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Autore: SaraRocker    19/08/2014    0 recensioni
Anno 2097, l'intero pianeta terra si ritrova sotto una sorta di dittatura particolarmente cruenta, che si finge giusta e accondiscendente.
La Desert_Zone è un luogo formatosi a causa del riscaldamento globale, una sorta di continente quasi totalmente desertico e inadatto alla vita, dove la dittatura manda a morire coloro non adeguati a vivere in essa.
Gwen vive là , insieme ad un gruppo di ragazzi che collaborano in una sorta di resistenza.
Duncan è un militare a servizio della dittatura, che ritiene giusta e autorevole.
Estratto cap.28
"Non devi sentirti in colpa. E' stata l'avventura più bella." gli sussurrò "Ed ora è giunto il momento che tu mantenga fede alla tua promessa."
Duncan la ammirò a lungo in silenzio. Perchè sorrideva? Perchè i suoi occhi erano così lucidi? Perchè le sue labbra tremavano tanto?
Gwen non gli era mai sembrata tanto debole. Eppure, si stava sottoponendo alla più grande prova di coraggio.
Genere: Azione, Science-fiction, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Duncan, Gwen, Scott, Un po' tutti | Coppie: Duncan/Gwen
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale
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Desert_Zone







cap.38



























"Thomas, Helen. Sono qui per vendicarvi."









Forse se lo era solo immaginato, si disse Duncan, mentre un dubbio non indifferente inziava ad intaccargli ogni cellula del cervello. 
Stavano camminando da parecchi minuti sui binari diretti verso Nord, determinati a raggiungere al più presto Indianapolis. Sembravano tutti abbastanza tranquilli mentre Gwen, in testa al gruppo, proseguiva a passo svelto. Eppure,  Duncan non lo era. Duncan era -per intenderci- il contrario della tranquillità. Il punk si muoveva incerto, restando sempre vicino al trentaseienne Edward, studiandolo di sottecchi. Sentiva l'ansia divorarlo e la gola improvvisamente secca.
Ma infondo, si tornò a ripetere silenziosamente il punk, tutti quei dubbi e quelle domande potevano essere perfettamente spiegati con una parola: coincidenza. Sì, doveva trattarsi di un bel pugno di coincidenze, e non di fatti reali, importanti e da non trascurare. Anche se...
Anche se, a guardarlo meglio in viso, Edward somigliava davvero parecchio al giovane amico che lo attendeva nella capitale. Aveva lo stesso guardo color smeraldo, la stessa bocca sottile e la medesima forma del viso -la sola differenza stava nel fatto che quello dell'uomo più anziano fosse leggermente più magro, scavato dagli anni di stenti e fatiche- di Thomas. Cazzo, persino i numeri coincidevano. Dieci anni di prigionia delle Desert_Zone, e dieci anni che la recluta non vedeva suo padre. E, come se quelle evidenti prove non bastassero, Duncan sapeva anche che il padre di Thomas aveva avuto il figlio in età relativamente giovane e, per finire, Edward aveva appena mormorato 'Thomas' e non 'Jake', 'Josh', o qualsivoglia altro nome. Ok, si ripetè Duncan con un improvviso peso sullo stomaco, quelle coincidenze erano troppe. Forse era il caso di iniziare considerare la possibilità che fosse proprio Edward il padre a lungo scomparso, e presunto defunto.

