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Autore: Lady Snape    18/09/2008    4 recensioni
"la tensione del corpo, l’energia che, quasi palpabile, partiva dalle gambe, dal piegarsi delle ginocchia che caricavano il salto. I movimenti veloci e sicuri, mnemonici, della posizione delle mani attorno alla palla. Lo sguardo deciso, sicuro che fissava il canestro. L’energia attraversava tutto il corpo, passava nelle braccia e caricava il polso, pronto allo scatto finale. Canestro. Pulito. Preciso. Perfetto!" Una ff con qualche tecnicismo sul basket, ma se avete letto il manga non ci dovrebbero essere problemi. Buona lettura.
Genere: Romantico, Sportivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Hisashi Mitsui
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Nota: dopo tanto tempo sono tornata a scrivere fan fiction nel senso stretto del termine. In realtà ne scrivo tante, ma la fine riescono a vederla in poche. Questa ff mi balzava in testa da un po’. “Slam Dunk” è uno dei miei manga preferiti e ho sempre voluto scrivere qualcosa. Questo qualcosa mi ha fatto perdere qualche giorno, mi ha distratta dal secondo capitolo della mia tesi, da consegnare martedì…..mi vorrei punire per questo, perché dovrò mettere il turbo per la consegna, ma mi premeva finire la stesura di questa fanfic.

Ci sono delle differenze tecniche per le partite: ho seguito il nuovo regolamento di basket che prevede 4 periodi da 10 minuti l’uno, invece di primo e secondo tempo da 20, come nel manga.

Aggiungo che per colpa di Sakuragi & Co. il basket ho iniziato davvero a seguirlo, avendo la squadra della mia città in A dilettanti e il palazzetto dietro casa.

Buon divertimento!

 

PS: dimenticavo che ho scritto questa storia dopo aver visto un video in cui Inoue, otto anni dopo la fine di Slam Dunk, in un liceo giapponese, ha disegnato sulle lavagne un “Dieci giorni dopo” per farci vedere cosa facevano di bello i nostri eroi. La storia del campionato invernale di basket l’ho presa di lì.

 

Lady Snape

 

 

 

 

 

Quando si dice che la vita riservi mille sorprese. Tutti credono di essere esenti dalle stranezze dell’esistenza, ma vengono travolti dagli eventi in maniera incontrollata.

Hisashi Mitsui non perdeva tempo nell’ostinarsi a ricordare a sé stesso gli errori che aveva compiuto. In realtà era semplicemente una sua fissazione. Nessuno stava più lì a dirgli che aveva perso tempo facendo il teppista, invece di occuparsi dell’attività che gli riusciva meglio: il basket.

Lui non si dava pace, si tormentava da solo, si torturava. Continuava a pensare di non essere ancora tornato in forma, credeva che ormai ci avrebbe messo un bel po’ prima di ritrovare la giusta condizione. Certo, tornare ad essere un giocatore completo richiedeva dedizione e forza di volontà: non è semplice recuperare la forma fisica necessaria a sostenere in pieno l’attività fisica desiderata, ma non è nemmeno detto che occorra autoflagellarsi per punirsi per gli errori compiuti.

            Lo Shohoku aveva concluso il suo campionato. Nel migliore dei modi. Certo, alla fine era stato battuto, ma aveva sconfitto la squadra campione e poteva quindi andar fiero delle sue capacità. In un certo senso poteva essere considerato il vero vincitore in carica del campionato interscolastico.

Dieci giorni erano passati da quella sconfitta finale; sconfitti solo perché le forze ormai avevano abbandonato ogni singolo giocatore titolare, che si era letteralmente fatto in quattro per poter battere il Sannoh. In fin di conti lo Shohoku era noto per avere una pessima panchina: non c’erano altri giocatori in grado di poter permettere ai veri assi della squadra di riprendere fiato e di ripartire all’attacco.

Mitsui passava le sue giornate chiuso in palestra. Non sapeva bene cosa fare della sua vita. Ciò che sapeva era che voleva giocare a basket, che quello che avrebbe voluto ancora fare era correre sul parquet e lanciare a canestro. Il problema del Giappone era che l’unico modo per praticare il basket era in ambito scolastico e poi universitario. Purtroppo sapeva di non essere una cima in ambito accademico; non che fosse uno stupido, ma non si era mai impegnato nello studio più del necessario, a parte quando era un teppista: durante quel periodo aveva rifiutato qualunque contatto con i libri. L’unico modo che aveva per poter continuare a giocare a basket era farsi notare come giocatore. Voleva che qualcuno gli chiedesse espressamente di entrare in una qualche squadra universitaria. L’ultima sua occasione era farsi notare durante i giochi invernali.

 

Una mattina come le altre per Sakura Aoi. Era appena tornata al campus dell’università. Aveva un fascicolo sotto il braccio. Aveva seguito i campionati interscolastici delle superiori alla ricerca di qualche giocatore interessante da contattare, al fine di rendere più competitiva la squadra dell’università di Yokohama. Il suo compito per quanto riguardava il club di basket era quello di aiuto allenatore. Essere una semplice manager non le era mai piaciuto, ma alle superiori era l’unica cosa che potesse fare; il suo sogno per il futuro era di diventare a sua volta allenatrice, ovviamente di basket, ovviamente maschile, perché la versione femminile della pallacanestro giapponese era praticata solo alle medie e nulla più.

La squadra dello Yokohama aveva qualche carenza in attacco, che la rendeva facile da contrastare in quella fase del gioco. Non c’erano giocatori capaci di attaccare se non sotto canestro o comunque a distanza piuttosto ravvicinata. Erano due anni che non possedevano una seconda guardia degna di quel ruolo. Sakura durante i campionati aveva notato un paio di giocatori interessanti. Uno di essi era Soichiro Jin del Kainan, l’altro Hisashi Mitsui. Se si fosse dovuta fare una scelta frettolosa non c’era dubbio che Jin era decisamente più affidabile e, inoltre, era tra i Best Five della prefettura di Kanagawa. Mitsui era, al contrario, instabile: una giornata no e la partita poteva essere persa. Poca resistenza, anche se ottime capacità di tiratore. Un talento naturale.

Sakura si diresse in palestra, valutando i due giocatori, soppesando le loro capacità. Nella borsa aveva qualche videocassetta: l’ideale era osservarli nuovamente, prendere appunti, e fare una scernita molto più accurata.

< Buongiorno! > disse all’allenatore Tachibana. Un uomo sulla cinquantina, brizzolato. Non incuteva grande timore, era parecchio cordiale, sempre allegro. Rispose con un cenno della mano: era occupato a seguire un’azione dei giocatori in allenamento. Sakura passò oltre e si diresse nell’ufficio del coach. Sistemò su una piccola scrivania a lei riservata i fascicoli. Recuperò il videoregistratore e lo collegò alla TV. Era un ufficio troppo piccolo e certa strumentazione era depositata negli armadi, tra le palle, gli spray di ghiaccio sintetico e vecchie uniformi.

