Libri > Harry Potter
Ricorda la storia  |      
Autore: Astry_1971    17/09/2008    8 recensioni
“Ci sono molte cose che non sai. Non hai mai capito, no, tu sei sempre stato troppo arrogante, troppo sicuro di te.” Aveva detto con disprezzo, poi il suo sguardo si era perso nel buio, risucchiato da immagini che l'altro non poteva vedere. “No, non hai mai capito.” aveva mormorato.
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Harry Potter, Severus Piton
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

SENZA MASCHERA



Autore/Data: Astry, 14/08/08.
Beta - reader: Nessuno.
Personaggi:Severus Piton, Harry Potter.
Tipologia:One-shot.
Rating: per tutti.
Genere: Drammatico, introspettivo.
Avvertimenti: Spoiler sul settimo libro
Epoca: HP a Hogwarts, settimo anno del trio.
Sfida: Il confronto.

Disclaimer: I personaggi ed i luoghi presenti in questa storia non appartengono a me bensì, prevalentemente, a J.K. Rowling e a chi ne detiene i diritti. I luoghi non inventati da J.K. Rowling e la trama di questa storia sono invece di mia proprietà ed occorre il mio esplicito e preventivo consenso per pubblicare/tradurre altrove questa storia o una citazione da essa.

Riassunto: “Ci sono molte cose che non sai. Non hai mai capito, no, tu sei sempre stato troppo arrogante, troppo sicuro di te.” Aveva detto con disprezzo poi, il suo sguardo si era perso nel buio, risucchiato da immagini che l'altro non poteva vedere. “No, non hai mai capito.” Aveva mormorato.

Questo racconto è nato nel forum http://magiesinister.forumcommunity.net/ e si inserisce in una raccolta di racconti scritti dai partecipanti al forum per l’ottava sfida di Fanfiction intitolata “Il confronto”. La sfida consisteva nello scrivere una fanfiction che raccontasse il momento dell'incontro (oppure scontro) tra Severus Piton e Harry Potter, nel quale poteva esserci (o non esserci) un chiarimento fra loro, dato che la loro creatrice non gli ha concesso di affrontarsi sul serio, faccia a faccia, sui tanti argomenti spinosi che li hanno sempre divisi e, nello stesso tempo, accomunati.
Anche se la sfida non lo richiedeva, ho scelto di attenermi il più possibile alle vicende del libro, dunque questa storia può considerarsi a tutti gli effetti un “momento mancante”.



SENZA MASCHERA

Gli ultimi giorni erano stati davvero frenetici: il mondo magico aveva gioito per la vittoria, aveva pianto i suoi morti, si era inginocchiato a meditare sulle sue rovine.
Le torri di Hogwarts, semidistrutte, svettavano come schegge di vetro dalle forme irregolari.
Intorno erano ben visibili i segni delle ferite lasciate dalla terribile battaglia finale.
Tutto era successo in fretta. La famiglia Weasley, unita più che mai, aveva dato l’ultimo saluto a Fred, circondata da amici e parenti. Anche Lupin e Tonks avevano avuto un bel funerale, tutta Hogwarts era presente.
E poi c’era stato il suo. Composto e silenzioso, come lui avrebbe desiderato.
C’erano i suoi colleghi, gli studenti con gli stendardi delle case, quelli Serpeverde in testa, tristemente listati a lutto.
Tutto perfetto, come si addiceva ad uno dei presidi di Hogwarts; tutto molto freddo, come si addiceva a Severus Piton.
Nessuna lacrima per lui, né da parte di chi lo aveva sempre odiato e temuto in vita, né da parte dei ragazzi della sua stessa casa, i quali, dopo che il suo ruolo di spia era stato smascherato, si erano ritenuti traditi.
Harry aveva assistito a tutta la cerimonia, immobile e silenzioso, infine, dopo aver atteso che tutti se ne fossero andati, si era avvicinato alla tomba.
Il cielo era stato plumbeo per tutto il tempo, ma ora, col tramontare del sole, aveva persino iniziato a piovere.
Sulla tomba era stata posta una lastra di marmo nero. Vi era scolpito un fiore, un giglio sul quale si avvolgeva come un serpente una S in un raffinato carattere gotico. Nessun’altra scritta oltre al nome e alla data di nascita e di morte. Harry aveva voluto così. Qualsiasi altra sciocca frase di circostanza avrebbe fatto arricciare abbondantemente le labbra di Piton: lui era sempre stato un uomo di poche, amare parole.
La pioggia aveva preso a scorrere sul delicato rilievo portandosi via il poco terriccio che vi era caduto sopra e, incanalandosi in una ragnatela di rivoli serpeggianti, si perdeva nel cumulo di terra smossa.
Il ragazzo puntò la bacchetta.
“Lumos!”
