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Autore: Marguerite Tyreen    19/08/2014    1 recensioni
Salisbury è il luogo del leggendario scontro finale tra Re Artù e Mordred, ma è anche il titolo del disco preferito di Linda.
Linda, che ha conosciuto per caso Beatrice all'uscita di un teatro e se ne è innamorata da subito, senza volerlo, senza prevederlo. Linda, che però è sposata e si porta dentro un segreto che nemmeno suo marito conosce.
Così, in un'estate piovosa, una quieta provincia del nord-est farà da sfondo alla battaglia tra il dolore del passato e le paure del futuro. Come una moderna Salisbury.
***
"Ma credi che sia semplice? Io devo tornare alla mia vita normale, alle mie fotografie insignificanti, alla mia storia con Lorenzo, altrettanto insignificante. E come posso farlo, dopo aver capito che è ancora possibile tutto questo?"
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, FemSlash
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago
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1.
And now a thousand years between


 

I never really thought
That I would lose myself
But now I'm going faster
Than anybody else

 

- Non vuole proprio smettere di piovere. - sospirò Linda, seguendo sconsolata l'andirivieni dei tergicristalli – Odio la pioggia.
- Non lamentarti, avrebbe potuto andare peggio. Avresti potuto non riuscire a farti autografare i tuoi dischi.
- Già.
L'anticamera del commiato sembrava aver tolto ogni energia a qualsiasi tipo di conversazione; forse avrebbero dovuto approfittarne, ma nessuna delle due riteneva opportuno aprire un nuovo argomento senza avere a disposizione il tempo per concluderlo. I pensieri di Linda si adeguavano allo stesso ritmo irregolare dell'acquazzone, gli occhi di Bea alle curve della strada.
Le sarebbe mancata. Non aveva senso, ma sapeva che era così. Il silenzio la spaventava sempre, al punto da doverlo riempire continuamente con la musica ma, ancora di più, la spaventava il confortevole silenzio condiviso con una persona che non avrebbe più rivisto. Avrebbe dovuto andarci più cauta con le sensazioni di benessere.
Le mancava già, mentre disse: - Stazione. - in tono piano.
- Oh, grazie! - Beatrice le tese la mano – Per tutto quanto. Senti, hai Facebook, magari? Così posso aggiungerti.
- No, però c'è la pagina dello studio. Se cerchi “Bianciardi e Pesaro – fotografia” mi trovi.
- Fantastico! Allora in bocca al lupo per... per quello che vuoi.
- Crepi il lupo. - rimise in moto la macchina, ma soltanto per riuscire ad accendere la luce sopra il cruscotto – Buon ritorno.
Beatrice sparì nella pioggia, nell'ingresso anonimo della stazione, lasciandola seduta tra i suoi dischi e i suoi rimproveri, come d'abitudine.
Che stupida: è solo un'estranea.
Passò un dito lungo la copertina di uno dei vinili, poi ridisegnò la forma sinuosa e ingarbugliata della firma del pianista.
E questa è solo musica. Quegli anni sono finiti anche per me. Soprattutto per me.
Il suono del cellulare la strappò ai pensieri. Niente di importante, non era che una notifica, ma accettò comunque di visualizzarla, cercando di riporre sul sedile posteriore la malinconia, assieme agli LP.
“Trovata! :-)”
Digitò qualcosa in risposta al messaggio di Bea, prima di soffermarsi a ingrandire la fotografia che usava come icona e constatare che, nonostante l'esposizione fosse nettamente sbagliata, quell'immagine la rappresentava. Sorrideva con spontaneità in una giornata di sole, i capelli mossi da un vento di certo gradevole.
Per quanto ne dicesse Lorenzo - che non smetteva mai di ragionare da professionista – erano quelli gli scatti migliori, dal lato umano. Sicuramente una luce morbida e diretta, alle volte, oppure la penombra o qualche oggetto caratterizzante sottolineavano una particolare personalità; ma era necessario instaurare un rapporto con il soggetto, prima, o essere dotati di qualche profonda e penetrante dote di empatia per la quale Linda non si sentiva portata, non si sentiva sufficientemente artista. Quindi, talvolta, lasciata l'attrezzatura a suo marito e armata di una dozzinale macchina compatta, sorprendeva gli invitati e gli sposi in un'espressione assorta, in una posa autentica. Poteva accadere che la coppia in questione restasse estasiata dalla sorpresa ma, più spesso, preferiva non affiancarla al servizio tradizionale che sarebbe stato rilegato e stampato con tutti i crismi.
Avrebbe potuto rivelarsi interessante sottoporre Beatrice a entrambi gli esperimenti, sarebbe stato bello vederla ridere a quel modo in sua presenza.
Assurdo.
Un altro messaggio: “Hanno cancellato il treno. Che sfiga!”
“E ora che fai?”
“Tiro mattina. Il prossimo è alle cinque e venti.”
“Ma non se ne parla. Salta su!”
Qualche minuto di esitazione dall'altra parte: “Su cosa devo saltare?!”
“Sulla mia auto. Sono ancora qui fuori.”
Il rumore dei passi era stato coperto dal ticchettio incessante delle gocce che battevano sul parabrezza, ma i due colpi al finestrino la fecero sussultare. Bea entrò, scrollandosi i capelli che, così ricci, non sembravano averne risentito.
- Cosa ci fai ancora qui?
- Scrivevo a te, no? Mica posso usare il telefono mentre sto guidando.
- Benedetta la tua prudenza, Linda! E ora che si fa? Non vorrai stare qui con me fino alle cinque sotto il diluvio?
- Nemmeno se mi dai dei soldi. - scherzò – Senti, mia zia ha una casa appena fuori Vicenza. O meglio, l'aveva, perché è morta.
- Oh, mi spiace.
- Beh, sono quasi dodici anni.
- Ok. No, aspetta un attimo: credo di avere un po' perso il filo.
- Già, anch'io. Dai, stavo dicendo che noi nipoti non abbiamo mai avuto il coraggio di rivenderla, quella casa. Non vengo più così spesso ad aprire le finestre, ma questa volta mi è tornata utile. Se ti accontenti di una coperta e un divano, volentieri, altrimenti è un po' spartana.
Beatrice alzò le mani in segno di resa: - L'alternativa è la sala d'aspetto.
- Potrei essere un maniaco. - insinuò, fintamente seria.
- O potrei esserlo io.
- Giusto, il rischio è al cinquanta per cento.
- Ti va un whisky?
- Che cosa? - sperò dapprima di non avere capito bene. Poi, immediatamente dopo, si sorprese a sperare il contrario.
- Whisky e coca-cola, magari. Offro io, naturalmente: in qualche modo dovrò pure sdebitarmi.
- Le persone normali offrono un tè, a queste ore.
- Non ho mai detto di essere una persona normale!
- Vero anche questo.
- Poi, insomma, siamo due donne sole, all'avventura, appena uscite da un concerto... cerchiamo di concludere degnamente una serata à la Thelma e Louise.
-
Tu solitamente concludi le tue serate così?
- In tempi più felici sì.
- Scusami.
- Oh, sono sciocchezze. E tu? Non dirmi che sei una da tè e biscottini per davvero.
- Io? Non vedo mai molta gente, a essere onesta. - non riuscì a non adombrarsi.
- Ehi, – le sussurrò Beatrice, prendendole la destra abbandonata sul volante – per stasera hai me.
Sorrise o, almeno, si sforzò di farlo: - Hai ragione.
- Allora andiamo?
Il vecchio motore diesel impiegò un poco a scaldarsi: - Andiamo. Fermami, quando un posto ti ispira.


