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Autore: rachel_hetfield    19/08/2014    1 recensioni
[tratto dalla storia]
Non me lo sarei mai immaginato così. Pensavo fosse una specie di principe azzurro, un po’ come accade nelle favole, incontri magicamente un uomo che ti fa battere il cuore all’impazzata, magari a bordo di qualche bella moto o bella macchina, e invece stava seduto lì, silenzioso, con un bicchere in cartone in mano, le gambe accavallate.
Mi avvicinai lentamente, squadrandolo da capo a piedi. Lui ricambiò gli sguardi e si mise in piedi mantenendosi a distanza.
«Sei Lauren?»
Mi sentii mancare quando sentii la sua voce. Gli assomigliava. Assomigliava alla voce di Derek.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Stavo attendendo con ansia la sua risposta, sempre se avesse voluto rispondermi. Distolsi lo sguardo dal computer per osservare fuori dalla finestra. Improvvisamente il cielo si era fatto più grigio, e dalla finestra della cucina tirava un forte vento freddo.
Sembrava troppo bello avere finalmente un giorno di sole splendente, infatti pochi minuti dopo iniziò a scendere quella pioggia leggera ma fitta. Chiusi in tempo le finestre prima che entrasse troppa acqua. Con uno straccio ripulii la piccola pozzanghera d’acqua che si era creata in cucina, sotto la finestra. La strizzai e la gettai nel lavello, tornando a sedermi sulla sedia davanti alla scrivania. Quando alzai lo sguardo c’era la risposta di Jenny, e il cuore prese a battermi velocemente.
“Preferisco non parlarne così. Vuoi venire da me?”
Rilessi quella domanda almeno cinque volte, e continuavo a ripetermela mentalmente senza sapere cosa dire. Probabilmente l’avevo disturbata. E se in quell’anno si fosse trovata qualcuno, e non mi voleva tra i piedi?
No, mi aveva invitata da lei, magari non ce l’aveva con me del tutto. Tirai un grosso respiro, ne stavo tirando troppi quel giorno, stavo pensando troppo agli altri, cosa che non facevo da parecchio ormai.
“A che ora?”
Deglutii cliccando il tasto invio. Poggiai la testa tra le mani, e quando la risollevai c’era già la sua risposta.
“Anche adesso, sono libera.”
Annuii a me stessa più volte, mi alzai dalla sedia senza spegnere il portatile, presi solo le chiavi e la bicicletta, e corsi immediatamente da lei, uno spiraglio di luce, che mi aveva sempre aiutata fino a quel giorno. Attraversai tre isolati senza fermarmi mai, fanculo la pioggia e fanculo le automobili, tanto era un’orario in cui le macchine non circolavano quasi mai, ed ero troppo occupata a pensare a cosa dirle, a come avrebbe reagito vedendomi così diversa dall’ultima volta.
Mi era mancata tantissimo. E quando scesi sotto il suo portone suonando ripetutamente il campanello ebbi la conferma che ero mancata anche a lei. Aprì la porta e mi abbracciò forte, ricambiai quasi subito, stringendola a me. Era l’unica persona che amavo ancora. Non avrei mai potuto stare così tanto tempo senza di lei.
Le scappò un singhiozzo sulla mia spalla. «Credevo non ci saremmo più parlate.»
Scossi il capo accarezzandole i capelli, tirando su con il naso. Non potevo negare che avrei voluto piangere anch’io.
Si staccò da quell’abbraccio così sentito, così affettuoso, facendomi segno di entrare. La guardai bene, di diverso aveva solo gli occhi più arrossati, più spenti. Immaginai che, al contrario di me, non avesse superato la faccenda. Lei aveva un peso ben più pesante rispetto a me sulle spalle. Io avevo saputo. Lei aveva visto.
La sua casa era sempre la solita, stretta, piena di mobili ingombranti e poco ordinati, la casa di chi aveva sempre vissuto tra amici, feste, vacanze e nottate fuori.
Mi sedetti sul divano arancione e polveroso, incrociando le braccia al petto. Lei prese posto accanto a me, poggiando una mano sulla mia gamba.