L’acqua si colorò d’argento, colpita dalla luce magica, e il giovane mago sentì improvvisamente una stretta allo stomaco.
Si chinò, prese dalla tasca l’ampollina di vetro nella quale aveva racchiuso gli ultimi pensieri di Piton e la posò sul marmo. I bagliori dei ricordi all’interno si mescolarono al riflesso della sua bacchetta sull’acqua.
“Mi dispiace!” mormorò.
Sentì tutta la rabbia per quell’omaggio tardivo.
Si era rifiutato di credergli. Non voleva morire.
La sua mente tornò agli eventi degli ultimi giorni: ora che tutto aveva acquistato un significato, avrebbe solo voluto poter tornare indietro a quell’ultimo incontro prima che tutto precipitasse. L’orrore per quello che il mago gli stava rivelando, il dolore per la perdita di tanti amici e la paura della morte non gli avevano permesso di vedere in lui null’altro che un ostacolo alla sua missione.
Non aveva neppure avuto il tempo di raccontare ai suoi amici, Ron e Hermione, i particolari di quell’incontro, così loro non si erano accorti di nulla.

Stavano correndo verso il Platano Picchiatore, lui aveva appena visto nella mente di Voldemort che si trovava nella Stamberga, e attendeva, assieme al suo fedele serpente, l’arrivo di Severus Piton.
Aveva corso a perdifiato ed era arrivato per primo davanti all’albero, quando una fredda voce familiare lo aveva fatto sussultare.
“Potter!”
Girando intorno al Platano, un uomo completamente avvolto in un mantello nero, con il volto celato dietro l’orrida maschera dei Mangiamorte, gli si era avvicinato con la bacchetta in pugno.
Istintivamente Harry si era voltato e aveva visto i suoi due amici come congelati nella loro corsa, ancora a parecchi metri da lui.
Aveva proteso minaccioso la sua arma contro l’uomo che l’aveva raggiunto.
“Fermati!” l’aveva minacciato, guardandosi attorno incerto, per controllare che non ci fossero altri Mangiamorte nascosti fra gli alberi.
Non aveva tentato di attaccare e anche l’altro sembrava non averne l’intenzione.
Poi il Mangiamorte si era levato la maschera e Harry aveva sentito la rabbia crescere dentro di lui come la lava incandescente in un vulcano.
Severus Piton lo fissava con la sua solita espressione odiosa.
“Cosa gli hai fatto maledetto bastardo?” Aveva ringhiato accennando ai suoi due amici immobilizzati tra gli alberi.
“Non riconosci un Petrificus quando lo vedi, Potter?”
Le dita di Harry si erano strette nervosamente attorno al suo legno magico.
“Pensa di essere ancora in cattedra, professore? Questa non è più una scuola, lei e quel branco di animali con la maschera l’avete ridotta ad un cimitero. Stupeficium!”
Ma Piton non si era lasciato distrarre dalle sue parole. Del resto, Harry se l’era aspettato.
Come era successo alla professoressa McGranitt quando aveva cercato di Schiantarlo, anche lui si era ritrovato scaraventato indietro e giaceva dolorante e furioso nell’erba.
“Forse, se tu e i tuoi amici vi foste applicati di più, sareste stati in grado di difendervi meglio.” Sembrava sforzarsi di rendere acido il tono della sua voce, ma al ragazzo era parso di scorgere una punta d’amarezza che gli era suonata come qualcosa di stonato.
Il suo cervello, tuttavia, sembrava rifiutarsi di registrare quell’informazione.
Non riusciva a muoversi, gli tremavano le gambe. Non per la paura, bensì per la rabbia: era arrivato così vicino, Voldemort e il suo serpente erano lì a pochi passi, ed ora proprio Piton si frapponeva tra lui e l’ultimo Horcrux.
L’uomo che aveva causato la morte dei suoi genitori e aveva ucciso a sangue freddo l’unica persona che lo aveva accolto e gli aveva dato fiducia se ne stava lì, pronto a cancellare per sempre ogni speranza di poter liberare il mondo dall’oscurità.
Sentiva di odiarlo come non mai.
“Assassino maledetto!” aveva urlato con ferocia, mentre le lacrime salivano ad appannargli la vista. “Morirai, come è morto lui.”
Tenendo il suo avversario sotto tiro, aveva tentato di rimettersi in piedi, ma non aveva fatto in tempo a sollevare la schiena, che Piton si era avventato su di lui, facendogli sfuggire di mano la bacchetta, e l’aveva schiacciato di nuovo al suolo puntandogli la propria alla gola, mentre, col braccio libero, gli impediva di muoversi.
“Non hai capito proprio niente. La mia vita non è importante…” aveva soffiato a pochi centimetri dal suo viso. “… la tua vita non è importante.” le ultime parole le aveva scandite rendendole pesanti come macigni.