 

< Davvero lo conosci? >

< Certo e anche da tanti anni! >

Sakura era andata a trovare sua nonna. Viveva con lei da un anno circa, da quando i suoi genitori si erano trasferiti a Hokkaido per lavoro. Sakura voleva terminare le superiori nella sua scuola ed era rimasta a vivere da lei. Ora frequentava l’università e abitava negli alloggi del campus; ogni due settimane passava un paio di giorni dalla nonna. La signora Aoi era una donna sulla sessantina e adorava indossare kimono: non aveva abiti di foggia occidentale, ma solo un grande amore per la tradizione.

            < Conosco Minako da anni. Se vuoi posso metterti in contatto con lei. > la nonna conosceva la moglie dell’allenatore Anzai e, ovviamente, anche l’allenatore stesso. Era un’occasione per Sakura di recarsi direttamente a Kanagawa e magari vedere gli allenamenti di entrambi i giocatori che le interessavano. In realtà, quando aveva proposto al suo allenatore i due giocatori prescelti, Tachibana aveva ammirato l’eleganza dei canestri da tre punti di Mitsui.

            < Sai, credo che tu quel ragazzo debba conoscerlo meglio. > fu la sua enigmatica affermazione.

            < Doveri conoscerlo per qualche motivo particolare, coach? >

            < In effetti sì. Se hai trovato notizie su di lui, ti sarai resa conto che non è del tutto sconosciuto, anzi, il contrario. E’ stato nominato MVP ai campionati delle medie. Allora seguivo ancora un po’ quella divisione, ero passato da poco ad allenare qui all’università. Prima mi occupavo di superiori, quindi mi toccava seguire quelle partite. All’epoca aveva ottime intuizioni e una buona visione di gioco per essere un ragazzino. >

Osservando le videocassette Sakura si era soffermata di più a osservare quel ragazzo e alla fine si era affezionata al suo stile di gioco. Ne mise in luce anche i difetti, le caratteristiche che andavano necessariamente migliorate. La scarsa resistenza era un vero limite: non si poteva soprassedere. Bastava un ritmo più serrato, un difensore più pressante e Mitsui grondava sudore in maniera evidentissima, più del necessario.

 

            Il treno arrivò a Kanagawa in perfetto orario. Dopo le ultime discussioni con il coach Tachibana, si era arrivati alla conclusione che Hisashi Mitsui sarebbe stato il candidato sul quale puntare maggiormente, a patto che la sua resistenza migliorasse nel tempo. Entro l’inizio dell’anno accademico successivo non doveva più avere problemi a sostenere un incontro, non doveva più essere stremato, ma essere stabile nelle prestazioni. La ragazza aveva fatto altre chiacchiere con la nonna che, con una semplice telefonata, aveva contattato la sua amica del passato, aggiornato l’elenco degli amici morti all’insaputa dell’una o dell’altra e ottenuto un appuntamento con l’allenatore in palestra, per poter anche osservare all’opera il candidato prescelto.

            Sakura scese dal treno. L’aria era diventata più fresca. In fin dei conti l’autunno si stava già avvicinando. Ancora qualche mese e l’inverno con la neve e il freddo gelido sarebbero giunti, portando con loro il campionato invernale. Fortuna che i palazzetti in cui si giocava erano il posto più caldo che ci fosse, anche quando fuori il termometro segnava lo zero.

Percorse la strada che separava la stazione dalla palestra del liceo Shohoku, gustandosi il paesaggio quasi autunnale, gli alberi carichi di foglie brune e rossicce, con sprazzi di verde ancora evidente. Alcuni erano totalmente dorati e creavano dei giochi di luce molto caldi.

            Lo Shohoku era ancora pieno di studenti, nonostante fossero già le quattro del pomeriggio. Fermò una ragazza con un caschetto di capelli castani e le chiese dove fosse la palestra. La ragazza si offrì di accompagnarla, dato che anche lei andava in quella direzione per assistere agli allenamenti della squadra di basket.

            La squadra stava lavorando di buona lena, senza protestare. A dirigere gli allenamenti c’era Anzai, il coach noto in tutta la provincia per essere stato un giocatore della nazionale in gioventù e per un paio di soprannomi che gli erano stati affibbiati durante la sua attività. Era passato da “Diavolo dai capelli bianchi” a “Buddah”. Pareva infatti che il suo sistema di allenamento e il suo rapporto con i giocatori fossero cambiati dal giorno alla notte per un qualche particolare avvenimento. Fatto sta che a giovarsi maggiormente di ciò erano stati i giocatori.

Sakura si diresse verso di lui.

            < Salve! Sono Sakura Aoi. Sua moglie deve averle già parlato di me. > disse con un leggero inchino del capo.

            < Oh, oh, oh! Certo so chi è lei. E’ un piacere averla qui. Vuole assistere agli allenamenti o vuole parlare subito con Mitsui? > chiese subito.

Sakura preferiva non turbare il ragazzo: era pur sempre una notizia abbastanza sconvolgente o comunque emozionante per un giocatore, che non aspettava altro che una proposta del genere. Decise che parlare con lui dopo gli allenamenti sarebbe stato meglio e che, anzi, quella sarebbe stata un’ottima occasione per osservarlo ancora meglio, a distanza ravvicinata e senza lo stress psicologico di una partita.

Ayako, la manager della squadra, origliava di nascosto. Non aveva capito chi fosse quella ragazza, una sempai a giudicare da un’occhiata veloce. Aveva sentito il nome di Mitsui, quindi era qualcosa che lo riguardava personalmente.

            Mitsui non si era accorto subito che fosse entrato qualcuno in palestra, oltre ai soliti spettatori. In effetti non se n’era accorto nessuno. Akagi, non riuscendo a restare fuori dal campo di basket, era comunque tornato per restare ancora un po’ con i suoi compagni: era, in un certo senso, l’unico ad avere spirito di gruppo e aveva la capacità di spronare gli altri. Li avrebbe aiutati negli allenamenti in vista delle prossime partite e poi, essendo tornato Sakuragi dalla riabilitazione, doveva continuare ad allenarlo: lui avrebbe occupato la posizione di centro, l’unico ad avere la prestanza fisica necessaria per poterlo sostituire; l’unico problema era che bisognava ancora stargli dietro e spronarlo.

            Sakura sedette accanto all’allenatore; recuperò una sedia e un banco dallo spogliatoio infondo al corridoio. Aprì il suo portatile e con una webcam decise di filmare gli allenamenti: potevano sempre tornare utili certi filmati.