«Cosa ti serve?» mormorò con voce spezzata, come se fossi lì solo per farmi aiutare.
«In realtà niente.»
Lunghi attimi di silenzio. Jenny teneva lo sguardo fisso per terra, la guardavo ogni tanto, mi piaceva osservare i suoi capelli arancio sbiadito muoversi  con il vento che soffiava leggero da uno spiraglio di finestra aperta. Era solo più rotonda, sia nel viso che nelle forme del corpo. Aveva sofferto di disturbi alimentari esattamente come me, dovuti a uno “shock” come preferiva definire Rosalie.
«Se sei qui per ricordarmi di Derek allora faresti meglio ad andartene...» il suo tono non cambiò, era sempre malinconico.
Aprii bocca per dire qualcosa ma non uscì nulla. Non ero lì per quello.
«Lauren, ti prego» sembrava stesse per piangere.
Le afferrai la mano stringendola forte. «Voglio solo che entrambe facciamo quel passo di... andare avanti.»
«E come? Non ho più amici, nessuno, sono tutti andati via.»
Sospirai. «Io sono tornata.»
L’aria nonostante fosse ventilata sembrava più pesante del solito. Non respiravo nemmeno a tratti, entrambe guardavamo le nostre mani strette. Eravamo amiche sì, avevamo litigato, ma eravamo tornate insieme per non finire allo stesso modo.
«Non voglio stare chiusa in casa» mormorai «sta anche smettendo di piovere.»
Lei annuì mettendosi in piedi e la seguii fino alla porta. Se la chiuse alle spalle girando la chiave nella serratura. Ci guardammo per qualche secondo, e l’una negli occhi dell’altra vedevamo lo stesso dolore che avevamo sopportato per un anno.
Basta pensarci, mi dissi, avevo represso tutto quanto per undici mesi, sapevo che se avessi voluto cambiare e andare avanti avrei dovuto tirare fuori tutto quanto ed affrontarlo, ma non così, non con lei, non restando in silenzio. Avevo davvero bisogno di qualcuno. Volevo qualcuno che mi amasse come aveva sempre fatto lui.
Eravamo ancora ferme davanti alla porta, ormai il cielo si era rischiarato di poco. Quella pioggia sottile e passeggera, che rinfrescava di poco le giornate, se n’era già andata. «Cosa intendi fare adesso?»
La sua voce mi risvegliò dai miei pensieri. «Stasera voglio... voglio uscire. Andare da qualche parte.»
«Non contare su di me allora» fece una smorfia.
«Perché?» improvvisamente alzai il tono di voce.
«Perché tu non vuoi fare altro che rimpiazzarlo» rispose anche lei con meno tranquillità.
Strinsi le labbra e le buttai un’occhiataccia. «Non credo che sarebbe felice di vederci entrambe in questo stato, cosa ne pensi?»
«Penso che sia sbagliato.»
«Non è sbagliato» abbassai lo sguardo «stasera all’All Blue c’è un gruppo che si esibisce. Io ci vado sempre in quel posto, se vuoi venire mi trovi lì dalle sette e mezzo.»
Girai i tacchi e salii sulla bicicletta. Non mi aspettavo che reagisse così, pensavo fosse disposta ad aiutarmi e di conseguenza essere aiutata, invece aveva fatto la parte della vittima e continuare a soffrire in quel modo la solitudine senza fare niente. Ma non sarei stata come lei, io avrei smesso di vivere quella vita così monotona.
 
*
L’All Blue era davvero più affollato del solito quella sera. I proprietari avevano spostato i tavoli in modo da lasciare spazio a un piccolo palcoscenico, allestito con strumenti parecchio semplici: una chitarra acustica amplificata, tre microfoni, due tastiere e una batteria elettronica. Presi posto al mio solito tavolo con il divanetto, all’angolo, isolata da tutti. Non portai il portatile, ma ero agitata, troppo agitata all’idea di vedere qualcuno avvicinarsi a me. Come gestire una conversazione era un argomento messo troppo da parte, era difficile anche salutare qualcuno da lontano ormai. Però mi piaceva osservare.
