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Autore: ValentinaRenji    18/08/2014    2 recensioni
“Buongiorno Grimmjow, hai già bevuto il caffè oggi?”
Un uomo dai capelli argentati e lo sguardo beffardo, quasi socchiuso, scruta felino Grimmjow senza mai assopire il tagliente e ironico sorriso impresso sulle labbra sottili. La sua carnagione è chiara, anzi, chiarissima, talmente pallida da sembrare un raggio di luna.
“Avvocato Gin, buongiorno a lei.” Mormora l’azzurro, corrucciando le sopracciglia: ecco, il suo momento di serenità è già terminato. Sbuffa impercettibilmente, fra sé e sé: in fondo lo sapeva bene che quell' attimo magico non poteva durare in eterno.
Genere: Erotico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Yaoi, Crack Pairing | Personaggi: Espada, Gin Ichimaru, Kurosaki Ichigo, Sosuke Aizen, Un po' tutti
Note: AU, Lemon, OOC | Avvertimenti: Spoiler!
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CAPITOLO 19:  Betrayal
 

“Cosa? Cosa sta dicendo? Che storia è questa?”
Il ragazzo sbatte un pugno sull’ampia superficie liscia, linda, facendo traballare l’intera scrivania; le penne oscillano nei loro contenitori di vetro cristallino, una manciata di fogli cade a terra con sommesso fruscio.
“Grimmjow, calmati.”
“Calmarmi? C’è qualcosa che vada bene in questo schifo di giornata?”
“Sono il tuo direttore, non rivolgerti a me in questo modo.”
L’azzurro lancia un’occhiata furente all’uomo comodamente adagiato alla poltrona di pelle scura, la guancia appoggiata al dorso della mano rosea, il consueto ciuffo mogano scostato con gesto abituale. Sente il peso di quelle iridi cioccolato, percepisce il profondo abisso celato da quei pozzi penetranti, il respiro sembra mancare.
Odia avere a che fare con lui, odia averlo accanto e soprattutto … odia essere ripreso da lui cinque minuti prima di andarsene dal posto di lavoro.
Vorrei solo tornare a casa, abbracciare Ulquiorra e …
Le labbra si inclinano in una smorfia sgomenta, ignorando bellamente la ramanzina di Aizen sama sull’obbligo di non dover far fuggire i clienti a gambe levate.
Ulquiorra … perché ti stai comportando così. E’ vero, mi sono accorto dei tuoi cambiamenti ma … Kami! Dicevi di amarmi così tanto … come hai potuto abbandonarmi di punto in bianco senza alcuna spiegazione. Tu poi, perennemente riflessivo e minuzioso. Cosa ti è successo?
Forse … hai trovato un altro ragazzo?
No … impossibile.
Ulquiorra non … non …
“ … Mi stai ascoltando Grimmjow?”
“Ah? Tsk. Non me ne frega un cazzo. Io me ne vado.”
“Tu non vai da nessuna parte finchè non lo dico io. Ritorna seduto.”
Non alza la voce eppure quel tono secco e coinciso costringono il dipendente ad irrigidirsi, a lottare con tutta la propria volontà per non eseguire quell’ordine, rimanendo in piedi come una statua, immobile, la schiena percorsa da brividi. Sta giocando con il fuoco e lo sa bene ma , sinceramente, non gli importa poi molto: la sua priorità è schiarirsi le idee, chiarire le cose con Ulquiorra e tornare finalmente a casa per addormentarsi fino al mattino seguente, esente dalle preoccupazioni e dall’angoscia.
Fortunatamente la discussione viene interrotta da un mesto bussare alla porta, subito aperta con fare confidenziale. Una voce melliflua s’insinua fra i due litiganti, gelando l’atmosfera tesa, pungente, sospendendola come un filo appeso nel vuoto.
“Ohm … chiedo scusa per il disturbo … devo rubarle solo cinque minuti.”
“Non ti preoccupare Szayel Aporro, siediti pure accanto a Grimmjow.”
