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Autore: nanettaportasfiga    16/08/2014    1 recensioni
La risposta era lì con lei, stretta tra le sue mani, ma aveva troppa paura per decidere di conoscerla.
Ignorarla.
Aspettare che le venisse sbattuta in faccia la verità.
Fingere, con una buona dose di faccia tosta, di non aver avuto nemmeno il dubbio.
Restare sospesa: responso negativo, responso positivo. Il mantenimento di ogni equilibrio prestabilito o il suo completo disfacimento.

[Partecipa al contest "§°Un fiore per ogni personaggio°§", indetto da Scarlett.Brooks sul forum di EFP]
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
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NOME SU EFP E FORUM: nanettaportasfiga
TITOLO: Lo squarcio di un lampo
RATING: Giallo
GENERE: Drammatico, Introspettivo, Malinconico
AVVERTIMENTI: Incompleta
NOTE DELL'AUTORE (FACOLTATIVA):
[Partecipa al contest "§°Un fiore per ogni personaggio°§", indetto da Scarlett.Brooks sul forum di EFP]
Avrei voluto curare maggiormente questo lavoro, ma vacanze ed impegni vari me l’hanno impedito;
in ogni caso tenevo molto a consegnarlo, dunque ho deciso di pubblicarlo anche se non ne sono pienamente soddisfatta,
specie per quanto riguarda la fine del racconto. 

 
 
Lo squarcio di un lampo
 
Corse verso il bar più vicino finché l’aria nei polmoni, insopportabilmente gelida, non la costrinse a rallentare.  Stringeva a sé la borsa; controllava con le dita, sotto la tela leggera, che la busta fosse ancora presente.
Un pensiero era esploso nella sua mente tutto ad un tratto; come se fosse stata scaraventata in una foresta buia durante un temporale, con il solo bagliore dei lampi a squarciare il cielo e delineare i contorni degli alberi e delle foglie, delle piccole bacche rosse appena maturate nel sottobosco, facendo apparire il tutto ancor più terrificante.
Avrebbe voluto chiudere gli occhi, fingere di non aver visto il paesaggio minaccioso che la circondava, i rami spinosi che sembravano volerla soffocare, ma l’istinto di sopravvivenza aveva avuto la meglio ed aveva iniziato a correre.
Da quel momento in poi  aveva faticato a fermarsi dove doveva. 
Si era osservata frettolosamente nella vetrina lucida di una farmacia: i capelli secchi e bianchi, i vestiti extralarge grigi, che non le donavano affatto, e tutte quelle borchie con cui addobbava i suoi abiti, il collo e i polsi… Un’adolescente.
Non riusciva a vedersi in altro modo, nemmeno dopo il suo ventiseiesimo compleanno, quando i suoi avevano pensato bene di lasciarle casa e affibbiarle qualche responsabilità. Cercava di vedersi più adulta, si tingeva le labbra di rosso, ma con tutto quel colore sul viso pallido le sembrava solamente di essere un vampiro o un qualche attore circense, di certo non matura.
In preda alle palpitazioni ingollò un paio di quelle perle all’aglio e biancospino che usava per la sua leggera insufficienza cardiaca, certa che questa volta non sarebbero bastate, poi ricominciò a correre.
I bar le sfrecciavano accanto uno dietro l’altro mentre si faceva largo tra i passanti, in fuga, senza sapere con certezza se ci fosse qualcosa da cui fuggire.
La risposta era lì con lei, stretta tra le sue mani, ma aveva troppa paura per decidere di conoscerla.
 
Ignorarla.
Aspettare che le venisse sbattuta in faccia la verità.
Fingere, con una buona dose di faccia tosta, di non aver avuto nemmeno il dubbio.
Restare sospesa: responso negativo, responso positivo. Il mantenimento di ogni equilibrio prestabilito o il suo completo disfacimento.
 