Mary Lou era seduta ad un tavolo non molto lontano dal mio, a chiacchierare animatamente con un ragazzo del quale non raccolsi velocemente i particolari. Capelli neri, occhi chiari, pelle pallida. Niente di particolare. Qualche lentiggine qua e là, skinny neri e felpa grigia. Mi chiesi cosa ci trovava di interessante in lui, una ragazza così solare e piena di vita a parlare con uno che annuiva appena.
Finché non capii l’argomento della loro conversazione. Prestando attenzione alle parole di Lou, riuscii a sentire “viene tutte le sere qui, potrei presentartela”, e pochi istanti dopo inizò a guardarsi in giro. Mi salii il cuore in gola, sperai non mi vedesse. Ma purtroppo, lei sapeva dove mi sedevo solitamente, e quando mi vide mi salutò da lontano. Tutto pur di evitare una conversazione con qualcuno. Non ci riuscivo nonostante il mio obiettivo fosse quello. Ricambiai il saluto, e mi urlò un “vieni qui, voglio farti conoscere il cantante!”
Mi alzai dal mio posto e le andai vicino, senza degnare di uno sguardo il tipo con cui parlava che, a quanto pare, era il cantante di quella band nonché suo amico.
«Mi unirei volentieri Lou, ma mi fermo qui per un po’, ho del lavoro da sbrigare» inventai una scusa qualsiasi, ma risultai poco credibile.
«E dai, senti un paio di loro pezzi, non te ne pentirai» insistette facendo smorfie da cucciolo sperando di convincermi.
Sospirai. «E va bene, ma un paio.»
Mi sedetti verso di lei, troppo  in ansia per girarmi verso quel ragazzo che sembrava anche più grande di me. Lou mi tirò il braccio verso quello del ragazzo e involontariamente mi trovai a stringergli la mano. Lui, con un mezzo sorriso, si presentò. Non ascoltai nemmeno il suo nome, stavo sempre a guardarmi alle spalle cercando di cogliere la prima occasione per fuggire da lì, da quell’inferno, da quella follia che avevo compiuto senza nemmeno pensare.
Avevo sbagliato ad entrare in una sera così piena. Continuai a guardarmi intorno alla ricerca di qualcosa con cui distrarmi, quindi presi il cellulare e finsi di inviare messaggi a qualcuno. Aprii le note e iniziai a scrivere qualcosa a caso. Non mi ero accorta, però, che stavo iniziando a scrivere.
Con un sorriso sulle labbra, gli occhi fissi sullo schermo, stavo digitando sulla tastiera dell’iPhone scrivendo due, tre, quattro righe. Mai sentita meglio dopo tanto tempo. Non avevo nemmeno fatto caso a Mary Lou che mi chiamava. Alzai lo sguardo, e incontrai prima quello del ragazzo, poi quello della ragazza e infine quello di Jenny. Altro grande sollievo della giornata, mi aveva ascoltata. Mi alzai e l’abbracciai, grata del suo sostegno. Mi scusai con Lou e ci sedemmo al tavolo sul quale ero prima che la ragazza mi infilasse in quella presentazione così secca, disinteressata. Onestamente, non me n’era fregato nulla.
Salvai le note e non le riguardai, per non eliminarle di nuovo, poteva essere la volta buona.
«Chi era quello?» chiese a bassa voce Jenny, e alzai di nuovo la testa per vederlo.
«Il cantante della band di stasera» risposi distogliendo lo sguardo da lui e la ragazza che parlavano ancora. Avevo solo messo disagio quando mi ero seduta a quel tavolo, e andarmene aveva reso le cose più facili, ma non quando Jenny mi chiese se avessi potuto presentarglielo.
Deglutii. Non avrei accettato per nessun motivo al mondo. «Non lo conosco nemmeno.»
«Come si chiama?»
Mi strinsi nelle spalle. «Me lo aveva detto ma non ho ascoltato come si chiamasse.»
Lei annuì con la testa bassa, giocherellando con le dita. «È bello.»
