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Autore: ValeryJackson    19/08/2014    10 recensioni
[Seguito de Il Morbo di Atlantide]
Non si trasforma la propria vita senza trasformare se stessi.
Questo, Skyler, l'ha imparato a sue spese.
Per lei è ancora difficile far coesistere la sua natura mortale con quella divina, e superare quella sottile barriera che le separa, dal suo punto di vista, è una missione impossibile.
L'unico modo per scoprire come fare è forse quello di passare l'intera estate al Campo Mezzosangue, insieme ai suoi amici, insieme alla sua famiglia. Ma se fosse proprio lì il problema?
Se lei non fosse mai venuta a conoscenza della sua vera natura, ora sarebbe tutto più facile, no?
E' cambiata, e di questo ne è consapevole. Ma in meglio o in peggio? E di chi è la colpa? Sua, o di tutto ciò che la circonda? E' possibile tornare ad essere quella di un tempo senza però rinunciare a ciò che ha adesso?
Attraverso amori, amicizie, liti, incomprensioni, gelosie, nuovi arrivi e promesse da mantenere, Skyler dovrà decidere quale lato della sua anima sia quello dominante. Ma soprattutto, di chi fidarsi nel momento in cui tutto sembra sul punto di sfaldarsi.
Ma sei proprio sicuro che siano tutti ciò che dicono di essere?
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Connor Stoll, Leo Valdez, Nuovo personaggio, Percy Jackson, Quasi tutti, Sorpresa, Travis & Connor Stoll
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'The Girl On Fire'
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Voglio dedicare questo capitolo a FoxFace00,
che ha segnalato la mia storia all'amministrazione per l'inserimento tra le Storie Scelte.
Questo è il regalo più bello che mi potessi fare.
Grazie infinite! Non esistono parole sufficienti per esprimerti
tutta la mia gratitudine.
E non mi importa se la storia verrà o non verrà inserita.
Grazie comunque per l'enorme fiducia.
Spero di non deluderti.
Spero di non deludere nessuno di voi.


 
Avevano viaggiato tutta la notte, e l’unica volta in cui Skyler era riuscita a chiudere occhio era stato quando Travis aveva gentilmente ceduto la guida a Connor, che accelerando con un po’ più di prudenza le aveva proposto di sdraiarsi un po’.
Ma tutti i suoi pensieri continuavano ad invaderle la mente molesti, facendola così svegliare ogni volta con un grosso peso sul cuore.
Si sentiva soffocare, sdraiata sui sedili posteriori dell’auto, ma questo non lo disse. Aveva continuato a rigirarsi sul posto, finché non aveva deciso che quelle cinture di sicurezza nel fianco erano troppo scomode, e così aveva passato il resto del viaggio osservando il paesaggio cambiare fuori dal finestrino, aspettando di scorgere le familiari coste di Long Island.
Non appena furono arrivati a destinazione, Skyler allungò il collo, stringendo gli occhi a due fessure per osservare attraverso la foschia. Chirone era lì che li aspettava.
Non era sulla sedia a rotelle, come la prima volta che l’aveva visto, ma esibiva fiero il suo posteriore equino, le braccia conserte e un’espressione corrucciata in volto.
Quando scesero dalla macchina, accolse Skyler con un caloroso ‘bentornata’, e la ragazza giurò di avergli visto fare un sospiro di sollievo.
Aveva poi detto ai due fratelli di andare a riposarsi, e aveva assicurato che da quel momento in poi sarebbe stato lui ad occuparsi della figlia di Efesto, iniziando col farle fare un giro d’orientamento.
Il Campo non era cambiato per niente.
Tutto era esattamente come Skyler lo ricordava. Le stalle piene di pegasi; la mensa e l’armeria; il muro dell’arrampicata e i campi di pallavolo. Persino le capanne erano nella loro esatta posizione, e se voltava di poco il capo riusciva a riconoscere il tetto della Casa Grande svettare sopra l’orizzonte.
Avrebbe voluto dire al centauro che non era necessario che lui la scortasse, ma poi pensò che in un certo senso la sua presenza era rassicurante, e che con tutti i pensieri che le frullavano per la testa non era male distrarsi un po’.
Passarono davanti all’Anfiteatro, dove il più grande dei figli di Ares stava tenendo un corso di lotta libera.
Skyler si fermò un attimo ad osservare, incurante del fatto che Chirone stesse continuando a camminare e parlare senza di lei.
Si alzò leggermente sulle punte ed studiò i ragazzi che lottavano.
Riconobbe quasi subito i boccoli corvini di Rose.
La figlia di Poseidone stava lottando contro un ragazzo, e, con un sorriso, Skyler si rese conto che si trattava di Microft, suo fratello.
A quanto pareva, i due erano diventati molto amici dopo la scorsa estate.
Nel periodo in cui lei e i suoi amici erano partiti alla ricerca degli ingredienti per guarire il Morbo di Atlantide, Rose era rimasta sola con il fratello malato. Passava intere giornate accanto al suo letto, pregando gli dei perché si svegliasse, e nessuno, neppure Annabeth, era in grado di consolarla.
Dopo aver saputo della situazione della ragazza, Microft aveva cominciato a spiarla, osservandola di nascosto dal ciglio della porta e desiderando di fare qualcosa per aiutarla.
Anche se all’apparenza poteva non sembrare, Microft aveva un cuore d’oro, e non amava vedere la gente intorno a lui soffrire.