Antea aveva una fottuta paura che la risposta alla domanda da cui stava fuggendo, che l’inseguiva come un cane rabbioso, fosse “sì”.
Allora i rami avrebbero bloccato la sua corsa, stretto la presa sul suo cuore; niente più scuse a cui aggrapparsi, se non spine larghe quanto il suo pollice, appositamente ideate per infierire sulla sua pelle, per graffiarla e strapparle di dosso quello strato di colpe sudice che la insozzavano.
Sentiva il cuore battere contro lo sterno con irregolarità, provato.  Forse fu questo a spingerla a fermarsi, appoggiare una mano al muro freddo e riprendere fiato.
Sapeva che non avrebbe dovuto sforzarlo fino a quel punto.
Gli occhi le bruciavano, un po’ per la fatica di tenerli aperti contro il vento gelido, un po’ per le lacrime che si rifiutava di lasciar scorrere, ma con difficoltà riuscì a mettere a fuoco ciò che aveva davanti.
"Kràtos", recitava l'insegna del pub; pensò che fosse un bello scherzo del destino, o di qualcuno che, lassù, si divertiva a suo scapito.
Che stronzo.
Spinse con una spalla la porta del bar, premurandosi di non farsi notare, e fu sollevata nel vedere che i clienti non mancavano e tenevano impegnati i camerieri, frettolosi e poco numerosi.
Camminò a testa bassa lungo la sala, fingendosi in cerca di riparo dal freddo, poi scese le scale alla sua destra con una crescente sensazione di disagio nello stomaco.
I rami iniziavano già a punzecchiarle la pelle, a stuzzicarle fastidiosamente la coscienza e obbligarla a ricordare.

 
Le mani strette attorno a qualcosa di freddo, i capelli a solleticarle il collo, le spalle, la schiena nuda.
Occhi socchiusi, pensieri liquidi lungo la gola, fino allo stomaco, fino all’indigestione.
E le luci intermittenti sotto le palpebre, un sorriso rilassato sul volto.
 
Le piastrelle verdi alle pareti le rimandavano la propria immagine distorta, ma era sicura di non apparire poi molto diversa dalla protagonista di un qualsiasi film drammatico che mandavano in onda la Domenica sera.

 
Il calore di un altro corpo, il tessuto ruvido dei jeans contro le gambe,
un paio di mani sulla sua pancia, sui suoi fianchi.
Occhi aperti, una chioma bionda e lineamenti confusi dall’alcool.
Il buio e la sensazione di avere il mondo ai propri piedi.
Un bicchiere di troppo.  
 
 Spalancò la porta a lei più vicina senza bussare, poi la richiuse dietro di sé; allontanò per la prima volta le mani dalla borsa per gettarla a terra e si inginocchiò al suo fianco.
La busta era ancora là, in bella vista, con quel ridicolo disegnino verde stampato sopra. Verde speranza.
Si ritrovò a sorridere, nonostante la nausea e le gambe tremanti, per l’ironia di tutta quella situazione. Perché Antea nella speranza non aveva mai creduto troppo: era l’ultima a morire, ma gli uomini sarebbero sempre stati i primi, diceva.
Eppure in quel momento le sarebbe piaciuto sperare: ascoltare i latrati del cane allontanarsi, osservare i rami attorcigliarsi su loro stessi e le spine smussarsi, convincersi che sarebbe tornata alla sua vita. Nulla di eccezionale in realtà, ma si sarebbe accontentata.
Le sarebbe piaciuto tornare a quell’equilibrio: alla tregua che era riuscita a raggiungere con i suoi genitori, che avevano sempre preteso troppo da lei, alla gestione del suo saltuario lavoro, con il quale doveva procurarsi da vivere, ed alle infinite cose che dopo anni avevano nuovamente trovato posto nella sua vita.
Quasi sperava che ogni tessera del puzzle rimanesse al suo posto.
Seduta scompostamente sul water osservò le istruzioni che aveva lasciato cadere sulle mattonelle, in attesa. In realtà non aveva avuto bisogno di leggerle; conosceva già il procedimento, ma le era servito ad ingannare il tempo.
Ora, invece, non aveva più scuse per ritardare.
 
Al primo sguardo, un senso d’oppressione.
Due lineette verticali e parallele.
Incinta.
Un  tassello di troppo da aggiungere al puzzle della sua vita, uno per cui non c’era posto, da nessuna parte.
 
