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Autore: Writer_Nives    17/08/2014    0 recensioni
"forse questo era troppo, troppo da sopportare da sola. quel posto, quella cittadina, quelle case. erano troppi ricordi e non so se ci posso riuscire" -Phoebe.
questo è quello che pensa quando vede la casa dei suoi genitori biologici, genitori che non ricorda e che non vede da quando aveva tre anni. ha paura di quello che l'aspetta.
Ma se ad aspettarla fosse l'amore più travolgente che si possa mai desiderare?
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Due settimane prima.

 

Forse avevo esagerato. Erano troppi ricordi che dicevano tutto e niente. Quel giardino, quella casa, quella cittadina. Era troppo. Non potevo affrontare tutto questo da sola, eppure era così. Ero sola in tutto questo e non potevo cambiare le cose.

Ero ferma da dieci minuti a guardare quella casa abbandonata, con le mura gialle che si stavano sgretolando e le finestre sporche e malandate. Mi ricordavano qualcosa ma non so bene cosa, non so se cose positive o cose negative.
Il giardino era solo un mucchio di terra con qualche vaso in giro, ma nulla di integro. Come se solo su quella casa a me sconosciuta si fosse scaraventato un meteorite. Non potevo entrare e vedere cosa mi aspettava.

- Signorina Whitey possiamo entrare? - mi chiese un signore che si era presentato come colui che aveva gestito per tutta la vita gli affari di Kate e George, i miei genitori biologici, quelli che io non ricordo.

Già, proprio così. Alla tenera età di tre anni i miei genitori mi hanno letteralmente abbandonata perché ero troppo un peso, almeno per quello che mi hanno sempre detto. Subito ci sono rimasta male ma con il tempo mi sono abituata e me ne sono dimenticata fino a che, il giorno del mio diciottesimo compleanno mi ha chiamata Christoph, l'avvocato dei miei genitori. Per affrontarlo personalmente ci avevo messo ben un intero anno.
In questi sedici anni sono stata fortunata perché ho trovato una vera famiglia, una famiglia che mi ha sempre accettato e che il prima possibile si è assicurata di dirmi tutta la verità. Mi hanno sempre fatto passare per figlia loro anche se in realtà porto ancora il cognome del mio vero padre. Non so cosa voglia questo tipo e a dirla tutta mi spaventa come cosa.
Mi stacco dai miei pensieri quando sento Christoph parlare e ritorno a guardare quella casa inquietante.

- Come scusi? - dissi con fare assente e quando mi girai a guardarlo sembrava quasi comprendere il mio comportamento.

- Possiamo entrare signorina? - chiese come se la casa fosse mia. Ma è possibile? Non so neanche chi sia quest'uomo. Annuii e ci avvicinammo all'entrata, inserì la schiave nella serratura malandata e con un intenso scricchiolio la porta si aprì rivelando uno scenario ancora peggiore. Quella casa era un vero schifo!

Le pareti erano sporche e perdevano pezzi di colore e sapeva tutto di muffa come se in quella casa non ci abitasse essere umano da anni. Si presentava subito a destra un armadio vecchio con i cassetti mancanti e a sinistra un salotto con delle poltrone color verdastro piene di polvere e ragnatele, niente televisione o qualsiasi altro mezzo elettronico. Andando avanti, nella sala da pranzo non vidi nessun tavolo come si vedono in tutte le case normali e la cucina era solo un bancone di legno marcio con sopra dei piatti messi in disordine e tanto tanto tanto spazio che ci poteva stare una cucina da ristorante.
Ero meravigliata dalla grandezza di quel posto e allo stesso tempo schifata da come era trattata. Mi fece fare il giro del resto della casa e non mi stupii a vedere che le camere, i bagni e la mansarda erano messi anche peggio.
Tornammo in cucina e solo in quel momento notai in un angolino un tavolino di plastica con due sedie già sistemate una di fronte all'altra. Christoph mi invitò a sedermi e così feci. Tirò fuori delle carte dalla sua borsa, appoggiò i gomiti al tavolo e incrociò le dita delle mani, poi alzò lo sguardo e cominciò a parlare.

- Te la senti di sapere la verità? - disse come se quel che mi aspettava fosse un peso enorme che non potevo sopportare. E forse era così, ma dovevo essere forte come mi hanno sempre insegnato ad essere Melissa e Scott, i miei genitori adottivi.

- Certo che voglio sapere - dissi tutto d'un fiato, nervosa e con le dita incrociate sperando che non sia nulla di tragico o di insopportabile.