La scelta era caduta su un piccolo locale corredato da un patio e illuminato da una mezza dozzina di lampioncini giallastri, abbastanza insolito da piacere a Linda e sufficientemente alla mano da non far storcere troppo il naso a Beatrice.
Chiaramente, per via del clima, il portico era deserto ma nemmeno l'interno era molto più affollato; in ogni caso, poi, i paravento in legno che dividevano i tavoli in gruppi di tre toglievano l'esatta percezione del numero dei presenti.
La trasgressione del whisky e coca-cola si era ridotta ad una coca-cola senza whisky anche se, in fondo, per Linda il senso di trasgressione era rimasto. Ne rideva misteriosamente, accarezzando l'orlo del bicchiere con la punta dell'indice.
- Che c'è? - anche Beatrice non riusciva a smettere di ridere, non comprendendo che non si trattava di buon umore. Non in senso stretto, almeno.
- Niente. E' solo tutto molto strano. Carino qui, però.
- Strano? Fa più strano a me. Sai, così a colpo d'occhio, avrei definito te come la donna di mondo, tra noi due. Insomma, quella che se ne può andare a Londra quando le pare.
- Ma sì, ho viaggiato molto, se per questo. Ma sempre da sola. E' curioso che ci sia qualcuno a tenermi compagnia, questa volta.
- Non hai nessuno che lo faccia? - sgranò gli occhi, sorpresa – Possibile? Nemmeno un'amica, una sorella, un fidanzato?

