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Autore: _Woodhouse_    18/08/2014    11 recensioni
❝Lo osservò dormire, sfiorando di tanto in tanto le linee insidiose delle sue costole, incastrata negli occhi di un altro, nel ricordo del suo respiro, affogata, vittima masochista del piacere che le procurava il ricordo della tensione che si librava fra i loro corpi e della complicità che aveva avvertito, mentendo insieme a lui, due volte e senza ragioni.❞
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate, Triangolo | Contesto: Contesto generale/vago
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Capitolo 3.





Quella mattina, Josephine, si sorprese ritrovandosi lunga e distesa in quel letto che non riconosceva. Una breve confusione distorse il suo risveglio, poi si ricompose, ricordando e riconoscendo quella camera, la camera di Robb. Si strusciò contro il letto, cercando di trovare sollievo per i suoi arti intorpiditi. Robb, che le dormiva accanto implacabile – come sempre – nel suo sonno, emise dei mugolii indecifrabili. Jo gli scoccò un’occhiata, poi scosse la testa. Non riusciva a spiegarsi come un uomo potesse dormire tanto.
In camera di Robb c’era un buon odore di vimini e dalle foto appese in una disposizione bizzarra, nessuno avrebbe potuto non notare quanto di Robb ci fosse lì dentro. Quell’uomo era in grado di personalizzare qualsiasi cosa, persino lei stessa, che di personalità ne aveva più che a sufficienza.
Persino gli scaffali - e la disposizione dei manuali di fotografia su di essi – rivelavano le sue passioni e il suo modo confuso di immergervisi. Jo si rilassò sotto il getto d’acqua bollente, si lavò in fretta e vestendosi fece altrettanto, riservandosi la maggior parte del tempo per la cura del viso. Era ossessionata dalle occhiaie e dalle imperfezioni molto poco evidenti del suo viso, e tentava nella maniera più semplice possibile di attenuarle. Poi, applicò un filo di matita nera sulla rima inferiore degli occhi, e una linea più spessa di eyeliner sulla palpebra, un tocco di mascara e fu pronta. Osservò impazientemente Robb, che si rigirava sul letto come un bambino capriccioso che non ha voglia di alzarsi.

– Robb, accidenti! – sbuffò lei. – I tuoi penseranno che io sia una specie di dormigliona cronica come te se non ti dai una mossa.
– Va’ tu, – mormorò lui, senza nemmeno aprire gli occhi.
– Per l’amor di dio, mi vergogno a morte a rimanere da sola con loro, – rispose angosciosamente Jo, sperando di impietosirlo.
– Un minuto, solo un minuto. – Più che una promessa, suonò più come un “Fa un po’ come ti pare e lasciami dormire!”

Jo, indispettita, gli lanciò addosso la prima maglia che le capitò per mano e abbandonò la camera borbottando.
Decise di affrontare i padroni di casa, sperando che non si fossero occupati di preparare chissà quale colazione, consentendole così di liberarsi dall’impiccio con un semplice caffè. Poi si sarebbe rifugiata in biblioteca e avrebbe speso il tempo che il sonno di Robb le concedeva, tornando sulle pagine di Neruda.
In cucina e in sala da pranzo, però, non trovò nessuno, se non un biglietto che troneggiava sull’isola centrale della cucina in cui i signori Draper li avvertivano di essere partiti presto per poter presenziare ad un brunch fuori città.
Jo si sentì immediatamente sollevata, sebbene non riuscisse a capire perché non li avessero avvertiti il giorno prima. Non se ne curò oltre e, volendo approfittare di quella solitudine, si concesse uno studio più accurato degli ampi spazi di quella casa. Era una casa elegantemente arredata, forse un po’ troppo marcatamente anni ottanta, ma con delle modifiche evidentemente più recenti che saltavano all’occhio soprattutto nel grande salone. Il divano semicircolare la faceva da padrone, di un bianco lucente e niveo, aveva l’area di essere estremamente morbido. Jo, passandogli accanto, ne sfiorò la consistenza e si diresse verso il camino, il quale alternava, nella sua imponenza, granito nero e bianco in una dinamica di colori sofisticata.
Posizionate sulla superficie piana, superiore alla grotta del focolare, vi erano due piccole cornici che interrompevano l’aria impersonale della stanza. In una delle foto vi erano i signori Draper il giorno del loro matrimonio, bellissimi e con gli occhi di una brillantezza eccessiva perché non ci fosse sotto lo zampino dell’alcool. In un’altra foto c’era Robb, il suo Robb, e quello che dedusse fosse James, stretti in un abbraccio, entrambi molto poco sorridenti, come fosse stata una foto fatta di fretta, di malavoglia. In quella foto Robb appariva molto più puerile, avrà avuto al massimo vent’anni, mentre il fratello, di quattro anni più grande, appariva già profondamente indurito dagli anni: si sarebbe detto un trentenne.
Josephine notò che i due non si somigliavano moltissimo. Entrambi indubbiamente attraenti, emanavano due luci diverse. Robb una luminosità che lei conosceva profondamente, James, forse perché dai colori più cupi, pareva radicalmente più severo.
Guardando quella foto, si domandò quand’è che l’avrebbe conosciuto. S’irritò un po’, quasi in vece di Robb, per la mancata tempestività del fratello nel presentarsi a lei e nell’accogliere lui. Si strinse nelle spalle e fu subito sorpresa dalle mani di Robb che le si posarono sulle spalle, scuotendola.