Michael le aveva raccontato che una sera, mentre Micky si stava dirigendo da Rose, aveva sentito Annabeth parlare con una figlia di Apollo, mentre affermava che ciò di cui Rose aveva davvero bisogno non era qualcuno che provasse compassione per lei, ma un amico che le desse una spalla su cui piangere.
Forse fu proprio quello a convincerlo a fare un passo avanti.
All’inizio non si parlavano. Microft entrava nella stanza di Percy e i due si scambiavano solo qualche occhiata. Lei rimaneva seduta accanto al letto del fratello, e lui si sistemava nell’angolo opposto della stanza.
E restavano così, in silenzio, finché non si faceva troppo tardi e Microft non andava a dormire. E così per uno, due, tre giorni.
Poi, una mattina, mentre si trovavano di nuovo lì, Microft si tagliò accidentalmente un dito con uno dei bulloni con cui stava giocando. Niente di grave, ovviamente, ma Rose insisteva a volerglielo medicare.
E, mentre lo faceva, scoppiò a piangere. Il ragazzino non sapeva esattamente come comportarsi, così alla fine fece la cosa che gli sembrò più sensata. L’abbracciò e la lasciò sfogare.
Il giorno dopo, i due iniziarono a parlare. Lei gli raccontò della sua vita, di come la madre di Percy l’avesse adottata dandole il suo cognome, dei suoi anni passati al Campo.
E lui le raccontò com’era stato il suo primo periodo lì, di come gli dispiacesse essere arrivato in una situazione tanto disastrosa, e di come faticasse ad entrare in confidenza con gli altri semidei.
Diventarono amici. Microft si rivelò un ottimo ascoltatore, e in certi momenti sembrava l’unico capace di consolarla.
E Rose lo lasciava fare. Perché stava cominciando ad abituarsi alla sua presenza. E perché, nonostante avesse tante persone, al Campo, che le volevano bene, nessuno era mai stato così gentile con lei.
Quando tutta quella storia del Morbo di Atlantide era finita, loro continuarono ad incontrarsi e parlare, e verso l’inizio dell’inverno Michael aveva rivelato a Skyler quanto fossero ormai inseparabili.
Lei ne era contenta. Erano un bel duo, nonostante tutto.
Mentre li osservava, Microft provò ad atterrare Rose con un montante destro, ma lei gli bloccò il pugno a mezz’aria, storcendogli il braccio e bloccandogli il polso dietro la schiena, per poi farlo cadere a terra.
Skyler annuì, soddisfatta. Le aveva insegnato lei quella mossa. La figlia di Efesto non aveva un rapporto molto intimo con le sue sorelle, e Rose… beh, Rose non aveva sorelle.
Era piacevole stare insieme.
Non appena Microft finì con il sedere a terra, alzò lo sguardo, con una smorfia dolorante.
Fu in quel momento che la vide, in lontananza.
La sua smorfia si trasformò in un sorriso, e il ragazzino la salutò con un cenno della mano. La figlia di Poseidone seguì la direzione dei suoi occhi, e con un sorriso smagliante agitò il braccio nella sua direzione, a mo’ di saluto.
Un angolo della bocca di Skyler si sollevò, e anche lei alzò il palmo, per poi chiudere esitante il pugno, quasi stesse cercando di prendere qualcosa di inafferrabile.
Il richiamo di Chirone la riportò alla realtà. Skyler lanciò un’ultima occhiata ai due ragazzini, che ora avevano ripreso a lottare dopo che Rose aveva aiutato Microft ad alzarsi.
La mora raggiunse il centauro, ma lui non fece domande, né la rimproverò per essere rimasta indietro. Continuò semplicemente a parlare, scortandola per il Campo e ricordandole l’utilità di ogni luogo.
Quando passarono davanti il poligono di tiro con l’arco, Skyler chiuse gli occhi a due fessure, scrutando gli arcieri nella speranza di intravedere John. Lui però non c’era, e non vide neanche Emma, quando attraversarono le sponde del lago dove dei ragazzi stavano facendo un giro in canoa.
Aveva davvero bisogno dei suoi amici.
Aveva bisogno di riabbracciarli e di parlare con loro. Vedere Rose e Microft, poco prima, non aveva fatto altro che ricordarle quanto in realtà le erano mancati, e quanta voglia avesse di sfogarsi con loro e di sentirsi al sicuro, perché sapeva che loro sarebbero stati dalla sua parte, sempre e comunque.
Aveva bisogno dei suoi amici, e non riuscire a trovarli non aveva altro effetto se non quello di distrarla dalle spiegazioni di Chirone, chiedendosi se stessero bene, perché non fossero lì, e se fossero cambiati tanto quanto lo era lei.
 
Ω Ω Ω
 
Michael provò con un fendente, ma la sua spada cozzò contro Vortice producendo un fruscio metallico.
Percy cercò di colpirgli il fianco con la lama, ma il fratello riuscì a bloccare la sua arma a mezz’aria, prima che questa lo tranciasse in due.
Percy allora attaccò con un fendente, e dopo esser riuscito ad evitare anche quello, Michael girò su se stesso posizionandosi alle spalle del ragazzo. Sollevò la spada, nel tentativo di colpirlo di sorpresa.
Ma ci voleva ben altro per cogliere Percy Jackson di sorpresa.
Il figlio di Poseidone, infatti, schivò abilmente il colpo, flettendo le ginocchia; e quando si rialzò le loro spade cozzarono di nuovo.
