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Autore: saccuz    20/08/2014    0 recensioni
In un sogno la nostra mente lo fa di continuo, senza interruzioni. Noi creiamo e percepiamo il nostro mondo simultaneamente e la nostra mente lo fa così bene che neanche ce ne accorgiamo. Questo ci consente di inserirci nel mezzo di quel processo. (Cit. Inception) e se invece di un estrattore, nel mezzo del processo, si inserisse qualcos'altro? (la citazione di inception l'ho inserita perchè ci stava bene, non c'entra niente il film con il mio racconto)
Questo racconto nasce da un'idea di AleSunrise, che mi ha gentilmente concesso di sfruttarla per scrivere questa storia. Spero vi piaccia, altrimenti potete sempre prendervela con lei! :P
Riveduta e corretta il 11/06/2015
Genere: Avventura, Mistero, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Cap V
 
Si alzò e fece colazione. Solo una volta sul pullman, mentre una canzone degli Alan Parson’s Project gli rilassava la mente, si accorse che ben presto, esattamente fra tre giorni (contando anche il weekend) sarebbe partito per la gita! Tre giorni lontano da casa, con i suoi amici e, soprattutto, sarebbe venuta anche Stephanie.
 
Giunto a scuola percorse i chiassosi corridoi volgendo lo sguardo a destra e sinistra, alla ricerca di quei capelli corvini che tanto amava. A un certo punto le ricerche diedero i loro frutti, lei era lì, che parlava con le sue amiche, o meglio, le sue amiche parlavano con lei, ma lei non stava ascoltando, aveva gli occhi persi nel vuoto e due occhiaie profonde che le segnavano quel viso altrimenti bellissimo.
 
Turbato entrò in classe, dove, non appena vide Mark, chiese informazioni riguardo a Stephanie.
«Stephanie? Sì, in effetti è da un da un paio di giorni che è strana, sembra non dormire molto e inoltre le sue amiche dicono che ha sempre la testa fra le nuvole… Chissà che non si strugga per qualcuno!!» aggiunse alla risposta dando di gomito a Jimmy, il quale rimase così turbato dalla spiegazione dell’amico che non si curò nemmeno di mandarlo al diavolo.
 
Durante l’intervallo la cercò per andare a parlarle, ma senza risultato.
 
Quel pomeriggio e durante il week end non ebbe modo di ragionare su quella strana coincidenza, occupato com’era a preparare bagagli e a rassicurare parenti e genitori che sì, si sarebbe comportato e che no, non avrebbe fatto sciocchezze. Infine giunse il giorno della partenza.
 
Tutte le classi erano in aeroporto, tutte emozionate, chiassose e soprattutto sparpagliate, per la gioia degli insegnanti.
Jimmy si guardò intorno: aveva continuato a fare gli stessi sogni tutto il weekend, e non vedeva l’ora di parlarne con Stephanie. Ma purtroppo prima che lui riuscisse a fare alcun che venne bloccato da Mark che non trovò di meglio da fare che raccontargli la trama dell’ultimo videogioco che aveva comprato; conversazione che lo tenne impegnato per tutto il tempo in cui rimasero in aeroporto. Durante il viaggio i professori vietarono tassativamente di alzarsi, e quindi non riuscì a rivolgere a Stephanie nulla di più che un cenno di saluto.
 
Atterrarono che era già sera inoltrata, e non ebbero altro da fare che arrivare in hotel, pregustando il programma del giorno dopo. Jimmy aveva saputo da fonte certa (un’amica di Stephanie era la cugina di un compagno di classe di un amico di Mark, il quale garantiva che la notizia era senza dubbio esatta) che Stephanie aveva la camera il piano sopra il loro, e che i professori, in un impeto di fiducia, avevano tutti preso le camera al primo piano dei tre che la loro scuola occupava.
Dopo aver vuotato la propria valigia e dopo aver convinto Mark a seguirlo, si diressero verso la camera della ragazza. Lì Mark allontanò la compagna di stanza di Stephanie iniziando a parlare di una certa ragazza che un suo amico gli aveva riferito aver visto insieme ad un suo compagno di classe che, guarda caso, era suo cugino.
Rimasto solo davanti alla porta chiusa della camera di Stephanie, alzò il pugno per bussare; per poi riabbassarlo di botto. Poi si fece coraggio e lo rialzò; e poi lo riabbassò nuovamente. Stava per tornarsene in camera, sentendosi un perfetto idiota, quando improvvisamente la porta della camera si aprì.
«Liz, hai tu le chiavi…» Stephanie troncò la frase di botto, osservando il ragazzo che spesso vedeva in corridoio che la guardava con aria ebete e con il pugno alzato come se stesse per bussare alla porta.
Ehm… Ciao!» riuscì a balbettare Jimmy
«Ciao» rispose distratta lei.
«Posso parlarti?»
«Mmmh?» mugugnò in risposta Stephanie. Prendendolo per un sì il ragazzo raccolse tutto il suo (poco) coraggio e, dopo aver preso un respiro profondo, disse: «Lo so che quello che sto per dire suona estremamente ridicolo ed imbarazzante, ma, per caso, una sfera ti ha rubato i sogni?»
«Mmmh?» aggiunse con voce distratta la ragazza, corrucciando le sopracciglia, come se cercasse di riportare alla mente qualcosa.
«Ho chiesto – ripetè Jimmy, sempre più rosso in volto – se una sfera ti ha rubato i sogni.»
Stephanie non diede segni di reazione, continuando a fissare il vuoto e a corrucciare le sopracciglia. Dopo cinque minuti buoni il ragazzo si alzò, pronto ad andarsene. Aveva fatto solo pochi passi verso la porta quando d’improvviso un’unica parola uscì dalle labbra della ragazza:
«Bianco… Tutto quel bianco…»
Jimmy si girò di scatto per guardarla: «Come hai detto? Ripeti per favore.» Ma lo sguardo della ragazza era di nuovo perso nel nulla assoluto, con le sopracciglia distese e un’espressione impassibile sul volto.
Rendendosi conto che ormai la ragazza era irraggiungibile, augurò la buonanotte e se ne andò, chiudendosi la porta alle spalle. Nel giro di un minto fu di nuovo nella sua camera, dove già c’erano Mark e Gabriel, ai quali si unì nella conversazione, ignorando palesemente tutte le domande sulla conversazione di pochi minuti prima. Alla fine, verso le tre di notte, con la mascella che gli doleva e con le lacrime agli occhi per il troppo ridere, si addormentò. Come di consueto si ritrovò nel solito spazio bianco, dove una voce facilmente ignorabile gli suggeriva di cercare di muoversi. Come ormai aveva imparato a fare da poco, chiuse gli occhi e si rilassò. La solita sfera comparve, della solita opacità che la faceva risaltare nel bianco che c’era tutto intorno. Il solito vento che si alzava, era pronto a sentirsi trascinare via ed a risvegliarsi, quando all’improvviso avvertì una presenza, come se non fosse l’unico in quel posto. Quella presenza era come un insieme di sensazioni, visive, tattili, odorose, uditive, ma non riusciva a darci un nome. Improvvisamente si accorse di come il vento lo investisse in pieno, senza smuoverlo di un millimetro. Al sopraggiungere di questa consapevolezza scomparve l’altra presenza, e il vento lo sollevò in un attimo, gettandolo lontano dalla sfera, come di consueto.
 