Predendo un nuovo, profondo respiro, il punk -accostatosi all'uomo ed abbastanza lontano dagli altri da non essere udito- decise di parlare "Edward, posso farti una domanda?"
Il trentaseienne si voltò subito verso il ragazzo, sorridendogli leggermente ed annuendo in risposta. Duncan abbassò lo sguardo contro il materiale chiaro e lucido sotto i loro piedi.
"Prima ti ho sentito..." prese una breve pausa, mordendosi il labbro inferiore ed affondando entrambe le mani nelle tasche dei pantaloni "Hai detto una cosa, e mi piacerebbe sapere di cosa si trattava." dopo avere farfugliato quelle poche frasi sconnesse, il moro tornò ad alzare lo sguardo verso l'uomo più anziano. Quest'ultimo lo stava guardando leggermente confuso, ma non si oppose di fronte quella piccola richiesta, e Duncan si sentì libero di domandare di più.
"Hai nominato una certa... Helen se non sbaglio. E poi anche un ragazzo, Thomas." mormorò il punk, la voce ridotta ad un volume davvero basso "Chi sono?"
Edward sorrise, scostandosi un ciuffo di capelli dal viso, e prendendo un profondo respiro, preparandosi -all'apparenza- a raccontare una lunga storia. Qualcosa di tormentato e difficile, dedusse il militare al suo fianco.
"Chi erano, vuoi dire." esordì l'uomo, passandosi la lingua sulle labbra ed esibendo un sorriso mesto e fragile "Sai, un tempo io avevo una famiglia, quando ancora vivevo..." Edward si fermò, incerto sul come definire il suo vecchio stile di vita.
"Quando ancora vivevi normalmente. Nel mondo normale." intervenne in aiuto Duncan, facendolo annuire concorde "Esatto."
"Beh, a quei tempi avevo una moglie. Si chiamava Helen." un sorriso sincero nacque sulle labbra dell'uomo che, come avvolto da un'improvvisa magia, perse completamente di vista il mondo attorno a lui. Si tuffò in quei ricordi antichi, ma in cui lui continuava a vivere ogni notte. Vide di fronte a se quella splendida figura snella e sorridente, sempre allegra e frizzante. I suoi capelli erano color nocciola e lunghi sino ai fianchi morbidi e seducenti. Gli occhi erano del medesimo colore, ed erano in grado di trasmettere emozioni disarmanti.
"Era un angelo. Lo era davvero." si limitò a dire il trentaseienne a riguardo, come non volesse fare sapere a nessuno il vero meraviglioso aspetto che aveva avuto la donna "Ed un giorno, quando ancora eravamo giovani e felici, nacque Thomas."
Duncan sussultò. Ogni muscolo del suo corpo si irrigidì, ed il suo cervello smise improvvisamente di pensare. Avvertiva i propri respiri rimbombare dentro di lui all'infinito, in mezzo ad un vuoto sconcertante.
"Eravamo felici. Ma forse, lo eravamo troppo." il sorriso scomparve dal volto dell'uomo, e le labbra tornarono dritte, contornate a quelle piccole rughe causate dal tempo e dalla stanchezza "Vedi, ho sempre fatto parte di un nutrito gruppo di ribelli-" "I medesimi che ti hanno fatto il tatuaggio, giusto?" lo interruppe Duncan per chiedere conferma. L'altro annuì, abbassando per qualche secondo lo sguardo contro la propria mano.
"Eravamo molti e cercavamo in ogni modo di fermare il Governo. Però, un giorno, ci scoprirono. Thomas era così piccolo..." ricordò affranto l'uomo "Gli dicemmo di nascondersi dentro un mobile che si trovava in cucina. I repressori non controllarono neppure vagamente lì, certi che fosse troppo piccolo per un uomo. Non avevano tenuto conto del bambino." un leggero sorriso, lungo solo qualche secondo, apparve sul volto di Edward, prima di essere nuovamente sostituito dal dolore "Io e Helen venimmo accusati. Anche lei faceva parte della resistenza. Ci spedirono nella Desert_Zone in poche ore. Lei... Lei morì a causa di un'infezione." Duncan notò un odio profondo negli occhi dell'uomo, ed allora domandò di più.
"L'avevano ferita loro, vero?"
"Prima di condannarci, la percossero ripetutamente, lasciandole anche ferite serie, molto profonde. Una di esse si infettò dopo pochi giorni dall'arrivo, e non potei fare nulla." Un singhiozzo percosse il trentaseienne "La onorai sino all'ultimo istante, e la seppellii vicino al confine."
Nessuno disse esplicitamente 'fine', ma Duncan seppe che, con quelle ultime parole, la storia aveva raggiunto il termine. Si sentiva male, e poteva solo lontanamente immaginare quanto fosse stato insopportabile il dolore che aveva provato l'uomo al suo fianco e, probabilmente, se solo non fosse stato così disperatamente certo che esattamente Edward era il padre del ragazzo che conosceva, gli avrebbe lasciato qualche attimo per piangere i propri morti.

"Forse Thomas sta bene."
"Forse." concordò l'uomo, lanciando una breve occhiata al cielo limpido. Puntò poi lo sguardo contro quello di Duncan "O forse gli hanno violentato la mente, ed ora è solo un'altra marionetta all'interno di questo enorme teatrino."
Il punk strinse la mascella, e prese un profondo respiro. Come avrebbe dovuto fare? Come avrebbe dovuto rivelargli le sue ipotesi ed i suoi dubbi? Come esattamente?

