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Autore: _Woodhouse_    20/08/2014    8 recensioni
❝Lo osservò dormire, sfiorando di tanto in tanto le linee insidiose delle sue costole, incastrata negli occhi di un altro, nel ricordo del suo respiro, affogata, vittima masochista del piacere che le procurava il ricordo della tensione che si librava fra i loro corpi e della complicità che aveva avvertito, mentendo insieme a lui, due volte e senza ragioni.❞
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate, Triangolo | Contesto: Contesto generale/vago
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Capitolo 6.



Non riusciva a credere di aver sfidato in quel modo il fratello di Robb. Capì, suo malgrado, di essere stata inappropriata, sciocca e orgogliosa. Robb, come se non bastasse, dava l’impressione di esserci rimasto male, sebbene non ne capisse di preciso il motivo; lo intuì da come l’aveva osservata a lungo per tutto il pomeriggio, dalla sua aria taciturna. Nonostante quelle sensazioni, Jo aveva scelto di non indagare per non invadere le sue riflessioni, qualsiasi fossero.
Lì, seduto al suo fianco, mangiava silenziosamente, scomponendo i pezzi di pomodoro sul piatto con accuratezza chirurgica. Era evidente che non avesse appetito. A guardarlo di profilo, sospeso in quella che sembrava una dimensione strettamente privata, le parve bellissimo; fresco e giovane, con un tocco di fascino tenebroso che non le era mai dispiaciuto.
Voleva baciarlo, ma non erano da soli.
Stavano cenando in soggiorno con la famiglia Draper finalmente al completo.
Ben e James discutevano sommessamente d’affari, mentre Susan lanciava occhiate accorte in tutte le direzioni.
Jo notò il modo in cui il suo sguardo si era soffermato su Robb, le vide aprire la bocca, ma non ne venne fuori alcun suono.
Poi la guardò, abbandonando l’espressione vagamente corrucciata di un attimo prima.
 
 
– Jo, cara, perdona i miei ragazzi maleducati. Vediamo di fare un po’ di conversazione.
– Susan, non bacchettarci così davanti agli ospiti. – Ben rivolse a Jo un’occhiata divertita.
– Oggi Josephine ha fatto i capricci, mamma. Non credo abbia molto da raccontare.
– Robb! – Jo diventò paonazza.
– Cos’era quell’assurdità? Ah, sì. Credo potremmo intavolare una conversazione sul sensazionale successo cinematografico
“C’è posta per te!”. – Robb la prese in giro.
– Robb, non essere ridicolo, – lo rimbrottò lei. – Susan, perdonalo, ma tuo figlio non sa  distinguere un buon prodotto da uno cattivo.

Jo lo sollecitò con un’occhiata divertita, ma il suo viso era serio. Per qualche ragione, le piaceva l’idea di fare dell’ironia creando una contraddizione tra il visibile e gli intenti.
 
– E’ quello sarebbe un buon prodotto? Sono riuscito a sopportarlo quei due minuti giusto perché a Meg Ryan non si rifiuta mai una prolungata occhiata compiacente.
– L’uomo di cui mi sono innamorata era ben lungi dal darsi queste arie da adoratore e saggio conoscitore del bel sesso.
Gli posò una mano sul gomito. Lui, di rimando, le rivolse un’occhiata di traverso, insieme ad un ghigno estremamente sensuale stampato sulla bocca.

Jo, a quel punto, udì nitidamente uno sbuffo di puro scherno provenire dal posto di James. Istintivamente, lo trafisse con un'occhiataccia. Lui, però, stava compitamente tagliando e mangiando le sue verdure, senza neppure rivolgerle l’ombra di uno sguardo. In verità, sembrava non avere la minima considerazione per nessuno.
Tuttavia, Jo riuscì ad intercettare il ghigno formatoglisi fra i meandri non troppo insidiosi della barba.


– Jamie, ti ho sentito sbuffare. – Robb si avvicinò al tavolo trascinandosi dietro la sedia.
Assunse una posizione di sfida e un sorriso fanciullesco sbocciò sulle sue labbra piene, rosee.

– Ottimo. Adesso sappiamo con certezza che non ti occorre un otorino.

