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Autore: Simonne Lightwood    16/08/2014    4 recensioni
PRESUNTA PRIMA PARTE DI COHF, incentrata sul ritorno dei Malec. Una riappacificazione che però avverrà nel più inatteso dei modi.
Un pericolo incombe sui figli di Lilith, minacciando la vita di Magnus. E se neanche i suoi poteri gli fossero d'aiuto questa volta? E se Alec , il suo ormai ex fidanzato, fosse l'unico in grado di salvarlo dalla crudeltà di Sebastian?
Genere: Azione, Fantasy, Fluff | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Alec Lightwood, Magnus Bane, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Le persiane erano state abbassate, la porta chiusa a chiave e le luci spente. Il soggiorno del piccolo appartamento nel cuore di Manhattan era illuminato solo da una lanterna arruginita, che emanava quella poca luce che bastava alla donna per vedere ciò che stava facendo.  
La Strega non voleva correre rischi. Doveva agire con cautela. Si trattava di un'operazione estremamente pericolosa.
Non poteva assolutamente permettere che qualche mondano si insospettisse, vedendo lo strano bagliore che presto avrebbe riempito il soggiorno. Qualcuno avrebbe sperperato in giro ciò che aveva visto, la voce si sarebbe diffusa in fretta e lei sarebbe finita nelle grane. E l'ultima cosa che voleva era dover dare spiegazioni alla polizia mondana. Il Conclave e le sue infinite accuse verso i figli di Lilith erano più che sufficienti. 
Si alzò in piedi, lasciando che il bastone di biancospino, con il quale aveva attentamente tracciato le rune sul pavimento di marmo, la sorreggesse. Era talmente stanca che non riusciva nemmeno a stare in piedi senza un supporto. Aveva le gambe e la schiena indolenzite a forza di stare piegata in quella scomoda posizione per ore. Asciugando il sudore che le imperlava la fronte con il dorso della mano, abbassò lo sguardo sul suo lavoro. Il pentacolo di evocazione era stato disegnato e le rune demoniache erano state tracciate nei punti necessari. 
Protese la mano libera verso il libro aperto che giaceva sulla sedia lì accanto ed esaminò con attenzione l'immagine stampata sulla pagina ingiallita. Poi spostò nuovamente lo sguardo sul suo lavoro e si lasciò sfuggire un piccolo sorriso. Il pentacolo e le rune che aveva passato il pomeriggio a disegnare erano la copia sputata dell'illustrazione nel libro sull'evocazione di demoni. 
Per molti stregoni, evocare un demone era una cosa semplice, quasi un gioco da ragazzi. Molti di loro vivevano grazie ai soldi che guadagnavano evocando demoni su richiesta di Shadowhunters o di mondani tanto intrepidi quanto stupidi. Ma ciò che distingueva Catarina Loss dalla maggior parte dei figli di Lilith, compreso il suo caro amico Magnus, era il fatto che lei non amava usare la magia per arricchirsi. Già da giovane, la Strega aveva preso la difficile -e, ammettiamolo, assurda - decisione di allontanarsi dal mondo Invisibile, per vivere come una semplice mondana. Catarina aveva passato la maggior parte della sua vita tra le mura bianche e verdi di un ospedale, usando i suoi poteri per salvare persone in fin di vita, curando malattie incurabili, combattendo per salvare la vita dei suoi pazienti come se fosse la propria. Tutto questo perchè era stanca di vivere nel mondo corrotto di Shadowhunters e Nascosti, nel quale tutto ciò che contava erano la legge e le alleanze.
Seduto su una poltrona di pelle piuttosto malconcia c'era Luke, che tamburellava nervosamente con le dita sul bracciolo del mobile. Da quando lui e Catarina erano arrivati a casa della Strega, il capobranco dei lupi mannari di New York non riusciva a darsi pace. Tutto il coraggio con cui aveva preso la sua decisione finale, il giorno precedente, stava lentamente svanendo, dando posto alla paura e all'incertezza. E se qualcosa andasse storto? E se lui e Catarina stessero commettendo un grande errore? E se la situazione, anzi che migliorare, peggiorasse ulteriormente? Luke non sapeva dare una risposta a nessuna di queste domande.
