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Autore: katvil    22/08/2014    4 recensioni
Quando togli un quadro da un muro o sposti un mobile che era lì da anni, non lo sposti mai veramente. Rimane sempre un alone, un segno del suo passaggio, del fatto che era lì. Puoi far sparire quell’alone con un pennello e un po’ di pittura, ma rimarrà sempre qualcosa che ti dirà che lì prima c’era quel quadro, quel mobile.
Così succede anche con le persone. Una volta che ti entrano dentro, che trovano il loro posto nell’anima, vi lasciano una traccia indelebile che puoi provare a coprire in mille modi, ma rimarrà sempre lì. (dal cap.21)
Shannon e April, una famiglia quasi perfetta, ma si sa che la famiglia del Mulino Bianco esiste solo nella pubblicità. Il destino ha qualcosa in serbo per loro...
Genere: Drammatico, Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Jared Leto, Nuovo personaggio, Shannon Leto, Tomo Miličević, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Life is a Roller Coaster'
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Eccoci qua con un nuovo episodio delle (dis)avventure di Shan e April. Intanto ringrazio chi è passato a leggere, chi ha messo la storia tra le preferite e anche chi l'ha aperta e chiusa scappando via XD Invito chi passa a leggere a lasciare anche un commentino che non fanno mai male, almeno capisco cosa ne pensate :) Dopo questa premessa, vi lascio al nuovo capitolo sperando di ritrovarvi anche per il prossimo :)
 

 

«April… ha avuto un incidente… devo andare all’ospedale da lei.»
Shannon resta seduto sul divano, con lo sguardo perso nel vuoto. Jared lo guarda, incapace di pronunciare una sola parola o muovere un muscolo. Non vuole credere alle parole che ha appena sentito e ha paura di chiedere ulteriori spiegazioni perché teme quello che potrebbe sentire.
Dopo pochi, interminabili minuti in cui il tempo sembra essersi fermato, i secondi diventati ore, Shannon si alza e rompe il silenzio «Devo… devo andare da April.»
Sente che potrebbe scoppiare da un momento all’altro. Chiude gli occhi e prende un respiro cercando di riordinare le idee.
Janis e Joshua entrano in sala e la bambina, vedendo il padre così, rimane pietrificata «Papà… dov’è la mamma? È successo qualcosa?» si avvicina a Shannon e lo guarda con gli occhi pieni di apprensione.
La guarda e abbozza un sorriso accarezzandole la testa per cercare di tranquillizzarla «Tesoro, stai tranquilla. Adesso il papà deve uscire un attimo, voi state con lo zio Jay va bene?» cerca di trattenere le lacrime: non vuole crollare davanti ai bambini.
«Non se ne parla nemmeno: io vengo con te.» lo interrompe il fratello, con uno sguardo risoluto.
«Jared… non posso portare i bambini con me e non posso aspettare che arrivi mamma, devo andare. Poi tu non avevi un’intervista questo pomeriggio?»
«Al Diavolo l’intervista, che si fottano!»
«Jared!» Shannon lo ammonisce facendogli notare la presenza dei bambini.
«Ok… però appena arriva mamma ti raggiungo. Ho già chiamato Emma e le ho fatto annullare tutti gli impegni che avevo oggi.» Jared guarda il fratello deciso poi si volta verso la nipote e le da una carezza sulla guancia «Jan, tu e Josh andate di sopra a sistemarvi che tra poco arriva nonna Connie. Sei capace di badare a tuo fratello?»
«Certo, ma perché viene la nonna? Non aspettiamo la mamma?»