“Oh no no, non serve grazie. Sono venuto solo per consegnarle questo.”
Il medico estrae dalla tasca del camice bianco una chiavetta usb, le iridi ambrate scintillanti sotto la bianca montatura si poggiano sull’amico dal manto turchese, domandandogli silenziosamente il motivo di quell’espressione corrucciata, simile a quella di una persona in preda all’ira più totale.
Distoglie lo sguardo dorato dopo pochi secondi, dedicandosi con finta reverenza al direttore , porgendosi sulla scrivania con quel solito atteggiamento ambiguo, giocoso, i gomiti poggiati sulla fredda superficie.
Il capo accenna un sorriso, scrutando il piccolo oggetto nel palmo della mano.
“Chi ti manda qui?”
“L’avvocato Ichimaru. Doveva correre a sbrigare delle faccende, mi ha pregato di portarla da parte sua. Ha detto di riferirle che contiene i dati da lei richiesti ieri pomeriggio.”
“Ti ringrazio. Come sta tuo figlio?”
Un lampo di gioia attraversa le perle giallastre, facendogli abbozzare un sorriso senza nemmeno accorgersene.
“Sta bene, al momento sta dormendo nel mio ambulatorio. Infatti la prego di scusarmi, ma devo tornare da lui.”
“Nessun problema, grazie nuovamente.”
Lo saluta con un cenno della mano, osservandolo in silenzio mentre si allontana, le mani conserte dietro la schiena slanciata.
“Dovresti essere più responsabile Grimmjow, prendi esempio dal tuo collega.”
Il giovane sgrana le iridi cerulee, strozzando un urlo di rabbia nella gola. Deglutisce, passando le dita fra le ciocche scompigliate.
“Tsk, procreare in giro e ritrovarsi padre senza saperlo lo trova indice di persone responsabili?”
“Non ho detto questo. Sottolineo invece che si è assunto piena responsabilità del problema, ponendovi rimedio a sue spese. Cosa che dovresti fare tu: invece hai lasciato fuggire un cliente che probabilmente, nel migliore dei casi, ci manderà una denuncia.”
“Quante storie! Non perderò altro tempo a discutere di certe cazzate! Me ne vado a casa.”
Spinge rumorosamente la poltrona verso il direttore, dandogli le spalle, fuggendo a grandi falcate da quell’inferno opprimente, odioso, soffocante.
Prima il proprio compagno che impazzisce.
Poi il superiore che non apprezza il suo operato.
Cosa manca, adesso?
Sono passati tre giorni …
Estrae lo Smarthphone dalla tasca dei jeans attillati, aderenti, controllando lo schermo vuoto: zero chiamate, zero messaggi.
Sospira, estraendo con rabbia l’ultima Malboro del pacchetto ormai vuoto, portandola fra le labbra con stizza, senza nemmeno accorgersi di trovarsi di fronte all’ufficio di Ulquiorra Schiffer.
Rilegge il suo nome per quella che gli pare essere un’infinità di volte, non riesce neppure a contarle. Le pupille oscillano dalla targhetta con incise le parole alla porta chiusa, dondolando come una barca fra le onde del mare. Vorrebbe entrare, inspirare il profumo del suo ragazzo, del suo amante, della sua stessa vita.
Vorrebbe accarezzare la sedia su cui lo ha visto accovacciato più volte, dedito a compilare chissà quale diagnosi in fogli densi di scritte nere, il piccolo astuccio ordinatamente riposto in un angolo della scrivania, la luce esterna che filtra dalle veneziane abbassate inondando quel ritaglio di spazio con un caldo alone aranciato.
Sembra più uno studio, un’ala di una casa che l’ufficio di uno psicologo. Anzi, Ulquiorra stesso sembra un comune individuo privo di abilità particolari, immerso nel male di vivere, assuefatto dall’apatia. Ed invece trascorre ore ed ore ad ascoltare i suoi pazienti con attenzione e scrupolosità, ad annotare i loro problemi, le loro ansie per aiutarli infine a trovare una soluzione ed abbracciare finalmente la felicità.