L'uomo protese il braccio verso il tavolino di vetro, afferrando la tazza di porcellana che si ormai era raffreddata. Ma quando se la portò alle labbra, rimase deluso nel vedere che era ormai vuota. Tutto ciò che era rimasto del suo caffè erano solo pochi granuli neri rimasti sul fondo. Frustrato, posò l'oggetto sul tavolino. 
Lanciò un'occhiata alla donna che giaceva immobile sul divano poco distante da lui, pentendosene quasi subito. Amatis stava dormendo tranquillamente, rannicchiata in posizione fetale e avvolta nella pesante coperta come un fagotto. Sembrava così normale, mentre dormiva. Così umana.
Ma Luke sapeva che le sue palpebre chiuse nascondevano due occhi di un nero opaco e impenetrabile. Quel nero che aveva inghiottito tutto l'azzurro, eliminando ogni traccia di umanità dall'anima di sua sorella. Con esitazione, l'uomo prese una delle mani di Amatis tra le proprie. Il contatto lo fece rabbrividire. Era fredda. Come un morto. 
«Ci siamo quasi?» chiese Luke, girandosi verso Catarina, assorta nel suo libro di demonologia. 
«È la sesta volta che me lo chiedi da quando ho iniziato il rituale. Non riesco a concentrarmi se continui a disturbarmi.»
Luke la guardò in cagnesco. «Scusami tanto se sono preoccupato per il destino di mia sorella!» Sbottò. Ma si pentì ben presto di aver usato un tono brusco con l'unica persona che stava cercando di aiutarlo. La Strega aveva lavorato ininterrottamente per ore, e tutto questo per cercare di salvare una donna che per lei non era altro che un'estranea. Si rese conto di doverle delle scuse.
«Catarina, io.. non volevo off-»
«No, hai ragione.» Lo interruppe lei, alzando finalmente lo sguardo dal libro e guardando il suo amico da dietro la montatura degli occhiali. «Non avrei dovuto risponderti in quel modo. Ma cerca di capirmi, Luke. Sono preoccupata quanto te. Sammael è un demone molto potente, ed è-»
«Uno dei principi dell'Inferno, lo so. E so anche che una volta che lo avremo invocato, non potremo più tirarci indietro.» Disse lui, percependo il peso delle proprie parole.
«Si, è così.» La figlia di Lilith si sistemò meglio gli occhiali sul naso. «È giunta l'ora dell'invocazione.» Annunciò. «Sei pronto?» 
Luke lanciò un'ultimo sguardo alla sorella addormentata. «Si, sono pronto.»
Catarina fece un respiro profondo e tornò a concentrarsi sul libro. 
Luke si strinse nel suo cappotto mentre ascoltava la Strega pronunciare un fiume di parole in una lingua demoniaca a lui sconosciuta. In realtà, più che parlare, Catarina stava sussurrando. L'uomo vide una gocciolina di sudore scendere lungo le tempie della donna, mentre dalle sue labbra uscivano suoni impronunciabili. D'un tratto, le rune all'interno del pentacolo iniziarono a brillare, e una nube bianca si formò attorno ad esse. L'aria nella stanza diventò gelida. La fiamma dell'unica candela accesa iniziò a tremolare. Catarina fece un passo avanti, senza mai staccare lo sguardo dal libro. La nube iniziò a condensarsi, dando forma ad una figura apparentemente umana. A quel punto, Catarina concluse la sua cantilena e prese il coltellino che faceva da segnalibro al pesante volume dal quale aveva recitato l'invocazione. Lasciò cadere il libro a terra e fece scivolare la lama del coltello sul palmo della sua mano. Poche gocce di sangue caddero all'interno del pentacolo e la Strega indietreggiò lentamente, osservando la figura che stava al suo centro. 