Al secondo difficoltà a respirare; un dolore acuto, lancinante, al braccio sinistro. Il cane l’aveva raggiunta e l’azzannava, affondava i denti e le unghie nel petto, fratturava le scapole, dilaniava la gola e le labbra.
La rallentava e i rami infierivano, impietosi.
Si gettò sulla borsa alla ricerca delle pillole, senza fiato e con le mani tremanti.
 Stress emotivo.
Dilatazione del tempo, annullamento nel dolore.

 
Il senso di oppressione non tardò ad arrivare; si allungò verso la porta, cercando di raggiungere la maniglia lucida per aprirla. Troppo lontana da lei. Per quanto si allungasse i muscoli sembravano non volerle rispondere, ed il dolore era troppo intenso
Non resse; si piegò su se stessa, riversando l’intero contenuto dello stomaco sulle piastrelle candide del pavimento. Boccheggiò, ed un’altra fitta la colpì inaspettatamente, mentre sfilava un blister di pasticche dalla confezione.
E lo squarcio all’altezza del cuore, quella volta, fu ben più reale di quello di un lampo.

 
 
 
  ***
Note d’autrice:
Ho cercato di dare più risalto possibile al fiore assegnatomi, lasciando qua e là dettagli che rimandassero alla pianta.
In primo luogo ho fatto riferimento ai colori del biancospino, che ricorrono in tutto il racconto (il bianco dei fiori, il grigio dei rami, il rosso delle bacche ed il verde delle foglie), poi al fatto che sia una pianta dotata di spine ed alle sue proprietà mediche.
Mi sono informata piuttosto accuratamente, ed ho scoperto che il biancospino viene usato in medicina per le sue proprietà rilassanti e come cura alternativa per malattie cardiovascolari (angina pectoris, leggere insufficienze cardiache etc…): regola la frequenza cardiaca, migliora la circolazione coronarica e la nutrizione del muscolo cardiaco. È un ipotensore, un cardiotonico, un antispasmodico, calma le palpitazioni, diminuisce lo stress, facilita il sonno e viene utilizzato anche per ridurre l’emotività.
Per la simbologia ho fatto riferimento a tradizioni risalenti ai Greci e ai Romani: anticamente infatti era un fiore che simboleggiava speranza e fertilità. Gli Ellenici lo usavano per decorare gli altari durante le cerimonie nuziali e i Romani, invece, dedicavano la pianta del biancospino sia alla dea Flora che regnava sulla primavera, sia alla dea Maia che era la dea del mese di maggio e imponeva la castità. Per questo motivo non venivano celebrate le nozze durante quel mese e, se proprio fosse stato necessario farle, venivano accese cinque torce di Biancospino in onore della dea, per placare la sua ira.
Il suo nome botanico -Crataegus Oxyacantha- deriva dal greco "kràtos", che significa forza,  "oxùs ", aguzzo, ed "anthos",  fiore, ed ha dato il nome sia alla protagonista, Antea, sia al bar in cui lei entra.
 
Il finale è volutamente poco chiaro, come piace a me, per questo darò una breve spiegazione qui, che riguarda fatti prettamente tecnici e non chiarirà tutti i dettagli. Diciamo che, come mio solito, lo lascio un po’ a libera interpretazione.
Un’insufficienza cardiaca può portare ad attacchi di angina pectoris, aggravata in caso di stress sia fisico che emotivo, che consistono in dolori molto intensi dalla durata variabile. Essi partono dal braccio sinistro per poi continuare con scapole, mandibola, bocca dello stomaco e collo, accompagnati da senso di oppressione e soffocamento, difficoltà a respirare, indigestione, nausee ed irrigidimento dei muscoli.
Allo stesso tempo, però, un attacco di angina pectoris può essere confuso con un infarto, essendo solamente tre le differenze, e facilmente confondibili. Difatti durante un infarto il dolore è più acuto, di solito dura più di cinque minuti, e non è alleviabile con riposo e medicinali.


Grazie per essere arrivati fin quaggiù, spero vi sia piaciuta (:
Nan
  
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