E tu, Ulquiorra? Perché hai rinunciato alla felicità?
Non ti basto più?
Cosa cerchi realmente?
Una fitta gli perfora il ventre al solo pensiero di dover tornare nell’abitazione che condivide con lui, dove si trovano ancora le sue cose, i suoi vestiti, i suoi quaderni. Vorrebbe riabbracciarlo, riaverlo accanto ma le glaciali parole dell’addio risuonano assassine nella mente, con forza sempre maggiore, un coltello conficcato nella carne che lo squarcia dolorosamente.
“Non voglio tornare a casa …”
“Perché?”
Sobbalza, voltandosi di scatto verso la fonte di quella voce a lui ben nota.
Da quanto si trova lì?
Sbatte le palpebre incredulo, fissando la chioma ramata di Ichigo, intento a scrutarlo con aria altrettanto corrucciata e dubbiosa. I primi raggi del tramonto invadono il corridoio vuoto con tiepida essenza aurea, baciando i loro visi d’oro e arancione, donando riflessi rossastri a quelle ciocche scompigliate dal colore inusuale.
“Fragolo … che ci fai qui.”
Il collega ride spensierato, grattandosi il capo distrattamente.
“Ci lavoro!”
Grimmjow grugnisce imbronciato, bofonchiando qualcosa di incomprensibile, limitandosi a lanciare un’occhiata truce al giovane poco distante da lui.
“Va … va tutto bene?”
L’azzurro non risponde, dedicandosi alla ricerca dell’accendino disperso in qualche tasca: la sfortuna però colpisce ancora.
“Merda.”
L’eco dei passi fra le pareti spoglie e chiare, la distanza che svanisce, una mano che si poggia sul suo braccio.
Incontra due perle nocciola, dalle sfumature caramello, deglutisce, privo persino della forza per respirare.
Perché quel contatto irradia un tale calore?
Perché la sua mano è così rassicurante?
Cos’è questa sensazione … avvolgente?
Si fissano per un attimo, vicini da inspirare il profumo l’uno dell’altro, inebriandosene fino a star male.
Grimmjow non si era mai accorto (fino a quel momento) di quanto fosse cambiato colui che, fino ad un anno e mezzo prima, era un semplice stagista dai jeans strappati e la camicia malamente abbottonata: si sofferma sulla giacca blu sapientemente abbinata alla camicia bianca, linda, impeccabilmente aderente al fisico maturo tanto da sembrare una seconda pelle. Scende, incorniciando i jeans scuri ed eleganti, risalendo di nuovo fino alle ciocche ramate che ricadono dolcemente sul volto dai lineamenti semplici, gentili, giovanili.
Per la prima volta, senza rendersene conto, pronuncia il suo nome.
“Ichigo.”
Il ragazzo sussulta, sgranando gli occhi dalla sorpresa, paonazzo in volto.
“Finalmente non mi chiami più con quello stupido soprannome.”
Cerca di ridere ma l’emozione soffoca qualsiasi intenzione nel petto. Si limita a stringere la presa sul braccio del collega, beandosi di quel calore tanto desiderato, di un contatto insperato con la persona che ama dal primo istante in cui l’ha incontrata.
“Senti Grimmjow … sei sicuro di stare bene?”
“No … non sto bene.”
“Se vuoi puoi parlarmene. Magari non troveremo una soluzione, a dire la verità non sono nemmeno bravo a dare consigli però possiamo discuterne assieme a ragionarci, ok?”
Nel dire quelle parole arrossisce, la voce tremula tradisce l’apparente convinzione, facendo trapelare ogni sfaccettatura d’insicurezza, di timore, di orgoglio.
“Non sei cambiato per niente …. Fragolo.”
“Oh no! Ancora! Pensavo avessi smesso finalmente!”
Grimmjow ridacchia, sospirando:
“Non contarci troppo, pivello.”
Si avviano insieme lungo le scale, ognuno immerso in muti pensieri , accompagnati solamente dall’eco dei passi disperso fra le pareti dell’enorme struttura.