Jared guarda il fratello in cerca di supporto. Shannon si alza dal divano e si dirige verso la figlia. «Jan, la mamma oggi non verrà. Ha avuto un piccolo incidente. Adesso, da bravi, tu e Josh vi mettete tranquilli, aspettate la nonna con lo zio Jay mentre il papà va a vedere come sta la mamma ok?»
La bambina fissa il padre in silenzio: Joshua è piccolo, con lui può anche fingere, ma con Janis no. Con lei ha sempre avuto un feeling particolare, fin da quando era ancora in fasce e la voce del papà era l’unica cosa che riusciva a calmarla. Ricorda come fosse ieri le interminabili chiamate tra lui ed April durante i tour, con la donna disperata e la bambina che urlava come se la stessero sgozzando che improvvisamente si zittiva appena sentiva la voce del padre.
Shannon sfiora una guancia della figlia poi l’abbraccia accarezzandole la schiena «Stai tranquilla, Jan. Vedrai che andrà tutto bene.» le dice cercando forse di tranquillizzare più se stesso che lei.
«Papà, cos’è un incidente?» Joshua guarda il padre aggrottando le sopracciglia.
Shannon si avvicina al piccolo, si china e lo fa sedere sulle sue ginocchia, cercando di parlargli mantenendo la voce il più calmo possibile «Ti ricordi quando sei caduto dalla bicicletta e ti sei sbucciato un ginocchio?»
Il bimbo annuisce.
«Ecco… quello è stato un incidente. Quando qualcuno ha un incidente vuol dire che è successo qualcosa e che si è fatto male, come te quel giorno.»
«Anche la mamma è caduta dalla bicicletta?»
Shannon fa un sorriso e accarezza il caschetto biondo di Joshua «No amore mio, la mamma non è caduta dalla bicicletta. Ha avuto un incidente con la macchina.»
Il bambino guarda il papà per qualche minuto poi si alza e corre verso la cucina «Aspettami qua va bene?»
«Ok…» risponde, senza capire cosa abbia in testa il piccolo.
Lo sente che sta cercando qualcosa e, nel momento in cui sta per mandare Janis a controllare, Joshua ritorna in sala con un cerotto in mano.
«Ecco, papà portalo alla mamma così può metterlo sul ginocchio e passa tutta la bua.»
Gli occhi di Shannon si velano mentre abbraccia Joshua «Va bene Josh, vedrai che con questo cerotto la mamma guarirà in fretta. Adesso però vai di sopra con Jan che papà deve andare. Voi fate i bravi e non fate diventare matto lo zio Jay, va bene?»
Il piccolo annuisce mentre la sorella è ancora ferma, immobile a fissare il padre.
«Va… va tutto bene Jan?» Shannon allunga un braccio per tirarla a sè.
La bimba annuisce poco convinta. Il padre avvolge i piccoli in un abbraccio.
«State tranquilli bambini, la mamma sarà presto a casa però adesso dovete lasciarmi andare altrimenti si arrabbierà molto se la lasciamo da sola in ospedale e voi non volete che la mamma si arrabbi giusto?»
I bambini scuotono la testa in segno di negazione. Lui scioglie l’abbraccio e da una leggera pacca sul sedere ad entrambi cercando di ritrovare un sorriso rassicurante «Andate al piano di sopra, forza. Lo zio è qua che aspetta la nonna, voi cercate di fare i bravi che papà torna presto ok?»
I bambini danno un bacio sulla guancia a Shannon poi salgono al piano di sopra. L’uomo si passa le mani sul volto, nel suo sguardo si può vedere tutta l’apprensione che ha cercato di nascondere fino a quel momento.
«Jay io… io vado…»
Jared gli da una pacca sulla spalla «Ci vediamo tra poco. Stai tranquillo, vedrai che non è niente di grave.» cerca di tranquillizzarlo senza far trasparire la sua ansia.
«Ok… a dopo…»