Con i volti a pochi centimetri di distanza mentre entrambi esercitavano una leggera pressione sulle rispettive lame, Percy sorrise, piantagrane.
«Ci vuole ben altro per battere il sottoscritto in un combattimento di scherma» gongolò.
Michael ridacchiò, sarcastico. «Io non canterei vittoria troppo presto.»
Si allontanarono di scatto, facendo qualche passo indietro senza smettere di guardarsi negli occhi con tono di sfida.
Percy sollevò le sopracciglia, con l’aria di chi la sa lunga. Poi si rigirò abilmente la spada nella mano, quasi quella situazione lo divertisse.
Fu Michael che attaccò per primo. Menò una serie di fendenti, ma come aveva immaginato, Percy li parò tutti, indietreggiando senza però dare l’idea di essere impressionato. 
Il maggiore fece un passo avanti e provò un affondo, e non si sa come, Michael riuscì a pararlo, per poi far roteare la lama nel vano tentativo di disarmarlo.
Percy indietreggiò e lo squadrò, quasi stesse soppesando con lo sguardo la sua prossima mossa.
E in quel momento Michael pensò a Skyler. O meglio, a ciò che gli diceva Skyler. Una mattina, la scorsa estate, la ragazza si era offerta di dargli lezioni di autodifesa, nel caso si fosse ritrovato disarmato con qualche nemico.
Dopo averlo buttato a terra per l’ennesima volta, gli aveva detto che il modo migliore per avere la meglio sull’avversario è fare ciò che lui non si aspetterebbe mai tu facessi.
E Michael aveva lottato abbastanza con Percy per capire che il fratello sapeva del suo leggero timore reverenziale nei suoi confronti.
Per questo non si sorprese di vedere la confusione sul suo volto quando con una scivolata si avvicinò a lui e gli ferì il braccio. Percy cercò di difendersi, ma l’effetto sorpresa aveva avuto la meglio su di lui. Per cui, quando Michael evitò per un pelo il suo fendente, per il fratello fu facile colpirlo in petto con l’elsa della spada, facendolo barcollare e poi cadere.
Percy lo guardò, ammirato. «Bella mossa» si congratulò.
Michael tentò di colpirlo di nuovo, ma con l’aiuto di un montante il maggiore si era già rialzato, e soppesava il fratello in attesa della sua prossima azione.
Quando capì che lui stava facendo lo stesso, però, decise di attaccare.
Menò una serie di fendenti, che però Michael riuscì a parare, seppur con qualche ferita. Erano entrambi stanchi e sudati, eppure nessuno dei due sembrava aver intenzione di cedere.
Chiamatela tenacia, chiamatela cocciutaggine dei figli di Poseidone, fatto sta che quei due continuavano a lottare senza sosta da almeno due ore.
E fu quando se ne rese conto che Percy decise che era il momento di farla finita.
Fletté le ginocchia, facendogli credere di volergli colpire le gambe, e quando lui andò a pararle Percy sollevò la spada, provando un ultimo, potente fendente.
Michael riuscì a malapena a pararlo, e le loro spade cozzarono un’altra volta, provocando un ruvido suono metallico.
Percy ruotò il polso, e Michael perse la presa sull’arma, restando disarmato.
Percy approfittò del suo momentaneo smarrimento per mettere il tallone contro il suo e sollevarglielo, facendogli perdere l’equilibrio e poi colpendolo in pieno petto con l’elsa della spada.
Michael cadde a terra con un tonfo, battendo con il sedere sul pavimento di marmo dell’Arena.
Quando sollevò lo sguardo, vide Percy sollevare un’ultima volta Vortice, pronto per il colpo di grazia. Il ragazzo si coprì il volto con le braccia, pronto a sopportare il dolore.
E fu a quel punto che lo sentì ridere.
«Te l’ho detto, fratello. Ci vuole ben altro per battere Percy Jackson in un combattimento di scherma.»
«Ah-ah» gli fece il verso lui, mentre la risata fragorosa del maggiore colpiva direttamente il suo orgoglio semidivino più di quanto avrebbe potuto fare Vortice. «È stata solo fortuna» borbottò, stizzito.
«Andiamo, non te la prendere» gongolò Percy, incastrando la spada a terra e appoggiandovi tutto il peso. Sembrava distrutto, ma nonostante questo sorrideva. «È colpa della tua difesa. Devi tenere il tronco dritto, e le spalle rilassate. Le gambe devono essere divaricate e flesse, e devi bilanciare il peso al centro del copro, altrimenti perdi l’equilibrio.»
Michael poggiò i gomiti sulle ginocchia, sfregandosi gli occhi con entrambe le mani mentre si sforzava di memorizzare tutto quello che gli diceva il fratello.
Era un ottimo insegnante di scherma, e lì in mezzo sembrava essere l’unico a sapere come fargli capire le cose. Era migliorato molto, rispetto all’estate precedente, e aveva anche vinto parecchi combattimenti con molti dei ragazzi del Campo.
Ma non riusciva ancora a battere Percy. E cominciava a credere che non ci sarebbe riuscito mai.
«La prossimo volta ti batterò» disse, ignorando la voce dei suoi pensieri.
«Sicuro!» lo prese in giro il fratello, con un sorriso sghembo sul volto. «Sei un valido avversario.»