Osservava Hisashi Mitsui con attenzione. I suoi movimenti erano tecnicamente perfetti: aveva una grande padronanza del proprio corpo: non compiva mai un passo di troppo, sapeva distribuire la propria forza nel modo adeguato. Era un vero spettacolo quando eseguiva i suoi tiri, specialmente quelli dalla lunga distanza: la tensione del corpo, l’energia che, quasi palpabile, partiva dalle gambe, dal piegarsi delle ginocchia che caricavano il salto. I movimenti veloci e sicuri, mnemonici, della posizione delle mani attorno alla palla. Lo sguardo deciso, sicuro che fissava il canestro. L’energia attraversava tutto il corpo, passava nelle braccia e caricava il polso, pronto allo scatto finale. Canestro. Pulito. Preciso. Perfetto!

Era davvero bello osservarlo. Sì, era davvero un atleta formidabile. Era quello che mancava alla squadra universitaria. Avrebbe portato quel tocco che ci voleva. Sospirò sonoramente e si accorse imbarazzata che non stava osservando un filmato, come aveva fatto fino a qualche giorno fa, ma era in palestra. Ayako la fissò.

            < E’ tutto a posto sempai? > chiese incuriosita.

            < Certo, scusa. Mi sono lasciata prendere dal mio lavoro. > si presentò anche alla manager.

            < E’ qui per qualcuno in particolare? > chiese Ayako, fingendo di non aver sentito il nome del numero 14.

            < Sì, sono qui per Hisashi Mitsui. Era lui che osservavo. E’ un grande giocatore. L’idea è quella di ingaggiarlo per la mia università. Sono anche io una manager, solo che ormai sono più un aiuto allenatore. > spiegò. Era ancora al secondo anno, ma era stata apprezzata molto dall’allenatore, perché conosceva sul serio il basket e il suo sogno, il motivo per cui era all’’università, era diventare un’allenatrice di basket qualificata. Nonostante il suo aspetto non avrebbe fatto pensare ad un’atleta consumata, in quanto il suo fisico non era asciutto, ma conservava una certa morbidezza nelle curve da rasentare un lieve sovrappeso, era comunque una ragazza abile. La sua caratteristica principale era la resistenza. Era una specialista della maratona e della corsa campestre. Era una delle ultime a fermarsi, battendo anche molti altri atleti che della corsa facevano uno dei fondamentali del loro sport, come i ragazzi della squadra di calcio o gli stessi del basket. Magari era lenta, ma molto più resistente di loro.

 

            Mitsui si accorse della presenza di quella ragazza solo quando l’allenamento era ormai agli sgoccioli. La ragione per cui si era reso conto della sua esistenza era stata Sakuragi. Al solito si era accorto di una videocamera accesa e, stranamente, aveva deciso di avvicinarsi per farsi riprendere meglio. Quell’idiota aveva le sue solite idee di protagonismo, che vennero derise e commentate come al solito da Rukawa. In fin dei conti tutto era molto prevedibile in quella palestra. Comunque fosse, quella ragazza non era della scuola, ne era sicuro.

            L’allenamento finì molto tardi quella sera e tutti cominciarono a seguire le orme del capitano verso gli spogliatoi. Dopo una sudata del genere, una doccia era ciò che di più bello esistesse al mondo, forse battuta dal Pocari Sweet, la bevanda energetica più nota in quel periodo in Giappone.

L’allenatore Anzai, la sua guida spirituale, lo bloccò all’ingresso e gli disse di fermarsi ancora in palestra dopo la doccia. Hisashi cominciò a pensare che, con tutta probabilità, quella ragazza centrasse qualcosa con lui.

            < Chissà chi è quella tizia. > disse Miyagi, dando voce alla domanda che la maggior parte di essi aveva nel cervello. Istintivamente guardarono Akagi, dato che lui era il tipo da avere tutte le risposte in tasca. Il ragazzo scosse semplicemente le spalle, non ne sapeva proprio niente.

            < Beh, > iniziò Mitsui < l’allenatore mi ha chiesto di restare in palestra più tardi. >

Miyagi lo guardò un attimo accigliato.

            < Non è che hai combinato qualcosa? >

            < Certo che no! Ma che domande idiote fai? > almeno credeva di non aver combinato niente. Non aveva più partecipato a risse. L’ultima volta che aveva menato le mani era stata proprio in palestra, quando voleva prendersela con il playmaker per vendetta ed era scoppiato un putiferio. Non aveva mai rubato e simili. Ragazze non ne aveva ingravidate: si era dato anima e corpo al basket, anche se qualcuna gli si era dichiarata a scuola, ma a lui non interessavano, non gli piacevano nemmeno, quindi era fuori discussione. Non le pareva una poliziotta: le pareva anche piuttosto giovane, forse poteva avere qualche anno più di lui o anche la stessa età.

            I ragazzi volevano restare a origliare la conversazione tra Mitsui, Anzai e quella ragazza, ma l’allenatore fu irremovibile e fece uscire tutti dalla palestra: non voleva che la cosa diventasse di botto di dominio pubblico. Alla fine si trattava di una proposta, niente di sicuro e non voleva che il ragazzo si sentisse sotto pressione più del necessario. Chiese anche ad Ayako di non dire niente a nessuno e di aspettare che fosse lui a parlarne, se volesse farlo in seguito.

            Mitsui posò la borsa da palestra in terra nell’ufficio del coach. Si sedette con un po’ di apprensione davanti alla scrivania di fianco a questa misteriosa ragazza. La squadrò per bene. Carina. Anche se il suo fisico non era certo filiforme, anzi era abbastanza formosa, specie sui fianchi, nel complesso ispirava simpatia. Lo sguardo era vivace e sicuro.

            < Mitsui, questa ragazza è Sakura Aoi. E’ l’aiuto allenatore del coach Tachibana, dell’Università di Yokohama. E’ venuta qui per parlarti un po’ della squadra di basket di questa università. >

Lo sguardi di Mitsui si fece sorpreso e per un attimo il respiro gli si bloccò. Un nodo alla gola gli impedì di proferire parola. Allora qualcuno lo aveva notato durante i campionati? Non riusciva a crederci.

            < Piacere di conoscerti. Beh, sono venuta qui per dirti che abbiamo idea che tu possa essere il giocatore che manca alla nostra squadra. Negli ultimi due anni lo Yokohama non ha avuto una seconda guardia particolarmente brava, anzi abbiamo avuto non pochi problemi. Ho seguito le partite de campionato nazionale e ho selezionato due atleti per questo ruolo. Uno sei tu e l’altro è Soichiro Jin del Kainan. >

Mitsui si risvegliò dal suo stato di trance. Aveva un rivale. Di nuovo lui, Jin. Era tra i migliori cinque della prefettura e questo sarebbe stato un ostacolo.

            < Mi stai dicendo che siete ancora indecisi? > chiese subito.

            < Diciamo che non è detta l’ultima parola. Noi preferiremmo te. Hai un eccellente stile di gioco e preferiamo di gran lunga la tua tecnica. C’è solo un problema. >

            < Quale? > cominciava ad agitarsi.