Quant’è posato, pensò Jo, borioso in una maniera nauseabonda.
 
– Jamie! – Susan ridacchiò, guardando ammirata il figlio maggiore.
Aveva una tale cotta per lui che a Jo fece quasi tenerezza.
– Mamma, sei sempre così civettuola con Jamie. Sei imbarazzante. – Robb le sorrise beffardo, lei strabuzzò gli occhi e nascose le labbra sotto una mano.
A Jo venne fuori un sorriso timido che si mutò in una smorfia indecifrabile, quando sentì la mano di Robb sulla coscia. La mano di lui e la sua pelle erano ad un collant di distanza. Jo fu travolta da un cocente imbarazzo: Robb era sempre così esplicito nelle sue intenzioni e Jamie, infido lupo, se ne accorse. Li fissò con aria indiscreta e le sembrò che fosse sul punto di dire qualcosa, qualcosa di molto fastidioso, ma tacque con la scia di una smorfia sardonica sul viso.
 
– Invece di startene lì a sogghignare in sordina, potresti farti sotto. Sempre così ritroso. – Robb lo provocò di nuovo.
– Non devi rimorchiare nessuno qui, puoi anche disinnescare l’aria da dannato, Jamie.
– Cerchi rogne, Rebby? 

James aveva cambiato espressione: lo fissava divertito, ma con una sfumatura di scontrosità nell’espressione.
Jo lo trovò affascinante, in quel momento, e per una qualche ragione desiderò guardargli le mani. Erano grandi e curate, nervose.
James, con le maniche già ai gomiti, si rigirò sul polso l’orologio. Jo non poté fare a meno di accorgersi di quanto quell’uomo fosse elegante, anche mentre si burlava degli altri. Pensò che fosse senz’altro quella, la cosa più fastidiosa.

– In un certo senso. Ho tanta voglia dei tuoi discorsi noiosi. – Robb lo sfidò facendo sfoggio di un sorriso impudente.
– Sbuffavo. E’ vero. Contento?
– Non vedo perché. Hai un fratello che rasenta la perfezione. – Addentò un boccone di pane, continuando a guardarlo.
– Non sbuffavo a causa tua, infatti. – Toccò ancora l’orologio e fece saettare gli occhi su di lei per studiarne la reazione che era ansioso avesse.
Tuttavia, lei si intimò di ignorarlo.
Dopotutto, si vergognava a morte di Susan e Ben. Che idea si sarebbero fatti di lei vedendola rispondergli malamente?
Sapeva che cedere le avrebbe restituito nient’altro che una figuraccia, specie se lui stava meditando – come temeva – di interdirla con una delle sue frasi taglienti, frasi a cui lei si sarebbe ritrovata a soccombere per evitare di rendersi ridicola.
Tutti, però, seguendo la scia dello sguardo di James, la stavano scrutando, come se si aspettassero effettivamente qualcosa, un cenno, un parola.
Robb strinse la stretta sulla sua coscia. E lei, a quel punto, non riuscì più a trattenersi. Anche le pareti le suggerivano di rispondere alla provocazione. Il punto era che Josephine non sapeva resistere davanti alla prospettiva di una schermaglia verbale e in quel momento si sentì un kamikaze.

– Ho qualcosa che non va sul viso? – gli chiese senza remora.
– Non fare l’innocente.
– Sbuffavi per me? ( Voleva davvero saperlo?)
– Perspicace. – Continuava a toccarsi l’orologio. Gli occhi erano severi, ma sulle labbra aleggiava un’ombra d’ironia.
– E sentiamo: perché? – La voce di Jo suonò più bassa e piccata di quel che avrebbe voluto.
Non voleva dare l’impressione di star prendendo sul serio quello scambio di battute.
– Perché trovo la tua ironia, – si passò un dito sulle labbra e proseguì, – spicciola.
– Jamie, non fare lo stronzo, – intervenne Robb in un tono troppo divertito perché l’altro potesse prenderlo in considerazione. Anzi. Parve dargli ulteriore slancio.
– Lascia fare a me, – lo rassicurò lei, mostrandosi disinvolta.   
– Spicciola? – ripeté le parole di James. – E’ il mio modo di scherzare con Robb. Non pensavo di trovarmi  al cospetto di una giuria.
– Ho la facoltà di giudicare e la sfrutto, – ribatté svelto.
– Credevo non avessimo un livello di confidenza tale.
– Sei rancorosa, vedo. Molti lo considerano un difetto. – Il suo tono si era fatto più altero.
– Molti o tu, Giudice Supremo?
Robb non riuscì a trattenere una risatina sommessa.
– Io per primo.