Ed era sincero. Michael lo capiva anche senza il bisogno di guardarlo in faccia. Fra loro c’era un rapporto speciale. Per tanto tempo Michael gli aveva reso la vita impossibile, combinando una serie di guai ai quali lui, poi, doveva rimediare. Per tanto tempo Percy era stato l’eroe del Campo e lui la pecora nera.
Ma dopo che l’aveva salvato, l’estate scorsa, Percy aveva cominciato a trattare lui come un eroe, facendolo sentire importante come mai nessuno aveva fatto.
Insomma, Percy aveva salvato il mondo da Crono, lui aveva solo trovato la cura ad una malattia.
Eppure il maggiore non faceva che lodarlo, ricordandogli ogni volta quanto quello che aveva fatto gli avesse salvato la vita.
«Sono sicuro che prima o poi ci riuscirai» esclamò qualcuno alle sue spalle, attirando l’attenzione di entrambi.
Un ragazzo con i capelli ricci e neri si era avvicinato a loro, con un sorriso scaltro dipinto sul volto. Il suo tono era ironico, e le sue dita non smisero di giocherellare con due bulloni neanche quando gli occhi ora verde smeraldo dei due figli di Poseidone si posarono su di lui.
«Posso sempre accontentarmi di umiliare te, Leo» ribatté Michael, con lo stesso tono di voce.
Il figlio di Efesto rise, divertito.
Michael sospirò, cercando di allontanare le voci dei due ragazzi il più possibile.
Era da quella mattina che avvertiva qualcosa di strano. Sentiva una leggera morsa alla bocca dello stomaco, che a tratti gli dava la nausea. Ma era una nausea piacevole.
Era come se il suo istinto lo stesse avvisando che stava succedendo qualcosa di bello, ma i suoi occhi non riuscissero a vedere cosa. Chiuse gli occhi a due fessure, scrutando assorto l’orizzonte.
«Ti concedo la rivincita» assentì Percy, raccogliendo la sua spada da terra e porgendogliela.
Michael l’afferrò, quindi Percy gli offrì anche una mano.
Fu a quel punto che il ragazzo, spinto da un'entità maggiore che gli suggerì di farlo, sollevò di poco lo sguardo.
E scorse la più bella figura che lui avesse mai visto.
Il suo cuore cominciò a battere l’impazzata, mentre i suoi occhi ne incontravano un paio scuro come la pece, se non fosse per delle striature dorate che li rendevano irresistibili.
Michael giurò di poter sentire il suo profumo anche da quella distanza, mentre gli angoli delle loro bocche si sollevano contemporaneamente a formare due sorrisi.
«Ehi, ma quella è…» cominciò Leo, ma il ragazzo non ascoltò il resto.
Balzò in piedi, buttando la spada a terra e precipitandosi verso di lei.
Skyler gli corse subito incontro, raggiante.
Come sospinti da due calamite che li attiravano l’uno all’altra, in quel momento il resto del Campo sembrava essersi volatilizzato.
C’erano solo lui e lei. Lui, lei, e i loro cuori che battevano all’unisono.
Quando fu a circa mezzo metro di distanza, Skyler gli saltò addosso, buttandogli le braccia al collo e affondando istantaneamente il viso nell’incavo della sua spalla.
Le braccia di lui andarono immediatamente a stringerle la vita, e lui inclinò la schiena di poco, quanto bastava perché i piedi della ragazza non toccassero terra.
«Sei davvero qui» continuava a sussurrare lui, in un misto di incredula felicità. «Non ci credo, sei davvero qui.»
Skyler ridacchiava contro la sua spalla, inebriandosi del dolce profumo di salsedine della sua pelle.
Le era mancato così tanto quel profumo. Le erano mancati così tanto quegli abbracci disperati.
Le era mancato così tanto lui.
Mentre i due sembravano intenzionati a non volersi lasciare mai più, Percy e Leo osservavano la scena da lontano.
«Io non capisco» stava dicendo il figlio di Efesto, fingendosi offeso. «Con me non avrebbe mai fatto così. Eppure neanche noi ci vediamo da un sacco di tempo.»
«Lei ha tanti fratelli, amico» scrollò le spalle Percy, soppesando con un sorrisetto i due fidanzati. «Ma c’è un solo Michael.»
Quando le suole delle scarpe di Skyler sfregarono contro la smeraldina erba del Campo, Michael si staccò da lei quel tanto che bastava per poterle afferrare il viso fra le mani e guardarla negli occhi.
Il suo volto era raggiante, e i suoi occhi brillavano mentre si incatenavano a quelli lucidi di lei.
«Non ti sto sognando, vero?» chiese, sarcastico. «Sei davvero qui?»
Skyler rise, divertita, e la sua risata si prolungò non appena lui le baciò velocemente la punta del naso, le guance, la fronte e gli zigomi, quasi volesse assicurarsi che lei fosse davvero lì, e che il bellissimo viso che teneva fra le mani non fosse solo frutto di un trauma cranico.
«Un’intera estate per noi, riesci a crederci?» le disse, euforico.
Skyler gli circondò la vita con entrambe le braccia, stringendosi a lui finché i loro nasi non si scontrarono.
«Un’intera estate solo per noi» sussurrò di nuovo lui, le labbra che sfioravano le sue mentre lo faceva.
Skyler si lasciò sfuggire un sorriso, e lui la baciò.
Fu un bacio dolce, carico di aspettative. Un bacio in cui le labbra premevano l’una contro l’altra, quasi volessero fondersi in una cosa sola. Un bacio tenuto in serbo per troppo tempo. Un bacio bramato, sognato, ambito.