Un uomo alto e magro, con i capelli bianchi come la neve e gli occhi rossi come il sangue la scrutava attraverso un sottile strato di nebbia. 
Catarina deglutì. Si sentiva la gola secca. 
«Figlia di Lilith» disse Sammael, guardando la donna con aria indifferente, quasi annoiata. «Noi non ci conosciamo, vero? Non ricordo di essere mai stato evocato da te.» 
La Strega prese la forza di parlare. «No, non ci conosciamo. Questa è la prima volta che ti convoco.»
«E vediamo un po', cosa devi chiedermi di così importante da permetterti di disturbare il mio lavoro, giù negli inferi?» Chiese, visibilmente irritato. Il demone non era di buon umore. Iniziamo bene, pensò la Strega.
«Catarina non c'entra. Sono io che ti devo chiedere un favore, Sammael.» 
Luke, che era stato in disparte fino a quel momento, si fece avanti. Le assi di legno scricchiolarono sotto i suoi piedi mentre si avvicinava al bordo del pentacolo. Catarina indietreggiò, facendogli spazio.
Il demone, che non si era nemmeno accorto della presenza dell'uomo, sollevò un sopracciglio. «Un favore? Dici sul serio? Se hai bisogno di un favore, caro lupetto, sappi che ti stai rivolgendo alla persona sbagliata. Che ne dici del termine 'sacrificio'? Suona molto meglio.»
Luke, che non aveva voglia di perdersi in chiacchiere, arrivò subito al punto. «Ho bisogno che tu faccia una cosa per me. In cambio, ti darò ciò che vuoi.»
Le labbra di Sammael si incurvarono in un sorrisetto divertito. «Pensi davvero di potermi dare qualcosa che sia degno del mio interesse, Nascosto?»
Luke arricciò le labbra. «Io.. posso darti i miei ricordi. I momenti più felici della mia vita. So che voi demoni ve ne nutrite.»
Catarina, intanto, se ne stava rannicchiata in un angolo buio del salotto e osservava la scena in silenzio.
L'attenzione del demone si spostò sulle proprie dita artigliate. «Ricordi, eh? E sentiamo un po', cosa vuoi in cambio?»
Luke indicò con la mano Amatis, addormentata e del tutto inconsapevole di ciò che stava succedendo.
«Quella è mia sorella. Jonathan Morgenstern l'ha fatta bere dalla Coppa Infernale. Ora è in parte demone. Le ha strappato l'umanità e l'ha strappata via da me.» Spiegò, mentre il demone continuava a guardare i propri artigli come se fossero la cosa più interessante del mondo.
«E con ciò?» Chiese, con lo stesso tono annoiato.
«Rivoglio indietro mia sorella. Lei è la mia famiglia. Siamo stati separati per troppi anni, e ora che è tornata a far parte della mia vita, non voglio perderla di nuovo.» 
«Che discorso strappa lacrime.» Ironizzò Sammael. «Sono commosso.» 
Luke perse la pazienza. «Allora, accetti o no la mia offerta?»
Ci fu un breve attimo di silenzio. Poi la risata del principe dell'Inferno riecheggiò tra le quattro mura del salotto, facendo venire i brividi ai due Nascosti. Catarina rivolse all'uomo uno sguardo preoccupato, ma lui lo ignorò.
Rosso come un pomodoro per la rabbia e la frustrazione, Luke aprì la bocca per parlare, per chiedere al demone cosa c'era di così divertente, ma quest'ultimo lo superò. 
«Davvero pensi di poter barattare la salvezza di tua sorella con dei semplici ricordi? Forse è il caso di ricordarti con chi hai a che fare. Io sono il principe Sammael, il sovrano dell'Inferno. Potrei ridurre il vostro piccolo e insignificante pianeta in polvere, se lo volessi. Se rivuoi indietro la tua sorellina, dovrai fare una sacrificio molto più grande.»