            < La tua resistenza. Va decisamente rimessa in carreggiata. Ho visto dalle registrazioni di vecchie partite che è migliorata rispetto all’incontro con lo Shoyo, ma c’è ancora da lavorare. E’ richiesta una prestazione più intensa. >

Mitsui ascoltava con avidità. Voleva a tutti i costi il posto in squadra. Per lui avrebbe significato tutto: continuare con il basket, aver la possibilità di una borsa di studio e magari, un giorno, il professionismo all’estero.

            < Sono disposto a tutto. > disse risoluto.

Anzai sorrise compiaciuto.

            < In questo caso sono disposta a darti una mano. Stilerò un programma di allenamento apposito, che eseguirai oltre agli allenamenti giornalieri. Sono una specialista della corsa di fondo e di resistenza me ne intendo anche troppo. Credo che tu possa farcela. > disse con un sorriso sicuro e soddisfatto. Quel ragazzo aveva carattere e questo le piaceva molto. Aveva scelto bene. Era lui l’uomo che cercava.

 

            Mitsui si fermò dopo il suo programma mattutino di corsa. Era sfinito. Grondava sudore in modo esagerato. Era a pezzi. Probabilmente durante gli allenamenti di quel pomeriggio sarebbe stato così stanco da non riuscire a completarlo. Questi sacrifici, però, avrebbero portato il risultato che più ambiva. Doveva resistere, doveva farcela.

Quella ragazza era un vero demone. Aveva stilato un programma di allenamento davvero massacrante. Alle 5 doveva essere in piedi e prima di andare a scuola avrebbe dovuto correre per 5 km. Oltre a questo c’era un potenziamento muscolare con pesi, flessioni, suicidi e suicidi al contrario[1].

Strinse i pugni , si risollevò ed entrò in palestra. Erano le 6 del mattino ed era già stanco. Forza Mitsui! continuava a ripetersi con ardore.

 

            Sakura era tornata a Yokohama. Un po’ le era dispiaciuto: avrebbe voluto seguire di persona gli allenamenti di Mitsui, sarebbe stato interessante. Si erano accordati affinché si vedessero ogni fine settimana per controllare progressi e magari per modificare il programma di allenamento. Ciò che prevedeva l’estenuante preparazione di Mitsui sarebbe stato interrotto nel periodo che precedeva l’inizio delle competizioni dei giochi invernali.

Sedeva alla scrivania della sua stanza. Era lì che guardava fuori dalla finestra, pensierosa. Pensava a quel ragazzo e pensava al suo futuro. Pensava che si trattasse della persona giusta, che lui avrebbe potuto portare la squadra a ottimi risultati.

Si rimise a studiare chimica. Le toccava un esame a breve ed era il caso di non perdersi in fantasie.

 

            Gli alberi erano ormai spogli nella prefettura di Kanagawa. Solo alcuni si attardavano a perdere gli ultimi residui della loro chioma. Mitsui era appena uscito di casa. Quella mattina sarebbe partito per Yokohama. Per una volta sarebbe stato lui ad andare da Sakura. Si sentiva particolarmente nervoso. Gli pareva strano dover andare a trovare una ragazza. Pareva si trattasse di un appuntamento di genere sentimentale e questo gli faceva uno strano effetto. Inoltre si sentiva come prima di un compito in classe, un po’ teso per la prestazione che ci si aspettava da lui, dai progressi che avrebbe dovuto fare in quel periodo di tempo.

            Il treno era leggermente in ritardo. Sakura sarebbe dovuta andare a prenderlo in stazione. Appena sceso dal treno si guardò intorno in cerca della ragazza, ma non la vide da nessuna parte. All’improvviso qualcuno bussò su una spalla.

            < Scusa, sono un po’ in ritardo, ma non è il mio forte arrivare in orario. > disse con un po’ di fiatone. Evidentemente aveva fatto la strada di corsa. Mitsui non si scompose più di tanto, le disse di non preoccuparsi, tanto anche il treno aveva tardato un po’. La verità era che si sentiva nervoso e non riusciva a esternare alcun tipo di sentimento, sembrava freddo agli occhi di Sakura e questo stranamente gli dispiaceva: in fin dei conti lei era molto gentile con lui.

            Giunsero al campus molto in fretta. Era deserto. Durante il fine settimana restavano solo coloro che avevano esami imminenti da preparare o chi aveva attività da svolgere. Solitamente però molti coglievano quei due giorno di pace per tornare a casa e vedere la propria famiglia e i propri amici.

Si recarono in palestra. Era una palestra veramente grande, con un campo di basket, uno di pallavolo e uno di pallamano. Un palco enorme sovrastava un lato della sala e gli spalti intorno erano imponenti anch’essi. Quella mattina c’era anche l’allenatore Tachibana e qualche giocatore. Il numero necessario per poter fare una partita di allenamento. Mitsui si cambiò negli ampi spogliatoi maschili e non potette fare a meno di pensare che un giorno lui avrebbe potuto frequentare quella palestra regolarmente. Sarebbe stato un sogno.

            < Credi che sia in grado di sostenere il nostro ritmi di gioco? > chiese l’allenatore a Sakura.

            < Credo di si, anzi, ne sono convinta. Non sono stata gentile quando ho stilato il programma. Ho deciso di aumentare di un chilometro il programma che lei dà di solito alle matricole. In più ha un programma di pesistica abbastanza duro. Per me andrà benissimo. > gli occhi le brillavano.

Il capitano della squadra di basket era con loro due a bordo campo. Sakura le era piaciuta subito come persona e avevano fatto amicizia.

            < Sbaglio o ti stai accalorando per la sua prestazione? > fu la domanda che le fece quasi sottovoce, comunque in modo che il coach non sentisse.

            < Che vuoi dire Oda sempai? > lo guardò di sottecchi: cosa voleva insinuare?

            < Sicura che non ti ci stai affezionando troppo? In fin dei conti non è sicuro che il consiglio di amministrazione accetti di dargli una borsa di studio. >

Questo lo sapeva e le dispiaceva. Il consiglio di amministrazione poteva decidere che non ne valeva la pena di reclutare Mitsui. Spettava ad esso l’ultima parola.

            < Comunque sia, sta andando benissimo. Guardalo: è perfetto! Lo era già prima. Ora è più agile, più scattante e non ha il fiato corto. >

            La partita di allenamento finì e Mitsui fu presentato al capitano Kunio Oda. Hisashi cercò con lo sguardo gli occhi di Sakura, in cerca di approvazione: in un certo senso considerava lei il suo allenatore e voleva sapere, anche solo con uno sguardo, se aveva almeno soddisfatto le aspettative. Sakura rispose a quella richiesta e con un sorriso e un impercettibile segno del capo Mitsui seppe di essere andato più che bene. Poteva fare la sua doccia tranquillo.

            Negli spogliatoi alcuni giocatori si complimentarono con lui. Era stato davvero bravo, un’ottima seconda guardia. Era felice.

 

            < Allora, Mitsui, come ti senti? > erano entrambi, Sakura e Mitsui, in un caffè per mangiare qualcosa. Sakura aveva insistito per offrirgli da bere anche.