Shannon esce dalla porta e Jared, rimasto solo, si lascia cadere sul divano togliendosi dal viso quel sorriso forzato. Si passa le mani sul volto facendole scorrere lungo i capelli. Getta a terra con rabbia il laccio che serviva per tenerli su e tira un calcio al tavolino in vetro che sta sul tappeto, liberando tutta la frustrazione che ha tenuto dentro fino a quel momento. Si lascia andare con la testa all’indietro contro lo schienale del divano e rimane con lo sguardo fisso sul soffitto, come se guardare quella parete bianca potesse aiutarlo a dissipare il groviglio di pensieri e sensazioni che gli si sono accavallati dentro.
Sente una macchina fermarsi nel cortile, la porta si apre e Constance entra nella sala. Jared si alza andando verso la madre.
«Jared… ma cosa è successo? Quando mi hai telefonato dicendomi di venire a casa di tuo fratello sembravi così agitato… Sono corsa subito qua.»
«April ha avuto un incidente.»
«Un incidente? E come sta? Dov’è adesso? E tuo fratello?» Constance inizia a sparare domande a raffica.
«Calmati mamma… Hanno chiamato dall’ospedale, ma non so cosa sia successo e come sta… Shannon è uscito mezz’ora fa per andare da lei e io… io sono rimasto con i bambini, ma adesso che ci sei tu… beh… adesso andrei da lui… era agitato… molto agitato… Ho provato a chiamarlo al cellulare, ma non risponde… non so…»
La donna gli accarezza una guancia «Sarà in ospedale e non può rispondere, stai tranquillo. Tuo fratello sta bene.»
«Non lo so mamma, davvero non lo so. Non l’ho mai visto così. Finche c’erano i bambini sembrava tranquillo, ma prima di uscire da casa aveva uno sguardo… Poi mi sento pure un cretino: mia cognata ha avuto un incidente, non so se sia viva o…. viva, April è viva. Non so come sta e sono qua a preoccuparmi per Shan...»
La donna lo abbraccia e gli accarezza la schiena «Vai da tuo fratello, ma prima di metterti al volante cerca di darti una calmata.»
«Ehm… ci proverò… Janis e Joshua sono al piano di sopra. Non hanno ancora mangiato. Shan ha detto che nel frigorifero dovresti trovare qualcosa, ma non ricordo cosa…» aggrotta le sopracciglia e si gratta una tempia.
«Ci penso io ai bambini, staranno bene. Tu preoccupati solo di April e di tuo fratello. Chiamami appena sai qualcosa.»
«Ok... ai... ai bambini Shan ha detto che la mamma ha avuto un piccolo incidente, ma… ecco… se dovesse… se fosse successo qualcosa… ecco…» e si passa una mano sul viso incapace di nascondere il turbinio di emozioni che si muove dentro la sua anima.
«Vedrai che non è successo niente di grave e magari non stasera, ma tra qualche giorno April sarà ancora a casa con Shan e i bambini.»
Jared si volta verso le scale, sentendo Janis e Joshua scendere. Si affretta a cercare un sorriso che, anche se forzato, rassicura i piccoli.
«Nonna Connie!» Janis arriva in sala e si getta al collo della donna.
«Eccola la mia principessa! Mamma mia come sei diventata pesante!»
«Nonna! Nonna!» Joshua arriva subito dopo la sorella e abbraccia la donna.
«Mamma io… io vado…»
La donna da un bacio sulla guancia al figlio «A dopo Jay e cerca di stare tranquillo. Mi raccomando, chiamami appena sai qualcosa.»
«Lo farò… Bambini, fate i bravi con la nonna.»
Jared ricambia il bacio della madre, accarezza sulla testa i bambini poi esce dalla porta e si dirige di corsa verso l’auto.
Constance fa un sospiro poi si volta verso i bambini, cercando di trovare un sorriso «Forza diavoletti, andiamo in cucina a vedere di preparare il pranzo.»