Jo ridusse gli occhi ad una fessura.
Avrebbe voluto scalfire tanta superbia audace e ostinata. Si ammutolì d'istinto: sotto l'energia di James la sala sembrava come raggrinzirsi, arricciarsi sulle pareti e i rumori, per un istante infinito, sembrarono cessare.
James emanava un’aurea che costringeva al silenzio e che incanalava le attenzioni di tutti su di lui. Il suo modo di fare inibiva, la inibiva.
Il suo sguardo era un giudice spietato.

– Jamie, Lascia stare Josephine, – intervenne dolcemente canzonatoria Susan.
– Mi era sembrato di capire che volessi fare conversazione, – fece lui, ancora concentrato a studiarla.
– Non che la tormentassi, caro.
– Ti ho tormentata, Josephine? – La sua domanda la colse di sorpresa.
– Niente affatto.
– Josephine è solo ben educata. – Susan si alzò e le strizzò un occhio.
–E’ orgogliosa, – puntualizzò lui.
 
Lo disse come fosse una sentenza incontrastabile. Come se la conoscesse tanto profondamente da non ammettere repliche.

– Puoi dirlo forte. – Robb si era rilassato e adesso guardava Jo amorevolmente.
Ma lei, suo malgrado, non riuscì prestargli la dovuta attenzione.

I suoi occhi tornarono a posarsi su quelli di James, i quali erano ancora lì, pronti per lei, densi; il pollice premuto sulle curva impertinente delle labbra.
Non riusciva a staccargli gli occhi di dosso.
Sentì Susan che annunciava l’imminente arrivo del dolce. Sentì Robb scambiare delle battute con Ben.
Ma era tutto rumore ovattato.
Era incastrata nel caos oscuro del suo sguardo.

 
***


- Vieni qui.

Robb, sdraiato sul letto con un braccio allungato pronto ad accoglierla, invitò Josephine ad adagiarsi al suo fianco.
Prima di assecondarlo, Josephine si guardò allo specchio sistemandosi la treccia scomposta su una spalla. Si accoccolò contro il fianco di Robb, cinse il suo uomo con un braccio e schiacciò il naso sulla maglietta che lo divideva dalla sua pelle.

– Mi piace tua madre, sai?
– Perché è adorabile, – fece lui a voce bassa.
Ad illuminargli il viso solo la luce fievole dell’abatjour.
– Ieri pensavo di averle fatto una cattiva impressione.
– E’ solo diffidente. Probabilmente lo è ancora, ma sono sicuro che tu le stia simpatica.
– Lo dici per farmi piacere?
– Dico sul serio, Jo, – la rassicurò lui, accarezzandole la schiena. – Piuttosto mi preoccuperei di Jamie, – aggiunse, desiderando di rivederla inorgoglirsi. Adorava il modo in cui lo faceva. La scintilla che le attraversava le pupille.
– Preoccupatene tu, – non poté trattenersi dal rispondere.
– Suvvia, Jo! – La sua voce era uno strascico a causa del sonno. – Mio fratello è così. Non ti vuole male. E’ il suo modo di scherzare: gli piace mettere gli altri in difficoltà a suon di dialettica.
– E’ troppo spocchioso, e scusa se mi permetto. – Strinse le mani in due piccoli pugni e con uno di essi attraversò l’addome di Robb.
– Lo è, ma non è cattivo. Tu gli tieni testa e questo deve essergli piaciuto, quindi sta’ tranquilla.
– Ah, non lo so proprio. Parlare con lui è sfibrante, avvilente... spinoso.
- Dovevi usare sul serio tutte queste parole per dire che è antipatico?- Robb era divertito, ma masticò le parole e a Jo arrivarono quasi liquide.
– Hai sonno. Smettila di ciarlare, – lo rintuzzò lei, battendo un pugno leggero sul suo petto.
– Voglio che tu stia bene qui, – mormorò lui, scostandosi dalla stretta per poterla guardare in viso.
– Perché ci tieni tanto? – chiese lei, ricambiando lo sguardo con dolcezza.
– Ho tanti progetti per noi, piccola.