            < Bene. E’ stata una bella partita, davvero. >

            < Ti ho un po’ massacrato questo mese, vero? Non eri felicissimo qualche settimana fa, quando sono venuta a trovarti per controllare il programma. > disse con un’aria canzonatoria la ragazza.

            < In effetti no, ma oggi ho visto che è tutto servito. Aveva un senso uccidersi in quel modo. Vorrei farti una domanda sempai. > disse con un leggero timore nella voce. Voleva sapere se per assicurarsi un posto in squadra avrebbe dovuto vincere i giochi invernali.

Sakura soppesò la risposta. Non voleva metterlo sotto pressione, voleva che giocasse al meglio, ma tranquillo.

            < Innanzitutto leva quel “sempai” ogni volta che ti rivolgi a me. Voglio che tu sappia che al momento la tua è solo una candidatura al posto di seconda guardia nella squadra. Intendiamoci, io, l’allenatore e il capitano non abbiamo alcun problema a considerarti della squadra, ma è il consiglio di amministrazione a decidere. >

            < Insomma, che devo fare? Devo vincere o no? > si stava agitando. Aveva stretto il pugno sul tavolo in un gesto involontario. Sakura gli prese la mano.

            < Calmati. Non ci sono obblighi di sorta. Ti consiglio di giocare al meglio, rilassato ed efficace. Vincere o no, non dipende solo da te, quindi non puoi accollarti la responsabilità dell’andamento dello Shohoku. Certo, ci sono elementi più che validi, la tua è una buona squadra, ma non devi esagerare. Fa del tuo meglio, poi il resto non conta. Noi ti sosterremo davanti al consiglio. Stiamo già facendo pressioni, a dirla tutta. >

Mitsui tornò a respirare. Non era molto convinto, ma sapeva che la sua candidatura, la sua causa era appoggiata a pieni voti dalle persone giuste. Guardò Sakura negli occhi e vide che era riuscito a renderla apprensiva. Era preoccupata per lui in maniera decisamente evidente. Continuava a stringergli la mano. Passò la sua mano su quella di lei in un gesto veloce: voleva rassicurarla.

            Mitsui sarebbe partito il pomeriggio seguente. Quella sera andarono un po’ in giro, ma non parlarono molto. Hisashi era distratto e Sakura non sapeva come risollevargli il morale. Ogni tanto lanciava piccoli sguardi di sottecchi per controllare dall’espressione del suo viso come stesse: era serio, molto serio. Quando il giorno seguente Sakura accompagnò Mitsui in stazione, questi si scusò:

            < Mi dispiace, non sono stato molto di compagnia e mi sono comportato come un ragazzino apprensivo, solo che…beh….non riesco a pensare in modo controllato a certe possibilità. > disse con franchezza. In realtà nessuno è pronto al fallimento, ma per Mitsui la cosa aveva un livello più alto di impreparazione. La vera ragione per cui aveva abbandonato il basket anni prima non era stata l’infortunio: quello era stato lieve e con il giusto riposo si era ripreso completamente già dopo sei mesi. Il vero problema era stato il vedersi non necessario alla squadra, non considerato e che tutti i suoi propositi, in realtà, non fossero così inusuali. Non era niente di speciale. Almeno questo è quello che aveva pensato quel giorno, dopo essere uscito con il permesso del medico dalla clinica, quando andò a vedere la prima partita dello Shohoku. Una parte di sé avrebbe voluto vedere i giocatori afflitti, perché lui non era con loro e interpretare, ancora una volta, il ruolo del salvatore.

Sakura non conosceva alla perfezione i suoi trascorsi, ne intuiva in parte le paure, ma non si era mai sognata di rimproverarlo per qualcosa, men che meno per le sue debolezze.

            < Dammi la mano. > chiese la ragazza. Quando Mitsui gliela porse, non si aspettava che gli avrebbe scritto il suo numero di telefono sul palmo. < Quando qualcosa non va, non sei sicuro, vuoi spiegazioni o semplicemente parlare, chiamami, d’accordo? >

 

            Nei due mesi che seguirono i due ragazzi cominciarono a sentirsi quasi regolarmente. Ogni volta che Hisashi sentiva il bisogno, anche solo di chiarire un piccolo dubbio sugli allenamenti o per chiedere a che punto erano le trattative o anche solo per sapere quando si sarebbero visti, chiamava Sakura. Chiunque guardando Sakura che, nel bel mezzo degli allenamenti del club di basket, si appartava per rispondere al cellulare avrebbe pensato che tra i due ci fosse una storia.

Questi almeno erano i pensieri di Oda. Osservava attentamente la ragazza e la sua intuizione, la sua insinuazione, riguardo al fatto che lei si stesse affezionando molto a Mitsui, gli sembrava ogni giorno più vera.

            Oda osservava continuamente la manager in attesa di cogliere qualche sintomo di innamoramento; voleva coglierla sul fatto, ma non sapeva se per farle una ramanzina oppure per metterla in guardia. Ormai per lui era una sorta di sorella minore e voleva risparmiarle le delusioni del caso. Quel ragazzo era ancora molto giovane e lei era anche troppo matura. Ci sarebbe stato troppo squilibrio e, in fin dei conti, lui aveva l’età e il diritto di fare ancora tante stupidate nella vita. Non si sentiva tranquillo, voleva vederci chiaro sulla faccenda, capire anche quali fossero le intenzioni di entrambi e verificare se si trattasse solo di amicizia.

Fu per questa ragione che decise di accompagnare Sakura alle semifinali dei giochi invernali. La ragazza non oppose resistenza riguardo la sua intrusione.

            < In effetti anche tu dovresti guardarlo, così saresti sicuro dell’acquisto della squadra. > insomma, per lei non c’era nessun problema.

 

Il palazzetto era gremito di gente. Non si era mai vista tanta folla per seguire il basket liceale. La partita si svolgeva tra lo Shohoku e lo Shoyo. Se una volta i tifosi erano molto più numerosi per la squadra bianco-verde, in questa occasione si bilanciavano perfettamente. Lo Shohoku aveva acquisito popolarità durante il campionato nazionale e aumentato le file dei propri sostenitori.

Sakura e Oda cercarono un posto libero. La ragazza riconobbe la studentessa che l’aveva accompagnata in palestra e si diresse verso di lei. Mentre scendeva le scale per arrivare ai sedili liberi che aveva visto accanto a lei, notò un gruppo di ragazzi in uniforme con una bandiera fiammeggiante. Guardò incuriosita cosa ci fosse scritto e notò, a caratteri cubitali: “Anima Ardente Mitchan!”. Non credeva ai suoi occhi! Evidentemente erano suoi amici. Aprì il suo zainetto e montò il treppiedi e la videocamera. Anche questa volta avrebbe filmato tutto.

Oda si sedette accanto a lei, sotto gli sguardi di molti. Qualcuno lo conosceva, altri temevano semplicemente la sua altezza.

