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Autore: _Woodhouse_    18/08/2014    17 recensioni
❝Lo osservò dormire, sfiorando di tanto in tanto le linee insidiose delle sue costole, incastrata negli occhi di un altro, nel ricordo del suo respiro, affogata, vittima masochista del piacere che le procurava il ricordo della tensione che si librava fra i loro corpi e della complicità che aveva avvertito, mentendo insieme a lui, due volte e senza ragioni.❞
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate, Triangolo | Contesto: Contesto generale/vago
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Capitolo 2.





Sedevano ad un lungo ed ampio tavolo di mogano, apparecchiato sobriamente, sebbene trasparisse un che di sofisticato dagli accorgimenti quasi impercettibili che la madre di Robb, la signora Draper, aveva apportato alla sua tavola. Gli abbracci e le cortesie si erano consumate all’ingresso, quando Robb aveva presentato ai due genitori la figurina timida di Josephine. La signora Draper l’aveva osservata molto, sorridendole  in una maniera che a Jo parve forzata. Il marito, il signor Ben Draper, si era prodigato in atti di autentica galanteria e aveva accennato più volte a quanto il figlio li rintontisse elogiandola. Josephine aveva assorbito con un silenzioso imbarazzo gli sguardi e i complimenti che le avevano rivolto. Si sentì colta da svariate fitte d’ansia per tutto il tempo del pranzo, pensando a come avrebbe fatto a risultare all’altezza delle aspettative dell’intera famiglia. Robb, di tanto in tanto, forse percependo il suo disagio, la scrutava con occhi pieni di comprensività e poi le regalava un sorriso tiepido.  Josephine, abbracciata da quegli sguardi fugaci, sospirava e riacquistava un po’ di sé. Il pasto venne consumato alquanto silenziosamente, smorzato talvolta da alcune domande di circostanza di Ben Draper.
Quando anche l’ultima portata fu terminata da tutti i commensali, Robb scattò in piedi e cominciò a portar via i piatti sporchi. Josephine lo guardò esterrefatta, sorpresa da quell’atteggiamento tanto ubbidiente, servizievole di Robb. Se lo era sempre immaginato un figlio un po’ sgangherato, di quelli che si sedevano a tavola troppo tardi e l’abbandonavano molto presto, lasciando i genitori esasperati.
Susan Draper si accorse dello sguardo un po’ sbilenco di Josephine, della sua aria stranita. Si ritrovò a pensare alle attrattive di quel visino troppo stretto sul mento, ma troppo largo sugli zigomi e in quell’espressione tanto incisiva capì cosa dovesse piacere di lei ad un uomo, ad uomo come Robb, per meglio dire.
– Robb, credo tu abbia sconvolto la povera Josephine, – scherzò Susan, senza staccare gli occhi indagatori dalla giovane donna.
– Perché mai? – domandò lui con falso disorientamento.
– Credo non ti facesse così collaborativo. E in effetti nemmeno io. – Susan lanciò il petardo d’ironia ai piedi del figlio, il quale lo raccolse prima irrigidendosi, poi palesando un malcelato imbarazzo che a Jo non sfuggì.
– Robb, non serve che ti sforzi. Mi hai già conquistata tempo fa, – fece allora Jo, finalmente padrona della propria voce.

I toni della conversazione l’avevano messa a proprio agio. Forse, pensò, non avrebbe deluso nessuno. Susan prolungò il suo sorriso fintanto da accogliere anche quest’ultima battuta, poi tornò ad assumere l’espressione indagatrice di prima. Robb ridacchiava sommessamente, mentre accatastava i piatti sporchi l’uno sull’altro. Josephine, sentendosi improvvisamente una stupida, si levò in fretta dalla sedia.

– Mio dio, lascia che ti aiuti. – Il suo tono era un po’ affannato, più per la mortificazione di non averci pensato prima che per la fretta dello slancio.
– Non serve, Jo. – Robb le indirizzò un’occhiataccia. – Sei un’ospite, –puntualizzò.
– Ti prego, – lo supplicò a denti stretti, per non farsi sentire da Ben, il quale nel frattempo era tutto concentrato su un tablet che non sembrava volergli dare molte soddisfazioni.
– Se ti fa stare meglio, – rispose scuotendo la chioma di un biondo dagli strani riflessi grigiastri.