“Grimmjow …”
“Cosa?”
“Se non vuoi andare a casa … ecco … possiamo fare una passeggiata.”
Il cuore gli esplode nel petto, scalpita a mille, pare voler scappare dalla cassa toracica e palpitare all’infinito. Le gote assumono una colorazione carminio, le dita si arrovellano fra loro in istanti interminabili di trepidazione.
E’ la mia unica occasione per trascorrere un po’ di tempo con lui. Da quando mi hanno assunto a pieni titoli non condivido più l’ufficio con Grimmjow ed è già tanto se lo vedo di sfuggita durante la pausa pranzo.
Mi basta stargli accanto qualche minuto … per essere davvero felice.
Inspira profondamente senza staccare lo sguardo dalle perle turchesi del collega.
“D’accordo … perché no. Andiamo, allora.”
 
 
Ichigo si sente in paradiso.
Osserva le onde infrangersi sul bagnasciuga, spumose, illuminate solo dagli ultimi raggi di un sole ancora invernale ormai quasi scomparso dietro l’orizzonte marino dal manto increspato.
Inspira l’aria salmastra beandosi della brezza fresca fra i capelli, godendo il meraviglioso panorama di quella piccola baia dimenticata dal resto del mondo. Dietro di sé la vegetazione cresce maestosa, intarsiando i tronchi scuri con felci dalle piccole fronde, rimpicciolendosi via via che s’avvicina alla linea sabbiosa che la separa dalle acqua salate.
Si stringe fra le braccia, espirando un rivolo di vapore.
“Hai freddo?”
Annuisce, continuando a camminargli accanto, due linee parallele, vicine, avvolte nei rispettivi cappotti.
“Un po’. La sera fa ancora freddo … soprattutto qui.”
“Hai ragione. Però è bello, no?”
Il giovane lo osserva in silenzio, pensando che in realtà la cosa più bella consiste nell’essere lì, con lui.
Ripensa alla loro chiacchierata, ai passi attutiti dalla sabbia, al suono musicale delle onde, alle conchiglie abbandonate sulla  riva umida. Ripensa al tramonto tiepido, avvolgente, sorprendendosi nel constatare che è la prima volta che lo osserva insieme a qualcuno che non sia suo padre o le sue sorelline.
“Non mi hai ancora detto perché non vuoi tornare a casa …”
Grimmjow si ferma improvvisamente, ficcando le mani in tasca, sul volto dipinta un’aria lugubre. Lancia uno sguardo distratto al mare, sempre più scuro proprio come il cielo che si prepara ad accogliere la notte.
Poi si volta, puntando le iridi cerulee in quelle nocciola del collega.
“Non ha più importanza Fragolo. Sto meglio ora.”
“Stai mentendo! Ma .. ma non importa. Se non vuoi dirmi cosa c’è che non va … anche se vorrei aiutarti in qualche modo.”
L’azzurro sorride mestamente, ripercorrendo mentalmente quell’ora trascorsa con Kurosaki: in effetti hanno discorso di qualsiasi argomento, dalle rispettive passioni nel tempo libero ai problemi lavorativi, dal cliente peggiore del mese alla gentile signora che, ogni fine settimana, regala ad Ichigo una scatola di cioccolatini fondenti. Hanno chiacchierato del loro passato, della famiglia del ramato che, a detta sua, è leggermente singolare, particolare, dettaglio che ha suscitato curiosità in Jeagerjaques.
Non riesce a capacitarsene eppure, in quei circa sessanta minuti, non ha pensato nemmeno una volta ad Ulquiorra e al dolore che il suo semplice nome gli provoca nel petto. Non ha sentito le fitte della sua assenza, non ha provato l’angoscia del suo silenzio dopo tali parole terribili.
Si è sentito … bene. Libero, sereno, colmo di un calore nuovo ed indescrivibile, del tutto diverso dalla sensazione solitamente trasmessagli dal corvino.