Quella sua affermazione improvvisa mi fece mancare. Riusciva a considerare bello qualcuno? E come faceva, io non ero riuscita neanche a guardarlo in faccia da vicino per più di due secondi. Mi accorsi che Jenny lo stava fissando, e che lui lanciava occhiate verso il nostro tavolo. Mi sentii profondamente a disagio, e mi alzai dal tavolo catturando l’attenzione della mia amica. «Mary Lou è mia amica, puoi stare con loro. Io preferisco stare qui da sola.»
«Mi stai cacciando via?»
«No, ma vedo che quel cantante ti interessa abbastanza.»
Lei fece una smorfia di perplessità, ma con me non poteva fingere. Sapevo quanto lo stesse guardando e quanto desiderasse andare a parlarci, e chi ero io per fermarla? Ero anche contenta che fosse venuta, perché non si chiudesse più in casa a piangere. Solo che non volevo essere messa da parte, e quindi mi alzai dal mio posto e la lasciai passare. Mi guardò per chiedermi se fossi sicura, e risposi di sì, ma in realtà non ero per niente sicura di quello che le avessi detto di fare.
Lei si sedette accanto a Mary e, titubante, tese la mano alla ragazza, che ricambiò radiosa. Iniziò a dire qualcosa, e poi strinse la mano anche al tipo. Sentii qualcosa dentro, come un bruciore, ero gelosa degli sguardi che lui le rivolgeva e che non aveva rivolto a me. La guardava attentamente, con un sorriso leggero sul viso, gli occhi che le squadravano il viso. Jenny era sempre stata socievole, aveva solo bisogno di quella spinta che nessuno le aveva dato in un anno. Pensai che il mio lavoro era finito lì, e sospirai. Non me ne andai perché ero curiosa di sentire la band che si  esibiva quella sera. E intanto, avevo preso a fissare lui. Come Jenny, non riuscivo a distogliere lo sguardo. Lei annuiva e si faceva sfuggire qualche sorriso, e Lou sembrava entusiasta dell’esito della serata. Ma mai quanto me. Ero contenta che finalmente la mia migliore amica si fosse aperta con qualcun altro che non fossi io. Poi lui si alzò dal suo posto e mi dispiacque vederlo sparire  tra i tavoli, verso il piccolo palco allestito dei pochi strumenti.
Guardai verso il palco e per poco mi sfuggì un sospiro troppo alto: c’era il ragazzo con i baffi che avevo visto da Rosalie, e rimasi di sasso vederlo lì.
Si scambiarono tutti degli ok con la mano, e fecero segno a qualcuno dall’altra parte della sala che erano pronti. Le luci si spensero, rimase acceso solo qualche riflettore azzurro  che indirizzava i quattro sul palco.
Il ragazzo del tavolo di prima prensentò il gruppo con un nome francese: Bastille. Non me lo sarei scordato.
 
*
Era quasi mezzanotte, e io stavo scrivendo sul computer qualche accenno della serata. Forse così mi sarebbe tornata l’ispirazione. Ero andata via dopo aver sentito la prima canzone, sotto gli sguardi confusi di Jenny e Mary Lou che si stavano godendo alla grande lo spettacolo, Jenny soprattutto.
Andai a dormire dopo aver scritto sì e no cinque pagine, spensi il computer e mi addormentai quasi subito sul divano.
Al mattino dopo ero sveglia già alle otto. Dato che era un’orario inadatto per me per andare all’All Blue, presi quel vecchio album fotografico che non tiravo fuori da tanto tempo per non rivangare ricordi che mi avrebbero ferita oltre. Passai un fazzoletto di tessuto sulla copertina per togliere la polvere, mi sedetti per terra con le gambe incrociate e l’album aperto alla prima pagina poggiato sui polpacci. C’erano le mie foto da piccola insieme a Jenny e suo fratello, tutti e tre insieme, uniti da sempre. Giocavamo l’una a casa dell’altra. Poi altre foto mie e di Jenny adolescenti insieme al suo primo ragazzo, e ancora foto mie e di lei con il primo drink, alla prima festa, con le altre amiche, amici. Poi le foto mie e di suo fratello. Io e Jenny avevamo vent’anni, lui ne aveva ventitré. Io e Derek sott’acqua, Jenny sempre meno presente, fino alle foto della festa di fidanzamento mio e di Derek.