Per un attimo, Luke sentì il suo cuore fermarsi. Si diede mentalmente dello stupido. Come aveva potuto essere così ottimista e sicuro di sè? Forse Catarina aveva ragione. Arrivare a patti con Sammael non sarebbe stato facile. E, come aveva detto lui stesso, dopo averlo invocato non ci si poteva più tirare indietro. Il respiro di Luke si fece più pesante. Il suo battito cardiaco accelerò. Il suo sguardo era perso nel vuoto mentre pensava a una possibile soluzione, ma avvertiva gli occhi di Catarina e Sammael puntati su di sè. Occhi azzurri pieni di preoccupazione. Occhi rossi pieni di aspettativa.
Cosa avrebbe voluto Sammael da lui? La sua vita? O, peggio ancora, quella di Jocelyn? O di Clary? No, Luke non avrebbe mai sacrificato le due persone che amava di più. 
«Allora, Nascosto? Non ho tutto il tempo del mondo.» Gracchiò il demone, incrociando le braccia contro il petto.
Luke si schiarì la voce. «Non avrai la mia famiglia, Sammael. Non farai loro del male. Se è la mia vita che vuoi-»
Il demone fece una smorfia. «La tua vita? Pff. Cos'è, un sacrificio agli dei dell'Olimpo? No, ho deciso che voglio qualcos'altro.»
Il Nascosto strinse i pugni. «E sentiamo un po', cosa vuoi?»
Qualcosa nel sorriso malefico che Sammael gli rivolse, gli fece passare la voglia di saperlo. Gli occhi del demone brillavano di malizia. 

۞                                                                              ۞                                                                              ۞

Buio. Tutto ciò che Taylor riusciva a vedere era il buio. Niente angeli dalle ali candide in vista, nè nuvole bianche simili a batuffoli di cotone. E lei non si sentiva affatto leggera come l'aria. Che razza di paradiso era quello?
Si accorse che qualcosa di morbido sotto la sua testa le provocava dolore al collo. Si rigirò su sè stessa, cambiando posizione, ma le cose non fecero altro che peggiorare. La ragazza fu scossa da un intenso dolore alla spalla ed emise un debole lamento. Nemmeno da morta posso riposare in pace, pensò tra sè.
D'un tratto, sentì qualcosa di freddo e liscio premere leggermente contro la sua fronte. Una mano? Si domandò, confusa.
Aprì gli occhi, sbattendo le palpebre un paio di volte per far sì che i suoi occhi si abituassero alla luce del giorno.
Un viso maschile pallido e aggraziato, nel quale spiccavano due occhi color caffè fu la prima cosa che vide, al suo risveglio. Taylor aveva visto quel volto soltanto una volta, ma l'aveva memorizzato nei dettagli. Era quello di Fratello Zaccaria.
La bionda lo guardò confusa. Dunque non era morta. Non era morta perchè lui l'aveva curata. Si guardò attorno. Mura bianche, letti con lenzuola bianche, tende nere, scaffali colmi di sciroppi ed erbe varie. Quindi, l'avevano riportata all'Istituto.
Aveva la gola stoppo secca per parlare, ma non poteva di certo starsene lì a fissare il Fratello Silente senza aprire bocca come un babbeo. 
«Fratello Zacc-»
Shh. Non sprecare energie. Sei ferita, devi riposarti. disse lui, togliendole la mano dalla fronte.
Taylor cercò di mettersi a sedere e Zaccaria la aiutò. La ragazza si accorse che i responsabili del suo dolore al collo erano un paio di cuscini impilati sotto la sua testa. Non era abituata a dormire con più di un cuscino.
Il Fratello Silente si sedette sulla poltrona accanto e la guardò preoccupato. 
Come ti senti? Non pensavamo che ti saresti svegliata.. così presto.
La breve pausa che fece prima di dire ''così presto'' la fece rabbrividire. Dunque pensava anche lui che sarebbe morta. 
«Ho male dappertutto.» Disse, liberandosi di uno dei cuscini che aveva dietro la schiena. «Ma è una buona cosa, giusto? Almeno significa che sono ancora viva.»