È così immerso nei pensieri da non accorgersi d’essere ritornato alla macchina, parcheggiata in una piccola radura scura, attorniata dalla vegetazione, di fronte ad essa solo il mare.
“Meno male c’è ancora un po’ di luce, altrimenti non l’avremmo ritrovata più.”
“Dovrebbero mettere dei lampioni, non credi?”
Grimmjow preme la chiave, facendo lampeggiare le luci del veicolo ed aprendo la portiera, infilandosi all’intero della vettura sul sedile del conducente. Ichigo segue i suoi movimenti, chiudendosi all’interno con un tonfo secco.
L’azzurro accende l’ultima sigaretta, conservata fino quel momento, espirando il fumo grigiastro all’esterno del finestrino appena abbassato, ricominciando a parlare:
“Forse … ma se li mettessero … rovinerebbero la bellezza di questo posto.”
“Già hai ragione. Non ci avevo pensato.”
“Ovvio che no. Sei una fragola, come potevi farlo?”
Ichigo apre la bocca per imprecargli contro che no, non è una fragola e di smetterla di chiamarlo così quando due labbra si posano sulle sue, spegnendo ogni tentativo di protesta come una pioggia improvvisa su una flebile fiamma. Sgrana le iridi caramello, tentando malamente di respirare, confuso, le labbra ancora unite, il caldo palmo di Grimmjow sulla sua guancia liscia; il cuore batte talmente forte da provocargli dolore nel petto.
Il ragazzo dal manto turchese si separa dal collega di qualche centimetro, quanto basta per scrutarlo negli occhi languidi e sussurrargli le parole direttamente sul volto arrossato, scosso, sorpreso, ingenuo.
“Ichigo …”
Lascia cadere la sigaretta all’esterno del finestrino, portando l’altra mano sul fianco del più giovane ormai in balia di ogni suo gesto; lo bacia nuovamente, approfondendo l’umido contatto, giocando con la sua lingua, affamato, assetato, famelico.  Desidera ardentemente provare quel calore in tutto il suo corpo, inebriarsene per non soffrire mai più. Vuole Ichigo, lo vuole adesso, perché nessuno prima d’ora è mai riuscito a dissolvere i suoi demoni con una semplice passeggiata lungo la riva del mare.
Kurosaki socchiude le palpebre, abbandonandosi al bacio dell’altro, convinto di vivere un sogno magnifico, incredulo di veder finalmente realizzata la sua ambizione più grande. Percepisce la mano di Grimmjow scivolare sotto la camicia aderente, carezzare gli addominali accennati, tastare ogni lembo di pelle rovente, dedicandosi poi a sbottonare con malcelata fretta i piccoli bottoni bianchi dell’indumento, uno dopo l’altro, fino a sfilarlo totalmente.
Sussulta, non per l’improvviso freddo, non per le carezze, non per i morsi lungo il collo e le clavicole.
Sussulta perché ha paura, confinato in una soffocante ambivalenza di desideri ed emozioni.
Mantiene gli occhi chiusi, percependo la scia di baci scendere lungo l’addome; porta le sue dita fra le ciocche azzurre del collega, stringendole per avvicinarlo ed allontanarlo al medesimo tempo. Quando sente le sue mani scendere, però, si sottrae inevitabilmente, la schiena aderente alla portiera chiusa, il petto scosso dal respiro irregolare.
Grimmjow sbatte la palpebre, perplesso, corrugando le sopraciglia.
“Che succede?”
Kurosaki arrossisce, abbassando lo sguardo, paonazzo di vergogna, livido di timidezza.
Istintivamente si riabbottona i pantaloni, aderendo ulteriormente alla superficie fredda della vettura, evitando il contatto visivo con l’altro che, rude, gli afferra il mento, costringendolo a guardarlo.
“Fragolo …”
Non risponde, si limita a deglutire, incrementando l’espressione accigliata dell’altro.
“Fragolo ……”
Il viso è ormai rosso come un pomodoro.
“Fragolo tu …”
“Non l’ho mai fatto ok?”