Mai, da piccola, avrei immaginato di potermi innamorare del fratello maggiore della mia migliore amica. Proprio lui, con cui avevo pianto, giocato, riso, preso la prima sbronza, con cui andavo in centro a fare shopping. Io sapevo tutto di lui, e lui sapeva tutto di me.
Sin da piccola provavo qualcosa verso di lui, così bello, così maturo, premuroso e gentile nei miei confronti, ma come avrei potuto immaginare che quel giorno di due anni fa, a cena, mi chiedesse di sposarlo? Quel batticuore che non si poteva esprimere a parole, quella felicità che facevi uscire con le lacrime. Le promesse di una vita felice, avevamo anche pensato a come chiamare i nostri figli. Lui era mia stato il mio primo bacio, il mio primo sballo, la mia prima volta, la mia prima festa, il mio primo amore.
Non mi ero accorta che mentre sfogliavo le ultime foto di noi due felici mi ero messa a piangere. Avevo bagnato le pellicole delle fotografie di lacrime che avevo represso per undici mesi. Strinsi al petto l’album di fotografie, in lacrime, sperando di poter tornare per un giorno solo a quei momenti di felicità.
Era tutto troppo bello per durare. Me lo aveva portato via, all’improvviso, senza lasciarlo tornare indietro.
Fui risvegliata dai pensieri dal cellulare che squillava. Jenny mi stava chiamando. Risposi con la voce roca e lei mi chiese se stavo bene.
«Sì. Dove sei?»
La sua voce era sempre la solita, solo con un pizzico di vitalità in più. «Sono andata al bar, volevo vedermi con Daniel. Tu sei ancora in casa?»
Mi chiesi chi fosse questo Daniel. Era così terrorizzata all’idea di conoscere qualcuno, ed era riuscita prima di me a fare amicizia con qualcun altro, e anche se non lo era, lo consideravo egoista. «Sì, non avevo molta voglia di uscire.»
«Beh, raggiungimi più tardi, noi siamo qui» e riattaccò. Quel noi era troppo familiare. Erano lei e Derek, ogni volta, a chiamarmi e chiedermi di raggiungerli. Mi vestivo in fretta e correvo da loro, o meglio, da lui.
Non volevo conoscere quel qualcuno che frequentava di già la mia amica, non ero pronta. Nel frattempo era passata più di un’ora, e decisi di lavarmi e vestirmi. L’All Blue non era l’All Blue senza di me, tutte le mattine, col mio caffellatte.
Non presi la bicicletta, tanto era vicino e non sembravano nuvole di pioggia quelle che coprivano il sole. La nebbia sottile già compariva, segno che ci si stava inoltrando verso l’autunno pieno. In pochi minuti ero già fuori dal bar, entrai salutando Mary Lou e fui colpita subito nel vedere che la mia amica stava seduta davanti al cantante della sera precedente. Non ero in grado di fare un passo verso di lei. Allora era interessata davvero a lui.
Di nuovo quel bruciore, quella voglia di scappare via o di urlare. Mi sedetti senza salutarli al mio tavolo, ignorando Jenny che mi chiamava. Mi sedetti sul divanetto tenendo lo sguardo sul tavolo. Fortunatamente qualcuno aveva lasciato un giornale poggiato lì, e lo sollevai per non guardarli. Sapevo di aver scatenato qualche sospetto, ma in quel momento volevo solo non aver mai chiesto a Jenny di uscire di casa. Magari la sua vita sarebbe migliorata, e io ero ancora seduta da sola su quei divanetti bianchi, isolata da tutti. Avevo bisogno come non mai di qualcuno che mi stesse accanto, che non fosse né Jenny né quel cantante.
La sera prima avevo ascoltato appena la prima canzone, non male, ma se mi fossero piaciuti sarei rimasta, ma mi annoiavano. Avevo scoperto di odiare la musica. Senza Derek poche cose mi piacevano ormai.