Zaccaria sorrise, mostrando i suoi denti dritti e bianchi e Taylor rimase a fissarlo con curiosità. Come poteva un Fratello Silente sorridere in quel modo? Perchè non era pelato e con gli occhi cavati e le labbra cucite come gli altri? Le avrebbe reso le cose più facili.
Non sapevamo se saresti sopravvissuta al veleno del Kuri. Spiegò lui. Quando ti hanno portata all'Istituto avevi la febbre a quaranta e stavi delirando. La tua intera spalla era diventata viola. 
Taylor abbassò lo sguardo sulla sua spalla bendata. Le bende erano così tante che le sembrava di portare del gesso. Cercò di muovere il braccio, ma si accorse di avere i movimenti limitati. 
Sei stata davvero forte e coraggiosa. Aggiunse lui. Hai salvato la vita a una persona.
Questa volta toccò a lei sorridere. «Mi hai curato tu? Da solo?»
Il Fratello Silente si tirò indietro il cappuccio della tunica, rivelando una chioma di capelli neri e lisci, leggermente arruffati. 
La finestra era stata aperta per cambiare l'aria e dall'esterno si sentiva il fruscio del vento.
Beh..si. È il nostro compito curare gli Shadowhunters feriti o malati, questo lo sai. Spiegò lui, in modo del tutto spontaneo. Ciò che disse dopo, non fece che allargare il sorriso sulle labbra della bionda.
Sai, volevano mandare un mio confratello a curarti al posto mio, ma il primo giorno in cui ci siamo incontrati ho avuto l'impressione che.. non ti sentissi a tuo agio in presenza dei Fratelli Silenti, quindi ho insistito per venire al posto suo. Ho pensato che, avendomi già visto, ti saresti sentita più tranquilla in mia presenza.
Taylor non potè fare a meno di trovarlo adorabile. Si era accorto che non andava pazza per i suoi confratelli  e aveva fatto il possibile per metterla a suo agio.
«Ed è così. Grazie, davvero. Apprezzo molto il tuo gesto.» 
Senza nemmeno pensarci, Taylor prese una delle mani del ragazzo nella propria. 
Lui si irrigidì per un attimo, colto di sorpresa da quel gesto così spontaneo, ma non tirò indietro la mano. Anzi, la strinse timidamente, quasi con timore. I contatti fisici tra Shadowhunters e Fratelli Silenti erano qualcosa di piuttosto raro. Nessuno mostrava mai affetto ai guardiani della Città di Ossa. Forse perchè loro sembravano immuni all'affetto.
«Come stanno gli altri? I miei fratelli? Chiese lei, ricordandosi di ciò che era accaduto durante la battaglia contro i Kuri.
Stanno tutti bene, non preoccuparti. Cercò di rassicurarla lui. La maggior parte di loro ha qualche ferita superficiale, solo la ragazza con la frusta-
Taylor scattò in avanti. «Izzy?! Cosa le è successo? È grave??»
Il Fratello Silente si pentì di aver nominato la ragazza.
Oh, no. Si tratta solo di una slogatura alla caviglia. Un paio di iratze sono bastati a rimetterla a posto. Ti assicuro che sta già meglio.
Taylor si rilassò. Zaccaria sorrise di nuovo e la bionda gli lanciò un'occhiata interrogativa. 
«Cosa c'è?» Gli chiese.
Ti preoccupi per tua sorella, ma da quando ti sei svegliata non mi hai ancora chiesto niente riguardo alle condizioni della tua spalla. Ti ricordo che sei stata morsa da un velenosissimo demone-ragno.
 «Ah» la sua spalla, giusto. Se n'era quasi dimenticata. «Tra quanti giorni.. portò togliere le bende?»
Tra una settimana, se stai a casa a riposarti. 
Taylor aprì la bocca per la sorpresa. Doveva stare chiusa nell'Istituto per sette giorni? Ma neanche per sche-
E ovviamente in questi giorni il tuo ingresso nella sala degli allenamenti è severamente vietato.