Sbraita istintivamente, come un cucciolo che abbaia ferocemente per difendersi dal predatore che lo spaventa a morte, indossando una corazza di coraggio per celare la fragilità interiore.
Nel dire quelle parole , però, la sua voce trema, come il resto del corpo magro.
Grimmjow si blocca, immobile, per la prima volta in tutta la sua vita si trova privo di idee su come affrontare una situazione.
“Nemmeno con una …”
“NO CON NESSUNO OK?”
L’azzurro non può fare a meno di ghignare: quel giovane casto, ingenuo, dal cuore puro e gentile ora è di fronte a lui simile ad un cerbiatto spaventato, tremante come una foglia, negli occhi la paura unita al desiderio. Non può resistergli, non intende tirarsi indietro proprio ora, ma al medesimo tempo non vuole costringerlo a compiere azioni di cui potrebbe pentirsi.
Cinge piano la sua mano, portandola lentamente verso di sé, appoggiandola sul petto ancora vestito dalla camicia nera:
“Sbottonala.”
Lo accompagna nel movimento, piano, intrecciando le dita con inaspettata dolcezza, finchè il tessuto si apre a metà lasciando scorgere la lunga cicatrice sul petto.
Ichigo si sporge timidamente verso lo sfregio, iniziando a baciarlo con semplicità, impacciato, cercando di emulare quando vissuto pochi attimi prima nonostante le sue idee siano ancora confuse.
Grimmjow sospira, rabbrividendo a quel contatto, abbassando impercettibilmente il sedile fino a trovare il corpo del giovane sopra al suo, la pelle chiara ed invitante illuminata dai raggi della luna da poco salita nel cielo ossidiana.
Lo sente sussultare, respirare faticosamente, lo sente fremere di paura ed emozione, soprattutto quando gli cinge il bacino con le mani, ribaltando le posizioni con un colpo di reni, trovandosi ora faccia a faccia, così vicini da unirsi nuovamente in un lungo bacio.
Ichigo stringe le spalle nude dell’amante, assaporandolo intensamente mentre percepisce la sua mano insinuarsi nei pantaloni ora sbottonati, sussultando ad ogni stretta, movimento, carezza, tocco. Si sente morire d’imbarazzo e di piacere, non riesce a trattenere i gemiti che, sempre più copiosi e intensi, scivolano fra le labbra giungendo alle orecchie dell’azzurro come una melodia profonda.
Una forte calore lo invade interamente, facendogli inarcare la schiena ed urlare, graffiando la pelle rosea del compagno che ghigna compiaciuto. Kurosaki schiude la palpebre, frastornato, cercando di riacquisire consapevolezza di sé, di cos’è appena accaduto , del perché il cuore palpita tanto forte.
Non appena se ne rende conto però viene invaso dal panico: inizia a gesticolare, rosso fino al collo, balbettando agitato, cercando di allontanarsi dal carnefice intento a leccarsi le dita con sguardo malizioso.
“Sm … smettila! Pervertito! Stammi lontano!”
“Troppo tardi.”
“C… cosa … no no ehi! Fermo!”
“Sei mio Fragolo.”
Lo bacia con dolcezza ponendo la parola fine alle sue repliche, facendolo sciogliere come neve al sole.
I pantaloni di entrambi scivolano via, adagiandosi sui tappetini dell’auto spenta. Un momento di silenzio, scandito solamente dai respiri dei due presenti; si guardano negli occhi, specchiandosi l’uno nell’altro.
Kami Grimmjow … sei bellissimo.
Non hai idea di quanto posso amarti.
Spero solo che tu non mi stia usando come ...
“Non pensarlo nemmeno.”
“Cosa!?”
“Non ti sto usando. Mi piaci veramente.”
Ichigo deglutisce, tremando, le iridi nocciola posate su quelle azzurre dell’amante. Un bacio, poi lo sguardo cade sugli addominali scolpiti  che iniziano a muoversi piano, accompagnati da un forte dolore per il più giovane, che non riesce a trattenere un urlo, aggrappandosi alla schiena del compagno.