Josephine sorrise appena, fissando intensamente i capelli un po’ malandrini di Robb. Era così buffo, nella sua aria studiatamente trasandata, da fotografo vagabondo. Mentre li aiutava a riassestare la sala da pranzo, Josephine rimase incantata guardando Robb, così sbarazzino, muoversi in una casa tanto impegnativa. La stranì un po’ vedere come in realtà quel posto gli calzasse tanto perfettamente. Quella casa lasciava emergere da lui la sua natura di bambino e ragazzo ben educato, forse un po’ viziato. Josephine ne rimase affascinata e forse Robb si accorse dello stupore dei suoi occhi e si pentì di non avere a portata di mano la sua digitale, per fermarla e imprigionarla, bellissima, nella milionesima delle sue imperfette espressioni.
***

– Quanti cavolo di libri avete? - domandò estasiata Josephine, affacciandosi agli scaffali della biblioteca di casa Draper.

– Dopo venticinque anni di imprenditoria editoriale, che ti aspettavi dai miei? – Robb strascicò le parole con un tono un po’ fiacco, mentre la osservava muoversi come una forsennata da un punto all’altro della biblioteca.
– Dimmi che ti sei curato di leggerne qualcuno, Robb. – Si voltò a guardarlo, con aria dolcemente canzonatoria, ma lo sguardo era spigoloso, quasi perentorio.
– Sì, no, forse. – La prese in giro lui, facendole cenno di avvicinarsi.
Josephine si mosse con studiata lentezza verso di lui, senza distogliere gli occhi dal suo viso, in attesa di una risposta.
– Puoi essere serio, per una volta? – lo rimproverò con una voce troppo stridula perché lui la prendesse sul serio. Quando lei fu abbastanza vicina, Robb si sporse in avanti per attirarla a sé. Josephine non oppose nessuna resistenza, se non con gli occhi, i quali ancora lo scrutavano, intenti e curiosi.
– Una media di cinque all’anno, – le sussurrò all’orecchio quando lei gli fu sulle cosce.
– Sei pessimo, Robb. – lo canzonò lei, addolcita dalle mani di lui sui fianchi.
Robb si rilassò completamente sulla poltrona e la fece adagiare contro di lui. Rimasero silenziosi ed immobile per molti istanti, fermi in quella posizione, finché Jo non tentò di richiamare la sua attenzione con voce molto bassa, carezzevole. Ma Robb, come le venne suggerito dal ritmo del suo respiro, si era profondamente assopito. Jo sforzò un po’ gli occhi per riuscire a guardarlo con la coda dell’occhio e le scappò un sorrisetto.
Iniziava a sentire caldo in quella stretta, quindi, attenta a non svegliarlo cercò di divincolarsi dalle sue braccia. Gli scivolò in mezzo alle cosce, quasi come fosse liquida, e si slanciò in avanti, sul pavimento. Sollevatasi da terra, si rimise in sesto la maglia aderente che adesso le ricadeva nuovamente morbida sui fianchi magri. Si avvicinò agli scaffali della libreria e sondò file di libri con le dita, studiandone con sguardi fuggevoli, le incisioni, i nomi degli autori, i titoli. Qualcuno le era noto, qualcuno lo aveva letto, altri l’affascinavano avvolti dal mistero dell’ignoto.
Le dita finalmente indugiarono su una vecchia copertina rigida e marrone. Il nome dell’autore le era talmente caro che sorrise di tenerezza. Sfilò il libro dalla sua cruna e lo cullò tra le mani, pronta ad aprirlo.
Pablo Neruda, “Cento sonetti d’amore” .
Ne aveva una copia decisamente più moderna nella libreria di camera sua, una copia più sgualcita anche, sebbene l’avesse consultata raramente e mai del tutto terminata. Eppure, quel tanto che aveva letto, aveva posizionato Pablo Neruda in una posizione privilegiata nella sua scala di predilezioni letterarie.<
Lo sfogliò lentamente, lasciando che le dita accarezzassero ogni pagina. In alcune c’erano segni di matita, tesi ad evidenziare versi specifici. Curiosa, si concentrò sui versi del primo sonetto tempestato di segni.

LXXVIII
 
Non ho mai più, non ho sempre. Sulla sabbia
La vittoria lasciò i suoi piedi persi.
Sono un pover’uomo disposto ad amare i suoi simili.
Non so chi sei. Ti amo. Non do, non vendo spine.

Qualcuno forse saprà che non intrecciai corone
Insanguinate, che combattei la burla,
e che di verità empii la marea della mia anima.
Ricompensai la viltà con le colombe.
 
Io non ho mai perché diverso
Fui, sono, sarò. E in nome
Del mio cangiante amore proclamo la purezza.


La morte è solo pietra dell’oblio.
Ti amo, bacio sulla tua bocca la gioia.
Portiamo legna. Faremo fuoco sulla montagna.