Severus Piton aveva sempre saputo usare le parole come un’arma. La sua voce sembrava avesse il potere di ferire e persino uccidere, come se fosse incantata da qualche strano maleficio.
Il ragazzo se l’era sentita piombare addosso come fosse qualcosa di solido, assieme ad una miriade di sensazioni spiacevoli che la forzata vicinanza con quell’uomo avevano riportato alla luce.
La voce, la sua mano fredda che lo stringeva, il volto pallido e spigoloso incorniciato dai lunghi capelli nerissimi che ricadevano scarmigliati davanti agli occhi, l'odore acre delle erbe e delle pozioni che, come sempre, impregnava i suoi vestiti, e poi l’espressione così carica di odio da farlo sembrare folle, proprio come quella notte.
Improvvisamente era come se i mesi trascorsi fossero stati cancellati. Tutto era tornato vivido nella memoria, persino il dolore.
Aveva gettato la testa all’indietro: sentiva di aver bisogno d’aria.
La notte era satura dei fumi degli incendi e dell’odore della polvere che si era sollevata dagli innumerevoli crolli, ma gridava che c’era ancora una ragione per lottare, per sperare, mentre lui, invece, si era sentito inghiottire dalla disperazione dal momento in cui il mantello nero di Piton, che si era gonfiato come una vela quando si era gettato su di lui, aveva ingoiato entrambi, avvolgendoli come un sudario.
Aveva abbassato lo sguardo fissando gli incredibili occhi neri del mago, un baratro oscuro che pareva affacciarsi su memorie lontane.
Aveva odiato quegli occhi fin dal primo istante in cui avevano incontrato i suoi. Ma non avrebbe mai potuto dimenticare la furia che vi aveva visto la notte dell'omicidio di Silente. Come se, ancora prima di scagliare la maledizione, la terribile immagine di morte fosse già impressa nelle sue pupille.
La morte, ecco, era quello che c'era nelle profondità di quello sguardo. Ciò che lo aveva sempre messo a disagio e che riusciva ogni volta a tirar fuori il peggio di lui. Anche in quell'istante la sensazione era stata la stessa. Non era riuscito a non rabbrividire di fronte alle sue iridi tenebrose, arrivando persino a provare un vero e proprio dolore fisico, che nemmeno le fiamme negli occhi di Voldemort avevano mai avuto il potere di provocare.
Poi, improvvisamente, l’aveva visto serrare le palpebre, mentre il suo braccio sinistro aveva iniziato a tremare, come colto da un forte dolore. Harry ne aveva approfittato per cercare di divincolarsi, ma senza successo. Piton continuava a premergli il gomito sul petto, bloccandolo con tutto il suo peso.
“Il padrone reclama la presenza del suo cane fedele.” Aveva sputato con disprezzo, continuando ad agitarsi.
Gli occhi di Piton si erano spalancati, si era sollevato in ginocchio e, continuando a puntargli addosso la bacchetta, lo fissava stupito e preoccupato al tempo stesso.
“Oh, sì, so del vostro appuntamento alla Stamberga.” Aveva continuato Harry, accennando all’ingresso del passaggio sotto il platano. “E’ in ritardo.” le labbra si erano piegate in un ghigno cattivo.
“Immagino che tu abbia ancora ficcato il naso in faccende che non ti riguardano, Potter. Ma, a questo punto, ha poca importanza che tu veda o meno nella mente del Signore Oscuro. Presto vi incontrerete faccia a faccia, e non è ciò che lui pensa che dovrebbe interessarti ora.”
I pugni di Harry si erano stretti rabbiosi sull’erba e il terriccio si era infilato dolorosamente sotto le unghie.
Piton aveva proseguito.
“Ho un messaggio per te.” aveva detto secco.
“Conosco i messaggi del suo padrone. Se mi sta chiedendo di arrendermi se lo può scordare.” Aveva ruggito con la furia di un animale in trappola.
“Il messaggio non è da parte di Voldemort.” Aveva precisato lui, mentre gli occhi si accendevano improvvisamente.
Harry stava già per ribattere, ma le parole gli si erano bloccate in gola. Era la prima volta che Piton pronunciava quel nome. L’aveva sempre chiamato ‘Oscuro Signore’ come tutti i Mangiamorte, persino quando avrebbe dovuto nascondere l’appartenenza al suo esercito. Non sapeva perché, ma aveva sentito che c’era qualcosa di sbagliato, una sensazione che non aveva mai provato prima in presenza di Piton. Come se, di fronte a lui, in quel preciso momento, ci fosse una persona diversa.
Forse il mago stava di nuovo giocando con la sua mente, forse era solo uno scherzo dell’immaginazione, forse era la paura.
Non poteva permettersi di avere paura, doveva reagire.