“Per favore, piano!”
“Shh.”
“Grimmjow per fav…”
La mente si annebbia, non ragiona più, i corpi si fondono, proprio come le loro anime. Non esiste nulla, non c’è  spazio per le preoccupazioni del mondo: ci sono solo loro, niente altro.
 
* * *
 
“Fragolo … forse è meglio che torno a casa. Non credo sia una buona idea.”
L’azzurro fissa il compagno seduto accanto a lui, la mano stretta sulla maniglia della portiera della macchina spenta accostata adiacente al marciapiede. Gli passa le dita fra i capelli rimati ancora scompigliati, sistemandone una ciocca ribelle, con dolcezza.
“Davvero, non è un problema!”
“Fragolo … non vuoi farmi conoscere la tua famiglia e presentarmi come tuo legittimo fidanzato … vero?”
“COSA? Che diavolo ti salta in mente baka! Non mi è nemmeno passato per la testa!”
Arrossisce, stringendo i pugni stizzito.
“Ho solo pensato che non volendo tornare a casa tua ti avrebbe fatto piacere stare nella mia finchè non ti senti meglio.”
“Sto già meglio.”
Osserva l’abitazione dal piccolo giardino, incerto sul da farsi; poi qualcosa attrae la sua attenzione: un uomo sporto dalla finestra che gesticola animatamente, sul volto un sorriso raggiante ed un’espressione buffa.
“Ehm … Fragolo .. lo conosci?”
“… E’ mio padre.”
“Uhm . Pare un tipo … bizzarro. Beh, andiamo.”
Scendono dalla macchina in contemporanea, assaliti dai festosi saluti di Isshin:
“Ichigooooooooo! E’ pronta la cenaaaaaaaaaaaaaa!”
L’uomo si catapulta addosso al figlio sferrandogli un calcio, che viene prontamente evitato e ricambiato con un pugno in pieno volto che fa sobbalzare il povero Grimmjow.
“Vecchio! Siamo appena sul cancello e tu ci accogli così?”
Il padre di Ichigo sembra accorgersi dell’ospite sono in quel momento: lo fissa per qualche istante, nel volto un’aria entusiasta seguita da un abbraccio affettuoso e numerose pacche sulle spalle.
“Che bel giovane! Sei un suo collega? Vieni a cena da noi! Vuoi restare vero? Anche a dormire? Anche per sempre se vuoi!”
“Vecchio!”
Ichigo lo sorpassa a grandi falcate, trascinando uno sconvolto collega per il braccio, seguito dagli urletti gioiosi del capofamiglia che, per l’intera cena seguente, non ha fatto altro che comportarsi buffamente facendo ridere sinceramente Grimmjow, attorniandolo di un calore familiare mai avuto in vita sua.
“Allora Grimmjow! Tu e mio figlio avete già vissuto il periodo degli accoppiamenti?”
L’azzurro ride sguaiatamente, mentre il compagno si soffoca con un sorso d’acqua, maledicendo mentalmente il vecchio per il suo atteggiamento impiccione.
“Siamo solo dei colleghi diamine! Come te lo devo dire!”
“Ok ok scusa Icchy. Allora la prossima volta che … lavorate insieme … nelle vostre … sedute professionali … ricordati di abbottonarti i pantaloni!”
Ride divertito, ammiccando, per poi lanciarsi sul divano con Karin e Yuzu lasciando alle sue spalle un figlio completamente paonazzo ed un ospite in preda a convulsioni causate da eccessiva ilarità.
Terminata la cena Grimmjow vede per la prima volta la camera del suo collega: è semplice, spoglia, intrisa del suo profumo. Il letto singolo è aderente alla parete, sovrastato dalla finestra mentre nell’altro lato vi è una scrivania sovrastata da qualche libro ed infine un armadio a muro dalle ante color avorio.
Lo apre, estraendone un futon, nonostante il suo letto pare abbastanza grande per entrambi: certo, non spazioso, ma pare una missione fattibile.
