Libri > Percy Jackson
Ricorda la storia  |       
Autore: I follow my dreams    18/08/2014    16 recensioni
[...]
Il mostro mi scrutava da qualche metro di distanza, senza però andare oltre e 
sbuffava, quasi rattristato. 
- Finalmente hai aperto gli occhi.- 
- Pensavamo che fossi svenuta.- 
Alzai gli occhi e vidi due ragazzi, accanto all'albero che mi osservavano.  
- Io sono Castor.-  
- Io sono Pollux, benvenuta al Campo Mezzosangue.- mi sorrisero. 
Solo allora realizzai che erano due gemelli completamente identici. Li osservai 
ancora per qualche istante, senza riuscire a proferire parola, fin quando la vista 
non mi si annebbiò, e tutto divenne nero. 
Genere: Comico, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Apollo, Atena, Chirone, Nuovo personaggio, Quasi tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Chi ha mai detto che due gemelli debbano essere per forza fratelli? 

Salve a tutti, sono Eleni O'connel, figlia di Zac O'connel e di una sconosciuta, ho quasi diciasette anni e vivo a New York, anche se la mia città natale è Bray, piccola cittidina nei pressi di Dublino.  
Sei anni fa mio padre, per motivi di lavoro, ha dovuto trasferirsi qui, nella Grande Mela, precisamente a Brooklyn in un appartamento non lontano dalla costa vicina e dal suo piccolo studio. 
 Ovviamente il trasferimento è avvenuto senza che mi consultasse, figuriamoci se io importo qualcosa nella gestione della 'famiglia'.  
Come avrete potuto constatare tra me e mio padre non scorre buon sangue. Mia madre, di cui si ostina a non parlarmi mai, ci ha abbandonato subito dopo la mia nascita, motivo per il quale non ho nemmeno un ricordo di lei, però so per certo che, dalla notte del ventitré maggio, una notte dopo la mia nascita, mio padre prova una sorta di ribrezzo, a volte penso anche misto a paura, nei miei confronti. Lui è una persona ordinaria, completamente immersa nella normalità e odia sforare  anche solo di un centimetro quella che è la sua sfera di competenza, cioè un piccolo ufficio di ingegneria meccanica, e variare di una sola virgola la sua routine quotidiana.  
È il mio alter ego, dato che, seppur io sia una maniaca del controllo, e quindi debba avere ogni tipo di situazione sotto il mio controllo e sotto le mie direttive, sono una persona con vari interessi e odio fare per due giorni di fila sempre la stessa cosa. 
Quel giovedì pomeriggio di un luglio abbastanza caldo, fu il giorno che preferirei meglio definire come otium. Ero coricata sotto un albero, al parco a qualche isolato da 'casa' e mi rilassavo. Erano le sei e mezza di sera, ora ideale per non collassare dal caldo, ne per morire assiderati e stavo tranquillamente disegnando nel mio blocco schizzi nero, ormai mezzo consumato. In quel periodo prendevo ispirazione solo al parco, dove riuscivo a rilassarmi completamente senza dover sentire ogni due per tre la voce di mio padre che se la prendeva con me per qualsiasi cosa, come suo solito fare. 
Perché ovviamente è sempre colpa mia se gli affari nella sua agenzia vanno male, così come è sempre colpa mia se lui brucia l'arrosto e se suonano al citofono.  
Di che mi lamento? Tanto è colpa mia.  
Poggiai la matita per terra e alzai lo sguardo ad osservare la rosa che stavo disegnando.  
Qualche sfumatura di nero ancora e l'avrei terminata se non avessi sentito un rumore alle mie spalle. Girai il volto, pensando a qualche scoiattolo curioso, ma non vidi nulla.  
Mi mancava davvero poco, giusto ricalcare qua e la i bordi, quando risentii quel rumore. Infastidita mi misi in ginocchio girandomi a destra e a sinistra per capire da dove potesse mai provenire.  
Ovviamente non vidi nulla. 
Mi stavo accingendo ad alzarmi quando un fetore nauseabondo mi investi e sentii dietro di me quel rumore molto più nitidamente. Mi girai di scatto e vidi due piccole palline gialle, sospese a un metro e mezzo di altezza circa che mi osservavano fanatiche.  