“E’ così che Voldemort l’ha ricompensata per l’eroica vittoria su un vecchio ferito e disarmato? Ora fa il gufo portalettere per i suoi compari?” aveva ringhiato, sforzandosi di tenere stretto il suo odio. Sentiva che era l’unica cosa a dargli forza, in quel momento.
Era disarmato e impotente, ma se avesse ceduto alla disperazione sarebbe stata la fine.
Da lontano si udivano i rumori della battaglia in corso. Ogni esplosione gli provocava una fitta dolorosa al cuore, mentre si domandava quale altro amico avesse perso la vita.
Aveva sentito la bacchetta di Piton torcersi sulla delicata pelle del collo e il suo respiro farsi affannoso per la collera, poi, improvvisamente, il mago l’aveva liberato e si era alzato da terra.
Harry non si era mosso, era rimasto a fissarne il volto tanto contratto da sembrare la caricatura di se stesso. La mascella era stretta con tale forza che, era certo, avrebbe sentito i denti di Piton spaccarsi da un momento all’altro.
L’uomo se ne stava immobile, il mantello nero ricadeva pesantemente dalle sue spalle, mosso appena dalle folate d’aria rovente degli incendi, le cui fiamme si facevano sempre più alte e minacciose.
Un’ombra nera stagliata in un mare di fuoco.
Potente e terribile.
Harry aveva trattenuto il respiro aspettandosi un sortilegio: se era ancora vivo era solo perché Voldemort voleva ucciderlo personalmente, ma questo non avrebbe impedito a Piton di sfogare, una volta per tutte, il suo odio.
Non era accaduto nulla di tutto ciò. Il mago, che aveva ancora la bacchetta puntata su di lui, aveva proteso maggiormente il braccio, facendo ruotare il legno magico tra le dita e porgendo l’impugnatura al ragazzo.
“Il messaggio è da parte di Albus Silente.” Aveva detto asciutto.
Harry continuava a fissarlo imbambolato, ormai era convinto di trovarsi di fronte ad un’allucinazione. Non aveva fatto nulla per prendere la bacchetta e allora Piton l’aveva gettata in terra accanto a lui.
Si era chinato e, afferrandolo per il colletto, l’aveva rimesso in piedi.
“Mi lasci!” Harry si era divincolato, scansando la mano del suo ex insegnante, ma quello, con la rapidità di un serpente, aveva artigliato nuovamente la stoffa della sua camicia, costringendolo a voltarsi in direzione dei due ragazzi pietrificati.
“Dimmi, Potter, cosa saresti disposto a fare per loro?” aveva sibilato.
Harry si era sentito gelare: era forse una minaccia, un ricatto?
“Vuole ucciderli?” aveva chiesto, ma, senza attendere la risposta, l’aveva allontanato da sé con una spinta, gettandosi di nuovo in terra nel tentativo di afferrare la propria bacchetta. Aveva urlato l’incantesimo di appello e i suoi occhi si erano spalancati nel vedere il legno magico schizzare, invece, in direzione di Piton, che l’aveva poi preso al volo.
Nel posare lo sguardo sulla piccola asticella, Piton era impallidito.
“Questa non è tua.” aveva detto, mentre la osservava cupo e meditabondo.
Harry non aveva parlato.
“Legno di biancospino… conosco questa bacchetta: è di Draco Malfoy.” Aveva proseguito, poi era tornato a rivolgersi al ragazzo. “Come l’hai avuta?”
“Questo non è affar suo.” Gli aveva risposto, mentre si rimetteva in piedi.
Il mago l’aveva fissato con un’espressione indecifrabile, Harry aveva immaginato che stesse tentando di leggere nella sua mente e aveva distolto lo sguardo, ma l’altro aveva seguitato.
“Suppongo che non vorrai dirmi nemmeno cosa è successo alla tua, ma non ha importanza.” Poi, dopo una pausa: “Ti ho fatto una domanda, Potter, moriresti per i tuoi amici?”
Harry aveva fissato la bacchetta di Piton che era ancora in terra, proprio vicino a lui. Aveva pensato che il mago stesse cercando di provocarlo, e aveva deciso di non tentare di raccoglierla, ma aveva sollevato orgoglioso il mento fissando il buio dei suoi occhi.
“Sì, morirei per loro.” Gli aveva detto con veemenza.
“Bene, perché è questo che Silente si aspettava da te.”
Era gelido e distaccato, come se gli stesse dando le istruzioni per preparare una Pozione.
“A che gioco sta giocando?” Harry si sentiva sempre più confuso.
Lui aveva sollevato le sopracciglia mostrandosi sbalordito e amareggiato per quella domanda.
“Questo non è un gioco, non lo è mai stato,” aveva detto con voce roca, “Ma, forse, il ‘Prescelto’ non l’aveva ancora notato.” Aveva proseguito assumendo un tono canzonatorio e mimando ironicamente un inchino.