«COSA?» Sbottò lei, saltando giù dal letto. «Stai scherzando, spero!»
Sono serissimo, invece. Obiettò lui, incrociando le braccia contro il petto. E ora rimettiti a letto, devi recuperare le forze. Altrimenti guarirai tra un mese.
Alla fine, tra una lamentela e l'altra, Taylor si arrese e lasciò che Zaccaria la aiutasse a rimettersi a letto.
Sconfitta, la bionda mise il broncio. «Ma mi annoio, qui da sola.»
Il Fratello Silente si alzò in piedi e si girò verso la porta. Se vuoi posso andare a chiama-
«No» lo interruppe lei, trattenendolo per il polso prima che potesse allontanarsi. Sorpreso dalla sua reazione, Zaccaria si fermò alzò un sopracciglio.
Taylor arrossì. «Non voglio vedere nessuno, per ora. Però..» Si mordicchiò il labbro, evitando il suo sguardo.
Lui si sedette di nuovo sulla poltrona e le posò gentilmente una mano sulla spalla.
Però..?
«Ti dispiacerebbe restare ancora un po' qui, con me? Mi fa piacere averti qui» confessò lei timidamente.
Il ragazzo ci pensò su un attimo, poi sorrise. E va bene, ma entro stasera devo essere di nuovo nella città Silente. Conosci le regole.
La ragazza annuì, soddisfatta. «Allora, cosa facciamo?»
Lui si passò una mano tra i capelli. Beh, non abbiamo molta scelta dal momento che tu devi rimanere a letto. Cosa proponi di fare?
Per un attimo, a Taylor parve di vedere un filo argentato nei suoi occhi scuri.
Allora non me lo sono immaginata, l'altra volta.
Ci pensò un attimo, poi disse: «parlami di te. Della tua vita prima di entrare nella Fratellanza.»
In un primo momento, lui la guardò senza dire niente, sorpreso dalla sua richiesta. Aprì la bocca un paio di volte, per poi richiuderla. Da quando era diventato un Fratello Silente, nessuno gli aveva mai chiesto di parlare di sè. Ciò che la maggior parte degli Shadowhunters pensavano, era che i Fratelli Silenti non avessero mai avuto una vita normale. Di solito lo chiamavano quando avevano bisogno di aiuto e, una volta che aveva svolto il suo compito, lo salutavano educatamente e lo lasciavano tornare alla Città di Ossa. Cosa ci trovava questa ragazzina di tanto interessante in lui da fargli una domanda del genere? Zaccaria aprì la bocca per dirle che non c'era niente da dire. Voleva dirle che gli incantesimi della Fratellanza avevano cancellato tutti i suoi ricordi della sua vita da Shadowhunter, ma qualcosa lo fermò.
La ragazza lo guardava con occhi pieni di aspettativa. Qualcosa gli diceva che non avrebbe accettato un no come risposta. Prese un sospiro e iniziò il suo racconto.
Avevo dodici anni quando arrivai all'Istituto di Londra. La prima persona con cui feci amicizia era un ragazzino di nome Will. Will Herondale. Abbiamo iniziato ad allenarci insieme, diventando sempre più attaccati l'uno all'altro, tanto che un giorno...

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I tavoli del nuovo ristorante cinese, in una delle zone più animate di Brooklyn, erano quasi tutti occupati alle otto di sera.
I clienti chiacchieravano allegramente tra di loro, mentre le giovani cameriere orientali, che indossavano i Kimono tradizionali decorati con motivi floreali, sfrecciavano da un tavolo all'altro per prendere le ordinazioni. 
Ad un tavolo un po' appartato per due sedevano Magnus e Alec, decisi a ripararsi dagli sguardi indiscreti dei mondani. 
«Vorrei proprio capire cosa ci trovi di tanto buffo.»
Alec mise il broncio e lasciò le bacchette sul tavolo, guardando il suo cibo scoraggiato.
