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Autore: Nuel    18/08/2014    5 recensioni
Dopo gli incresciosi fatti accaduti all'Ufficio Misteri, Ministero della Magia, Lucius Malfoy viene arrestato. Per suo figlio Draco termina in quel momento l'infanzia e le sue giovani spalle vengono gravate dal peso dell'essere un Malfoy...
♣ Questa fanfiction si è classificata prima al contest Tormenti e ossessioni ~ Draco Malfoy, indetto da MaryScrivistorie sul forum di EFP
Genere: Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Famiglia Malfoy
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
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La mano del padre si strinse forte sulla sua spalla ed immediatamente la schiena di Draco si fece un po’ più dritta.
    Quand’era bambino, quello era stato un gesto frequente: suo padre gli camminava accanto, stringendo le dita forti sulla sua spalla, infondendogli coraggio ed orgoglio e lo guidava con sicurezza attraverso strade sconosciute e pericolose. A volte quelle strade erano semplicemente i corridoi del loro castello, uno, in particolare: la galleria dei ritratti.
    Draco ricordava esattamente la prima volta che vi era entrato, accompagnato da suo padre che lo affiancava solennemente, come se si trattasse di una cerimonia importate. In un certo senso lo era: Draco aveva cinque anni, era l’inizio dell’estate ed il sole entrava dalle grandi finestre a rombi del terzo piano, illuminando il pavimento di legno intarsiato e gli stucchi dorati, rimbalzando sugli specchi ed appiattendo le cornici dei ritratti appesi al muro.
    Lucius aveva aperto la grande doppia porta di legno scuro ed aveva guardato il figlio dall’alto in basso con un’espressione seria che gli aveva quasi tolto il fiato, poi gli aveva appoggiato la mano sulla spalla ed aveva annuito, spingendolo avanti.
    I passi sicuri di suo padre avevano fatto scricchiolare il pavimento, mentre lui camminava quasi in punta di piedi, per non fare rumore. Lucius doveva aver pensato che volesse sembrare un po’ più alto perché aveva accolto la sua iniziativa come il germoglio dell’ambizione.
    Impettito, nel suo abitino scuro e troppo serio, con gli alamari che disegnavano minuscoli serpenti attorcigliati sulla stoffa e lo faceva somigliare ad un adulto in miniatura, Draco era entrato, la testa alta, il petto in fuori e la boccuccia infantile arricciata nel primo abbozzo di una smorfia che avrebbe perfezionato nel tempo.
    Suo padre aveva detto che era giunto il momento di presentarlo ufficialmente agli antenati, ai Malfoy dei tempi passati, signori del castello e legittime consorti. Gli aveva anche detto che avrebbe dovuto ricordare, per il resto della vita, che da un Malfoy ci si aspettava sempre che fosse all’altezza del proprio nome e, quindi, di tutti quei signori dall’aria arcigna che lo avevano guardato dall’alto delle loro cornici.
    Il padre si era fermato davanti al primo quadro della galleria: un mago in armatura, con l’aria severa lo aveva squadrato bofonchiando che era troppo gracile. Lucius aveva sorriso ribattendo che Draco aveva i suoi stessi capelli: un biondo tanto chiaro da sembrare bianco. Quello era Sir Armand, il capostipite della loro famiglia, fedelissimo di Guglielmo I, che aveva ripagato i suoi servigi donandogli la tenuta su cui aveva fatto costruire il castello in cui ancora vivevano.
    Draco aveva salutato educatamente e si era presentato, venendo poi spinto verso un altro ritratto. Sir Nicholas Malfoy, secondo suo padre, era uno dei loro antenati più illustri e Draco aveva ereditato la forma appuntita del suo mento e, avrebbe aggiunto negli anni successivi, i suoi zigomi sporgenti: Sir Nicholas aveva ucciso un sacco di Babbani che avevano lavorato per lui, dando la colpa alla peste che flagellava l’Inghilterra in quegli anni. Se l’era cavata corrompendo il Consiglio dei Maghi, la versione dell’epoca del Wizengamot.