Un bacio in cui non esisteva lo ieri e il domani. Esisteva soltanto l’adesso.
Un bacio che ti fa dimenticare che ti trovi nel bel mezzo di un Campo pieno di semidei, e che molto probabilmente ora più della metà di loro ti sta guardando e sta sghignazzando.
Qualcuno alle loro spalle si sgranchì la voce. «Ehm… scusate?» chiamò una voce, al che loro si voltarono.
Leo allargò le braccia, sorridendo malandrino. «Vi dispiace se saluto mia sorella?»
«Leo!» Skyler sorrise a sua volta, andandogli incontro e buttandogli le braccia al collo. Il ragazzo rise, stringendo a sé la sorella e facendola dondolare.
«Mi sei mancata» le sussurrò, nascondendo il viso nei suoi capelli alla lavanda.
Skyler si allontanò da lui quel tanto che bastava per poterlo guardare negli occhi. «Mi sei mancato anche tu» mormorò, con dolcezza. Ma poi si ricordò ciò che si era ripromessa di fare non appena l’avesse visto, così gli diede un pugno sul braccio.
«Ahi!» si lamentò lui, massaggiandoselo senza capire. La guardò, confuso. «E adesso che ho fatto?»
«Ho chiesto a Travis e Connor come avevano fatto a trovarmi» lo accusò lei, puntandogli un dito contro. Poi gli fece il verso: «Ho rimosso la ricetrasmittente dalla tua spada, Skyler. Non devi preoccuparti, Skyler!»
Il ragazzo prese fiato per protestare, ma un’occhiata di fuoco della sorella gli fece capire che era meglio non peggiorare ulteriormente la situazione.
«Giuro che se stavolta non la rimuovi davvero…» cominciò a minacciarlo lei, ma fu interrotta dall’udire il suo nome urlato da qualcuno.
Non fece neanche in tempo a girarsi, che un tornado biondo le saltò al collo, stritolandola in un abbraccio soffocante.
«Sono così felice che tu sia qui!» trillò Emma, entusiasta.
«Emma» mugugnò Skyler, mentre si sforzava di non ingerire i suoi ricci biondi. «Non… respiro…»
«Oh, scusa!» esclamò lei, liberandola dalla sua morsa. Skyler si portò una mano sul petto, riprendendo fiato, prima di incontrare gli occhi gioiosi di lei, che la squadravano attenti. «Avevo ragione, sei sempre uguale» la stuzzicò, con un sorriso sghembo.
Skyler annuì e sorrise, ammirandola. «Neanche tu sei cambiata» constatò, e si sorprese nell’avvertire un lieve sollievo nella sua voce.
Fu a quel punto che la mano di qualcuno si posò sulla sua spalla, costringendola a voltarsi di nuovo.
John allargò le braccia, sorridendole raggiante. «Non merito un abbraccio anch’io?»
Skyler rise, posando il capo sotto il suo mento e stringendosi a lui.
Era bello essere lì. In un posto che amava, insieme ai suoi amici. E solo in quel momento sembrò rendersi conto di quanto in realtà le fossero mancati. Di quanto necessitasse di un loro abbraccio e di un loro sorriso. E di quanto tutto questo la facesse sentire… bene. A casa.
Forse davvero il Campo non era cambiato. E forse non era cambiata nemmeno lei.
Doveva solo ritrovare sé stessa. Doveva far riemergere la vecchia Skyler, e forse solo così avrebbe abbandonato quella che tanto detestava.
Ma davvero l’avrebbe aiutata restare nel posto che più di tutti l’aveva cambiata?
 
Ω Ω Ω
 
«Come vedi, non è cambiato niente» esordì Leo, aprendole la porta della Casa Nove per poi farla passare.
Skyler si guardò intorno, ammirata. Riconobbe le cuccette d’acciaio ripiegate contro le pareti, come letti ribaltati ultramoderni, e poi cercò la sua, assicurandosi che nessuno l’avesse toccata. Intravide il palo dei pompieri che collegava il primo al secondo piano, ma che loro utilizzavano principalmente per giocarsi le loro scommesse su chi riuscisse a scivolarci più veloce. E poi scorse la scala a chiocciola che portava nelle fucine. Passò in rassegna le pareti, ammirando gli attrezzi e le armi che vi erano meticolosamente appese.
E le sembrò tutto perfetto.
Andò verso il suo letto, digitando la combinazione sul display e aspettando che si aprisse, per poi buttarci sopra il suo borsone.
Il quel momento entrò Microft, che aveva appena concluso la sua lezione di autodifesa, e nel vederla seduta sul suo letto le rivolse un sorriso.
«È tutto…» cominciò Skyler, scrutando attentamente le mura nella speranza di trovarvi impresse le giuste parole dietro qualche intonaco. «Grandioso» concluse.
I due fratelli si scambiarono un’occhiata. Leo andò a digitare il codice del suo letto, che si trovava esattamente di fronte a quello di Skyler. Poi si sedette ai piedi del materasso, con un sospiro. Posò i gomiti sulle ginocchia e si sporse in avanti, per osservarla.
«Ed è per questo che sei così triste?»
Fu a quel punto che Skyler li guardò. Microft aveva poggiato la schiena contro muro, le braccia incrociate, e la fissava con un’espressione preoccupata.