******

«Quanto cazzo dista l’ospedale da casa?»
Shannon picchia le mani sul volante nervoso. Guida con lo sguardo fisso sulla strada: sposta un ciuffo di capelli dagli occhi e si passa una mano sul mento nervoso. Guarda la pioggia che scorre sui finestrini e non può fare a meno di chiedersi cosa accadrebbe se April… No… scuote la testa per ricacciare quel pensiero indietro: April starà bene e appena arriverà all’ospedale si faranno una grassa risata ripensando a tutta l’ansia che lo sta sconvolgendo.
Finalmente arriva nel parcheggio. Scende dall’auto e si dirige velocemente verso l’entrata, andando dritto dall’addetta alle informazioni «Mi avete appena telefonato per dirmi che mia moglie è stata ricoverata.»
«Come si chiama sua moglie?»
«April… Moore… April Leto Moore.»
Mentre la donna guarda il monitor del pc cercando il nome di sua moglie, per Shannon il tempo sembra fermarsi. Sente il respiro chiudersi mentre i battiti accelerano e i secondi gli sembrano giorni.
«Eccola, l’hanno portata qua un’ora fa. È nel reparto rianimazione, al terzo piano, dal dottor Smith.»
La donna non fa in tempo a finire di parlare che Shannon si sta già dirigendo verso l’ascensore. Dopo esservi entrato, resta in silenzio, lo sguardo basso. Muove il peso da un piede all’altro nervoso e, quando le porte si aprono, lui rimane immobile per qualche secondo poi prende un respiro ed esce, dirigendosi verso il reparto.
Si avvicina al primo medico che vede passare «Lei è il dottor Smith? Sto cercando April Leto Moore.»
«Sì, sono io. Lei chi è?»
«Sono il marito.»
«Signor Leto, venga con me.»
Shannon segue il medico lento, come se stesse andando al patibolo. L’odore dei medicinali gli entra nelle narici e lo fa rabbrividire: ha sempre odiato gli ospedali, ha fatto fatica ad entrarci, persino quando sono nati Janis e Joshua. Non ci può fare niente, è più forte di lui: vedere un camice bianco gli fa venire l’orticaria. Eppure dovrebbe esserci abituato, visto che per anni ha diviso la casa con un medico, anche se andare ogni tanto allo studio oculistico di Carl[ii] non è decisamente la stessa cosa che entrare in un ospedale.
«Signor Leto, sua moglie è in questa stanza.» la voce del medico lo distoglie dai suoi pensieri «Può entrare, ma solo per qualche minuto.»
Annuisce senza dire una parola, mentre il medico apre la porta e i due entrano nella stanza.
April giace inerme nel letto, con una flebo nel braccio e la mascherina per l’ossigeno sul naso. Sul volto qualche abrasione dovuta all’incidente e un’evidente fasciatura sulla testa.
«Cosa… come sta? Cosa è successo?»
«Per le dinamiche dell’incidente deve chiedere agli agenti che hanno fatto le rilevazioni sul luogo. Io posso solo dirle che sua moglie è arrivata qua in coma, con un trauma cranico e diverse contusioni. Siamo dovuti intervenire subito per arginare un ematoma.»
Shannon fatica a seguire quello che gli sta dicendo il medico, non riesce a staccare gli occhi dalla moglie. Si passa una mano sul viso, prende un respiro poi si rivolge nuovamente al medico «In… in coma? E si riprenderà? Si sveglierà?»
«Non lo sappiamo ancora. Con l’intervento abbiamo ridotto l’ematoma cerebrale, adesso dobbiamo solo aspettare per vedere come si evolverà la situazione. Ci potrebbero volere giorni come mesi, se non anni.» fa una pausa poi guarda dritto Shannon negli occhi «Signor Leto, voglio essere chiaro con lei e non darle false speranze. Il quadro clinico di sua moglie è molto compromesso. Potrebbe anche non svegliarsi più e comunque, nel caso in cui si svegliasse, non possiamo garantire sul suo stato. Il tutto dipende da come passerà le prossime quarantotto ore.» fa una pausa poi torna a rivolgersi all’uomo che ha davanti «Adesso la lascio solo con lei per qualche minuto poi deve uscire, mi raccomando.»
Shannon annuisce poi guarda il medico uscire.
Si avvicina al letto, si siede e prende la mano della moglie.
«Ehi, che bello scherzo mi hai fatto eh? Adesso apri gli occhi e mi dici che quello che mi ha appena raccontato il medico sono tutte balle, che stavi solo schiacciando un pisolino.»
La mano di April, fredda e immobile, lo fa rabbrividire. Ripensa alle parole del medico: quarantotto ore, solo quarantotto ore per decidere il suo destino, quello di sua moglie, dei suoi figli. Quarantotto ore per decidere della sua vita.
«April, lo senti che sono qua vero? Janis e Joshua ti aspettano, sai quanto vogliono bene alla loro mamma e quanto sono pasticcione io, non ce la farei mai da solo con loro perciò ti devi svegliare ok?» si passa una mano sugli occhi tirando su col naso.
Fruga nella tasca della giacca ed estrae il cerotto che gli ha dato Joshua. Lo guarda con un sorriso e lo mette sotto il cuscino della moglie «Quello è un regalo di Josh, così ha detto che guarisci prima. Capisci vero che devi sbrigarti ad uscire da qua? I bambini hanno bisogno di te…» fa una pausa poi aggiunge, quasi sussurrando «Io… io ho bisogno di te.» serra gli occhi per impedire alle lacrime di scendere.
La porta si apre alle sue spalle e il dottor Smith entra nella stanza «Adesso deve uscire, signor Leto. Ci dobbiamo occupare di sua moglie.»
Shannon prende la mano di April e la bacia poi le si avvicina all’orecchio sussurrando «April, io adesso vado, ti lascio nelle mani dei medici. Torno presto, non aver paura, e quando tornerò tu sarai sveglia e ci faremo una bella chiacchierata ok?» da un ultimo bacio alla moglie poi esce dalla stanza.
Si dirige verso la sala d’attesa, cerca qualche spicciolo in tasca e si avvicina al distributore automatico: ha assolutamente bisogno di un caffè.  Inserisce le monetine, seleziona il numero e si appoggia alla macchinetta. Si passa una mano sul viso mentre fissa un punto indefinito sul pavimento bianco dell’ospedale. Ancora non si capacita di quello che è successo, di come sia potuto accadere. Perché è successo proprio a loro?