“Perché non mi uccide o mi porta dal suo padrone: non è per questo che è venuto qui?”
“No, Potter! Sono qui per un’altra ragione e, anche se preferirei mordermi la lingua piuttosto che restare fra questi alberi a parlare con te, non posso sottrarmi al mio dovere. L’unica cosa che conta ora è la distruzione di Voldemort. E, che ti piaccia o no, dovrai starmi a sentire.”
“Non è ancora stanco di fare il suo doppio gioco? Silente si fidava di lei.”
“Silente stava morendo quando io…” la voce si era spezzata improvvisamente. “Lui sapeva che sarebbe successo, sapeva di Draco, lui me l’ha chiesto, no, ”Gli occhi neri e ardenti erano corsi alla riva del lago dove era stata posta la tomba di Silente. “lui me l’ha ordinato!”
Era seguito un lungo silenzio.
“Sta mentendo.”
Piton si era avvicinato. “So che ti ha lasciato un compito da svolgere, così come lo ha lasciato a me.” Aveva sussurrato, la voce simile ad una lama.
“Lei mente, non sa assolutamente niente.”
“No, non sto… AAAH!” di nuovo il braccio sinistro si era contratto come se fosse stato attraversato da una scossa elettrica. “Non… c’è più tempo.” Piton ansimava. “Voldemort deve morire, ma c’è un solo modo.”
“Non voglio più ascoltare!”
“Non capisci che faceva tutto parte di un piano? Qualsiasi compito Silente ti abbia affidato, mi auguro che tu sia riuscito a portarlo a termine, perché, vedi, non ci saranno altre opportunità. La guerra finirà stanotte, in un modo o nell’altro, e, da come si stanno mettendo le cose a Hogwarts,” guardò in direzione del castello illuminato dai roghi e dalle esplosioni. “Direi che le possibilità sono tutte a favore dei Mangiamorte.”
“Io non farò lo stesso errore di Silente, io non mi fiderò di lei, niente di quello che dirà potrà mai convincermi”.
Piton aveva fatto un passo indietro, nel suo sguardo c'era orrore, forse persino disperazione. Probabilmente sperava davvero di convincerlo, ma lo aveva sottovalutato.
Era restato in silenzio per diversi secondi, con le labbra serrate, semplicemente guardandolo. Sembrava quasi che volesse registrare nella memoria ogni dettaglio del suo aspetto.
Lui l’aveva ricambiato con uno sguardo carico di veleno, che tuttavia era sembrato cadere nel vuoto.
“Non ho bisogno di convincerti, perché tu sai la verità, l’unica verità. Hai solo cercato di non vederla.” Aveva affermato con ritrovata calma.
“No!”
“E’ così. Credevi che avresti sconfitto Voldemort con le tue doti magiche?” aveva detto con una smorfia. “Avrei potuto ucciderti poco fa, se solo lo avessi voluto, Potter.” La sua mano aveva accennato pigramente il punto in cui lo aveva sopraffatto. “Sei una preda fin troppo facile. Non c’è nulla di ciò che hai imparato, nessun incantesimo che tu possa usare, che lui non sappia neutralizzare. Credevi davvero che un ragazzino sarebbe stato in grado di battere il più grande mago vivente? Sciocco!”
“Voldemort ha paura di me.” Aveva urlato cercando di non ascoltare la voce del suo cuore.
“Voldemort è dentro di te.”
Harry si era sentito mancare la terra da sotto i piedi, per poco non era caduto barcollando all’indietro.
Piton aveva continuato a guardarlo spietato. “Tu sai che è così, l’hai sempre saputo. Hai sentito quel legame crescere dentro di te.”
Si erano udite altre esplosioni e grida terribili. Harry si era portato le mani alle orecchie e aveva chiuso gli occhi scuotendo la testa.
“No, no! Non è vero. Lei è solo un maledetto bugiardo.”
Poi, senza nemmeno rendersene conto, aveva teso il braccio aprendo il palmo della mano e, come risucchiata dalla sua rabbia, la bacchetta di biancospino era sfuggita alla presa del suo avversario volando verso di lui.
Harry si era affrettato a puntarla contro Piton, che non sembrava per nulla preoccupato di essere tenuto sotto tiro.
“Come ho detto, la mia vita non ha nessun valore: puoi uccidermi.” Aveva sbuffato quasi con noncuranza. “L’unica cosa che conta è distruggere ciò che è racchiuso dentro di te, e questo lo deve fare Voldemort.”
“Mi crede così stupido da fidarmi della parola di un Mangiamorte? Mi sta chiedendo di andare da lui e lasciarmi uccidere senza reagire? E’ un bel trucco, ma non funziona.”
“Eppure ti sei fidato ciecamente quando ti ho guidato alla spada.” lo aveva provocato.
