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Autore: Titogynt    20/08/2014    0 recensioni
La vita estetica, infatti, è incentrata sul desiderio e sul godimento. L'esteta non esce dalla sfera della sensualità: per questo il personaggio che meglio lo rappresenta è il Don Giovanni di Mozart. La musica è infatti la più sensuale delle arti, poiché in essa l'espressione è totalmente immediata, senza far ricorso alla parola, che invece comporta una dimensione concettuale e riflessiva. Analogamente il seduttore vive nell'elemento dell'immediatezza: egli non compie mai una scelta definitiva, non si impegna mai in nulla, la sua filosofia è il motto oraziano del "carpe diem". La vita dell'esteta è una successione ininterrotta di istanti indipendenti gli uni dagli altri: egli passa da un'esperienza all'altra senza che quella precedente lasci una traccia di sé su quella successiva, senza che la sua esistenza abbia una storia.
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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Mentre faceva l’amore con Beatrice in quella lussuosa casa a tre piani tutta bianca, foto di famiglia su sfondo bianco e pianoforte a coda, Matteo non poteva fare a meno di pensare ai fuochi d’artificio sulla spiaggia cervese che già per tanti aveva potuto vedere e che anche quest’anno avrebbe visto, su di un lettino del lido Conchiglia, tra le braccia fredde della sua bella bananina.

Ricordò con un brivido la sensazione di affronto alla natura che suscitavano in lui le tracce bianche fumanti di quei kamikaze dei cieli romagnoli. Una nube tanto densa che pareva, alla fine dello spettacolo, unirsi al moto lento e incessante delle nuvole in cielo. Forse era la smorfia di piacere forzata sul viso della Bibi, i capelli sparsi su tutto il collo. Forse i suoi vestiti, la buccia della banana adagiata sul parquet adornato dal tappeto bianchissimo della sua camera da letto. L’orgasmo lo riportò alla realtà. Sorrise e la baciò.

Beatrice ogni tanto, ma raramente, usciva con una di quelle battute finemente geniali tipiche delle persone che non hanno il minimo senso dell’umorismo: dopo essersi asciugata i rivoletti di sperma che le sbucavano tra le cosce, scie perlacee di fuochi d’artificio orgasmici, posò la carta igienica appiccicosa sul parquet e la chiamò dolcemente “i residui del nostro amore”.

Dopo essere uscita dal bagno, si rinfilò la buccia di banana a metà e si stese, sbuffando dalla fatica, sul lettone a due piazze (per una sola persona) a fianco di Matteo, che subito la afferrò con un braccio attorno alle spalle e le diede un bacio. Poi stettero zitti per un po’.

Per terra, vicino al lettone, alle mutande, ai pantaloni e al resto dei vestiti di Matteo, stava il pc della Apple attaccato al caricabatteria chilometrico bianco. Sullo schermo ancora andava, sebbene muto, Trainspotting di Danny Boyle, che avevano lasciato a metà prima di stringersi respirando talmente forte che il passo dopo era il sesso. La scena preferita di lui, sebbene amasse sottolineare che in Boyle, come in Forman e Tarantino, ogni scena potrebbe essere ritagliata e venduta come film a se stante, era quella in cui McGregor inizia ad inveire contro il popolo e la storia scozzese seduto sul ciglio di una stazione immersa nelle verdi campagne di Edimburgo. Pensò che le colline erano di gran lunga il suo habitat ideale, e che le sue costruzioni preferite erano il faro, specialmente quelli di alcuni videogiochi, il mulino a vento, specialmente quello che aveva visto in un paesino vicino a Carcassonne, e… e un’altra, che non gli venne in mente prima che il suono della sveglia dell’iPhone di Beatrice lo distraesse. Era mezzanotte. L’avevano preparata in caso si fossero addormentati, e invece erano stati ben svegli.

Beatrice disattivò la sveglia e lo guardò negli occhi.
-Puoi darmi un ultimo bacio prima di andartene?

Matteo si concesse un attimo di piacere nel rimirare il fisico e il volto di Beatrice. Quegli occhi, così banalmente e splendidamente enormi e azzurri, gli raccontavano la storia di un compleanno in Novembre. Un compleanno al quale lui non avrebbe nemmeno voluto partecipare. Janek, il suo migliore amico, gli aveva dato buca a poche ore, ma la Giulia, una ragazzina bionda di due anni in meno che Matteo aveva conosciuto un anno prima ad un laboratorio scolastico, l’aveva supplicato. Vestito alla buona, col saporaccio in bocca di una persona appena svegliatasi da un riposino incompleto, aveva cavalcato le colline a bordo della Renault bianca della mamma di un’amica della Giulia. Dopo due ore di ballo, fallito miseramente il tentativo di abbordare la bella della festa, si stese con la Giulia e l’amica sul divano, appoggiato l’uno sulla spalla dell’altro come matrioske dopo il terremoto.

Fu in quel preciso momento che, spalancati gli occhi dopo una siesta di cinque minuti, vide due enormi specchi di luce fissati su di lui, fari intergalattici a emissione continua che arrivarono a svelare anche le più remote impurità del suo cuore. Come in preda ad un fortissimo senso di colpa, Matteo socchiuse le palpebre e li sbirciò fingendo di dormire. La ragazza in possesso di quegli straordinari bulbi oculari sedeva sulle ginocchia di un tizio qualsiasi che non riconobbe subito, ma per il quale provò subito un forte senso di odio, invidia e disprezzo. Matteo constatò che la ragazza dagli occhi luminosi stette a fissarlo ininterrottamente per dieci minuti, prima di alzarsi dalle ginocchia dell’infame alle 01:36 e dirigersi verso la cucina.
La mattina del giorno dopo, Matteo cliccava insistentemente sul tasto Mostra più della sua home di Facebook, freneticamente alla ricerca di quei fuochi d’artificio meravigliosi e tremendi che avevano trasformato il suo cielo stellato in una nube irriconoscibile, quasi il Signore avesse aggrottato la fronte, colpito dritto dritto nel bel mezzo del cuore dalla freccia dell’angioletto dell’amore eterno e incorruttibile.

Beatrice, mai nomen fu più omen di quello.

La baciò sulla fronte, poi sulle labbra, e quando lui si staccò lei lo inseguì con la lingua, lasciandogli le labbra e la punta del naso umide.
Matteo si infilò il giubbotto, Beatrice si rimboccò per bene la buccia della banana fino a chiudersi dentro. Scesero le scale lentamente, per non svegliare né il fratello, alla camera accanto, né la madre, tre camere e un corridoio bianco più in là. Arrivati al pianterreno, lei gli aprì da dentro porta e cancelletto e, sulla soglia della porta, gli donò dolcemente un ultimo bacetto.

-Si sta mettendo a piovere. Sei sicuro che non vuoi restare qui per dormire?
Lo diceva sapendo che i suoi non gliel’avrebbero mai e poi mai permesso. Matteo sorrise, le stampò un altro bacio alla svelta, si infilò il cappuccio della felpa nera che la Bibi gli aveva comprato tre giorni prima a Dublino e, inforcata la bici, si gettò sulle strade mentre la pioggerellina cresceva d’intensità.
   
 
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