Jared esce dall’ascensore ed entra di corsa nel reparto rianimazione. Vede il fratello in piedi, di fianco al distributore automatico di caffè: ha il volto sconvolto. Gli si avvicina, ma non riesce a dire una parola: proprio lui che ha sempre la battuta pronta, lui che nessuno riesce a zittire, in questo caso non sa cosa dire e si trova a fissarlo. Come tutti i fratelli minori, ha sempre visto Shannon come il suo punto di riferimento, la sua roccia. Non che sia un uomo perfetto, ha fatto i suoi sbagli e spesso è dovuto intervenire in prima persona per tirarlo fuori dai casini dove si era cacciato, ma non ha mai smesso di essere la parte più importante della sua vita. Per lui c’è sempre stato, ha sempre cercato di proteggerlo dal mondo e l’ha sempre fatto sentire sicuro. Ne hanno fatte tante insieme, si sono anche messi in situazioni pericolose, ma lui è sempre stato certo che finche ci fosse stato Shannon al suo fianco non gli sarebbe potuto accadere niente. È suo fratello, il suo miglior amico, tutto il suo mondo e vederlo così gli fa male, ma la cosa che lo fa stare peggio è il non poter far niente per aiutarlo. Vorrebbe poter avere la soluzione pronta anche questa volta, poterlo tirar fuori dai guai ancora una volta. Vorrebbe poterlo abbracciare e dirgli che andrà veramente tutto bene, ma non può e questa cosa lo logora dentro. Così se ne sta lì a fissarlo, come se stesse cercando un segno, un’illuminazione che lo potesse aiutare a risolvere tutto nel migliore dei modi.
S
hannon è appoggiato al muro, immerso nei suoi pensieri, fissando il bicchiere di caffè che stringe tra le mani. Ad un tratto sente una presenza alle sue spalle: alza gli occhi e vede Jared, in piedi che lo fissa. Ha uno sguardo così diverso dal solito. Quegli occhi azzurri, così grandi da poter raccogliere tutto il mondo, sono sempre stati il suo punto di riferimento. Guardando negli occhi suo fratello è sempre riuscito a ritrovare quelle certezze che tante volte gli sono mancate. In quegli occhi ha sempre trovato la forza per andare avanti, cercando di proteggere la parte più importante della sua vita: suo fratello, il suo miglior amico, il suo mondo. Lo fissa cercando un segno, anche piccolo, che lo possa rassicurare come sempre, ma questa volta non trova niente e si sente totalmente perso.
Per alcuni minuti rimangono così, in piedi uno di fronte all’altro, poi Jared muove un passo e si avvicina a Shannon abbracciandolo: un abbraccio che dice tutto quello che le parole non riescono ad esprimere. Shannon sente come se la stretta del fratello abbia rotto qualcosa dentro di lui, come se un nodo che tratteneva tutta la rabbia e la frustrazione si sia sciolto. Si rifugia in quell’abbraccio cercando di raccogliere tutto il calore che sprigiona e appoggiato alla spalla di Jared piange tutte le lacrime che non era ancora riuscito a buttar fuori.

******

Constance guarda la pioggia scendere nel giardino, in piedi davanti alla porta a vetri del salone. Adesso che i bambini sono al piano di sopra per il pisolino pomeridiano e nella casa regna il silenzio, i pensieri sono liberi di correre e i suoi stanno viaggiando alla velocità di una vettura da Formula 1. Dopo la telefonata di Jared, durante la quale le ha raccontato cosa è successo ad April, non fa altro che pensare a Shannon, a come si deve sentire. Pensa ai bambini, a cosa accadrebbe se la madre non uscisse più da quell’ospedale e le si stringe il cuore. Si passa le mani sul viso, come a cercare di cacciare indietro tutta la negativa e abbozza un sorriso: April presto starà bene e tutto tornerà alla normalità. Se ne deve convincere, deve esserne certa almeno lei.
Prende una rivista dal ripiano della libreria e si va a sedere sul divano grigio al centro della sala sfogliandola, anche se in realtà non ha per niente voglia di leggere. Dopo pochi minuti, ripone il giornale sul tavolo e getta la testa sullo schienale sospirando e chiudendo gli occhi, lasciando correre i pensieri altrove.
«Nonna…» la voce di Janis la riporta alla realtà.
«Piccola, ti sei svegliata. Vieni qua, siediti vicino a me.» le dice mentre batte una mano sul cuscino del sofà.
La bambina si guarda intorno perplessa poi va a sedersi vicino alla donna con lo sguardo serio. Constance le passa una mano dietro la testa accarezzandole i capelli «Che c’è Janis?»
«Papà… papà non c’è?» la bimba guarda la donna con i suoi grandi occhi verdi.
«No, papà non è ancora tornato.»
«E… e mamma?»
«Anche mamma non c’è…» prende un respiro profondo «Janis… ti ricordi che il papà ti ha detto che la mamma ha avuto un incidente?»
La bambina annuisce.
«La mamma ha avuto un incidente e si è fatta male, per questo deve stare in ospedale, dove ci sono dei dottori che la cureranno così tra qualche giorno potrà tornare a casa.»
«La cureranno come hanno fatto con il papà quando aveva male alla schiena?»
«Sì tesoro, la cureranno e la faranno guarire come hanno fatto con il tuo papà.»
Janis resta in silenzio. Per alcuni minuti rimane immobile a fissare la parete di fronte poi si volta verso la donna seduta al suo fianco «Nonna, mi abbracci?»
Constance allarga le braccia per accogliere la nipote, che si accoccola in silenzio appoggiando la testa su un suo braccio mentre la donna le accarezza la schiena.
«La mamma starà bene vero?»
La donna chiude gli occhi e sospira, cercando di trattenere le lacrime «Certo piccola mia, la mamma starà benissimo e presto tornerà a casa da te e Josh.»
Sente Joshua arrivare: il bambino si ferma a guardare la nonna e la sorella poi si siede anche lui sul divano, dall’altro lato rispetto a Janis, e si accoccola alla donna senza dire niente.