Il giorno dopo le classi in gita diventarono la rappresentazione esemplare del detto: “La sera leoni e la mattina…”. Infatti tutti erano dotati un profondo paio di occhiaie e di un’espressione e di un incedere che ricordava senza molte approssimazioni quello degli zombie. La giornata passò rapidissima per Jimmy, preso nel vortice della gita dimenticò ben presto la stanchezza. L’unica cosa stonata durante la giornata fu una non troppo spiacevole sensazione di essere osservato.
Sensazione che trovò la sua conferma la sera, dopo cena, mentre il ragazzo si trovava momentaneamente da solo in camera (Mark si era allontanato con una ragazza che vantava parentele con un compagno di classe di un amico del ragazzo, mentre Gabriel era occupato nella hall nelle consuete chiamate a casa, per rassicurare i suoi, forse troppo, apprensivi genitori). Jimmy stava cercando il paio di ciabatte che la mattina, troppo rintronato dal sonno per fare una qualche azione anche solo lontanamente logica, aveva scagliato da qualche parte, quando sentì bussare alla porta. Pensando che Gabriel avesse terminato le chiamate, aprì la porta con un sorriso, sorriso che si trasformò in sorpresa quando al posto del ragazzo dinoccolato e biondo che si aspettava di vedere, si trovò davanti dei capelli corvini tagliati a caschetto.
«Ciao» disse esitante Stephanie
«Ciao» rispose stupito il ragazzo
«Ti secca se entro un momento?»
«Tutt’altro!» disse Jimmy, spostandosi da davanti alla porta, invitando Stephanie ad entrare.
«Ecco – iniziò titubante la ragazza – ieri sera, dopo che te ne sei andato, mi sono addormentata, e mentre sognavo – e a quella parola la ragazza rabbrividì visibilmente – mi sono ritrovata per la prima volta davanti ad una sfera di un bianco opaco, che mi ha spazzato via con una raffica di vento…»
«Succede anche a me, da un po’ di notti a questa parte»
«Si, però questa notte, prima di essere spazzata via dal vento, ho avvertito come una presenza, che sul momento non sono riuscito ad identificare, ma che stamattina, ripensandoci, corrispondeva di sicuro a te!»
A quelle parole la mente di Jimmy ritornò alle sensazioni provate la sera prima, e si accorse che collimavano perfettamente con Stephanie
«Sì – esclamò all’improvviso – anche a me è successa la stessa cosa ieri sera, e prima non mi era mai successa!».
«Sì beh – riprese la ragazza – dopo vari giorni stamattina mi sono alzata perfettamente lucida e riposata, come non mi succedeva da un po’».
Nel giro del successivo quarto d’ora (compresi anche i due minuti persi nel chiudere la porta in faccia a dei basiti Mark e Gabriel, che erano inopportunamente tornati) i due si informarono rispettivamente di tutto ciò che gli era successo, e di molto altro.
«Ma allora cosa possiamo fare? Voglio dire, non ho intenzione di tenermi vita natural durante un qualunque cosa sia quella roba nella mia testa che mi rubi tutti i sogni! Dobbiamo fare qualcosa!»
Disse Stephanie, piena di energie come non lo era da giorni
«Beh, la cosa interessante è che fino a ieri sera, cioè quando ho avvertito la tua presenza, non ero mai riuscito a resistere a quel dannato vento. Secondo me se riuscissimo a metterci in contatto in qualche modo potremmo raggiungere la sfera…» disse Jimmy
«Sì, ma una volta che cosa facciamo?» rispose Stephanie
«Non lo so, ma tentare non costa nulla, non trovi?»
«Va bene, però come facciamo a ritrovarci? Voglio dire, ieri a mala pena siamo riusciti a percepirci a vicenda…»
«Ecco – iniziò esitante Jimmy – mentre parlavamo un’idea mi sarebbe venuta in effetti…»
   
 
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