    Il terzo ritratto davanti a cui ricordava che suo padre si fosse fermato era quello di Lucius I. Draco rammentava il confronto tra i due uomini, quello in carne ed ossa e quello in tela e colori ad olio. Lo scintillio nei loro occhi era lo stesso e suo padre, tronfio d’orgoglio, aveva detto all’avo, che suo figlio aveva ereditato il suo portamento.
    Draco non sapeva ancora cosa significasse portamento, ma aveva capito che quello non sarebbe stato il momento opportuno per chiedere spiegazioni. Suo padre non lo aveva presentato come aveva fatto con gli altri e Draco aveva saputo solo in seguito che Sir Lucius non era famoso per altro che per il suo fascino: aveva corteggiato Elisabetta I, ma, rifiutato da lei, si era vendicato affatturandola.
    Draco aveva trotterellato avanti, entrando ed uscendo dai riquadri di luce che le finestre gettavano sul pavimento e contro il muro, strizzando gli occhi chiari, fino al quadro di Sir Brutus, tra i più agguerriti fautori della caccia ai Sanguesporco ed ai Mezzosangue, strenuo sostenitore dell’idea che i Babbani fossero esseri inferiori. 
    Suo padre, presentandolo a quell’antenato, si era detto orgoglioso di vedere in suo figlio la scintilla dei medesimi pensieri, di un’ideologia che da sempre i Malfoy avevano incarnato e che se ne stava incisa ad imperitura memoria nel cartiglio del loro blasone, sintetizzata da tre semplici parole: Sanctimonia Vincet Semper
    Draco non aveva avuto idea, a quell’epoca, di quanto quelle tre parole sarebbero state simili a delle catene ai polsi o ad un guinzaglio insopportabilmente corto ed aveva seguito suo padre verso la cornice in cui aspettava Sir Septimus, il Consigliere che aveva retto il governo magico inglese restando all’ombra di un primo ministro fantoccio: Osbert il Viscido.
    Quando era uscito dalla galleria dei ritratti, Draco non sapeva più chi era: si sentiva un collage di pezzettini dei suoi antenati, incollati assieme, ma incapaci di dare corpo ad una persona intera e si era sentito ancora più piccolo, accanto a suo padre che guardava avanti a sé, sicuro della propria identità e del proprio nome.
    Aveva dimenticato presto le signore Malfoy e molti di quegli antenati meno illustri, su cui batteva impietosa la luce del sole entro cui la polvere danzava silenziosamente, costringendo i ritratti a strizzare gli occhi od a lasciare le cornici, spostandosi altrove, senza etichette recanti nomi che avrebbero potuto aiutarlo a salutarli nella maniera corretta.
    Erano passati esattamente dieci anni, da allora e solo l’anno prima, suo padre aveva dovuto appendere a quella parete il ritratto del nonno, Abraxas Malfoy, colui che, grazie alla propria influenza, era riuscito a far dimettere il primo Sanguesporco divenuto Primo Ministro della Magia. 
    Ora la mano di suo padre sulla sua spalla stringeva di nuovo e Draco si sentiva come si era sentito allora: fragile, troppo piccolo per quello che gli si chiedeva di fare e, soprattutto, un insieme effimero di dettagli tenuti assieme con un collante troppo debole per trattenerli tutti al loro posto.
    « Lo farò, padre » si era sentito dire con una voce talmente bassa da non riuscire a riconoscerla, ma il singhiozzo di sua madre, accanto a lui, gli fece percepire la portata esatta delle proprie parole.
    Lucius annuì, il volto tirato sulle ossa forti. Il suo sguardo indecifrabile si mantenne ancora sul figlio per qualche istante, poi si spostò sulla moglie e la richiamò con tono che non ammetteva repliche: « Contegno, Narcissa ».