******

È già pomeriggio inoltrato quando Jared esce dall’ospedale: mentre Shannon sistema le ultime incombenze per il ricovero della moglie, lui deve prendere un po’ d’aria. Si ferma sotto la tettoia davanti all’ingresso e guarda il cielo: finalmente ha smesso di piovere. Si appoggia al muro e sente come se tutto il peso della giornata gli fosse crollato addosso, come se tutte le emozioni che ha cercato di trattenere fossero arrivate, chiedendo prepotentemente di essere liberate. Piega le gambe e fa scorrere la schiena lungo il muro, restando a fissare un punto nel vuoto. Si chiede cosa può fare, come può aiutare suo fratello, come può farlo stare meglio, ma non riesce a trovare una risposta. Sente la rabbia crescergli dentro, come un’onda anomala pronta ad investirlo in pieno. Si alza allontanandosi dall’edificio e tira un pugno ad un albero, che ha l’unica colpa di trovarsi sulla sua strada. Urla. Urla con tutta la voce che ha poi chiude gli occhi, prende un respiro, li riapre e torna verso l’ingresso dell’ospedale, massaggiandosi la mano. Vede il fratello che sta uscendo e gli va incontro.
«Tutto a posto?»
Shannon annuisce con un gesto della testa. «E tu? Cosa ti sei fatto?» gli chiede indicando la mano.
«Come? Ah questo… niente, tranquillo. Volevo verificare se era più forte la mia mano o il tronco di quell’albero la giù e… e ha vinto l’albero.» conclude aggrottando le sopracciglia e massaggiandosi ancora una volta l’arto.
Shannon sorride e guarda il fratello «Sei tutto matto.» poi gli passa una mano sulla testa scuotendogli i capelli.
Jared lo guarda corrucciando le sopracciglia «Shan… ti ho detto di non toccarmi i capelli!»
Shannon scoppia a ridere, guardando Jared esibirsi in smorfie fintamente arrabbiate poi si volta verso l’ospedale e torna serio abbassando lo sguardo. Il fratello gli posa una mano sulla spalla facendolo voltare.
«Shan… stai tranquillo… andrà tutto bene e tra qualche giorno tutto questo vi sembrerà solo un brutto sogno.»
Shannon accenna un sorriso, guardando gli occhi del fratello: per un attimo sembra leggerci quella luce, quella sicurezza che gli erano mancate poche ore prima. Lo tira a sè e lo stringe in un abbraccio «Grazie Jay, grazie di tutto.»
«Ok Bro, ma adesso non strozzarmi.» gli dice tirando fuori la lingua mimando un soffocamento.
«Sei sempre il solito stronzo!» sorride dandogli un pugno leggero sulla spalla «Andiamo a casa?»
«Tu vai, io devo passare da Emma che dobbiamo sistemare un paio di cose per spostare avanti il tour.»
«Spostare il tour? Jared… non è necessario… davvero…»
«Shan ho già deciso. Per almeno due mesi annulliamo tutti gli impegni poi si vedrà. Adesso hai cose più importanti di cui occuparti che uno stupido tour. Appena April starà meglio penseremo a tutto il resto.»
«Ok… grazie Jay.»
«Non devi ringraziarmi.» fa una pausa poi riprende a parlare «Ah… prima che mi scordi… Ho detto ad Emma di cercare una baby-sitter per i bambini.»
«Una baby-sitter? Non se ne parla nemmeno! Non voglio che un’estranea si occupi di Janis e Joshua. Me la posso cavare benissimo da solo!»
«Shan… lo sai che da solo non puoi farcela. Dovrai venire spesso in ospedale e anche a casa ti servirà aiuto.»
«Ho te e mamma per quello...»
«Shan, guardami.»
L’uomo alza lo sguardo verso il volto del fratello.
«Hai bisogno di aiuto, da solo non puoi riuscirci. Io, mamma e sicuramente anche Tomo e Vicki ti staremo vicino, non ti lasceremo solo in questo momento, ma devi farti aiutare. Selezionerò io stesso la baby-sitter per Jan e Josh e sai quanto sia puntiglioso…»
«Cagacazzo direi…» aggiunge Shannon con un sorriso.
Jared aggrotta le sopracciglia «Fingerò d’ignorare questo tuo commento…»
«Puoi far finta di non sentire, ma la sostanza non cambia. Rimani sempre un cagacazzo e non vorrei essere nei panni delle poverette che passeranno sotto le tue grinfie.»
«Continua pure ad offendere, forza.»
Shannon guarda il fratello e non può fare a meno di sorridere, pensando che sia davvero il regalo più bello che la vita potesse fargli.
«Che ne dici di levare le tende da qua?»
«Dico che sarebbe anche ora. Ci vediamo domani Shan.»
«A domani e… grazie ancora di tutto…»
«Ti voglio bene.»
«Anch’io.»
Si abbracciano poi si dirigono insieme verso il parcheggio.