Abbassai il giornale vedendo Mary Lou avvicinarsi a chiedermi cosa ne avessi pensato della serata precedente. Notai Jenny che si alzava guardandomi, ma spostai lo sguardo sulla ragazza.
«Non mi hanno fatta impazzire» dissi sinceramente riguardo alla band.
«Sono veramente molto bravi a parer mio, e poi Dan è così carino...» fece una smorfia sognante, e guardai di nuovo verso il tavolo che stavolta era occupato solo da lui, dal cantante.
Annuii a tutto quello che diceva Lou su di loro, su quanto le piacesse il tipo, ma non prestai attenzione perché ero troppo occupata a guardarlo. Non ha niente di particolare, mi ripetei, non guardarlo. Eppure avevo lo sguardo fisso su di lui, sui suoi capelli insoliti, sul viso nascosto dalla grande mano poggiata sulla guancia, intento a guardare qualcosa sul suo cellulare, un iPhone anche il suo.
Sospirai, e Lou si accorse che l’avevo quasi totalmente ignorata. Si voltò nella direzione in cui guardavo e mi scoprii a fissarlo.
«Stavi guardando Dan?»
Colta con le mani nel sacco, dovetti inventare. «Il suo iPhone» finsi «è molto più bello del mio.»
All’inizio non sembrò beversela, ma fece finta di crederci.
«Dimmi una cosa» le chiesi «lui frequenta spesso questo bar?»
Scosse la testa. «Da quando ha preso un appartamento qui con un suo compagno della band ha detto di voler venire più spesso, gli piace l’atmosfera del luogo. È un tipo davvero strano, ma è proprio carino. E, diciamocelo, anche se ha almeno dieci anni in più di me lo trovo parecchio sexy.»
Ridacchiai. «Il fascino della differenza di età.»
«Avresti potuto parlarci ieri sera, ma la tua amica si è come fiondata, credo che le piaccia Dan» ammise stringendosi nelle spalle «anche se piace un po’ a tutte qui.»
Annuii di nuovo.
«Solito caffellatte?»
«Solito caffellatte.»
Si allontanò per portarmi la mia solita colazione, e non potevo fare a meno di guardarlo. Ogni tanto distoglievo lo sguardo per non farmi beccare a fissarlo o per non metterlo a disagio, e fingevo di guardarmi intorno quando spostava la testa o alzava gli occhi al cielo. Ogni tanto si toccava i capelli o si strofinava il viso con le mani. Era così semplice e insipido, e allora perché non riuscivo a staccargli gli occhi di dosso, di studiarlo?
Nemmeno a pensarci che scrissi un capitolo in tre giorni incentrato su di lui, su cosa ordinava, quello che faceva o che immaginai potesse piacergli fare. Sembrava uno così scontato. Avevo preso l’abitudine di alzarmi ogni giorno alle otto e uscire di casa alle nove e mezzo, e potevo essere sicura che lo trovavo solo, senza Jenny che non si era più fatta sentire. Non aveva bisogno di me, bene, nemmeno io ne avevo di lei.
Era così bello potermi alzare la mattina convinta che avrei fatto qualcosa, con un motivo per uscire di casa e andare a passo svelto al bar sperando di vederlo, con il cuore che batteva e una sorta di ansia pre-appuntamento. Ma io e lui non avevamo appuntamenti, non avevamo mai parlato, forse un paio di volte i nostri sguardi si erano incrociati prima che tornassi a scrivere sul mio portatile che non aveva più una pagina bianca ad aspettare di ricevere le parole di cui aveva bisogno. Le parole c’erano. E io speravo che arrivassero anche dal diretto interessato, anche se non arrivavano mai. Era sempre da solo ad aspettare forse qualcuno, ma quando arrivavo io vedevo Jenny uscire. Mi facevo sempre domande su di lui, e scrivevo sul suo alone di mistero che mi aveva tanto attratta.
Era domenica mattina quando rimasi delusa: lui non c’era nel bar. Chiesi a Mary Lou se sapesse perché non c’era, e lei rispose semplicemente che forse aveva dormito da qualcun altro, o aveva trovato un altro bar. Mi sentii stringere il cuore, avevo bisogno di vederlo e osservarlo per continuare a scrivere.