– Del mio cangiante amore proclamo…– rilesse Josephine, la voce venne fuori in un sospiro, appesantita dalla malia e da una sempre più familiare ed immaginaria fitta al fianco. Se lo toccò, quasi per constatare che fosse intero, che non ci fossero per caso degli artigli conficcati nella carne.
Si sentiva come intorpidita, mezza stordita dalla poesia e con riluttanza mise il libro al suo posto, con la promessa di tornare a leggere tutte le altre poesie cariche di segni. Probabilmente, qualcuno in famiglia divorava Neruda e lo massacrava e sgualciva con pieghe e segni quasi molesti. Un amatore appassionato della poesia. Jo si voltò a guardare Robb, che ancora si beava di quel riposo, e si domandò se non fosse opera sua, quella verve libresca. Se Neruda non fosse parte della sua media di cinque libri annui. Ce lo vedeva Robb appassionato di Neruda, anche se forse no. Forse no. Quella era poesia romantica e Robb era forse l’uomo più sentimentale che avesse mai conosciuto, ma il suo era un sentimentalismo puro, semplice, senza indugi, colorato, quasi felice.
Non avrebbe apprezzato, probabilmente, quell’oscurità di cui l’amore può nutrirsi. Non avrebbe compreso pienamente il legame struggente che rende l’amore fratello della morte stessa.
Robb amava dolcemente, in un modo che Josephine definiva luminoso. Tanto brillante da rischiarare le sue tenebre, abbagliante abbastanza da dare luce ad entrambi.

Jo guardò ancora quel libro e si concentrò a fissarlo per molto tempo. Stava cercando di ricordare dove avesse letto una certa frase che più o meno recitava: Un lettore, sottolineando, svela un po’ della sua anima. O una cosa del genere.

***
Robb, quella sera, portò Jo in giro per le strade, si fermarono in qualche locale, presero una birra in un chioschetto e ripresero a camminare, abbracciati in un modo che a vederlo pareva quasi indistricabile.
– Ti piace Neruda, Robb? – buttò lì, quando le saltò in mente la lettura pomeridiana.
Robb arricciò le labbra e corrugò la fronte, coinvolto in una diatriba con la sua mente, poi scosse la testa e Jo lo sentì sollevare le spalle e con lui dovette muoversi anche lei, tanto era stretta in quell’abbraccio.

– Non ricordo di averlo mai letto. Forse una volta, non mi ricordo. Non una memoria esattamente ferrea quando si tratta di poesia.
– Soltanto? – lo rimbeccò lei, giocosamente, con un pizzico di delusione sul fondo dello stomaco.
– Beh, non ho quasi mai una gran memoria, tranne che per una cosa. – E la guardò con tanto amore che Jo fu sul punto di baciarlo.
– Sarebbe? – chiese lei con la voce ridotta ad un sussurro.
– Conosco ogni parte di te, Jo. Ogni meravigliosissima parte. – Colse l’occasione per lanciarle un’occhiata un po’ maliziosa, che lei non ricambiò, persa com’era a guardargli le labbra. Voleva baciarlo e zittirlo. Non sapeva quale fosse la cosa che desiderava di più. Quella tenerezza a volte la stordiva e non sempre sapeva accoglierla come forse lui si aspettava facesse. Robb, all’improvviso, la liberò dall’abbraccio e si sfilò la digitale tascabile da una delle tasche interne del giubbino e Jo non ebbe il tempo di replicare, né di impedirglielo. Lui la sorprese, un flash spiazzante.
Non controllò nemmeno se la foto avesse colto ciò che aveva visto, si preoccupò soltanto di rimettere al suo posto la digitale,  di incorniciare il viso di Josephine tra le mani e di baciarla, dolcemente. Josephine rispose al bacio, sentendosi molle in quella presa, eppure il fianco le pulsava. Ignorò quella sensazione e lo pregò di tornare a casa.
Non persero tempo, quasi corsero pur di placare quella smania improvvisa. Giunti a casa, il desiderio si era in un certo senso assopito, come se il calore e ciò che rappresentavano quelle mura castrasse ogni pensiero proibito.
Quella notte, ad ogni modo, fecero l’amore dolcemente, brevemente, senza lussuria. Jo si raggomitolò vicino alla spalla nuda di Robb che, stanco, si lasciava lambire dal bacio del sonno.
Rimase a fissarlo per un tempo che le parve interminabile, poi si voltò di spalle e si abbracciò forte.
A volte, come quella notte, dubitava di meritare quell’uomo e la sua spietata dolcezza. Sentiva di amarlo teneramente e avrebbe tanto voluto dimostrarglielo, esplodendo di una passione di cui spesso si rimproverava di non bruciare.

“Io non ho mai perché diverso
Fui, sono, sarò.”


Come inchiostro, quei due versi, le imbrattarono di nuovo la mente.
   
 
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