- Bene, allora tu sei Alyssa Phoebe Whitey oggi conosciuta come Phoebe Whitey Collins, nata a Norman nello stato dell'Oklahoma il 23 Gennaio 1995 da Kate Marie Helman e George Whitey.
Tua madre al giorno d'oggi avrebbe 36 anni quindi ti ha messa al mondo quando ne aveva solamente 17 e tuo padre ne avrebbe 39. A quel tempo erano giovani i tuoi genitori e pensavano solamente a divertirsi e pensavano che la vita fosse tutto un gioco, poi sei arrivata tu. Quando sei nata i tuoi genitori non l'hanno presa come tutti i genitori. Tua madre pian pianino ha cominciato a bere e tuo padre era ossessionato dal gioco d'azzardo.
Passavi giornate da sola a casa all'età di tre anni e ogni volta che i tuoi tornavano a casa e tu piangevi ti picchiavano, questa è la motivazione della tua cicatrice sul sopracciglio sinistro. Quando sono stato avvertito di questa situazione ho chiamato gli assistenti sociali e i tuoi genitori non hanno opposto resistenza perché non ti volevano, tu hai trovato Scott e Melissa e hai passato questi sedici anni meglio che potevi e mi sono sempre assicurato che stessi bene. Ma qua la vita è andata avanti, dopo quattro anni i tuoi genitori si sono sposati e un anno dopo è nato Malcom quello che dovrebbe essere tuo fratello.
Poi sei anni fa quando si pensava che tutti i problemi fossero stati risolti in un viaggio per andare in vacanza la macchina dei tuoi genitori è esplosa - fece una pausa e io non mi mossi di un singolo centimetro - i tuoi genitori e Malcom morirono e poi si scoprì che non era stato un incidente ma era stata opera di un gruppo a cui tuo padre doveva migliaia di dollari perché era ancora dipendente dal gioco. - finì il discorso e prese fiato.
Buttai fuori un sospiro anche io e non mi accorsi fino a quel momento che non avevo mosso un muscolo o non avevo respirato. Ero sotto shock.

Avevo due nomi, avevo un fratello, i miei genitori e mio fratello erano morti. E io in tutto questo cosa c'entravo ora? Restai cinque minuti buoni zitta per assemblare tutto quello che mi era stato detto e cercare di dare una calmata a tutta la confusione che avevo in testa. Ero venuta qua da Tulsa, la città dove abitavo da una vita per sentimi dire questo. Dopo vari minuti alzai lo sguardo.

- Cosa c'entro io in tutto questo? - chiesi velocemente sperando di avere altre risposte che in effetti arrivarono in fretta. - Se Malcom non fosse morto tutto questo sarebbe finito a lui perché era il primo ereditario ma non è andata così. Phoebe, tutto questo ora è tuo e lo so che non è un bello spettacolo da vedere ma è tuo, se vuoi puoi ricominciare da qua dove sei nata. I tuoi genitori adottivi me l'hanno sempre detto che non sei una ragazza da città caotica che vuoi più tranquillità e malgrado sia difficile pensiamo tutti e tre che questa sia la tua opportunità di venire a studiare qua ed essere chi sei realmente senza bisogno di essere felice in un posto non adatto a te. Non dovresti pagare l'affitto, hai dei soldi tuoi in banca, dei soldi nel vecchio conto dei tuoi genitori e qualcuno deve ancora riscuotere la cifra della perdita di tre parenti e quella cifra sarebbe tua. Nessun debito, nessun collegamento con il passato, una nuova vita. Non sei stufa di tutto quello smog Phoebe? -  rispose alla mia domanda in una maniera che non mi aspettavo. Le sue parole mi avevano colpito e mi aveva colpito sopratutto che avesse parlato con Scott e Melissa e che loro fossero d'accordo. Sapevo che quella era la verità, che mi volevano così bene da voler che fossi felice in un posto mio ma non sapevo se ce l'avrei fatta, era troppo, troppo. Però mi piaceva l'idea di permettermi una casa mia, di poter sapere di più sul mio passato, di andare finalmente all'università che volevo senza preoccuparmi di dovermi pagare l'affitto dell'appartamento. E poi i miei genitori potevano passare a trovarmi quando volevano dato che lo spazio c'era.
Quella casa era grande come quattro appartamenti e con i soldi che avevo poteva diventare una casa nuova, senza più ricordi. Una casa mia.

- Ok, ci sto, è mia - dissi con convinzione a Christoph al quale si disegno un sorriso sul viso che fece sorridere anche me. Tirò fuori le carte da firmare e con una dolce grafia scrissi il mio nome – Phoebe Whitey – niente Alyssa, niente Collins, solo il nome per cui volevo essere conosciuta a Norman. Christoph si alzò in piedi e mi strinse la mano orgoglioso.

- Benvenuta a casa signorina, sono orgoglioso di te e spero resterò sempre il tuo punto di riferimento. Sulle carte c'è il mio numero, non esitare a chiamare per qualsiasi motivo. Ora ti lascio un po' da sola per smaltire tutto. Ciao Phoebe, a presto -.

Non riuscii a dire niente, lo accompagnai alla porta e lo salutai con la mano, poi mi chiusi la porta alle spalle. Grazie al cielo avevo fatto un corso di design al college!

“Avrò un bel po' da fare con te” dissi esasperata a quella che era la mia nuova casa. 

 

Angolo Autrice: ehi lettrici! spero che questo prologo vi abbia colpito e incuriosito un pochettino perchè ci terrei a continuarla e condividerla con voi perchè questa è una delle cose che mi piace di più. scrivere! fatemi sapere cosa ne pensate attraverso una recensione ed io vi risponderò più che volentieri. A presto, spero :* 

  
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