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Autore: fire_94    20/08/2014    4 recensioni
La Profezia della Distruzione e della Creazione narra della nascita di due bambine dotate di poteri divini. Una di loro distruggerà ogni cosa, mentre l'altra è l'unica che può fermarla.
Erynn porta sulla mano il marchio del Dio della Distruzione, ma non capisce perché dovrebbe voler far del male a qualcuno, soprattutto alla gente che ama. E mentre cerca di combattere il proprio destino, un altro grande problema busserà alla sua porta...
Genere: Drammatico, Fantasy, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Primo Capitolo

 

I caldi raggi del sole mi scaldano la pelle scura del viso, delle braccia e delle gambe, mentre galleggio in posizione supina sull'acqua del lago. I capelli biondi mi si aprono in un ventaglio sotto la superficie dell'acqua. Io fisso il cielo azzurro con i miei occhi di un colore rosso, che in molti ritengono il segno della maledizione del Dio Bellsdreh, il sovrano della magia.

Non so se questo sia vero oppure no, ma di certo so che una maledizione su di me c'è davvero.

Attorno a me, ci sono bambini che giocano nell'acqua, lanciandosi dei palloni per gioco; non mancano nemmeno gli adulti, che tuttavia se ne restano tranquilli sulla riva, a guardare i loro figli da lontano, mentre chiacchierano fra loro di frivoli pettegolezzi. Li sento da qua, nonostante le grida divertite dei più piccini; riesco a udire le loro voci stupite che raccontano di amori proibiti e tradimenti di gente che conoscono.

Chiudo gli occhi, lasciandomi cullare dall'acqua. Cerco di isolarmi da tutto ciò che mi circonda.

«Erynn!»

Una voce familiare mi convince a rimettermi in posizione verticale, muovendo braccia e gambe per restare a galla, per girarmi a guardare il ragazzo corvino che agita il braccio sopra la testa. Mi rivolge un sorriso gentile. «Erynn!», mi chiama ancora. «Ma che combini?» Si trova sulla riva, con l'acqua che gli bagna le punte degli stivali di cuoio sporchi di terra.

Gli rispondo con un cenno della mano, la sinistra, quella che nascondo sempre dietro una polsiera che mi copre da metà avambraccio al dorso della mano. Poi mi avvicino, lentamente, fino ad arrivare a meno di un metro da lui. Non esco dall'acqua, ma dove mi trovo ora si tocca, perciò adesso posso stare ferma.

«Al!», lo saluto, ricambiando il suo sorriso. «Niente,» rispondo poi alla sua domanda, scrollandomi nelle spalle. «Mi stavo solo rilassando.»

«Ti sei accorta che ti stavano guardando tutti, vero?»

Lancio qualche occhiata in giro per verificare. Non mi sembra di notare particolare interesse nei miei confronti, forse giusto qualche signora di mezz'età, annoiata dai racconti delle amiche, mi guarda uno o due secondi di sottecchi, ma niente di più. Dubito di aver destato davvero tutto questo interesse. Torno a concentrarmi su Alas. «Non mi importa,» rispondo soltanto.

Lui solleva un sopracciglio in un'espressione poco convinta, o forse sconcertata, che conosco molto bene, ma che nonostante tutto non riesco ancora bene a decifrare. «Sei davvero tutta strana!», dice poi, mettendosi a ridere.

Io non rido, mi limito a sorridere. Non capisco nemmeno cosa ci sia di tanto strano in quello che ho appena detto, ma non gli faccio domande. Esco fuori dall'acqua, passo dopo passo, fino a trovarmi a pochi centimetri da lui. Lo guardo fisso nei suoi occhi di un colore fra il marrone e il verde. Mi accorgo subito del suo rossore, prima ancora che lui distolga lo sguardo per poggiarlo sul terreno erboso sotto di sé.

Alas è accanto a me da quando avevo dieci anni, ricordo ancora il giorno in cui ci siamo incontrati. È stato proprio qui, ero caduta nel lago e stavo lottando con tutte le mie forze per restare a galla; ma più combattevo e più precipitavo. Per mia fortuna lui passava di lì, stava tornando a casa con un secchio pieno d'acqua che aveva raccolto dalla Fontana. Si gettò senza pensarci due volte e mi riportò sulla riva, dove ricordo ancora di essermi buttata per terra ansante, sputacchiando l'acqua del lago.

Alas mi aveva chiesto se stavo bene e io ero rimasta in silenzio a fissarlo, con i miei grandi occhioni rossi che di sicuro dovevano averlo colpito, forse anche spaventato, dal momento che lo vidi trasalire. Ma all'epoca non me ne importai più di tanto, e per tutta risposta gli buttai le braccia al collo, quasi in lacrime, ringraziandolo per avermi salvata. Anche allora era arrossito.

In realtà, le sue guance si imporporano sempre quando mi avvicino a lui.

E forse a volte lo faccio anche apposta.

Come in questo momento, in cui mi rendo conto di quanto la situazione lo metta in imbarazzo, ma non accenno a spostarmi. Piuttosto, dopo poco, sbotto a ridere. Mi copro la bocca con la mano sinistra.

Alas contrae la mascella. «Che hai da ridere?», sbotta, un po' risentito.

Con un'energica scrollata di capo, lo supero di qualche passo, fino a portarmi a un metro o poco meno dalla riva, e mi volto di nuovo verso di lui. «Scusami, è che è divertente farti imbarazzare!»