"Io penso di conoscere tuo figlio."
Lo aveva detto tutto d'un fiato, tenendo gli occhi chiusi e buttando fuori dal suo corpo un peso dall'inaudita portata. Quando sollevò nuovamente le palpebre, ciò che vide nel volto dell'uomo al suo fianco fu una buona soluzione a base di timori e stupore.
Sì, dire la verità era stata la scelta più saggia.
"C-Cosa?"
I due si erano fermati, obbligandosi ad una certa distanza dal resto del gruppo. Udendo quella domanda balbettata e sconvolta, Duncan non potè fare altro che annuire, mentre si spingeva sempre più nelle tasche le mani. Era agitato; sentiva il cuore sul punto di esplodergli,  e temeva le reazioni che avrebbe potuto ostentare Edward. Infondo il punk era appena entrato nella sua vita, ed ora gli stava rivelando senza troppe censure di conoscere il figlio che l'uomo non aveva potuto neppure crescere.
"Che significa?" lo richiamò immediatamente il trentasienne, mentre una bizzarra luce prendeva possesso dei suoi occhi da parecchio intaccati dal dolore. Afferrò bruscamente il braccio del militare, così da accostarlo maggiormente a sé e, dopodichè, ispezionò con attenzione il suo sguardo. Duncan non si ribellò, comprendendo bene quelle azioni così improvvise. Edward stava cercando una traccia di verità, una speranza che gli permettesse di confidare in qualcosa.
"E' la verità. Qualche anno fa incontrai un No-One durante una pattuglia." si apprestò a narrare l'ex-repressore "Aveva gli occhi verde brillante ed i capelli castani. Portava con se un'arma e, nonostante avessi il chiaro compito di eliminarlo, non lo feci." rivelò sincero il moro, facendo sussultare l'uomo di fronte  a lui "Lo presi con me, e gli feci da garante. Ora come ora, il suo nome all'anagrafe è Thomas Smitt."
Edward arretrò di qualche passo, come scottatosi, bisognoso di respirare. Aveva lo sguardo basso e sconvolto, la fronte corrugata e la bocca semiaperta. Era immobile, le mani irrigidite contro i fianchi ed il respiro pesante. Restò a lungo in quella posizione, e Duncan non si mosse da dove si trovava. Infine, quando la notizia parve essere stata assorbita, Edward puntò i propri occhi chiari contro quelli azzurri del punk.
"E come sta ora?"
"L'ultima volta che l'ho visto non stava esattamente bene, ma... Ma scommetto che ora sta molto meglio!" Cercò di spiegare Duncan, facendo riferimento alle condizioni in cui lo aveva visto per Zoey, agli attacchi di panico ed alla confusione alla quale era stato costretto.
L'uomo più anziano annuì un paio di volte, per poi riprendere parola "E... E da che parte sta?"
"E' con noi. E' contro il Governo. E' molto coraggioso."
Un sorriso sincero si delineò sul volto di Edward. Duncan avvertì l'ansia dissolversi in pochi, brevi istanti. Aveva visto più volte sorridere il trentenne, ma mai in modo tanto sollevato ed allegro, come se un peso dalla portata impensabile si fosse appena dissolto nel nulla, come per magia.
Pochi secondi dopo, una mano si poggiò con leggerezza sopra la spalla del punk. Immediatamente il ragazzo alzò lo sguardo, incontrando quello dell'altro. Continuava a sorridergli grato, mentre gli occhi, sempre più lucidi, permettevano a qualche lacrima di traboccare. Edward stava piangendo di fronte a lui, stava esternando un'emozione che andava oltre la comune gioia: era un misto di gratitudine, stupore e strabordante felicità.
"Grazie, Duncan."
Il punk si limitò a ricambiare l'espressione dell'uomo mentre, poco lontano, intravedeva la fine dei binari, e gli alti grattacieli grigi di indianapolis occultare l'orizzonte.


 
***


Qualcuno li aveva contattati.
Dopo che Thomas aveva conquistato il consenso delle persone all'interno dell'ospedale, il caos si era notevolmente placato nell'edificio. E mentre la recluta restava stanziata all'ingresso, dove poteva avere la migliore visuale dei repressori che li circondavano minacciosi -fucili puntati e pistole sfoderate-, un medico era stato lasciato a sorvegliare la stanza delle comunicazioni. Non era accaduto nulla di rilevante per parecchie ore; vi erano state solo un paio di telefonate. In una, una donna diceva loro che la sua città -Stoccolma, se non errava- era quasi stata presa, ed i repressori erano ormai quasi tutti stati colpiti. Nella seconda, invece, la voce di un quarantenne li ringraziava, e prometteva loro che avrebbe combattuto in ogni modo possibile, sfoderando tutte le armi a sua disposizione.
Poi, era arrivato un terzo contatto. Il medico aveva risposto immediatamente, incontrando la frequenza giusta ed immaginando già un ennesimo ringraziamento, una promessa di libertà. Eppure, si era dannatamente sbagliato. Riconobbe immediatamente la voce scaltra ed elegante oltre la cuffie, ed avvertì la pelle trasalire ed il cuore iniziare a pompare in modo più forte. Nel suo corpo circolava improvvisamente un mare di adrenalina, il tutto per evitargli di gridare dal terrore. Quella voce era in grado di insinuarsi sottopelle ed uccidere da una distanza considerevole, se solo avesse voluto. Agnentava ogni possibile speranza e faceva tornare il mondo grigio.