    Se le sue mani non avessero tremato, mentre gli Auror gli chiudevano le catene ai polsi, Draco avrebbe potuto credere che suo padre fosse fatto di pietra, intagliato su una montagna ed inamovibile, ma sapeva, ormai, che era solo una facciata.
    « Ti faremo tornare a casa, Lucius! » Narcissa si fece sdegnosa ed altera, come si mostrava sempre: la fiera moglie di un Malfoy, ma Draco non aveva più cinque anni ed era in grado di vedere dietro quella maschera, probabilmente perché ne portava una anche lui. Cercava di mantenerne una di adeguata, tragicamente consapevole di aver aggrottato le sopracciglia e di non riuscire a distenderle. La sua maschera, a differenza di quelle dei genitori, era tutt’altro che perfetta e per nulla collaudata.
    Quando gli Auror portarono via suo padre, per condurlo ad Azkaban, in attesa del processo per i fatti accaduti all’ufficio Misteri, Draco prese per un braccio la madre, pregandola di lasciare immediatamente quel posto
    Quel posto era il Ministero della Magia. Draco ci era stato da piccolo, sgambettando per tenere il passo del padre, che era un uomo importante, come tutti quei Malfoy i cui ritratti erano appesi nella galleria del terzo piano. A quel tempo non aveva un pensiero al mondo, se non compiacere i suoi genitori e, riuscirci, era stato facile: aveva imparato a leggere ed a scrivere a quattro anni e mezzo ed a cinque era stato affidato ad un precettore che si era sempre detto molto soddisfatto di lui.
    Poi era giunto il momento di andare a Hogwarts... 
    Tutto quello che era capitato da quel giorno in poi era colpa di un’unica persona e Draco sentiva il rancore crescere dentro di sé ogni volta che ci pensava e ci pensava spesso.
    Non voleva fare il suo nome; lui era tutto quello che avrebbe potuto essere Draco: brillante, intelligente, promettente ed era profondamente ingiusto che il mondo non se ne accorgesse.
    « Lo farò » ripeté a sua madre, dopo un po’ che erano rientrati a Malfoy Manor.
    Narcissa se ne stava immobile come una statua di sale, seduta sul divano foderato di tessuto damascato verde scuro, chiusa nel suo dolore dignitoso, ma nel sentirlo, finalmente levò gli occhi arrossati dal pianto su di lui. « Draco... » la sua voce era flebile « Vuoi fare la stessa fine di tuo padre?! »
    « Mio padre non è finito! » sbottò, a metà strada tra il pianto e la rabbia. 
    « Non è questo che intendevo dire » si affrettò a ribattere Narcissa, con un filo di voce che sembrava sul punto di spezzarsi.
    « In ogni caso, il Signore Oscuro se lo aspetta. Se mi tirassi in dietro... non voglio nemmeno pensare a cosa potrebbe... » le parole gli morirono in gola. Si umettò le labbra screpolate e lasciò che lo sguardo si ancorasse, sconfitto, alla punta lucida delle sue scarpe nere, anziché andare alla deriva per la stanza, in cerca della rassicurante presenza di suo padre.
    Sua madre non rispose: ovviamente sapeva che non c’era alternativa. Lucius aveva fallito troppe volte ed il suo Signore non era noto per la sua propensione al perdono, tuttavia, se Draco avesse preso il posto di suo padre, avrebbero avuto un’altra possibilità e, sicuramente, Lucius avrebbe fatto ritorno a casa.
    Prendere il posto di suo padre suonava così male che a Draco si strinse lo stomaco: gli sembrava quasi che Lucius fosse già morto, ma non era così. Lui non avrebbe permesso che suo padre morisse, anche a costo di sacrificarsi!  
    Avrebbe voluto che ci fosse stato un altro modo, ma per quanto ci rimuginasse, non c’era astuzia che potesse ingannare il loro Padrone. 