Ecco, fossero state le due del pomeriggio avrei anche accettato il fatto che due palline non meglio decifrate andassero in giro e mi fissassero come io fissò il cioccolato o la nutella dato che sarebbe stato giorno, e avrei visto cosa fossero
Il punto era che erano le sette di sera quasi, e nonostante ci fosse ancora abbastanza sole, proprio nel punto in cui quelle due palline erano ferme, era tutto nero.  
Cercando di stare calma raccolsi da terra la matita, e facendo meno movimenti bruschi possibile, (forse poteva essere un cane lupo, pensai) indietreggiai, dirigendomi verso il sentiero che conduceva fuori dal parco. 
Mai mi fossi mossa
Le due palline gialle, che scoprii essere, con mio grande disgusto, due occhi enormi, si mossero nello stesso istante in cui io feci un passo indietro, mostrandomi il resto del corpo: una massa nera, puzzolente, con un collo lungo e un corpo viscido e squamoso.  
Trattenni un urlo e un conato di vomito e, cercando di rimanere calma, mi guardai intorno alla ricerca di qualcuno, ma il parco era deserto.  
La temperatura mi pareva essere scesa improvvisamente; la notte aveva deciso di anticipare l'ora di arrivo, e luglio aveva avuto improvvisamente voglia di diventare dicembre.  
Continuai ad indietreggiare e il coso continuò ad avanzare.
Se avessi continuato così sino alla fine del parco forse qualcuno fuori sarebbe venuto in mio aiuto, se
Mi diedi un pizzicotto nel braccio per verificare se il mostro che avevo di fronte non fosse stato un semplice frutto della mia immaginazione, ma purtroppo, come sempre accade in queste situazioni, se vi ci siete mai ritrovati, era tutto vero, pizzicore al braccio e lui compreso.  
Accanto a me uno scoiattolo, evidentemente ignaro del coso, corse nella sua direzione, cambiando rotta solo pochi centimetri prima e quindi allontanandosi. Il mostro, o quello che era, non doveva essere particolarmente intelligente perché vidi i suoi occhi seguire il piccolo animale che si allontanava frettolosamente meditando forse di mollare me per cacciare lui. Colsi quel momento di distrazione per girarmi e correre a per di fiato fuori dal parco. 
Uscita, mi infilai in fretta e furia in una piccola via laterale dirigendomi verso casa, sperando di poterlo seminare.  
Avevo appena svoltato a sinistra, per dirigermi verso l'appartamento quando sentii un rumore assordante dietro di me, il mostro doveva essersi schiantato contro qualcosa, probabilmente contro le scale antincendio che io avevo aggirato. 
Continuai a correre, cercando di mettere più distanza possibile tra me e l'essere.
I muscoli delle gambe bruciavano, i polmoni chiedevano ossigeno ma il mio cervello mi impediva di fermarmi. Dovevo continuare a correre.  
Mi addentrai in una viuzza laterale che non conoscevo, per mia sfortuna dato che era chiusa da una rete metallica alta due metri circa. Non potendo tornare indietro tentai di scavalcarla, ma quando ero ormai in cima il coso piombò dall'alto e mi fece ruzzolare a terra dall'altra parte. Ero caduta sul braccio sinistro, che ora doleva terribilmente, probabilmente rotto. Il puzzo nauseabondo del mostro non mi faceva ragionare, e il dolore al braccio mi annebbiava la vista. 
Mi stavo trascinando col braccio sano verso l'uscita della viuzza, quando la mia mano incontrò una spranga di metallo. Appoggiandomi ad essa riuscii ad alzarmi, appena in tempo prima che il mostro mi saltasse addosso. 
Dovete sapere che ho fatto molti anni di softball, vi lascio immaginare che fine abbia fatto la faccia dell'essere. L'avevo preso in pieno, colpendogli bruscamente un occhio che adesso era metà rosso, coperto di sangue.  
Sicuramente non la prese bene.  