- A mio marito non piace molto spostarsi da casa.
- Sei sposata? - istintivamente, Bea posò gli occhi sulle sue mani, alla ricerca della fede, per trovarvi solo un anellino con una pietra blu.
- Con Lorenzo Bianciardi, sì.
- Pensavo fosse solo il tuo socio.
- Invece sono quasi vent'anni che siamo insieme anche nella vita.
- Cavoli! E' un fotografo e non ama viaggiare?
- Beh, non è sicuramente il tipo da National Geographic, per intenderci. La gente ha un'idea troppo romantica di questo mestiere. Per carità, si sposta: dalle chiese ai ristoranti dove si tengono i pranzi di nozze. Fa fotografie bene a fuoco, incassa le parcelle e ci permette di vivere più che decorosamente, ecco. Ma non vale la pena tirarselo dietro per sentirlo sbuffare per tutto il tempo.
- E le tue amiche?
- Chissà che fine avranno fatto: si saranno sposate, avranno dei figli. Va così, è normale. Io viaggio spesso e vado ai concerti. Lorenzo me lo ha sempre permesso e, me l'avesse anche impedito, non mi sarebbe importato.
- Mi piace questo tuo atteggiamento... un po' da artista.
- No, no, non lo sono.
- Ma fai fotografie.
- E' qui che ti sbagli: io scatto fotografie.

- Mi sa che non colgo la differenza.
- Se fai fotografie è perché hai scelto tu di comunicare qualcosa attraverso un'immagine, di dare forza ad un messaggio o di fissare un'emozione che stai provando. Ma scattare fotografie è solo un'azione, un atto meccanico: non devi discostarti troppo dal gusto del cliente, dalla moda del momento. Devi fornire un'immagine che strappi un oh di meraviglia a chi passerà dal tuo studio, convincendolo a commissionarti il prossimo lavoro. Sono solo un fotografo di matrimoni, anzi, un aiuto-fotografo: Lorenzo non mi ha mai passata di grado.
La coppia che sedeva nel tavolo davanti al loro scivolò via in silenzio.
- Ti piace quello che fai? Cioè, ti piacerebbe, se potessi farlo a modo tuo?
Linda scrollò la testa, senza entusiasmo: - Direi di no. E' un caso che ci sia finita in mezzo. Lorenzo aveva uno studio ben avviato e io ero in uno di quei momenti in cui non sai bene che fare con la tua esistenza.
- Perché? Scusami, mi sto facendo gli affari tuoi. - Bea tese la mano sul tavolo, fino ad incontrare la sua per la seconda volta e, di nuovo, Linda non la ritrasse.
- Perché mi ero persa; perché mi hanno costretta a perdermi. A te non è mai successo?
- No. - e lo ammise stringendosi nelle spalle, come se la serenità fosse stata una colpa – Non credo, ho sempre avuto obiettivi molto semplici e nemmeno troppa smania di portarli a termine. E mi interessava ancora meno di quello che si diceva di me in giro.
- Anche a me piace il tuo modo di vedere le cose. Forse mi servirebbe per star meglio.
- E' una libertà che alla fine sconti comunque. Ma stavamo palando di te: cosa avresti voluto fare, se non ti fossi smarrita?
Una lunga pausa. Una pausa che durava da anni era il filo invisibile che teneva il passato incastrato da qualche parte nella gola di Linda. Invisibile, anche se perpetuamente presente: un tentativo fallito di dimenticare, una condanna messa in atto proprio da quello stesso silenzio.
Ma forse aveva teso il filo per un tempo così lungo che, quando si spezzò, lo fece nella maniera più modesta possibile, nella banalità di quelle tre parole: - Suonavo le tastiere.
- Cos'è successo, dopo?
- Nulla. - si torturò le mani.
- Non insisto: le persone hanno diritto ai loro segreti.
- Grazie.
- Linda? Va tutto bene?
- Sì.
- Linda, stai piangendo. Senti, se hai bisogno di raccontare...
- Ricordi quando ti ho parlato del mio primo concerto? Non so cosa sia accaduto, ma ho sentito la musica trarmi a sé. E ricordi di quello stregone che faceva magie con l'organo? Si chiamava Hensley e mi rimase talmente impresso nella mente che, appena ho avuto occasione, ho fatto correre anch'io le dita sui tasti. Ma è stato davvero molto tempo fa, quasi non mi sembra che quei ricordi mi appartengano.
- Eri brava?
- Abbastanza, dicono. In realtà avevo incontrato una persona che mi spronava, che mi faceva sentire invincibile: era la mia ispirazione, il mio amore, il senso per tutto il futuro. Poi è...
- Morta? - strinse più forte la presa, quando le unghie di Linda quasi si conficcarono nel suo palmo.
- In un certo senso. O forse sono morta io. Ho smesso di suonare: non avevo più motivo per farlo. Non avevo più motivo per volerlo fare, soprattutto. Continuo a cercare uno scopo nella musica, continuo a cercare quello che avevamo e che ci è stato negato. Quello che avevo, quello che ero. Ne sono quasi ossessionata.
- E riesci a trovarlo?