Grimmjow lo osserva accigliato, ascoltando la voce di Isshin proveniente dal soggiorno al piano inferiore intento a commentare il programma televisivo.
“Cosa c’è? Se preferisci ti lascio il letto. Tieni.”
Gli lancia una maglia abbastanza larga, lasciandogli intuire che consiste nel suo pigiama. Si volta, dandogli le spalle, spogliandosi con pudore, sfilando timidamente gli indumenti certo di essere osservato.
Il collega si lascia cadere sul letto, sospirando, senza distogliere le perle bluastre dalla schiena chiara del più giovane.
“Certo che sei un tipo strano. Abbiamo fatto ses…”
“SHH! Non dirlo!”
“Ti imbarazza tanto?”
Non ottiene risposta ma , fortunatamente, lo squillo dello Smarthphone gli impone un temporaneo termine nell’importunare verbalmente fragolo. Sbuffa, aprendo la telefonata senza nemmeno guardare il mittente.
“Pronto?”
“Credevo fossi morto.”
“Non sono morto idiota.”
“Oho, si l’ho notato. Hmm senti, posso chiederti un favore?”
“Dimmi.”
“Posso usare la tua stampante? La mia si è appena inceppata.”
“D’accordo, ma non sono a casa. Vai pure comunque, tanto hai le chiavi.”
“Non sei in casa? È già tornato Ulqu…”
“FOTTITI!”
Butta giù la chiamata, spegnendo il cellulare con un sonoro grugnito.
“Maledetto Szayel, che scocciatura.”
Si spoglia velocemente, indossando la maglia imprestatagli da Ichigo, coprendo il fisico scultoreo.
Incrocia il suo sguardo, notandovi una nota malinconica, triste, cupa, una patina velata.
“Scusami … solo ora mi rendo conto di cosa ti ha causato tanto malessere. È per Ulquiorra, vero? Mi dispiace così tanto … non credevo … anzi, non ho voluto credere …”
“Non dirlo nemmeno. E’ vero ha a che fare con lui ma tu non hai rubato nulla a nessuno se è questo che ti preoccupa. Io e Ulquiorra non stiamo più insieme per quanto … per quanto la cosa sia ancora molto indefinita.”
“Ho rovinato la vostra relazione.”
Come una pantera l’azzurro balza dal materasso, avventandosi su Kurosaki, baciandolo con foga. Lo stringe fra le braccia, sollevandolo dal pavimento, cadendo insieme sul letto del ramato. Si stendono su un fianco, vicini, infilandosi sotto le lenzuola di flanella per scaldarsi nonostante non ve n’è bisogno.
“Fragolo non ti dirò tante smancerie, ma sappi che non hai rovinato niente quindi non farti paranoie inutili. Chiaro?”
L’arancione annuisce, allungando un braccio per spegnere la lampada dall’alone dorato, lasciando invadere la stanza dalla sola luce della luna e dei lampioni lungo la via.
Quella notte si sono amati altre volte, stretti l’uno all’altro, avvolti dalle morbide coperte, le bocce aderenti proprio come i loro corpi bollenti. Si sono desiderati ardentemente, mentre nelle altre stanze la quotidianità scivola placidamente, scandita dai ticchettii dell’orologio: ma per Ichigo e Grimmjow il tempo ha smesso di scorrere, non esiste più. Vi è solo la camera semi buia, il loro respiro, i gemiti sommessi, ma soprattutto vi è un calore nuovo ed indescrivibile, un fuoco nato solo dalla collisione delle loro anime, una luce che scalda entrambi nel profondo cancellando ogni spina del dolore.
Si sono addormentati abbracciati, sfiniti, le palpebre pesanti, i capelli arruffati. Si sono assopiti senza alcun pensiero nella mente, senza alcun nodo aggrovigliato nella gola.
Si sono amati e basta, come due persone che finalmente riescono a trovare una sorgente cristallina in cui specchiarsi ritrovando il proprio riflesso.
 
 
 
   
 
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