La partita cominciò. Subito Sakuragi ebbe la meglio sulla palla a due. Miyagi partì senza sprecare tempo prezioso. Rukawa era già in ottima posizione e il primo canestro fu dello Shohoku. La partita procedeva quasi senza intoppi. Di certo lo Shoyo non stava a guardare, ma rimontava molto in fretta. Il ritmo era serrato, il gioco veloce, molto veloce. Durante il secondo periodo la situazione divenne critica. Lo Shohoku era di 6 punti sotto. Niente era perduto. In un gioco combinato tra Miyagi e Mitsui furono messi a segno due canestri da tre punti consecutivi, con un ostile e una precisione impeccabili.

Oda era compiaciuto. Osservò Sakura e vide che era decisamente euforica. Seguiva il gioco con occhi luminosi, vivi. Sembrava anche di riuscire a vedere gli ingranaggi del suo cervello valutare i tempi di gioco, le azioni, calcolare la stanchezza del suo protetto, valutare gli schemi impiegati dalle due squadre. Sarebbe stata un ottimo allenatore, pensò tra sé, ne era sicuro.

La partita terminò con un fantastico 89 – 85 per lo Shohoku. L’ultimo canestro era stato segnato da Mitsui con una tripla magistrale. Il palazzetto era caduto momentaneamente in un silenzio di tomba. In quel momento solo in pochi si erano accorti che la palla sarebbe entrata sicuramente nel cesto.

I due ragazzo di Yokohama seguirono i tifosi seduti accanto a loro, che pareva avessero ottima conoscenza dei giocatori. Arrivarono fin fuori gli spogliatoi. Anzai riconobbe Sakura al volo e lei presentò il suo capitano e fece i suoi complimenti per la vittoria.

I ragazzi con quella strana bandiera si consultarono tra loro, fissando insistentemente Sakura. Alla fine, quello che sembrava il capo si fece avanti.

< Sei tu la ragazza che vuole farlo entrare all’università? > chiese. Sakura non era sicura di voler rispondere: non sapeva se in agguato ci fosse una minaccia o riconoscenza, non sembravano rassicuranti.

< Sì, sono io > si decise alla fine.

Certo, non si aspettava quello che questo ragazzo fece subito dopo. Infilò una mano nella giacca e tirò fuori un mazzetto di fotografie. Tutte avevano l’immagine di Mitsui mentre tirava a canestro, evidentemente scattata di nascosto.

            < Noi possiamo definirci il suo fan-club! > disse con orgoglio e le regalò una di queste foto < Per te, però, c’è un regalo speciale, perché ti sei interessata a Mitchan in modo tale da realizzare un suo sogno. Lo dico perché ora non c’è, lui non ne sarebbe felicissimo. > aggiunse.

            < Beh, lo capisco, alla fine state parlando dei fati suoi. > disse Ayako che aveva seguito tutta la scena con una faccia incredula accanto alla studentessa dello Shohoku.

            < Ecco il nostro regalo speciale. > disse il presidente del fan-club e tirò fuori una sola foto dalla tasca e la porse a Sakura. Era una foto più vecchia in cui Mitsui aveva uno sguardo molto più triste e portava i capelli lunghi fin sulle spalle. La ragazza guardò con aria interrogativa il presidente.

            < Era diventato così quando ha lasciato il basket. Direi che puoi usarla come monito quando gli verrà in mente di mollare. So che sei stata tu a farlo allenare pesantemente in questi mesi. Beh, è facile a scoraggiarsi, puoi minacciarlo con questa. > disse semplicemente.

Ok, sembrava uno squilibrato questo tizio, però, a modo suo aveva dimostrato di voler bene al suo amico. Sakura ringraziò con un sorriso e promise che avrebbe fatto di tutto per trattenerlo sulla retta via.

            In quel momento i giocatori uscirono dallo spogliatoio. Ognuno era libero di fare ciò che credeva meglio. Mitsui notò subito Sakura e si stava avvicinando a lei felicissimo, quando si accorse della presenza del capitano. Stranamente si sentì bruciare dal fondo dello stomaco. Perché doveva esserci anche lui? Questa era la domanda che inconsciamente si stava ponendo.

Durante i giorni passati non aveva potuto fare a meno di immaginare il loro incontro. Per due settimane si erano solo parlati per telefono e non avevano avuto possibilità di vedersi: lo Shohoku aveva allenamenti serrati da sostenere e lui non poteva certo saltarli. Si era insinuata in lui la nostalgia, sentiva la mancanza di quella ragazza. Le mancava il suo sorriso, il suo modo di rassicurarlo, le sue mani calde, le sue parole pronunciate con un tono quasi sussurrato.

Negava a sé stesso di provare altro se non una profonda amicizia, ma si era ritrovato a gettare via alcuni bigliettini pieni di cuoricini senza leggerli, trovati ne suo armadietto. In una altro periodo della sua vita ne sarebbe stato orgoglioso o quantomeno se ne sarebbe vantato con Sakuragi durante gli allenamenti, solo per il gusto di farlo. Invece nulla di tutto ciò. Sembrava fosse successo qualcosa in lui di molto più profondo rispetto ad un semplice ritorno ad una forma fisica ideale. Era la sua mentalità ad essere cambiata e probabilmente i suoi sentimenti. Lo negava a sé stesso. Non poteva essere vero. Lei era di un’altra città, era già all’università. Qualche ragazza, che gli si era dichiarata apertamente, aveva commentato il suo rifiuto affermando di averlo visto con una ragazza nei fine settimana, ma che quella non era alla sua altezza e che poteva essere definita grassa. Beh, in senso letterale effettivamente Sakura era molto più bassa di lui. Ma ciò che lo mandava in bestia era che a lui non importava se il fisico di quella ragazza così gentile, così buona, con un viso dolce, che credeva in lui, non fosse da modella. Cosa importava se non fosse secca come una pertica? E poi, non era un obbligo sembrare anoressiche! E se a lui piacessero così le donne, con qualcosa da poter toccare, dannazione, a loro cosa importava? Era una ragazza tonica, ma formosa, piena di curve abbondanti in ogni parte del corpo e questo gli piaceva da impazzire. Nella sua mente però poi negava che lei l’attirasse in questo senso. Sarebbe stato ammettere di essersene innamorato. Non si poteva, fine della storia.

            Fatto sta che vederla accompagnata dal capitano gli aveva fatto uno strano effetto. Era geloso, anche se sapeva che tra i due non ci fosse niente. Voleva averla tutta per sé quella sera e invece le cose erano andate storte. Si incupì e per tutta la sera non fu molto di compagnia. Se si parlava di basket aveva qualcosa da dire, altrimenti si chiudeva in un mutismo sospetto. Per forza di cose era uscito con Oda e la ragazza, ma non gli piaceva quella situazione. Dal canto suo Sakura non sapeva spiegarsi un simile comportamento: di solito Mitsui era cordiale. Non immaginava che il motivo fosse Oda: in fin dei conti si conoscevano e si trovavano simpatici.