"Voglio parlare con il vostro leader."
Era stata una pretesa quella dettata dalla giovane ispanica, Courtney Alburne, il ministro più maledettamente influente del Governo. Il medico si era alzato dalla propria postazione ed era corso immediatamente verso l'ingresso, superando in modo poco educato pazienti ed infermiere. Si era infine accostato al ragazzo, Thomas, e gli aveva mormorato all'orecchio ciò che stava accadendo. La recluta non si era irrigidita, od altro. Le sue pupille non si erano ridotte a due minuscole fessure colme di terrore ma, al contrario, aveva lasciato a Geoff il proprio fucile, e si era diretto immediatamente verso la stanza delle comunicazioni.
Una volta dentro, si sedette subito di fronte al solo microfono acceso che vi era. Indossò le grosse cuffie scure, e poi parlò, la voce annoiata e stanca, incredibilmente infastidita dall'ennesima interruzione.
"Cosa vuoi?"
"Arrogante il sudicio ragazzetto." fece stizzita la bruna oltre il microfono, facendo trapelare tra quelle parole l'idea di un sorriso maligno e  sadico "Volevo solo farti una proposta."
Un sorriso sghembo si delineò sulle labbra di Thomas "Una proposta? E perchè mai dovrebbe interessarmi qualcosa offerto da te."
"Ho ragionato, ed ho capito una cosa." riprese a parlare la donna, comodamente seduta nel proprio ufficio, anche lei di fronte ad un microfono e con indosso cuffie "Avevi ragione: non posso uccidere senza alcuna ragione trecento cittadini, tra medici e pazienti. Tutti capirebbero tutto." spiegò l'ispanica "Ma, guardandoci in faccia, cos'è rimasto da capire? Hanno bypassato i sistemi di comunicazione. Tutti sanno cosa siamo e che facciamo. Non mi interessa più se uccido o no quella gente." Una risata crudele riecheggiò nelle orecchie del giovane che, sconvolto, si rendeva conto di ciò che la donna gli stava dicendo. Avrebbe ucciso comunque, o tutti oppure...
"Ma, dicendoci il vero, il solo che voglio davvero uccidere sei tu!" esclamò la ragazza "Perciò... Ti propongo qualcosa di incredibilmente vicino alla libertà."
Thomas deglutì a vuoto, passandosi la lingua sulle labbra "Sentiamo."
"Una scelta." l'ennesimo dei suoi folli sorrisi si stagliò sulle labbra di Courtney e, se solo Thomas le fosse stato di fronte, avrebbe probabilmente tremato di terrore "O ti fai avanti ed esci dall'ospedale, condannandoti ad un'eroica morte, oppure, moriranno tutti soffocati da una bomba chimica. Niente esplosioni, niente macerie..."
Un lungo e teso silenzio si fece largo tra i due. La recluta non accennava a volere parlare. Non ne aveva l'intenzione; era così terrorizzato, così incredibilmente pietrificato, che la gola gli bruciava quasi. Immaginava l'ispanica sorridergli oltre il microfono, assottigliare i propri occhi e passarsi la lingua sui denti, e tutto ciò che riusciva a fare lui era restare fermo, con il fiato corto e le ginocchia molli.
"Hai pochi minuti per decidere..." riprese a parlare la bruna "Diciamo... Dieci."
E detto ciò, la chiamata si concluse.

Dieci minuti.
Doveva trovare qualcosa, farsi venire in mente un piano, ed aveva solo dieci fottutissimi minuti.
Non doveva dire nulla agli altri, non poteva. Si sarebbe scatenato il panico, e questo gli avrebbe solo reso la situazione più difficile, più ingestibile. Neppure Bridgette e Geoff dovevano sapere. Li avrebbe tenuti all'oscuro del contenuto della conversazione.