La ragazza inarcò un sopracciglio, confusa. «E perché mai dovrei essere triste?» chiese, con un sorrisetto divertito. Ma non appena finì di porre quella domanda, capì che la risposta era evidente.
«Skyler» mormorò Leo, con una dolcezza insolita per lui, ma che molto spesso le riservava. «Sai che con noi puoi parlare, vero?»
La figlia di Efesto sentì gli occhi bruciare. Distolse lo sguardo, per evitare che loro notassero il velo che glieli stava rendendo lucidi e pronti alle lacrime. La verità è che la verità non la sapeva nemmeno lei.
Continuava a portarsi dietro quel malumore da quando erano usciti dalla casa della nonna a San Diego, e che per tutta la notte non l’aveva abbandonata neanche un secondo. Ma non sapeva dire esattamente a cos’era dovuto.
Forse alla stanchezza.
Forse alla stranezza della situazione.
Forse alla paura che quella ormai fosse diventata la sua nuova quotidianità, e che ormai non c’era più posto per la Skyler mortale.
O forse il contrario.
Questo lei non lo sapeva. O meglio, non riusciva a spiegarselo. E la cosa diventava ancora più difficile quando doveva spiegarlo agli altri.
Scosse leggermente la testa, fissando lo sguardo sulle sue gambe incrociate. «Credo di essere solo un po’ stanca» sussurrò, ma mentre lo diceva non ci credeva nemmeno lei.
I due fratelli restarono in silenzio, nell’attesa che aggiungesse qualcosa. Così lei alzò gli occhi al cielo e ammise: «E poi, non lo so, mi sento così giù di morale.»
Fu a quel punto che, al contrario di ciò che si sarebbe aspettata, sul volto di Leo comparve un sorrisetto malandrino. «Microft» chiamò senza voltarsi, al che lui drizzò lo schiena. «Credo che qui abbiamo un codice rosso.»
«Un codice rosso?» ripeté il fratello.
Skyler corrucciò le sopracciglia, interdetta. «Che cos’è un codice rosso?»
«Io e Leo abbiamo inventato un sistema di codici colorati per poter parlare senza che gli altri ci capiscano» spiegò il più piccolo dei tre, soddisfatto. «Arancione, giallo, verde, celeste. Poi li insegneremo anche a te.»
«E che cos’è un codice rosso?» domandò di nuovo Skyler, non capendo.
«Sei pronto?» chiese Leo al ragazzino, e lui annuì. «Al mio tre.»
Skyler li osservò, mentre andavano verso di lei e continuavano a scambiarsi occhiate eloquenti.
«Uno.»
«Aspettate, ma che cosa…?»
«Due.»
«Che cos’è un codice rosso?» provò di nuovo.
«Tre!»
I due ragazzi si buttarono sul letto con un balzo, finendole addosso. Il fiato di Skyler si smorzò sotto il loro peso, e non capì che cosa avessero intenzione di fare finché entrambi non la stritolarono in un abbraccio che avrebbe fatto invidia a quello di un orso. Un orso molto pesante.
«Miei dei» si lamentò lei, mentre i due esplodevano in una sonora risata.
«Un abbraccio migliora la vita» le spiegò Leo, scoccandole un sonoro bacio sulla guancia.
«Sì, ma non se soffocate la suddetta persona» borbottò lei, a corto di fiato.
I due fratelli allentarono di poco la presa, e fu a quel punto che, mentre riprendeva fiato stretta fra le loro braccia, Skyler si lasciò sfuggire una cristallina risata.
Li abbracciò a sua volta, accovacciandosi di più fra i loro petti e inebriandosi di quel dolce calore umano.
«Siete i migliori, ragazzi» ammise in un sussurro, quasi lo stesse ricordando a sé stessa. «Grazie.»
«Potrai sempre contare su di noi, Skyler» le assicurò Microft, la guancia premuta contro la sua spalla.
«Ha ragione» assentì Leo, e fu allora che Skyler lo guardò intensamente negli occhi. «Sono felice che tu sia tornata, sorellina» mormorò con dolcezza.
Skyler non riuscì a trattenere un sorriso, mentre nascondeva il viso nell’incavo del suo collo e diceva: «Sono felice anch’io.»
 
Ω Ω Ω
 
Vedere tutti i ragazzi del Campo riuniti attorno al falò le aveva sempre infuso un senso di rilassamento nel cuore.
La cena era stata proprio come tutte le altre alle quali aveva partecipato, intrisa del solito chiacchiericcio che si levava da ogni tavolo. Mentre continuava a guardarsi intorno, Skyler aveva scambiato dei sorrisi incerti sia con Michael che con Emma, mentre quando si era voltata verso il tavolo di Apollo John le aveva fatto un complice occhiolino, divertito.
Sembravano tutti a proprio agio, in quel contesto. Persino Janice, che Skyler aveva beccato più volte a ghignare nella sua direzione.
I figli di Ares non si smentiscono mai, aveva pensato fra sé e sé, concentrandosi per ignorarla.
Non appena avevano finito di mangiare, Chirone si era alzato in piedi, e aveva proposto un brindisi in onore di tutti quei ragazzi che erano tornati al Campo per l’estate.
Involontariamente, Skyler era arrossita, ma quando tutti i calici di più di venti case si erano sollevati al cielo nello stesso istante, non aveva potuto fare a meno di sorridere.
E ora eccoli lì, tutti i ragazzi riuniti insieme, mentre la flebile luce del falò illuminava a malapena i loro volti.