    Avrebbero trovato un avvocato, certo, la difesa di suo padre non sarebbe stata affidata a mani inesperte: nessuno avrebbe creduto un’altra volta alla scusa dell’Imperius, ma non sarebbe stato sufficiente, lo sapeva. Lo aveva visto negli occhi severi di suo padre.
    Sollevando lo sguardo verso la madre, Draco vide la propria sofferenza riflessa nella sua e prese una decisione: non era mai stato coraggioso, ma era sempre stato un discreto bugiardo. Saper mentire era parte di una buona educazione e lui aveva ricevuto un’educazione impeccabile, quindi sarebbe stato educato. 
    Avrebbe finto che tutto andasse bene, che il nome dei Malfoy non fosse mai scivolato così in basso e che sua madre avrebbe potuto stare tranquilla, perché suo padre sarebbe tornato presto a casa, ma, fino ad allora, avrebbe pensato a tutto lui.
    Avrebbe finto di volerlo, quel marchio e di esserne orgoglioso, quando avrebbe dovuto portarlo. 
    Lo avrebbe fatto per le persone che amava, le avrebbe difese con le armi di cui disponeva, perché la guerra non era un gioco e lui aveva iniziato a capirlo.
    Si avvicinò a Narcissa, notando soltanto in quel momento la coperta che teneva sulle ginocchia, tormentandone un lembo con le mani affusolate e pallide. « Non hai caldo, con  quella? » le chiese sedendole accanto, la voce più morbida per cercare di tranquillizzarla.
    Narcissa levò di nuovo lo sguardo su di lui e gli sorrise forzatamente, stringendo la coperta di cashmere come se temesse che il figlio gliela portasse via.
    « Quando tuo padre ti ha preso in braccio per la prima volta, eri avvolto in questa » gli disse tornando a fissare il tessuto leggero, di un delicato color verde acqua.
    « Mamma, quando il Signore Oscuro vincerà questa guerra, saprà ricompensare chi si è unito a lui! » le disse cercando di assumere il tono fermo di suo padre « Andrà tutto bene! ».
    Narcissa protese una mano verso la sua guancia, accarezzandolo come quando era un bambino e Draco chinò la testa sulla sua spalla, in cerca di conforto, cercando di convincersi delle parole che le aveva detto. Si ritrovò stretto dal braccio esile di sua madre, che gli drappeggiava la coperta sulle spalle, come un mantello, come se avesse avuto proprietà magiche capaci di proteggerlo e Draco si sentì improvvisamente a disagio: stava rischiando di ammettere di non essere affatto sicuro, di avere bisogno dell’abbraccio di sua madre e dell’approvazione di suo padre e non poteva permetterselo.
    Sciolse l’abbraccio e si tolse la coperta dalle spalle. « Tienila tu » sussurrò a Narcissa, mentre si alzava e si allontanava dal divano. Sapeva cosa sarebbe accaduto: avrebbe servito il padrone di suo padre e sarebbe stato fedele come Sir Armand e scaltro come Sir Nicholas e spietato come Sir Brutus e alla fine sarebbe diventato potente come  Sir Septimus... sarebbe stato un Malfoy prima di essere Draco.
Sarebbe stato degno di suo padre e Lucius sarebbe stato fiero di lui.
Sarebbe stato tutto quello che era necessario: nessuno l’avrebbe cercato dietro una maschera argentata ed un mantello nero. A nessuno sarebbe importato se, dietro la maschera, lui fosse andato in pezzi.
D’altra parte, non era una persona: era un puzzle.
    La pendola nel salone batté sette lugubri rintocchi nel silenzio irreale sceso tra madre e figlio e nei loro pensieri ed un elfo domestico si materializzò annunciando la cena, tenendosi le orecchie flosce e martoriate nelle mani nodose, gli occhi acquosi e la federa stinta che gli pendeva addosso come uno straccio e Draco si rese conto di non conoscere il suo nome, né di essere in grado di determinare il genere di quella creatura.