Lui si era sentito gelare.
“La cerva, è…”
“Sì, Potter, la cerva è il mio Patronus”.
“Quello era il Patronus di mia madre, non è possibile, lei non...”
“Ci sono molte cose che non sai. Non hai mai capito, no, sei sempre stato troppo arrogante, troppo sicuro di te.” Aveva detto con disprezzo, poi, il suo sguardo si era perso nel buio, risucchiato da immagini che l'altro non poteva vedere. “No, non hai mai capito.” Aveva mormorato.
“Ma lei è morta per colpa sua, lei...” aveva gridato, frenandosi appena si era reso conto che a quelle parole Piton era impallidito.
Dopo alcuni secondi di gelo, lui aveva parlato di nuovo:
“Esatto, Potter: lei è morta per colpa mia. Hai una vaga idea di cosa significhi?”
Il suono della sua voce faceva venire i brividi. Harry aveva abbassato lentamente la bacchetta, ma subito dopo aveva sussultato quando Piton si era ripiegato improvvisamente su se stesso colto da una nuova e più dolorosa fitta al Marchio.
“Non posso più aspettare, se non mi presentassi potrei insospettirlo.” Aveva detto con fatica stringendosi l’avambraccio sinistro.
“Professore!” Harry l’aveva fermato prima che potesse voltarsi per andarsene.
Il mago si era immobilizzato guardandolo con sorpresa, ma non era stata la mano del giovane Grifondoro aggrappata al suo mantello ad averlo trattenuto, quanto piuttosto l’appellativo che Potter aveva usato, o, meglio, il tono in cui gliel’aveva rivolto. Come se, per la prima volta, lo avesse ritenuto degno di quel titolo. Persino il ragazzo ne era rimasto stupito.
Non doveva credergli, continuava a ripetersi che era solo un trucco, una trappola di Voldemort. Eppure, in quel momento aveva temuto per la sua vita. C'era qualcosa che non riusciva ad afferrare, ma avrebbe voluto avere più tempo per farlo. Ora sentiva che quel tempo stava per scadere e che quella chiamata di Voldemort, nel bel mezzo di una battaglia, non prometteva nulla di buono.
“Non deve andare.”
Le labbra di Piton si erano piegate in una smorfia che sembrava quasi un sorriso.
“Cosa hai visto, Potter?” la voce era bassa e pacata.
Harry si era morso il labbro, cercando tradurre in parole ciò che, in realtà, era stata solo una sensazione, un presentimento che però si spiegava perfettamente dopo le rivelazioni di Piton. L’urgenza di Voldemort nell’ordinare a Lucius di andarlo a cercare, la sua determinazione e nello stesso tempo il bisogno di giustificarsi con Nagini per ciò che stava per fare.
Forse Piton aveva detto la verità, forse il suo padrone aveva scoperto di essere stato tradito. Si sforzò di dare un senso a quello che aveva provato entrando nella mente di Voldemort, cercò di riconoscere quei sentimenti. Era forse rabbia? Era paura? Perchè continuava a guardare la bacchetta con aria preoccupata?
Aveva fissato Piton negli occhi, ancora non sapeva se credergli o no, ma nella remota possibilità che non l'avesse ingannato, forse avrebbe dovuto metterlo in guardia.
“Lui ha la bacchetta di Silente.” Aveva detto in un fiato, non molto convinto di fare la cosa giusta.
Piton aveva chiuso per un attimo gli occhi come per scacciare la raccapricciante immagine di Voldemort che profanava la tomba bianca. Harry sapeva che era stato lo stesso Piton ad accompagnarlo fin lì, lo aveva visto.
“Ma quella bacchetta ha qualcosa che non va, c’è qualcosa che lo preoccupa.” Aveva proseguito.
L'altro si era rabbuiato. Harry aveva notato che diventava sempre più pallido.
“Certo, la bacchetta deve essere vinta in duello. Rubarla da una tomba non la rende proprietà del ladro. Quella bacchetta non gli obbedirà mai.”
Aveva abbassato lo sguardo su quella che Potter stringeva in mano. “Non permettere a nessuno di prendertela.” Aveva mormorato.
Poi si era voltato di nuovo per allontanarsi.
“Aspetti!” Harry lo aveva bloccato ancora.
Una parte di lui non riusciva a credere ad una sola parola di quello che aveva sentito, tuttavia qualcosa gli diceva che doveva dare fiducia a quell’uomo. L’idea che gli avesse detto la verità lo terrorizzava, anche se la sua spiegazione aveva una logica impeccabile. Aveva avuto l’impressione che Piton non sapesse degli Horcrux e questo lo portava a sperare che si fosse sbagliato, ma d’altra parte aveva ragione a dire che non avrebbe avuto nessuna possibilità di battere Voldemort in un duello di magia: la soluzione era semplice e il significato della profezia diventava perfettamente chiaro.