******

Shannon apre la porta di casa ed entra. Si guarda intorno, chiedendosi dove siano finiti tutti poi guarda l’ora: le dieci di sera. Che stupido… i bambini saranno già a letto… Dopo aver salutato Jared davanti all’ospedale, ha preso la macchina e ha fatto un giro: aveva assolutamente bisogno di staccare la spina, di stare solo. Ha guidato fino alla spiaggia in cerca di un po’ di tranquillità: il mare è l’unica cosa che riesca a calmarlo. È come se le onde portassero via i suoi pensieri e ogni volta è lì che fugge quando vuole scappare. Si è seduto sulla spiaggia guardando i gabbiani, respirando l’aria, chiudendosi nel suo mondo e ha perso totalmente la cognizione del tempo rimanendo lì per ore.
Constance sente la porta d’ingresso chiudersi e scende al piano di sotto trovando Shannon in sala. Va verso di lui e lo abbraccia «Come sta April? Jared mi ha chiamato e mi ha spiegato la situazione…»
«Come vuoi che stia? È lì, immobile in un letto d’ospedale…»
«Tu come stai?»
L’uomo sospira e aspetta qualche minuto prima di rispondere. «Come sto… non lo so come sto… ci.. ci sono momenti in cui penso che ce la farà, che tra qualche giorno tornerà tutto alla normalità, che starà bene… che staremo tutti bene… ma poi… poi arrivano quegli attimi in cui la rivedo inerme nel letto dell’ospedale e mi chiedo come sarebbe la mia vita se lei… se… se non ce la dovesse fare.» guarda la madre con gli occhi che trattengono a stento le lacrime.
«Non è facile, lo capisco, ma cerca di essere positivo. April non lascerebbe mai te e i bambini. Vedrai che si sveglierà presto.» cerca di rassicurarlo, anche se forse dovrebbe prima tranquillizzare se stessa.
«I bambini come stanno?»
«Josh è tranquillo: ogni tanto ha chiesto dov’eravate, ma poi è tornato ai suoi giochi. Stasera ha mangiato, ha voluto vedere un po’ di cartoni animati e si è addormentato come sempre.»
«E Jan?»
«Jan… beh… lei lo sai com’è… a lei non puoi nascondere niente… Ha capito che April non sta bene, che le è successo qualcosa di grave…»
«Ha chiesto qualcosa?»
«No, niente in particolare… Lei è un po’ come te, tende a tenersi tutto dentro, ma se la guardi negli occhi puoi leggere i suoi pensieri. È preoccupata. Stasera quasi non ha parlato a tavola poi ha fatto fatica ad addormentarsi, ma sono riuscita in un qualche modo a rassicurarla.»
Shannon si passa le mani sulla faccia, si sposta davanti alla porta a vetri e guarda le luci del giardino. Constance gli si avvicina, appoggiandogli le mani sulle spalle.
«Vedrai che ce la farete. Sei un padre meraviglioso e riuscirai a far passare questo momento ai tuoi figli nel modo migliore.»
«Lo spero mamma, lo spero davvero…» le risponde senza distogliere lo sguardo dal giardino.
«Shan» la donna lo fa girare «Presto April sarà a casa. Devi crederci altrimenti trasmetterai tutte le tue incertezze ai bambini.»
«Lo so, ma non è facile… tu non l’hai vista… le ho preso la mano ed era fredda, immobile, non c’era niente della April che amo… niente…»
«April è lì, devi solo avere pazienza.»
«Ci proverò…»
La donna gli da una carezza sulla guancia «Adesso devo andare prima che James[iii] mandi l’esercito a cercarmi.»
Shannon sorride «Vai pure, sia mai che lo facciamo agitare troppo.»
«Ci vediamo domani.»
«Ok… a domani… ah… sai dell’idea di Jared di trovare una baby-sitter?»
«Sì… me ne ha parlato… sapeva che non saresti stato del tutto d’accordo…»
«Infatti… ma come il solito si deve fare come dice lui. Forse però questa volta ha ragione... è davvero la soluzione più semplice: non puoi certo trasferirti a casa mia, dal momento che non sappiamo per quanto tempo April resterà in ospedale... non che l’idea di lasciare Josh e Jan nelle mani di una perfetta estranea mi piaccia molto…»
«Shan, si occuperà tuo fratello di selezionare la persona più adatta perciò puoi stare tranquillo.»
«Sicuro! Quel rompi co… ehm… rompi scatole farà vedere i sorci verdi alle candidate!» e scoppia a ridere. «Ok… adesso ti lascio andare a casa davvero.» si avvicina alla donna dandole un bacio sulla guancia «Grazie di tutto.»
«Non devi ringraziarmi, sono tua madre no? Le mamme servono anche per questo.»