            < Io vado in albergo. > annunciò all’improvviso il capitano. Era l’unico ad aver capito la situazione e sapeva che era meglio tagliare la corda. Aveva osservato Sakura e credeva di aver capito che lei tenesse molto al suo ruolo, tanto da non comprometterlo con i suoi sentimenti. A volte aveva guizzi che lasciavano pensare ad una imminente confessione amorosa, ma sapeva frenarsi benissimo. Mitsui, invece, era quello che manifestava le sue inquietudini più apertamente: era ancora molto giovane, forse non aveva molte esperienze sentimentali. La situazione si era fatta bollente comunque: aveva notato che la sua presenza non era molto gradita. Non pensava che Hisashi lo avrebbe picchiato addirittura, ma di certo era cupo al punto giusto da arrivare alla lite. < L’accompagni tu dopo? > disse rivolgendosi a lui. Non attese risposta e andò via. Sakura capì che voleva lasciarli soli e non si oppose.

            < Che ti prende stasera? > chiese a bruciapelo, appena il capitano fu abbastanza lontano.

            < Non mi prende niente. > la voce di Mitsui era sprezzante. Sakura si rattristò.

            < Ti ho fatto qualcosa? Ti ho offeso in qualche modo? Perché davvero non so cosa abbia fatto per meritarmi il tuo disprezzo. >

Hisashi deglutì a fatica. Non voleva che Sakura pensasse che lui fosse arrabbiato con lei. Magari…magari aveva esagerato. Che stupido!

            < Scusami. > disse dispiaciuto davvero < Non volevo ferirti. Mi dispiace. >

La ragazza ci pensò su un attimo poi fece una domanda.

< Sei per caso geloso? > lo fissò dritto negli occhi, non voleva perdersi nessun particolare della sua reazione.

< Perché dovrei essere geloso, scusa? > il ragazzo era punto sul vivo. Cominciò a innervosirsi. < Non dire stupidaggini. >

< E’ l’unica spiegazione Mitsui, dico davvero. Non avresti voluto che portassi qui Oda, ma io non ci ho visto niente di male quando mi ha chiesto di vedere la partita. >

< Lo so che non c’è niente di male, infatti… >

< Allora dimmi perché. >

Mitsui non sapeva che rispondere. Poi gli venne in mente la cosa più semplice.

            < Semplicemente volevo che avessimo potuto parlare come sempre, come abbiamo fatto tutte le volte. Tutto qui. Mi piace passare il tempo con te e il capitano mi è sembrato un limite. Ti chiedo scusa. >

Sakura lo osservò un po’, poi….scoppiò a ridere.

            < Ora capisco il perché di quel soprannome! >

            < Soprannome?! Ma quale, scusa? Io….dimmi che non li hai visti quegl’imbecilli? > si coprì il volto con una mano. Stava arrossendo come uno scolaretto.

            < Invece sì, ti agiti con un nonnulla! Sai, i tuoi amici mi hanno anche regalato due tue foto! Pensa un po’! > e mostrò le fotografie al ragazzo, sempre più incredulo. Non voleva crederci. Ma che combinava Norio? Sospirò, mentre Sakura rideva di gusto. Era bello vederla ridere. Sorrise anche lui, rise di sé stesso e di quanto fosse stato stupido. Sakura si sorprese di vederlo arrossito: era dolce, dolce davvero. In fin dei conti aveva solo 17 anni e, per alcuni versi, mostrava ancora un lato innocente.

            Uscirono dal locale dove erano stati per la cena e fecero un giro, nonostante ci fosse un vento freddo. Per proteggersi da quelle folate fredde, inconsciamente Sakura si avvicinava sempre di più a Hisashi e, nonostante lui tentasse di allontanarsi, alla fine cedette a quel contatto. Non che gli dispiacesse, ma semplicemente credeva che non fosse il caso, che fosse giusto mantenere le distanze. Ma perché poi? “Per non soffrire” si disse. Solo per quello.

Eppure ricercava qualche contatto. Anche solo sfiorarle una mano. Quando lei gli diede un bacio sulla guancia per dargli la buonanotte, dopo che l‘accompagnò in albergo, Mitsui avvampò. Questo era troppo. Ormai voleva averla solo per sé, la voleva sul serio.

 

            La finale dei giochi invernali sarebbe stata il 14 dicembre. Si aspettava la neve per quel periodo, ma poco importava. Qualunque fossero le condizioni atmosferiche, che ci fosse vento o pioggia, un debole solo e una giornata uggiosa, Mitsui usciva di casa alle 5 del mattino per la sua corsa prima delle lezioni. Stranamente era diventato un ragazzo metodico. Era migliorato anche nello studio. Aveva acquisito più sicurezza anche sul quel versante. Lo studio era diventato un modo per rendere sua madre e suo padre fieri di lui, per ripagarli, per riconquistare la loro fiducia. Suo padre si era lavato le mani della sua condotta già da un pezzo e l’unica che aveva insistito per recuperare il suo unico figlio era stata lei. Sua madre. Era stata forte, non si era lasciata abbattere dalle porte sbattute in faccia, dalla tarda ora di rientro di quel figlio scapestrato, non si era lasciata abbindolare dalle sue scuse patetiche, quando era tornato a casa con un occhio nero, e si era appostata come un poliziotto sulla porta della sua camera di ospedale, quando ci era finito dopo la rissa con Miyagi.

            Correva Mitsui e pensava a tante cose. Pensava alla riuscita della sua più grande impresa. Sakura non glielo aveva detto, ma sospettava che il consiglio amministrativo avrebbe elargito la sua borsa di studio solo se lo Shohoku fosse giunto alla vittoria. Probabilmente era così. La cosa lo rendeva nervoso, ma in effetti lui avrebbe agito allo stesso modo al loro posto. Oltre a questo c’era anche la sua ferrea decisione sulla ragazza che gli aveva cambiato la vita, gli aveva dato una possibilità.

            Un pomeriggio dopo gli allenamenti con la squadra, si era attardato a sistemare il suo armadietto, ormai inguardabile per il disordine. Ayako lo aveva raggiunto: stava riponendo palloni e asciugamani puliti nello scaffale della stanza. Notò che il ragazzo era pensieroso, quasi assente. Fu l’unica ad essersi accorta che per Hisashi quella ragazza, quella manager era più di un’amica. Sarà stato l’istinto femminile o semplicemente una sensibilità maggiore per certi argomenti, ma chiese direttamente a Mitsui perché tacesse sui suoi sentimenti.

            < Che dovrei dirle? > fu la domanda di rimando che ricevette.

            < Beh, che ti piace. Insomma, credo se ne sia accorta, non mi pare una stupida. >

< Probabilmente ne ha un sospetto o forse anche lo sa, ma io non ho alcuna intenzione di dirle niente, specie ora. > si voltò e continuò a mettere in ordine i suoi effetti personali.