Lei abbozzò un sorriso tiepido, poi corse con le labbra sulla sua mascella, depositandovi baci brevi e ritmici.
Evitò appositamente di fargli altre domande perché non voleva sapere davvero cosa lui immaginasse per loro. Un pensiero la sfiorò, senza entusiasmarla. Il fianco riprese a pulsarle e da lì le scorse dentro il corpo quella bruciante sensazione di nostalgia, una nostalgia che non riusciva a spiegarsi.
Robb si beò della sua tenerezza e chiuse gli occhi.
Josephine lo vide cadere addormentato e sospirò. Si chiese se non avesse sbagliato ad invadere gli spazi di una famiglia che probabilmente non sarebbe stato molto a lungo ancora sua.
Quella notte mise in discussione ogni certezza che aveva accumulato da un anno a quella parte.
Voleva Robb ma non sapeva dirsi fino a che punto. Non riconosceva i limiti del suo sentimento per lui, ma li percepiva nitidamente.
Dei limiti esistevano e sentì che era sbagliato.
Eppure come faceva ad esserne così certa?
Che metri di paragone aveva? Come poteva misurare con tanta sicurezza il perimetro reale, l’intensità netta di quel sentimento?
Ma lei in fondo lo sapeva, cosa c’era che non andava. Lo sapeva e si sentiva talmente stupida.
Il pensiero le sfiorò la mente e la fece rabbrividire travolta da una scossa di biasimo. Leggendo Neruda, in quei due giorni, aveva creato, senza nemmeno rendersene davvero conto se non in quel momento, una barriera spessissima tra le sue aspettative e la realtà.
La poesia può essere letale quando tocca col suo pungiglione rovente i cuori più freddi. Il fuoco ha una metà di freddo e quello della poesia attecchiva senza riserve alla sua coscienza di pietra ruvida. Josephine si rimproverò per la sua debolezza, per la sua influenzabilità. Non poteva mettersi davvero a tirare le somme del suo rapporto spinta dall’onda inebriante ed intensa della poesia di un poeta; un uomo morto, per giunta. Un uomo imperfetto, da quel che ne sapeva.
Ci si può invaghire della parola scritta? Ci si può innamorare della mano che ha calcato un verso?
Josephine si fece queste e molte altre domande e arrivò a considerarsi definitivamente una sciocca.
No, non poteva essere semplicemente questo, semplicemente una poesia ben scritta. Semplicemente era impossibile. C’era dell’altro e lei lo sapeva. Non poteva ignorare la fitta al fianco, quel senso di perdita e nostalgia per niente di definito, quella stretta atroce allo stomaco che aveva provate la settimana prima in aeroporto e poi due giorni prima alla porta dei Draper, davanti all’entusiasmo disarmante di Robb. Non poteva ignorare niente di tutto questo, eppure guardando Robb sotto quella luce tenue, tenue come lui, come il dardo del suo amore, capì che non meritava quel metro e ottantré di tenerezza che le dormiva accanto. Era una persona contorta, storpia dentro senza nessun motivo preciso, storpia semplicemente perché qualcosa era andato storto, ad un certo punto. Qualcosa come una bambina spensierata che maturava in una donna spenta. Josephine si era spesso domandata come fosse stato possibile, quale evento o parola l’avesse trasformata nella donna che era. Un’anima zoppa, ricurva sul grembo.
E poi perché?
Forse ci si nasce, forse era già presagibile da quello sguardo che l’aveva sempre contraddistinta, anche da piccola.
Due bottoni di un nocciola tanto languido che a volte sembrava rosso, tanto denso a volte da sembrare corrotto, nero.
Come se fosse nata con una stilla di tenebra nel sangue, come se quella stilla, negli anni, si fosse propagata e conglomerata in altre centinaia di metastasi capaci di compromettere ed incancrenire il suo sguardo. Non lo aveva mai avuto, uno sguardo giovane. Meno che meno dopo quello che le era successo. Ma a lui non lo avrebbe mai raccontato, mai per intero, mai con tutti i dettagli. L’avrebbe vista con altri occhi, avrebbe capito troppo di lei per non esserne spaventato, spaventato quanto lo era lei. Perché forse anche lui avrebbe visto l’ombra del sangue marchiarla.
Non voleva essere rifiutata per un passato di orrori che non le appartenevano se non di riflesso, non voleva che il rifiuto facesse di lei una replicante e che quindi l’orrore le si infrangesse addosso.
Sospirò, si strinse tra le braccia e premette le labbra contro la spalla scoperta di Robb.
Si chiese come diavolo fosse possibile che un uomo dagli occhi giovani, rigogliosi di Robb potesse sentire il bisogno dei suoi, così lugubri che avrebbe voluto strapparseli via dalle orbite e sostituirli con due nuovi cocci di giovinezza. Forse, pensò, forse in realtà Robb non li aveva mai davvero amati, i suoi occhi. Proprio come faceva col suo neo sopra il labbro superiore, proprio come faceva con le imperfezioni della sua pelle troppo grigia nel suo pallore, proprio come faceva con ogni dettaglio fosco del suo corpo. Non avrebbe saputo definire cosa volesse davvero da quell’uomo.
Forse un amore totale, che non ammettesse disgusti malcelati. Un amore pronto ad accoglierla per intero, senza reticenze.