Cominciai ad indietreggiare, stringendo convulsamente la spranga come se fosse la mia unica ancora di salvezza, sentendo uno strano ronzio proveniente dall'essere stesso. Prima che potesse scattare di nuovo verso di me stavo già correndo, diretta verso la spiaggia più vicina, poiché mi sembrava l'unico posto in cui avrei potuto trovare qualcuno e farmi aiutare. 
Mi ero cacciata in una situazione assurda, paranormale, impossibile, eppure il dolore al braccio era ancora ben presente segno che non era tutto un sogno. 
Continuai a correre, dirigendomi verso non sapevo neanche io dove. Correvo e basta. Quando cominciai a sentire il rumore del mare rallentai, sentendomi più al sicuro, ma procedetti lo stesso a passo svelto. 
Cinque minuti dopo stavo camminando piano, il dolore era aumentato, e le gambe mi reggevano a stento. Non capivo bene nemmeno dove fossi finita. Il rumore del mare era presente, però mi ero addentrata nella campagna e ormai ero in prossimità di una piccola collina circondata da grandi alberi. 
Stremata mi accasciai a terra tremante e dolorante sperando in un aiuto divino. 
Purtroppo per me però, il coso non aveva proprio voglia di lasciarmi. 
Sicuramente era geloso del mio shampoo. In effetti non potevo biasimarlo, necessitava improrogabilmente di una bella strofinata
Sentii una specie di ruggito stridulo accompagnato da un rumore di rami spezzati da molti metri di distanza e riuscii a mettermi in ginocchio, percossa da una, credo ultima, scarica di adrenalina. Accanto a me trovai un altro bastone, lungo e abbastanza grosso, per cui mi ci appoggia e facendo leva riuscii ad alzarmi. Prima che il coso potesse avvicinarsi ulteriormente a me, mi stavo già trascinando verso la collina, dove sentivo voci e l'infrangersi delle onde sulla spiaggia. Mi inerpicai su per la collina, sentendo i passi del coso dietro di me farsi sempre più vicini e veloci. Ero quasi arrivata in cima, dopodiché ero sicura che avrei trovato a spiaggia, anche le voci stavano aumentando. Mancavano ancora pochi passi e finalmente avrei potuto vedere quanta gente c'era dietro la collina, quanto distava la spiaggia, ma il mostro balzo a pochi passi da me facendomi perdere l'equilibrio e facendomi cadere rovinosamente sul prato.  
Il lato positivo? Ero arrivata in cima.  
Brandendo il bastone davanti a me tentai di spaventare il coso, e cercai di indietreggiare verso un albero molto grande, che si prospettava a qualche metro da me.  
Quando la mia schiena tocco la superficie liscia del tronco buttai il ramo a terra, aspettando che il mostro mi facesse a brandelli. Chiusi gli occhi, ormai stremata e sfinita, e mi abbandonai completamente. 
Aspettai. 
Aspettai ancora, ma il colpo di grazia tardava ad arrivare. 
Prendendo un lungo respiro aprii gli occhi. 
Il mostro mi scrutava da qualche metro di distanza, senza però andare oltre e sbuffava, quasi rattristato
- Finalmente hai aperto gli occhi.- 
- Pensavamo che fossi svenuta.- 
Alzai gli occhi e vidi due ragazzi, accanto all'albero che mi osservavano.  
- Io sono Castor.-  
- Io sono Pollux, benvenuta al Campo Mezzosangue.- mi sorrisero. 
Solo allora realizzai che erano due gemelli completamente identici.
Li osservai ancora per qualche istante, senza riuscire a proferire parola, fin quando la vista non mi si annebbiò, e tutto divenne nero. 











Hola.

Salve a tutti! Come state?
Questa è la mi prima long, ambientata nel mondo di Percy Jackson.
Spero che questo primo capitolo vi abbia fatto venire la curiosità di continuare a leggerla, mi farebbe piacere sapere cosa ne pensate, se continuarla o buttarla nel cestino (con me dentro) quindi tutti i tipi di recensione sono graditi lol
Vi ringrazio per la pazienza se siete arrivati fin qui e niente, vi voglio bene lol.
Alla prossima.
- Lora.
  
Leggi le 16 recensioni
Ricorda la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Percy Jackson / Vai alla pagina dell'autore: I follow my dreams