– A che pensi? – le domandò con la voce ancora impastata di sonno.
– Non ti dà fastidio che tuo fratello non sia ancora venuto a salutarti?
– No, affatto. Si farà vivo uno di questi giorni. Sarà sicuramente impelagato in qualche vicendaccia aziendale.
– Tuo padre gli dà completamente carta bianca?
– Jamie possiede metà dell’azienda e ormai riveste la figura di capo, al suo interno. Papà non ha più molta voglia di lavorare, si sente vecchio. Spero di non sentirmi mai così. Credo che mi ucciderò quando accadrà.
Robb prese a divagare, colto dalla sua solita paura del tempo. Quasi gli mancò il fiato. Jo si voltò verso di lui e lo guardò severamente.
– Potresti evitare queste considerazioni? Mi metti una tale ansia. – Lo abbracciò, per placare l'inquietudine scaturitale da quelle parole.
 

***

Si sedette sulla poltrona provando un forte sollievo, come se avesse camminato per giorni e le gambe fossero sul punto di cederle.
Aveva ripreso in mano quel libro di sonetti, l’aveva sfogliato e aveva inghiottito parole, segni.
Delle croci sulle pagine ingiallite segnalavano probabilmente una preferenza, in scala d’intensità, pensò. L’onda della poesia, riflettè Jo, è letale e vibrante, trasporta, trascina, devasta e abbandona a riva quel che resta delle coscienze ordinarie degli uomini.
La poesia la spossava e denudava. Le passioni trovano giustificazione perché scritte: la poesia ammette i peccati e denigra chi non ha il coraggio delle proprie passioni. Jo voleva appassionarsi a qualcosa in maniera malsana, per poter essere grande e poetica, per poter essere giustificata da un verso.
Aveva desideri singolari sotto la chioma folta di onde.
Quando trovò il conforto morbido della poltrona, Jo acquistò anche la forza per rileggere quella poesia.
Il cuore si dibatteva in un tumulto che coinvolgeva il respiro e lo stomaco, spietatamente.

XI
Ho fame della tua bocca, della tua voce, dei tuoi capelli
E vado per le strade senza nutrirmi, silenzioso,
non mi sostiene il pane, l’alba mi sconvolge,
cerco il suono liquido dei tuoi piedi nel giorno.
 
Sono affamato del tuo riso che scorre,
delle tue mai color di furioso granaio,
ho fame della pallida pietra delle tue unghie,
voglio mangiare la tua pelle come mandorla intatta.
 
Voglio mangiare il fulmine bruciato nella tua bellezza,
il naso sovrano dell’aitante volto,
voglio mangiare l’ombra fugace delle tue ciglia
                                                                     
e affamato vado e vengo annusando il crepuscolo,
cercandoti, cercando il tuo cuore caldo
come un puma nella solitudine di Quitratùe.
 
Voglio mangiare l’ombra fugace delle tue ciglia… – ripeté scossa. – Mio dio.
Jo pensò che avrebbe potuto amare freneticamente un uomo capace di quelle parole, amarlo di un amore che non conosce sobrietà.
La fame.
La fame ci rende adrenalinici, vivi o rotti a metà.
Avrebbe potuto amare un uomo affamato. Avrebbe voluto provarla, quella fame che strazia.
Voglio mangiare l’ombra fugace delle tue ciglia… – ripeté un’altra volta, incapace di sottrarsi alla morsa spietata di piacere e dolore che quell’assembramento di parole le procurava.
 
E affamato vado e vengo annusando il crepuscolo?

Una voce dai toni sconosciuti le penetrò elettricamente le piante dei piedi e le schizzò vertiginosamente all’interno, contraendole le viscere, depositandosi come un macigno sulla bocca dello stomaco.
Jo quasi perse il controllo di se stessa, vinta da un grumo di paura e vergogna.
Si voltò con uno scatto, lasciando cadere il libro ai suoi piedi.
 
 
***


Stava forse deturpando con quelle unghie troppo appuntite un libro che dubito possa comprendere?
Li avrà vent’anni?
Tutta questa attesa e suspance per presentarci la prima ragazza semplice di Londra?

– Neruda? – Cerco di adottare un tono che non le faccia percepire pienamente la mia stizza.
Lei mi guarda con un cipiglio diverso, adesso. Forse l’ha percepita, la stizza.
– Sì. Già, – mi risponde sulle sue.
In quale frazione di secondo è diventata più grande?
La paura si è completamente diradata dal suo sguardo, e adesso mi guarda quasi altezzosamente, ma non senza nervosismo.
La sua mano aggrappata alla stoffa del vestitino la tradisce.

– Gradisci? – Rimango secco e piccato, posticipo di proposito il tempo dei convenevoli per il mio gusto privato di regalarle qualche altro minuto di disagio.
– Neruda?
– Ovviamente.
– Lo trovo… – Cerca quella definizione con aria seria. –affamato. – La sua voce si è abbassata di un tono.
Affamato?
– Affamato? – Sollevo un sopracciglio, con superbia. Mi piace farlo.
– Oscuro, anche, – aggiunge.
– Affamato e oscuro. Ma quello sono io. – La provoco con uno sguardo serio, ma la mia voce ha un tono sardonico che mi auguro colga.
– Molto piacere, Josephine. – Mi avvicino a lei e le porgo una mano.
Mi sta fissando, un po’ imbambolata. Adesso ha decisamente vent’anni. Qualcosa l’ha turbata, forse non mi trova educato.
Sopravvivrò.
Mi stringe la mano debolmente, per un istante brevissimo, e le sue labbra si piegano in quello che viene fuori come un sorrisetto tra il timido e il forzato.
Non mostra i denti ed è parecchio sintomatico. Le amanti passive lo fanno.
Avrei dovuto istruirlo meglio, quello sgangherato di Robb.
   
 
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