Skyler era stata una degli ultimi ad arrivare, e quando l’aveva fatto aveva subito notato che i suoi tre migliori amici avevano già preso posto. Erano seduti sullo stesso tronco caduto che fungeva loro da panca, e sul quale, l’estate prima, Emma aveva inciso le loro iniziali, per far sì che tutti girassero al largo non appena lo vedessero.
Alcuni figli di Apollo, poco lontano, avevano portato con sé le loro chitarre, e ora stavano intonando I’m Yours di Jason Mraz, mentre gli altri li seguivano in un coro stonato.
Skyler non cantava. Se ne stava solo lì, ad ascoltare, seduta a terra fra le gambe di Michael, che con la schiena poggiata contro il tronco le abbracciava i fianchi da dietro.
Era piacevole, come sensazione. Starsene lì, tutti insieme.
In un certo senso, era confortante.
Michael le lasciò un dolce bacio nell’incavo del collo, per poi sfiorarle il lobo con la punta del naso.
«Sei bellissima» sussurrò, le labbra che accarezzavano il suo orecchio mentre lo faceva.
Skyler abbozzò un sorriso scaltro. «No, non è vero» rispose di rimando, lanciando un’occhiata alla maglietta sgualcita del Campo che indossava e agli shorts scoloriti. Cambiò posizione, voltandosi quel tanto che bastava per poterlo guardare negli occhi, la spalla posata contro il suo petto. «Ma apprezzo l’impegno.»
Michael rise sommessamente, e Skyler avrebbe giurato di vederlo arrossire leggermente. Si mordicchiò un labbro, trattenendo un sorriso.
«Ho un regalo per te» bisbigliò lui dopo un po’, le labbra così vicine alle sue che Skyler riusciva a sentirne il sapore anche da lì.
La ragazza corrucciò le sopracciglia, curiosa, mentre con lo sguardo seguiva la sua mano che andava a frugare in tasca.
Michael ne cacciò qualcosa, chiudendola nel pugno, e inizialmente lei non capì di cosa si trattasse.
Lui fece scivolare l'altra mano dalla sua spalla lungo il suo braccio, per poi posare il palmo contro il suo e sollevarglielo leggermente. Le infilò qualcosa al polso, e solo quando la sua mano lo scoprì Skyler riconobbe un meraviglioso braccialetto.
Era di cuoio, intrecciato meticolosamente per ricreare delle bellissime trecce, e in mezzo a loro, di tanto in tanto, si nascondevano delle minuscole conchiglie di mare, di quelle che devi cercare attentamente per riuscire a trovarle, sulle quali si alternavano colori come l’azzurro e il marrone.
«L’ho fatto per te poco prima che arrivassi» le spiegò Michael, mentre lei lo osservava estasiata.
«Michael, è…» cominciò, cercando le parole giuste. Sul suo volto si dipinse un sorriso sorpreso, mentre accarezzava delicatamente le conchiglie con i polpastrelli, quasi avesse paura che se le avesse toccate troppo sarebbero sparite. «È bellissimo.»
Un angolo della bocca di Michael si sollevò, in un’espressione compiaciuta. «Sono contento che ti piaccia.»
«Io…» Skyler avrebbe voluto dire di più. Era sicura che nessuno le avesse mai fatto regalo più bello. O meglio, che nessuno si fosse mai impegnato tanto per lei. «Grazie» sussurrò con un fil di voce. Ed era un grazie sincero.
Michael fece scivolare la mano in quella di lei, intrecciando le dita alle sue e baciandole il dorso. «Così potrò stare sempre con te.»
Skyler rise, divertita. «È una minaccia?» lo provocò.
Rise anche lui. «È una promessa.»
Skyler alzò lo sguardo, incontrando i suoi occhi. Erano di uno straordinario blu elettrico, quasi innaturale.
Erano esattamente identici a quelli che aveva il primo giorno che l’aveva incontrato.
Una morsa le strinse lo stomaco, ma non sapeva se fosse per via delle farfalle che ci ballavano dentro o della consapevolezza di ciò che le passava per la mente.
I loro volti non erano stati così vicini per troppo tempo, e mentre avvertiva il suo respiro caldo sfiorarle la pelle, Skyler si sorprese a desiderare che quel momento durasse per sempre.
«Promettimi una cosa» si ritrovò a chiedere, pentendosene subito dopo al pensiero di una sua reazione.
Ma lui non si scompose, né si allontanò da lei per poterle squadrare meglio il volto. Si limitò a sorridere, mentre con gli occhi si incatenava intensamente ai suoi. «Sì?»
«Promettimi…» La ragazza esitò. «Promettimi che tutto questo non cambierà. Promettimi che nonostante il mondo giri per il verso sbagliato… beh, promettimi che questo» sottolineò, facendo viaggiare il palmo dal proprio petto a quello di lui. «Resterà sempre uguale. Qualunque cosa accada. Ti prego.»
Michael strizzò leggermente gli occhi, quasi fosse incuriosito da ciò che Skyler stava dicendo. Ma poi capì che era sincera. Gli venne voglia di sorridere, ma la sua espressione non cambiò. «Te lo prometto» annuì, facendole capire che ciò che stava dicendo lo pensava davvero. Le sollevò il polso dove le aveva infilato il braccialetto. «Giuro su questo bracciale, simbolo di quello che provo per te, che finché lo avrai indosso, io manterrò la mia promessa. E che finché lo indosserai, questo» sottolineò quella parola. «Resterà esattamente così com’è.»