Magnus, intanto, ridacchiava sotto i baffi, divertito dall'incapacità del suo ragazzo di usare le bacchette cinesi. 
Alec gli lanciò un'occhiata omicida e lo Stregone si mise una mano davanti alla bocca, soffocando una risata. 
«Suvvia, occhi blu. Non te la prendere. Imparerai anche tu .. prima o poi.»
«Non è giusto, però.» Obiettò Alec. «Tu hai avuto secoli di tempo a disposizione per imparare a mangiare con sti pezzi di legno.» Disse, rimettendo le bacchette a posto e prendendo la forchetta, senza troppo entusiasmo. I suoi spaghetti di soia stavano iniziando a freddarsi.
Dispiaciuto di vedere Alec di malumore per degli stupidi spaghetti, Magnus gli prese la mano e Alec alzò lo sguardo dal suo cibo. Il figlio di Lilith gli posizionò le bacchette tra le dita, sorridendo. 
«Ecco, è così che devi tenerle.» Gli spiegò. 
Alec fissò un attimo le bacchette nella sua mano, chiedendosi come diamine le aveva tenute, fino ad allora. 
Poi le immerse negli spaghetti e si riempì in bocca.
«Fono buoniffimi!» bofonchiò con la bocca piena, tra un boccone e l'altro.
Magnus sorrise, soddisfatto del risultato che aveva ottenuto. Si sentiva come se avesse appena insegnato ad un bambino ad andare in bicicletta.
«Sul serio, Magnus. Devi assolutamente assaggiarli!» Esclamò il Cacciatore, protendendo la mano in cui teneva le bacchette lungo il tavolo, con l'intenzione di imboccare il maggiore. Quest'ultimo aprì la bocca, accogliendo il cibo. 
«Te l'avevo detto che questo nuovo ristorante era ottimo.» Disse lo Stregone, contento della sua nuova scoperta. «E ti avevo anche detto che non è così difficile usare le bacchette.»
Alec alzò gli occhi al cielo. «Preferisci continuare a blaterare o lasciarti imboccare dal tuo ragazzo, mister te l'avevo detto
Prima che Magnus potesse rispondere, un'aggraziata cameriera con due grandi occhi a mandorla e i capelli scuri arricciati con cura si fermò al loro tavolo, con in mano un vassoio sul quale c'era un piatto fumante.
«Ecco il Soondae che avete ordinato» disse, con un adorabile accento, posando il piatto di fronte a Magnus.
Quest'ultimo rivolse alla ragazza uno dei suoi sorrisi smaglianti. «Grazie, Taeyon. Ha proprio un profumo invitante. Ah, e questa nuova acconciatura ti sta d'incanto.»
La cameriera arrossì e ringraziò Magnus facendo un piccolo inchino. Dopo di che sparì in cucina.
Quando Magnus si girò nuovamente verso Alec, si accorse che il Cacciatore lo stava guardando con un'espressione poco divertita.
«Cos'ho fatto di male per meritarmi questo sguardo truce, guanciotte dolci?» Gli chiese, versandosi del vino nel bicchiere, per poi riempire anche quello del compagno.
Alec lo guardò incredulo. «A proposito, questa nuova acconciatura ti sta d'incanto.» Disse, facendogli l'eco. Magnus per poco non si strozzò con il vino. «Alexander! Stavo solo cercando di essere gentile. Ti sembra il caso di farmi la scenata?»
«E a te sembra il caso di flirtare con la cameriera che sembra uscita da un manga davanti ai miei occhi?»
Magnus alzò gli occhi al cielo. «Non stavo flirtando con lei. Dovresti sapere che non ti farei una cosa del genere. Per chi mi hai preso?»
Alec tacque e abbassò lo sguardo sul suo piatto di spaghetti, ormai mezzo vuoto. 
«Ho davvero solo cercato di essere gentile.» Puntualizzò lo Stregone. «Taeyon è l'unica ad essere carina con me, qui. L'unica che non mi guarda come se fossi qualche strana creatura anomala. E se non sei ancora convinto, posso garantirti che non è il mio tipo.»