    Dietro la maschera d’argento che avrebbe portato sul viso non sarebbe stato diverso da quella creatura spregevole: anonimo e dimenticabile e se ne sentì disgustato, tanto da desiderare di colpire quel servitore come se, così facendo, potesse liberarsi del germe di quella nuova ed inopportuna cognizione.
    « Andiamo a tavola, Draco » la voce di Narcissa penetrò gli strati nebulosi dei suoi pensieri, costringendolo a distogliere la mente dall’elfo domestico.
    « Non ho molta fame ».
    « Non possiamo essere deboli, Draco. Siamo Malfoy » la voce morbida di sua madre e la sua mano a sfiorargli il gomito gli ricordarono quell’assoluta e primaria verità: era un Malfoy. Un giorno non avrebbe avuto importanza quale Malfoy fosse stato, a patto di non essere l’ultimo.
    C’era una quantità di implicazioni, in quel pensiero, a cui Draco non voleva ancora pensare, mentre sentiva le catene ai polsi ed il guinzaglio troppo corto che si stringevano su di lui con tutta l’ineluttabilità del destino; la sua volontà non contava quanto il dovere di portare avanti mille anni di storia.
    In quel momento, avrebbe voluto poter incontrare il bambino che era stato e dirgli qualcosa, prepararlo a quello che lo attendeva. Si guardò di nuovo attorno, in quella sala che conosceva da tutta la vita, che era parte della sua casa, che aveva sempre dato per scontata. Aveva permesso ad ogni mobile, ogni suppellettile, ogni pietra delle mura di Malfoy Manor di determinare la sua identità più della sua volontà, da quel giorno in cui non aveva più saputo chi era.
    Annuì, tenendo gli occhi grigi sulla mano di sua madre, ancora poggiata sul suo braccio e lo piegò, porgendoglielo per accompagnarla in sala da pranzo, come aveva sempre fatto quel padre che non era morto, ma che già gli mancava come se lo fosse. 
    Prima di uscire dal salone lasciò che gli occhi indugiassero ancora in quell’ambiente accogliente e protettivo e lo sguardo gli cadde sulla coperta lasciata sul divano. Provò ad immaginarsi bambino, avvolto nel tenero abbraccio della lana e si rese conto che non avrebbe saputo cosa dirsi: nessuna spiegazione sarebbe servita a consolare quel bambino che si svegliava di notte, sapendo che uno dei suoi genitori non avrebbe potuto prendersi cura di lui, perché non viveva più nella stessa casa.
    « Draco? » Narcissa lo chiamò e Draco la guardò negli occhi, sorprendendosi che fossero quasi alla stessa altezza dei suoi, come se si fosse dimenticato, in quella manciata di istanti, che non era più un bambino.
    « Scusa, mamma. Andiamo ».
Non era più un bambino, no, ma non era nemmeno ancora un uomo, solo che non aveva importanza.
 
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Note al testo:
- Tutte le informazioni sugli avi citati vengono da: http://harrypotter.wikia.com/wiki/Malfoy_family
- Le informazioni sul Consiglio dei Maghi sono tratte da: http://harrypotter.wikia.com/wiki/Wizards%27_Council  e  http://harrypotter.wikia.com/wiki/Wizengamot

- La fanfiction si è classificata prima al Tormenti e ossessioni ~ Draco Malfoy contest indetto da MaryScrivistorie e si basa sul pacchetto Ametista, che prevede l'uso del Prompt: coperta calda di cashmere e della citazione: "Nessuna spiegazione servirà a consolare quel bambino che si sveglia di notte, sapendo che uno dei suoi genitori non potrà prendersi cura di lui, perchè non vive più nella stessa casa". [Nora E. Rodríguez] 

 
- La foto utilizzata come intestazione ritrae la galleria degli specchi del castello di Hetzendorf, Vienna




Come sempre, vi aspetto sulla mia pagina FB! ^^
   
 
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