Osservare quel posto vuoto mi riempì solo di nostalgia. Avevo perso di nuovo qualcun altro, ma forse lui nemmeno lo sapeva quanto significasse la sua presenza.
La sera mi misi quasi a piangere rileggendo quanto avevo scritto su di lui. I giorni passavano, e lui non metteva ancora piede nel locale. Né lui, né uno della sua band. Non vidi più nemmeno quello che vidi allo studio di Rosalie, nessuno. Ero tornata a sprofondare, a leggere e rileggere venti pagine interamente su di lui, immaginando quale potesse essere la sua vita privata, il suo legame con la musica.
Non chiamai Jenny, poteva anche essere da lei la mattina. Magari si frequentavano. E io avrei perso il mio punto di riferimento, la mia musa ispiratrice, metaforicamente.
Smisi anch’io di frequentare il bar. Rimanevo a casa, a letto, a guardare le fotografie o a pensare al cantante così freddo e spento, isolato e silenzioso se non in compagnia di Jenny. Ero riuscita a rovinare un’amicizia con le mie mani per la seconda volta, avevo allontanato un’amica di una vita per cosa? Per gelosia.
Una mattina di fine ottobre ricevetti la chiamata di Rosalie. Mi voleva incontrare a casa sua, non nel suo studio per una volta, e anche se ero distrutta e delusa, accettai. Dovevo essere a casa sua per mezzogiorno, mi aveva invitata a pranzo da lei.
Erano già le undici, quindi spensi il computer e richiusi l’album di fotografie. Mi stavo facendo male da sola continuando a usarli.
Avevo stampato quello che avevo scritto su di lui per farlo leggere a Rosalie, era comunque l’unica persona rimasta con cui avrei voluto parlarne, e da quello che avevo scritto avrei potuto spiegarle cos’era successo e come mi sentivo.
Mi cambiai di malavoglia, sedendomi ovunque capitasse, anche per terra, mentre infilavo i jeans e il maglione. Pettinai i capelli facendo cadere la spazzola, ero come senza forze. Presi il cellulare e le chiavi, e salii sulla bicicletta. Passai davanti al bar che non frequentavo più da quasi una settimana, e quando lo vidi mi si fermò il cuore. Scesi rapidamente dalla bici, non sapevo perché lo stavo facendo, ma rivederlo aveva acceso qualcosa in me. Poggiai la bici vicino all’entrata, tanto nessuno avrebbe potuto prenderla. Una scossa di adrenalina mi fece catapultare all’interno del locale, attirando l’attenzione di Lou, un paio di camerieri, e quella di Daniel. Guardai dapprima lui, e involontariamente ci fissammo per qualche secondo, finché la ragazza non mi venne incontro.
«Che fine avevi fatto?» mi chiese allegramente, forse le ero mancata.
Spostai lo sguardo su di lei e le sorrisi forzatamente. «Ho avuto la febbre. Ora scusami, ma devo andare, volevo solo passare a salutarti.»
Indietreggiai guardando Dan, che non aveva smesso di fissarmi, e girai i tacchi uscendo di lì. Ero sul punto di piangere, ma dalla gioia.
 
 
Writer’s wall
Ciao a tutti! Niente di che da dire su questo capitolo un po’ strano, ditemi cosa ne pensate voi piuttosto! Siccome è una storia che, nonostante per me sia difficile da scrivere, mi prende molto, ci sto mettendo tutto l’impegno possibile e potrei aggiornare molto velocemente oppure aggiornare lentamente per far sì che non ci siano troppi orrori grammaticali e di battitura.
In questo capitolo ho voluto evidenziare il rapporto che aveva Lauren con Jenny, e spolverare un po’ i ricordi che aveva di loro due e di Derek, nonché fratello di Jenny. Tutta la storia la saprete, ma più in là, per ora voglio tenervi sulle spine (sempre se ci sono riuscita).
Detto questo, grazie mille per le quattro recensioni al primo capitolo, sapete che siete sempre le prime a farmi venire la voglia di scrivere!
Un abbraccio, Angelica
  
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