tutto maledettamente reale...
 
Jeva aggrottò le sopracciglia e fece qualcosa di totalmente inaspettato: con due movimenti della mano, fece crollare il pavimento sotto i piedi dei genitori della ragazza e quest’ultimi caddero nel vuoto.
 
Eva guardò la scena a metà tra lo sconvolto e il terrorizzato.
 
Jeva, insieme ai suoi due scagnozzi (si poteva definirli così?), si tuffò dentro al buco per raggiungere Delia e Richard Altec.
 
E solo in quel momento, sogno o meno che fosse, Eva si permise di andare seriamente nel panico.





NOTE: 
Ringrazio Francesca e Sara che mi hanno aiutato moltissimo nella storia e nel suo stile; senza di loro non ci sarebbe nessun "Elements". Ringrazio anche i fan che hanno saputo dirmi con franchezza cosa non andava nel mio stile quando ho pubblicato la precedente storia. Grazie !
   
 
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