Poteva forse desiderarlo? Era in suo diritto? Chi era lei per meritarlo?



***

La mattina seguente Robb pregò James di permettere a lui e Josephine di assistere al torneo di scacchi che si sarebbe svolto al circolo di cui il fratello e il padre erano membri. Un circolo per lo più frequentato da imprenditori e dandy ereditieri. Alle dodici, con il consenso più che concesso di James, i tre salirono in auto diretti al circolo. Dietro di loro, più precisamente dietro la mercedes grigia di un modello che Jo non seppe riconoscere, l’audi nera di Ben e Susan Draper li seguiva. Josephine sedeva sul sedile posteriore e di Robb e James riusciva a scorgere soltanto i profili. Nessuno parlava e probabilmente questa era colpa di James, il quale concentrato com’era sulla strada inglobava l’aria nella sua bolla di gelo. Jo azzardò una domanda, incapace di sopportare quel silenzio gelido e quell’odore troppo intenso di dopobarba, non quello di Robb, che di barba ne aveva appena qualche sprazzo.

– Robb non mi aveva mai raccontato della tua passione per gli scacchi.

Si rivolse a James, anche se quando aveva formulato quella frase in testa le era sembrata più diretta a Robb. Il che non aveva senso, ma molto spesso si sentiva tradita dalle sue stesse parole.
– Non la definirei esattamente una passione. – Vide la mascella liscia di James contrarsi leggermente e pensò di averlo infastidito.
Un pensiero assurdo che poteva comunque rivelarsi vero, dato il soggetto.
– Credo si sia ritrovato a farlo senza nemmeno rendersene conto, ed oggi eccolo qui, – intervenne Robb.
– Ritrovato a farlo? Le cose si fanno perché lo si vuole, – disse lei, incolore.
– Mi piace farlo, ma non direi di esserne appassionato, – tagliò secco James.
– La verità è che a lui riesce tutto stramaledettamente bene. E di per sé la passione contiene la smania di migliorarsi. – fece Robb.

Jo guardò James per vederne l’espressione, ma a parte la curva di un sorriso compiaciuto, non gli vide fare né gli sentì dire alcunché. Robb parve accontentarsi di quello e anche Jo. Fino a che non le frullò nella testa una nuova domanda, una curiosità che doveva appagare.