Shannon accompagna la madre poi sale al piano di sopra.
Si avvicina alla porta, sulla quale svettano due targhette: la nuvoletta rosa di Janis e quella blu di Joshua. La luce fioca che esce dalla lampada accesa sul comodino gli permette di muoversi senza sbattere contro ogni cosa. Si avvicina al lettino di Joshua e lo guarda dormire sereno. Gli rimbocca le coperte e gli da un bacio leggero sulla fronte. Poi si sposta verso Janis: come il solito, dorme tutta scoperta e storta. Cerca di coprirla senza svegliarla, rimbocca le coperte anche lei, le bacia la fronte ed esce dalla stanza, fermandosi per un attimo a guardare i bambini.
«Andrà tutto bene.» ripete tra sè e sè, come se fosse un mantra, un qualche rito che servisse davvero a far sì che tutto vada per il verso giusto.
Socchiude la porta e si dirige verso il bagno: ha bisogno di una doccia.
Entra e vede l’accappatoio di April, appeso di fianco al suo. Lo prende e se lo passa sul volto annusandolo, abbassando le palpebre e stringendolo a sè, come se fosse il corpo della moglie quello che ha tra le braccia. Ad un tratto apre gli occhi, quasi si fosse svegliato all’improvviso da un sogno. Sul volto gli si disegna un’espressione dura. Getta a terra l’accappatoio e si guarda allo specchio.
«Sei proprio un uomo di merda. Avevi promesso che l’avresti protetta, che avresti protetto i vostri bambini e invece guarda in che situazione vi trovate.»
Si spoglia e s’infila sotto la doccia: chiude gli occhi e getta la testa indietro, cogliendo il getto dell’acqua sulla faccia. Prende il bagnoschiuma e inizia a frizionarsi, cercando di lavar via tutta la frustrazione della giornata. La schiuma scivola via, ma i pensieri rimangono sempre lì, a tormentarlo, a riportarlo in quell’ospedale, davanti a quel letto. Porta le mani dietro la nuca e appoggia la fronte al muro, lasciando che l’acqua scorra giù per la schiena, lungo la spina dorsale, mentre le lacrime scendono a rigargli il volto. Piange prendendo a pugni la parete della doccia.
«Perché? Perché è successo a noi? Perché?»
Chiude l’acqua, prende una salvietta, se la passa addosso e se la lega in vita, dirigendosi verso la stanza da letto.
Entra nella stanza e si ferma sulla soglia senza poter fare a meno di immaginare April che lo aspetta dormendo: quante volte ha visto quella scena tornando da un qualche concerto. Ogni volta l’ha sempre trovata lì ad aspettarlo, ma questa volta il letto è vuoto, lo stesso vuoto che si sta facendo largo nella sua anima. Scuote la testa e si passa le mani sul volto prendendo un respiro profondo.
«Ok Shannon, è ora di rimboccarsi le maniche. Ce la farai, ce la faremo tutti e tra qualche giorno April sarà a casa con noi.»
S’infila un paio di boxer poi si sdrai sotto le coperte, mentre la stanchezza inizia a farsi sentire. Abbraccia il cuscino di April respirando il suo profumo e immaginando di averla accanto.
Ad un tratto sente la porta aprirsi: solleva la testa e vede Janis e Joshua in piedi, davanti al letto.
Si stropiccia gli occhi e si tira su, appoggiandosi al muro «Bambini… cosa fate qua?»
Janis abbassa lo sguardo «Papà… non riusciamo a dormire… possiamo venire nel lettone con te?»
«Sì… lettone… per piacere…» aggiunge Joshua, facendo il broncio.
Shannon sorride poi si sistema un po’ e batte una mano sul materasso «Venite qua diavoletti.»
I bimbi si gettano sotto le coperte ridendo, Janis a destra e Joshua a sinistra. L’uomo li abbraccia e si sistemano tutti e tre in modo da dormire il più comodo possibile: un abbraccio pieno di calore, che li convince che andrà davvero tutto bene.
«Siamo caduti, ma ci rialzeremo presto e saremo più forti di prima, statene certi piccoli miei.»

 


[i] Il titolo è preso dal brano “Alibi” dei 30 Seconds to Mars https://www.youtube.com/watch?v=MYr1YXnIKPk

[ii] Carl Leto, padre adottivo di Jared e Shannon. Lavora in uno studio oculistico

[iii] Non ho la men che minima idea di come si chiami il compagno di Constance o se ne abbia uno perciò l’ho inventato di peso :)

Volete vedere qualche foto che mi ha ispirato durante la scrittura? Andate qua https://www.facebook.com/media/set/?set=a.324329027742910.1073741831.100004974456579&type=1&l=16a6aff2c2

 

   
 
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