Alec alzò un sopracciglio. Taeyon era davvero carina. Se fosse stato etero, probabilmente avrebbe avuto una cotta per lei.
«Ha gli occhi grossi come due biglie.» Aggiunse Magnus e Alec sorrise. 
Il più giovane prese la mano dello Stregone nelle proprie. «Scusami, Magnus.» Disse, guardandolo negli occhi. «È solo che..sai come sono. La gelosia è probabilmente uno dei miei peggiori difetti. Ti prometto cercherò ti controllarmi d'ora in poi, va bene?»
Magnus strinse la sua mano. «Va bene, Alec. Ma te la faccio passare liscia anche questa volta solo perchè sai che odio litigare con te.»
Il Nephilim annuì e si sporse per baciare Magnus, ma quando le loro labbra si toccarono, quest'ultimo interruppe il bacio. 
Alec lo guardò allarmato. «Cosa c'è? Ho fatto qualcosa di male?»
Magnus rise. «No, è che sai di gamberi e soia.»
Alec gli tirò un calcio sotto il tavolo. «Scemo. Mi hai fatto spaventare!»
I due passarono il resto della serata a mangiare, chiacchierare, ridere e scherzare. Tutto sembrava andare al meglio, ma man mano che la serata si avvicinava al termine, Alec notò che Magnus diventava sempre più teso e silenzioso. All'inizio, cercò di non farci caso, dando la colpa alla stanchezza dovuta a ciò che era avvenuto nei giorni precedenti. Ma anche all'arrivo del dolce, Magnus sembrava avere la testa tra le nuvole.
«Magnus, per l'Angelo, vuoi dirmi cosa c'è che non va?» Chiese finalmente Alec, che stava morendo dalla voglia di sapere cosa passava per la mente del suo ragazzo.
Magnus smise di giocare con il suo gelato intoccato e incrociò lo sguardo preoccupato di Alec.
Fece un sospiro. Doveva assolutamente dirglielo. Non poteva, nè voleva rimandare ulteriormente.
«Vedi, Alec, io.. è da un po' di tempo che ho preso una decisione.»
Alec posò la forchetta sul tavolo. D'un tratto, gli era passato l'appetito. Il tono improvvisamente serio con cui stava parlando Magnus non gli piaceva affatto. Quel tono non prometteva niente di buono. 
Alec era stanco di problemi e preoccupazioni. Aveva accettato di uscire con Magnus quella sera per distrarsi. Per un paio d'ore, non voleva pensare alle condizioni della sua sorellastra, nè preoccuparsi per lo stato psicologico di sua madre che continuava a darsi la colpa per quello che era successo. Tutto ciò che chiedeva era una serata pacifica insieme al suo compagno. E ora, guarda un po', era proprio Magnus quello che lo stava facendo sudare per la preoccupazione.
«Di cosa stai parlando?»
Magnus iniziò a giocare nervosamente con un bottone della sua giacca di pelle borchiata.
«Ho deciso di fare una cosa pericolosa, Alec. Molto pericolosa.»
Alec sentì un nodo formarsi nella sua pancia. «Quanto pericolosa?»
Dopo una pausa, che al Nephilim sembrò infinita, Magnus parlò di nuovo.
«Tanto pericolosa da potermi uccidere.»


A/N: Salve, Nephilim! 
Vi sono mancata? Spero di si. 
In teoria avrei dovuto aggiornare circa una settimana fa, in pratica quest'estate ho cazzeggiato troppo e scritto poco, lo ammetto. 
Sapete che quando ho avuto l'idea di scrivere questa ff, il capitolo finale doveva essere quello che porta il nome della storia? Non so nemmeno perchè l'ho continuata. Forse perchè sono stupida e mi piace complicarmi la vita (?)
Spero che il capitolo vi sia piaciuto.
Fatemi sapere che ne pensate, vi prego. 
Alla prossima,
Simo
  
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