Si colpì la fronte con il palmo della mano destra e digrignò i denti frustrato.
Dannazione, doveva esserci qualcosa da fare. Lanciò un'occhiata all'orologio sulla parete; i secondi passavano. Il tempo era inesorabilmente continuo, disgustosamente assassino e letale. Ed il suo -di tempo- si era ridotto radicalmente.
Forse avrebbe potuto ordinare a tutti i presenti nell'edificio di tappare i condotti di areazione. Niente aria condizionata uguale niente spargimento di gas nocivo. Ma ce l'avrebbe davvero fatta in dieci minuti?
Lanciò un'occhiata all'orologio.
Nove. Nove minuti.

Si alzò, lanciando la sedia oltre di lui, ed uscì dalla stanza delle comunicazioni. Forse gli era rimasto ancora qualcosa, aveva ancora quel fondamentale asso nella manica. Mentre percorreva i corridoi dell'ospedale, si tastò la cintura che gli avvolgeva i fianchi magri, ed un sorriso mesto gli apparve in volto. Forse poteva ancora fare qualcosa.











"Sgombrate l'ingresso!"
gridò Thomas una volta entrato nella stanza. Geoff si voltò confuso verso il giovane, squadrandolo incerto. La recluta non vi diede peso, ed incalzò con la propria richiesta "Avanti! Voglio tutti fuori, e questo e un cazzo di ordine!"
Non servì altro. Immediatamente, medici, infermiere e pazienti uscirono dalla stanza, scalpitando con foga ed infilandosi nei vari corridoi. Non avevano mai sentito il ragazzino urlare con tanta collera, neppure quando aveva fatto per la prima volta irruzione. Soltanto Geoff rimase impassibile, fermo in quella stanza come se nulla fosse effettivamente accaduto, guardando con attenzione il giovane dagli occhi verdi e sperando affinchè la notizia che stava per dargli fosse anche solo lontanamente positiva.
"Qualcosa non ti è chiaro?" gli domandò invece altezzoso ed arrogante Thomas, facendolo sussultare. Non si era mai comportato così, forse solamente quando ancora credeva di potere affidarsi al Governo, quando Duncan gli aveva permesso di credervi. Il biondo si mosse fermamente in direzione del diciottenne, il fucile tra le braccia e la determinazione nello sguardo.
"Dimmi cosa sta succedendo, Thomas."
Un sorriso beffardo nacque sul volto della recluta, mentre il suo sguardo vagava in direzione dell'orologio più vicino.
Sette minuti.
"Pensa a Bridgette e non infastidirmi."
Il nome della ragazza fece scattare sul posto Geoff che, allarmato, iniziò subito a guardarsi attorno. Bridgette era stanziata sul retro dell'edificio, parecchio lontano da quel punto dell'ospedale.
"Va da lei e basta." mentì quindi Thomas, facendo credere al biondo che vi fosse una qualche urgenza, qualcosa di davvero spaventoso. Si sarebbe reso conto che era una menzogna troppo tardi, che Bridgette stava bene. Lo avrebbe realizzato solo quando il peggio era ormai accaduto. Sapeva che il ragazzo non avrebbe mai permesso alla propria amata di rischiare la vita e, probabilmente, fu quella la mossa vincente.
"Ma poi mi spieghi tutta 'sta faccenda, ok?"
La recluta sorrise, per poi annuire. Pochi istanti dopo, Geoff aveva già lasciato l'ingresso, ed i suoi passi riecheggiavano lontani nei corridoi bui a causa della corrente che il Governo aveva recentemente  staccato loro. Thomas sospirò sollevato, per poi prestare un'ennesima occhiata all'orologio sul banco informazioni dell'ospedale.
Sei minuti.

Prese un profondo respiro mentre, silenzioso e sorridente, di un sorriso orribilmente fragile, si faceva strada verso l'entrata che era stata sbarrata da piccoli mobili e scaffali. Utilizzando tutta la propria forza, spostò ogni singolo oggetto che gli ostruiva il passaggio, e non appena rivide la porta stagliarsi chiaramente di fronte a lui, comprese che era giunto alla fine.
Allungò una mano e spinse leggermente, ritrovandosi presto all'esterno dell'edificio. Attorno a lui udiva unicamente caos: grida di cittadini e spari continui, sirene ed elicotteri. Poi, di fronte a lui, un'armata composta da una trentina di repressori faceva da scudo umano a Courtney, poco distante. La mora sorrideva maligna, fiera di sé, in piedi al centro di quella barricata fatta di carne viva e fucili.

"Quindi hai scelto di morire,  ragazzetto."






















 
  
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