Sbuffa. «Non prendermi in giro, guarda che non è carino da parte di una ragazza.»

«Perché sei qui?»

Alas sembra stupito da questo mio repentino cambio di argomento all'inizio, ma in pochi secondi si riprende. «Ti cercavo,» mi risponde. Il suo viso è tornato al suo solito colorito roseo, anche un po' pallido.

Aggrotto la fronte, visibilmente sorpresa. «E perché?»

«So che potrebbe sembrarti strano, ma... mi mandano gli Anziani.»

«Gli Anziani? E che vogliono da me?»

A questo punto, mi volto, per non mostrargli la mia espressione. So di non riuscire a nascondere la preoccupazione, come so che se lui dovesse venire a scoprire il motivo per cui mi vogliono si preoccuperebbe a morte. E forse soffrirebbe. Io non voglio che provi niente di tutto questo, perciò preferisco tenerlo all'oscuro.

Mi porto la mano sinistra sul cuore e la stringo a me con l'altra. Purtroppo, so bene di cosa vogliono parlarmi, perché non posso sfuggire al mio destino per sempre. Finora non ho fatto altro che mentire a me stessa più che agli altri, ma ormai non posso più. Devo affrontare la realtà, e gli Anziani vogliono assicurarsi che sia consapevole di doverlo fare. Vogliono essere sicuri che io sappia chi sono veramente.

«Non lo so,» mi risponde Alas, avvicinandosi a me. Mi poggia una mano sulla spalla, ma non appena sento il suo tocco mi ritraggo, come se mi fossi scottata. Lui mi fissa con aria preoccupata, ma non incontro il suo sguardo. «Erynn, vedrai che andrà tutto bene. Probabilmente non vogliono niente di importante...»

«No, infatti!», lo interrompo, voltandomi per mostrargli il mio largo e finto sorriso raggiante. «Grazie per avermi avvisata. Vado subito a vedere cosa vogliono.»

«Vuoi che ti accompagni?»

«Eh? No no, grazie. Non preoccuparti. E poi, avrai anche tu le tue faccende da sbrigare. Non devi andare ad aiutare tuo padre a concludere quell'affare?»

Alas mi prende la mano destra nella sua, grande e ruvida. «Può aspettare. Se ti aiuta a farti coraggio, ti accompagno volentieri.»

Quasi mi scappa una lacrima, che chissà come riesco a trattenere, sebbene scommetto che i miei occhi appaiano lucidi e umidi. «Grazie, Al, ma davvero non c'è bisogno.»

Le mie rassicurazioni non lo convincono molto, ma con un sospiro mi lascia andare la mano e indietreggia di uno o due passi. Annuisce, mostrandomi uno dei suoi sorrisi migliori. «Allora buona fortuna. Vedrai che non è niente di che. E mi raccomando, dopo voglio sapere di cosa si tratta!»

Mi mordo un labbro, così forte da farmi male. Odio mentirgli, ma so di non poter fare altrimenti. «Certo, ovvio!», rispondo poi, sforzandomi anch'io di sorridere. Non sono sicura che mi riesca molto bene, tuttavia lui non fa commenti e mi lascia lì, con una strizzata d'occhio.

Rimango sola, in mezzo a tutta quella gente che ancora continua a farsi i fatti propri.

Fra le risa dei bambini, a me viene voglia di piangere.

Guardo la mia mano nascosta per metà dalla polsiera, sul cui dorso, anche se ora non posso vederlo, so che sorge un simbolo che mi marchia fin dalla nascita. Non posso lasciare che gli altri lo vedano, i miei genitori mi hanno proibito di mostrarlo in giro, e anche se da piccola non riuscivo a comprenderne il motivo, ora che ho diciotto anni so perché. Se gli altri sapessero chi sono in realtà mi allontanerebbero, mi maltratterebbero e mi scaccerebbero dal villaggio.

Se la prenderebbero anche con il resto della mia famiglia.

Perché io sono maledetta.

Ma non è stato il Dio Bellsdreh a maledirmi, né nessuna altra divinità.

È stato il fato.

Perché il fato, fra milioni di abitanti nel mondo, ha dovuto scegliere proprio me.

E per quanto io abbia cercato di sfuggirgli per tutti questi anni, alla fine sembra sia arrivato il momento di affrontarlo.

Mi mordo l'interno della guancia, per scaricare la tensione. Poi sospiro, un sospiro profondo e lento, mentre cerco di prendere coscienza della situazione.

Se il destino vuole sfidarmi, allora io mi farò trovare pronta.

Non m'importa quello che diranno gli Anziani, io non farò mai del male a nessuno.






Angolo autrice:
Salve a tutti!
Questo è il primo fantasy che pubblico qui, e spero che possa interessarvi in qualche modo questo mio piccolo progetto.
Si tratta di un "romanzo breve", quindi non è una saga con diecimila volumi e capitoli! xD
Non so se al momento possa sembrare originale, se anche adesso la risposta è no, spero che con i prossimi eventi riuscirò a farvi credere il contrario. Infatti già nella mia testa sta diventando una cosa un po' ingarbugliata mentre la scrivo! xD
Ah, il titolo è ripreso dalla canzone dei Two Steps From Hell, con cui ho ideato l'intera storia. Ecco qui il link per chi volesse ascoltarla: http://www.youtube.com/watch?v=L7YpECHqC7k

Vi ringrazio per aver letto fino qui!

   
 
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