«Promesso?» sussurrò lei, con una speranzosa voce strozzata.
Michael sorrise, rassicurante. «Promesso.» Allungò una mano per toccare una ciocca di capelli che le copriva gli occhi, e Skyler si ritrovò a sorridere a sua volta. Se l’avvolse attorno al dito, come faceva sempre l’istante prima in cui stava per darle un bacio.
Forse Michael non ci faceva caso, ma Skyler amava quel gesto, e tutto ciò che lo accompagnava. I loro nasi che si sfioravano, l’attesa di sentire quelle labbra premute contro le sue, il profumo di salsedine della sua pelle che le pizzicava le narici, la voglia di sentire il suo sapore e di accorciare le distanze.
«Se state per baciarvi, per favore, avvertitemi, che mi giro dall’altra parte» li prese in giro Emma, con una ostentata smorfia di disgusto.
La figlia di Efesto arrossì leggermente, senza però distogliere lo sguardo da quei profondi mari blu che erano gli occhi di lui.
«Stiamo per baciarci» rispose Michael con un sorriso sghembo. E poi posò le labbra sulle sue.
Fu un bacio tenero, di quelli capaci di riscaldarti il cuore. Di quelli che ti fanno capire di non essere sola.
La mano di Michael si fermò sulla sua guancia, quasi a richiesta che quel momento durasse di più, che non finisse mai.
Mentre John sogghignava, Emma simulò un conato di vomito, e fu allora che Michael mordicchiò dolcemente il labbro inferiore di Skyler, approfondendo quel bacio mentre lei sentiva una risata ribollirle nella pancia.
Quando si staccarono, le loro labbra erano un po’ gonfie, i loro occhi lucidi per l’emozione. Michael assunse un’espressione compiaciuta quando sentì Emma, accanto a lui, fingere di vomitare.
«Sarà un’estate indimenticabile» le assicurò lui, e suonava come un’altra promessa.
E Skyler voleva crederci. Nonostante quel macigno sul petto che le bloccava il respiro, lei voleva crederci con tutta sé stessa.
E si convinse di esserci riuscita mentre, accoccolata contro il suo petto, ascoltava le note delle chitarre dei figli di Apollo raggiungere le stelle.

Angolo Scrittrice.
Holaa!
Eccomi qui, in diretta dalla mia camera tutta viola solo per voi.
Bien bien bien, come avevate tutti ben immaginato, Skyler è tornata al Campo! Ha riabbracciato i suoi amici, ha ritrovato la complicità dei suoi fratelli, è tornata a baciare Michael...
ahaha, preparatevi, ragazzi, perchè ora che non ci sono più fratelli malati e amici importanti di mezzo, i nostri due semidei saranno più dolciosi che mai. (anche se molto probabilmente
_Krios Bane_  mi ucciderà, but whatevah ;D)
Anyway, stavo dicendo? Ah, sì! Insomma, Skyler è tornata al Campo, ha ritrovato tutti, eccetera, eccetera... eppure non è felice. Perchè, secondo voi? Che cos'è che la turba?
Ovviamente, lo scoprirete più in là, ma si accettano scommesse ;)
Ho in mente un po' di sorpresine per voi, ora che finalmente si rientra nei perimetri del Campo, e spero davvero che vi piaceranno. **
By the way... che dite? Vi è piaciuto in capitolo? Vi ha fatto schifo? Vi aspettavate qualcosa di meglio? Vi aspettavate qualcosa di peggio?
Fatemi sapere, mi raccomando. Per me è importante conoscere la vostra opinione.
Okay, credo che ora sia arrivato il momento di ringraziare i miei Valery's Angels, che come sempre mi migliorano la giornata con le loro bellissime recensioni. So, grazie a:
Asia_Mofos, _Krios Bane_, Myrenel Bebbe ART5, Cristy98fantasy, kiara00, _angiu_, FoxFace00, Kalyma P Jackson, martinajsd, carrots_98 saaaraneedsoreo.
Grazie, grazie, grazie. E... niente, grazie. **
E stavolta vorrei ringraziare anche la persona che ha messo la storia tra le ricordate, le 19 persone che l'hanno messa tra le seguite e le 25 che l'hanno messa tra le preferite *^* e anche tutti i 450 lettori silenziosi che continuano a seguirla con frequenza.
Grazie, siete tutti magnifici! 
Bien, credo che ora io posso dileguarmi.
Spero che il capitolo vi sia piaciuto!
(dei, ormai amo dirlo **) Al prossimo martedì, miei cari!
Sempre vostra,

ValeryJackson
P.s. Ehi, semidei! Ma dico, ci pensate? Ieri il nostro Testa d'Alghe ha compiuto 17 anni! Dei, come sono felice. So che può sembrare stupido, ma ieri ho festeggiato per lui. E voi? Avete fatto qualcosa di particolare per il compleanno del nostro Percy? Dolci blu? Scritte sul braccio? Foto o collage? ahah, fatemi sapere, sono curiosa! Ma soprattutto, ditemi che non sono l'unica pazza che ieri era esaltata per questo evento xD ahahah
P.p.s. C'è qualche lermaniacs qui? Perchè ho bisogno di sclerare con qualcuno per i nuovi scatti di Fault Magazine! **
P.p.p.s. Ehm... no, ora ho davvero finito. Vi lascio in pace! Au revoir! ;P

 
  
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