Avrebbe voluto che il tempo si fosse fermato: improvvisamente aveva visto nell’uomo che odiava qualcosa che non avrebbe mai creduto possibile.
Aveva visto il dolore e il pentimento di cui parlava sempre Silente.
Non aveva creduto alle parole del preside, non poteva credere che fosse possibile riconoscere la sincera sofferenza. Ma in quel momento non era più sicuro di niente.
Il suo istinto di sopravvivenza lo obbligava a sperare che fosse tutto un inganno, un trucco escogitato da Voldemort per spingerlo a non difendersi. Possibile che avesse così tanta paura di lui da cercare di evitare uno scontro?
Il suo cuore, al contrario, sperava nella buona fede di Piton. Il pensiero che esistesse un’altra persona legata a sua madre lo riempiva di gioia.
Una miriade di interrogativi si erano affollati nella sua testa, insieme alle immagini di Lily, di come l’aveva vista nei pensatoio di Silente, di Piton, il terribile insulto che le aveva rivolto, e poi ciò che gli avevano raccontato: nessuno aveva mai accennato al fatto che ci fosse un qualche legame fra sua madre e quell’uomo. Perchè?
Perché Sirius e Lupin non gli avevano detto niente?
Quante altre cose non gli avevano detto? Forse non sapevano o forse Piton stava mentendo.
Eppure il Patronus lo aveva visto: non c’era modo di decidere la forma di un Patronus, lo sapeva.
Avrebbe voluto urlare in quel momento, gli sembrava di impazzire: lui era il Prescelto, aveva un compito da svolgere.
I rumori della battaglia si facevano sempre più terrificanti, doveva farli smettere. Il serpente, doveva distruggere il serpente.
Avrebbe solo voluto non essere lì, voleva essere solo Harry, il piccolo orfano di Privet Drive. Per un attimo aveva assaporato quel sogno impossibile, un lungo meraviglioso attimo in cui urla ed esplosioni avevano lasciato il posto ai battiti frenetici del suo cuore, al suono regolare del suo respiro e di quello di Piton, mentre un desiderio, dolce e infantile, s’impossessava di lui: passare giornate intere a parlare della sua mamma, sapere tutto di lei, sapere se lei avesse mai ricambiato i sentimenti di Piton, conoscerla e amarla attraverso i suoi enigmatici occhi neri, nient’altro.
Ecco la verità, lui voleva credere, senza rendersi conto che, nel caso Piton fosse stato sincero, questo avrebbe significato la sua morte.
Poi un altro pensiero, più consapevole, si era fatto strada nella sua mente: il pericolo. Piton aveva sempre rischiato la vita: lui era la spia.
Lo aveva sempre odiato troppo per rendersene conto. Per domandarsi perché un uomo, detestato da tutti, avrebbe dovuto mettere a repentaglio la propria vita per gli altri.
“Perché lo fa?” gli aveva domandato secco.
L’altro non si era voltato, e non aveva risposto, ma era restato immobile.
“E’ per mia madre?”
Sempre senza parlare, Piton si era chinato a raccogliere la bacchetta nera per riporla sotto il mantello. Si era voltato e gli occhi si erano posati sulla cicatrice a forma di saetta che il giovane mago portava in fronte, per poi immergersi quasi con timore nel profondo verde delle sue iridi.
“E’ così difficile immaginare che io possa aver amato qualcuno, Harry?”
Non aveva aggiunto altro, mentre si allontanava con passo pesante.
Sì, era difficile, praticamente impossibile, anche solo associare la parola ‘amore’ a quell’uomo e, soprattutto, associare il suo amore al dolore.
L’aveva capito quando era riuscito a chiudere la mente a Voldemort: l’Amore, il dolore per la perdita di chi amava, rimorso e responsabilità, tutto questo aveva scacciato Voldemort dalla sua testa.
Possibile che l’uomo che più odiava al mondo, potesse racchiudere nel cuore dei sentimenti così forti? Possibile che fosse proprio il dolore immenso per aver causato la morte di sua madre a permettergli di essere un così abile occlumante?
Harry, confuso e disorientato, l’aveva seguito con lo sguardo fino a perderlo nel folto degli alberi. Lì Piton avrebbe raggiunto un punto in cui potersi smaterializzare per presentarsi al cospetto del suo signore all’interno della Stamberga.
Il ragazzo si era strofinato gli occhi, come per svegliarsi da un sogno. Almeno di una cosa era certo: era vivo e ancora libero di portare a termine il suo compito. Non sapeva perché, non gli importava: forse era una trappola, ma lui doveva comunque andare avanti.
Aveva puntato la bacchetta sui due amici.
“Finite incantatem!”
Ron e Hermione l’avevano raggiunto, ignari di tutto, e insieme avevano seguito Piton passando dalla galleria sotto il Platano Picchiatore.