– Non c’è davvero niente che ti appassioni? – chiese con voce un po’ incerta, nascondendosi dietro il sedile di Robb, per poterlo studiare di profilo cosicché lui non avrebbe potuto voltarsi a guardarla troppo facilmente.
– Sì che c’è, – fece lui secco, guardando la strada.
– Ah, davvero? – proruppe Robb incredulo. – Sembra sempre che tu faccia le cose perché devi o per tappare le tue ore buche.
– Sembra così?
– Ho molte foto che potrebbero dimostrarlo. Le tue espressioni passano dal disgustato, all’analitico per poi scadere puntualmente nel sadico. Credo di non ti aver mai visto sorridere giocando a scacchi, né facendo alcunché.
– Sarà come dici, – tagliò corto lui.
Jo si mosse inquieta sul sedile. Le pizzicava la lingua tanto voleva intrufolarsi nel discorso senza apparire invadente e inopportuna. Ma voleva fargli delle domande, vederlo inciampare nelle sue stesse parole.

– Non ti fa sentire incompleto? – gli domandò, con una strana calma nella voce.
– Non vedo perché dovrebbe.
– Una vita che passa senza una vera passione a cui aggrapparsi può definirsi vita?
Da che pulpito poi, pensò tra sé.
– Trovo più incomprensibile il fatto che ci si appassioni  a qualsivoglia stupidaggine.
Aveva davvero detto “qualsivoglia”?
– Basta anche una sola cosa, purché tu la creda profondamente tua. – Non si fece scoraggiare, Josephine.
– Io posseggo molte cose, – dichiarò lui, crudo.
– Non parlo di possesso, parlo di appartenenza, di coinvolgimento, – ribatté Josephine, quasi d’istinto.

La mascella di James si contrasse di nuovo e Josephine poté vedere chiaramente le sopracciglia di lui aggrottarsi, eppure in nessun modo lui tentò il contatto visivo.
–Jo, non confonderlo. – l'ammonì cautamente Robb, perplesso.
– Non mi confondo per così poco, Robb, – ci tenne a precisare l’altro. – Anzi, se permetti, vorrei darle un altro pretesto per covare del rancore nei mie confronti. – Josephine udì palpabile il tono provocatorio in quella frase che voleva far passare per innocua.
– Sarebbe? – fece lei, senza dare a Robb il tempo di rispondere.
– Vorrei rigirarti la domanda, – disse lui, con un tono più basso del normale.
Josephine lo vide inclinare lievemente il capo verso di lei e per un breve attimo uno dei suoi occhi di un verde troppo denso la puntò, poi tornò anch’esso sulla strada.
– Mi stai chiedendo se c’è qualcosa che mi appassioni?
– E’ quello che sto facendo.
– Ma tu non mi hai ancora risposto, – gli fece notare, con un tono tra il serio e il faceto.
– Non sono tenuto a farlo, – ribattè lui.
– Beh, nemmeno io.
– E questo è tutto, Josephine. – Si mosse sul sedile e lei sentiva, sapeva, percepiva che lui stava sogghignando.
Non riusciva a vedergli bene le labbra, ma ci avrebbe messo la mano sul fuoco.
Ma perché con quell’uomo non si poteva semplicemente conversare senza che un nonnulla diventasse un’estenuante diatriba senza nessun senso?

Josephine, ad ogni modo, si pentì di aver risposto a quel modo, e non perché volesse rivelargli le sue scadenti passioni, ma perché sapeva che così facendo non aveva fatto altro se non assecondare il suo gioco. Che non era mai un gioco – questo lo aveva capito – ma sempre un modo per aggirare e manipolare le conversazioni che in qualche modo lo infastidivano.
Si sporse per guardare Robb, ma lui non prestava loro molto attenzione giacché mani e occhi si occupavano con cura magistrale di regolare e manovrare le opzioni che la sua reflex offriva. Stava preparandola ad immortalare quella giornata al circolo. Non sarebbe riuscita ad evitare che la fotografasse: di questo ne era certa. Eppure l’idea non le dispiacque. Lui sapeva fotografarla, sapeva valorizzarla e non era mai riuscita a spiegarsi come.
In quel momento, si pentì un po’ dei pensieri che l’avevano martoriata per tutta la notte.
Quell'uomo era ancora il suo Robb.
   
 
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