"Autumn Rot", Vania Zouravliov
Il Dio Piangente
Ricordo la casa della bambinaia:
la galleria serena in estate,
le vetrate smeraldo – un gioco
a testa in giù nel chiarore del tramonto! –
e per incenso
un solo calabrone e un’ampolla di petrolio.
Soffocavo il mio canto nella vasca,
ne riempivo l’acqua ferma;
sfuggivo ai visitatori con un lampo d’occhi:
ero un dio acerbo.
“Fate entrare un principe qualsiasi,”
piangevo
“e mi ucciderà subito
e vedrò la stanza colorarsi di fantasmi.
Questo drago non ha abbastanza teste!
Che umiliazione il cuore giovane
e qualche artiglio appena!”
Prima che mi ricoprissero d’argento e d’oro
e mi dessero un ghiacciaio per corona
il mio cuore era una foresta –
cattedrale di muschio e uccelli in volo
che i vivi credevano immobile e quieta;
adesso non ne rimangono che fossili,
i morti sono morti da troppo tempo.
Ascolto i fedeli raccolti nel tempio
appollaiata sul tetto con le ultime piume,
sfilandomi le alghe dai capelli:
alla loro devozione l’indifferenza
è il mio dono (come può essere peggio
della carne straziata?)
Ci sono dèi più grandi, maestosi
quanto pianeti circondati da lune;
ma ci hanno lasciati come cinghiali rabbiosi
con lo stridore dei cieli nelle orecchie.