E poi, era successo: Voldemort l’aveva ucciso davanti ai loro occhi.

Una lacrima scivolò timida sulla sua guancia per confondersi immediatamente con la pioggia scrosciante.
“Mi dispiace.”
Non riusciva a dire altro.
Forse doveva andare così, ma se solo fosse riuscito a credere alle sue parole, il loro addio sarebbe stato diverso.
Lui non si era reso conto che quello sarebbe stato il loro ultimo incontro, ma Piton, probabilmente, aveva già capito cosa lo aspettava all’interno della Stamberga e sapeva che anche lui doveva morire.
La verità era che non riusciva ad accettarlo.
Solo quando l’aveva sentita dalla viva voce di Silente si era rassegnato alla realtà: lui era l’ultimo Horcrux.
Eppure era stato come se il suo cervello avesse tentato per tutto il tempo di separare le due verità.
Da una parte il Mangiamorte, il traditore di Silente che lo stava ingannando ancora una volta. Il servo di Voldemort, mandato da lui per convincerlo a non combattere, in un ultimo disperato tentativo di opporsi al destino che gli era stato predetto.
E poi c’era Severus Piton, l’uomo che amava sua madre, un uomo che aveva appena conosciuto e al quale aveva già detto addio, nel momento in cui l'aveva visto sparire fra gli alberi.
Avrebbe voluto fermarlo, perché sapeva, nel profondo del suo cuore, che Voldemort voleva ucciderlo.
Sì, lo sapeva, anche se ancora non se ne rendeva conto.
Era necessario, questo aveva detto al serpente, ed era stata davvero necessaria quella morte, perché lui aprisse gli occhi.
Aveva visto Piton mentire al suo signore, pregarlo perché lo mandasse a cercare Harry Potter, dopo che lo aveva appena lasciato andare, libero e incolume.
Aveva visto il suo volto diventare di pietra, mentre nascondeva al suo assassino la verità che gli avrebbe salvato la vita.
‘Non permettere a nessuno di prendertela’.
Quelle parole gli rimbombavano nella testa, come un tuono, come urlava altrettanto dolorosamente il suo silenzio. Piton sapeva delle bacchette, aveva capito che il padrone della bacchetta era Draco e aveva visto che lui l’aveva disarmato.
Aveva taciuto, e si era lasciato uccidere.
Gli stava dando l’esempio.
Lo avrebbe capito solo più tardi.
In quel momento era troppo frastornato: non sapeva più cosa pensare quando lo aveva visto a terra morente. Non sapeva cosa provare. Lo odiava, non voleva fidarsi, ma non poteva più negare ciò di cui era stato testimone.
Quando si era avvicinato, non era riuscito a dirgli una sola parola, eppure sembrava che lui avesse compreso il suo bisogno di certezze.
Doveva vedere, e Piton glielo aveva concesso.
Gli aveva dato quelle immagini che finalmente gli avevano permesso di credere. E, soprattutto, gli aveva donato sua madre, il suo volto, la sua voce, la sua infanzia.
L’aveva visto scivolare lentamente nella morte, ma gli occhi erano più vivi che mai, mentre lo osservava racchiudere nell’ampolla il sottile filo della sua vita.
L’ombra cupa che lo aveva sempre accompagnato si era dissolta. La maschera era caduta per sempre e, in quel momento, i suoi occhi gli erano sembrati persino belli, illuminati dalla sostanza argentea che scivolava come lacrime dalle palpebre spalancate.
Hermione, che era al suo fianco, efficiente come sempre, non aveva notato le dita dell’amico stringersi sul petto dell’uomo, mentre lui ancora lo teneva per il colletto della camicia.
Avrebbe voluto dirgli così tanto con quel gesto, ma, soprattutto, voleva fargli sapere che non stava morendo con accanto un nemico.
Piton aveva trascorso tutta la vita nella solitudine, odiato da coloro per i quali stava combattendo e osannato da quelli che odiava: non doveva concludere la sua esistenza allo stesso modo.
Le deboli dita di Severus avevano ricambiato l’impercettibile gesto di saluto, prima di concedersi quell’ultima richiesta.

Harry protese la mano, afferrò l’ampollina e la posizionò orizzontalmente.
I ricordi di Piton presero a scivolare sul marmo della tomba seguendo lo stesso disegno creato dalle lacrime di quel cielo nero, fino a perdersi anch’essi assorbiti dalla terra.
“E’ giusto restituirli. Ora quei ricordi sono diventati anche i miei. Non ho bisogno di un contenitore di vetro per conservare quello che sarà per sempre racchiuso nel mio cuore.”
Fece qualche passo indietro.
“Grazie, professore!”

FINE

  
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Harry Potter / Vai alla pagina dell'autore: Astry_1971