- No.
- Cosa trovi, Linda?
- Non sento più nulla. A parte l'amore per la musica, tutto quello che trovo è dolore.
- Dovresti reagire, per il tuo bene.
- Non puoi capire.
- Linda, le relazioni finiscono, è normale. Ma non si può vivere in funzione di...
- Di un “come sarebbe andata”? Sì che si può, quando finisce com'è finita per noi. Se tu l'avessi amata con la stessa intensità con cui l'ho amata io! La persona, intendo.
- No, ho afferrato il concetto. - sorrise, rassicurante – Anche io e Silvia, la mia ragazza... non ti preoccupare. Non voglio sapere altro, se non ti va. Non ho capito granché, ma ho capito che ti fa male: direi che è sufficiente.
- Perché vi siete lasciate, tu e Silvia?
Beatrice alzò un sopracciglio: - L'ho detto?
- No, ma quel discorso sulle storie che finiscono...
- Mi fai paura, tu. Avevamo caratteri troppo diversi. - allargò appena le mani, lasciando quelle di Linda, che si sentì improvvisamente più sola.
Con un sospiro, la fotografa tornò a bere la sua bibita, non osando ricercare quel contatto.
- Silvia diceva che sono noiosa. Ed in effetti non le do torto: spesso mi rintano nel mio studio a correggere compiti, a guardare film, a gestire il mio blog di cinema. Non so, ho bisogno di silenzio. Lei era più il tipo da pubbliche relazioni, grandi compagnie, vernissage di arte contemporanea, teatro, aperitivi nel casino. Non ci siamo mai dette “ti amo” in sei anni: io troppo scontrosa e lei troppo snob. Avevamo questi biglietti per stasera, mi aveva convinta ad accompagnarla: poi ha fatto le valigie e mi sono pure rimasti sul groppone. Almeno uno ho pensato bene di adoperarlo. - si accorse che Linda la scrutava, scettica – Hai ragione, non sono così cinica. E' che Silvia mi mancava, speravo di trovarla, venendo qui.
- Quindi insegni? - aveva totalmente cambiato argomento, messa a disagio dalla sofferenza.
- Sì, matematica, alle medie. Ma non sono di ruolo.
- Matematica? No, allora non sei proprio il mio tipo. - scherzò.
- Stronza!
Linda si ricordò di essere in debito per quel discorso lasciato cadere: - Anch'io e Lorenzo siamo molto diversi.

- Ehi, Linda, non l'avrai sposato per ripiego? Scusami, ti ho offesa.
- No, figurati. Ho sempre voluto molto bene a Lorenzo. Lui invece era innamorato pazzo, chissà perché: sospetto volesse qualcuno capace di dipendere completamente da lui, dalla sua età matura, dalla sua carriera. Ma mi è stato molto vicino, pur non conoscendo l'origine del mio malessere. Mi aveva promesso che avrei trovato il mio equilibrio, io sentivo che era arrivato il momento di “mettere la testa a posto”, il che significava impedirmi una volta per tutte di cercare di sostituirla. Ma ho scoperto, con gli anni, che la stabilità che mi offriva non era davvero stabilità: era stasi e quella non mi fa bene.
- Se non sei felice, perché non lo lasci?
- Non è così semplice: gli spezzerei il cuore, dopo che lui ha salvato me, quando era il mio ad essere spezzato.
- L'hai detto tu che non sai nemmeno se l'abbia fatto per generosità. Io non sono che un'estranea, ma a volte sono proprio gli osservatori esterni a vedere meglio le cose. Guarda come stai. Perché non lo lasci e non riprendi a suonare? Devi tutto anche alla musica.
- Forse più che a Lorenzo, ma quel tempo è passato.
Erano uscite in fretta, sollecitate da Beatrice che, in piedi davanti alla macchina, se l'era stretta addosso talmente forte che Linda aveva potuto sentirne il profumo di vaniglia.
- Sei a disagio?
- No, Bea, non credo. Non è vero che non trovo mai nulla, questa volta ho trovato te.
Scendendo delicatamente con il palmo fino alla sua gota, Beatrice le accarezzò il viso e i capelli. Tutto in quel gesto chiamava un bacio che Linda, infierendo sulle proprie labbra con la punta dei denti, continuava a negare.
- Ti prego, sei così smarrita. Siamo così smarrite.
- Lo eravamo, Bea. - sussurrò, accostando la bocca alla sua – Lo eravamo.



***


 

Credits:

Per la citazione – Uriah Heep, Salisbury
Per le ispirazioni musicali – Yes, Turn of the Century / Led Zeppelin, Tangerine

   
 
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