< C’è un qualche motivo perché preferisci non dichiararti? E poi perché “specie ora”? cosa cambia? > non riusciva a capire.

< Non voglio compromettere la sua posizione, innanzitutto. Una cosa è proporre un giocatore alla squadra, un’altra uno spasimante o, nell’ipotesi più remota, ma davvero remota, il proprio ragazzo. Poi, beh, potrei non piacerle in quel senso e potrei perdere la possibilità di entrare all’università. Se invece lei dovesse contraccambirare….ma io non dovessi farcela ad entrare in squadra? Che dovrei fare? Vederla una volta al mese, se mi va bene? > disse sempre di spalle.

< Quindi, se le cose dovessero andare male, se tu non dovessi entrare all’Università di Yokohama, che farai? >

Mitsui pensò a quella possibilità. Pensò che la partita finale non fosse superata dallo Shohoku, che, quindi, il consiglio di amministrazione dicesse che non valesse una borsa di studio come giocatore.

            < Dovrei togliermela dalla testa. > disse con voce bassa, con tristezza, quasi fosse sul punto di piangere.

            Correva Mitsui verso l’ultima partita dell’anno.

 

            La neve era caduta, come era prevedibile. Sakura aveva preso il treno dopo le lezioni di quel sabato mattina. Era nervosa. Questo sarebbe stato l’ultimo viaggio concesso dall’università (perché i viaggi e i pernottamenti erano stati rimborsati dall’accademia, in quanto per scopi legati al prestigio di quel politecnico). Una parte di lei credeva che Mitsui ce l’avrebbe fatta: era forte, era preparato, era intelligente nel suo gioco, aveva tutte le carte in regola per riuscirci. Dall’altra aveva paura che fosse più teso del necessario e non riuscisse a liberarsi della tensione abbastanza in fretta durante la partita. Temeva, poi, che il Ryonan fosse troppo carico, reduce della sconfitta subita per le qualificazione al campionato nazionale. Durante tutto il viaggio prese a rivedere ansiosa i dati sulle sue squadre. Avevano entrambe buone possibilità. “Speriamo che lo Shohoku abbia una marcia in più.” Si disse guardando fuori dal finestrino.

            Un po’ arrancando per evitare di scivolare sulla neve ghiacciata, riuscì a raggiungere il palazzetto. Non aveva problemi per il suo posto a sedere. Norio Hatta aveva assicurato tramite Mitsui che avrebbe provveduto lui a tenerne uno occupato per la ragazza. I suoi stivali si immersero in un cumulo di neve un po’ più alto e affondarono un po’ più giù del necessario; ebbe un brivido di freddo per la neve che le era entrata nella scarpa. Fu come se la sveglia l’avesse riportata in vita da un lungo sonno angoscioso. “Ma che vado a pensare? Lui ce la farà. Io lo so!”.

            Il palazzetto era gremito fino all’inverosimile. Questa partita era davvero un evento nella prefettura. Era tutto un vociare di persone che prendevano posto, chi con i colori di una delle due squadre sui vestiti, altri con divise scolastiche delle rispettive scuole. Non mancavano curiosi, appassionati di basket o anche solo amici e parenti dei giocatori. Per essere solo una partita tra liceali era più che onorevolmente seguita dal pubblico.

Sakura trovò facilmente il suo posto: lo stendardo fiammeggiante era visibilissimo anche da lontano. Hatta aveva mantenuto la sua promessa.

I giocatori entrarono in campo. Il numero 14 sulla maglia, la ginocchiera alla gamba sinistra, quasi una protezione, un sostegno al ginocchio danneggiato anni addietro, il ragazzo era in campo. Mitsui era serio e concentrato. Seguiva le indicazioni che Anzai stava elargendo con cognizione di causa. Quando il vecchio allenatore ebbe finito, Hisashi alzò lo sguardo verso gli spalti e cercò la figura familiare della ragazza accanto a quel dannato stendardo. La vide affacciata alla ringhiera, con un maglioncino bianco, quasi volesse essere più visibile tra la folla. I capelli neri erano sciolti sulle spalle e il suo sguardo (Mitsui lo intuì) doveva essere puntato verso di lui. Il ragazzo portò un pugno al petto, continuando a guardarla. Sakura ripeté il gesto a sua volta, per fargli capire che l’aveva notato e che era accanto a lui per quell’ultima prova.

L’arbitro fischiò e la palla fu lanciata dal centro del campo per la contesa. Il gioco ci mise poco ad essere infiammato dai passaggi veloci, dagli scatti fulminei dei ragazzi in campo e dai canestri portati a segno con una facilità e una rapidità impressionante. Il vantaggio iniziale era stato del Ryonan, che aveva puntato tutto su questa finale per riscattarsi agli occhi dei propri sostenitori e dei giornalisti sportivi che, quando la squadra aveva fallito le qualificazioni, erano stato poco riverenti nello scrivere che il Ryonan si era lasciato battere da una squadretta emergente. Sendoh era il migliore in campo per la squadra in maglia blu: non stava dando molto spazio al numero 11 in maglia rossa. Rukawa doveva prima smarcarsi da lui per poter provare ad andare a canestro. Una marcatura a uomo davvero asfissiante. Il secondo periodo vide lo Shohoku portarsi in vantaggio. Le palle recuperate su rimbalzo da Hanamichi furono una manna scesa dal cielo. In contropiede Miyagi e Mitsui riuscirono a segnare la maggior parte dei canestri. Di nuovo svantaggio nel terzo periodo per lo Shohoku, che vide Sendoh e Fukuda rispondere perfettamente ai rinvii di Koshino. Le cose potevano mettersi male. Sakura ripensò alle parole del preside quella mattina.

< Faccia buon viaggio signorina. So che ha lavorato molto perché questo ragazzo riceva una borsa di studio dalla nostra università. In ogni caso il consiglio di amministrazione è stato chiaro: si aspetta che la squadra dello Shohoku vinca la finale. Se dobbiamo prendere un giocatore, che sia della squadra campione. >

< Lo Shohoku ha già dimostrato di essere una squadra capace. Ha battuto il Sannoh. Anche i giocatori universitari non sono riusciti a batterlo, eppure lo Shohoku lo ha fatto. Che prova vuole ancora? >

< Potrebbe essere stato un colpo di fortuna. >

Non credeva a queste parole. Un colpo di fortuna. Il basket non era solo fortuna, ma impegno, dedizione, passione, fatica, sudore, energia, velocità, tecnica, tattica, schemi di gioco, difesa, attacco, agilità. Chi non lo amava non poteva capirlo.

            < Forza ragazzi!!! > urlò al seguito di Hatta accanto a lei.

La fortuna. Non era stata la fortuna a far migliorare la resistenza di Mitsui che, durante l’ultimo periodo, era in perfetta forma, era energico nei movimenti e saltava ancora molto in alto. No, non era stata fortuna, ma spirito di sacrificio, disciplina e forza di volontà. Alzarsi all’alba, nel freddo pungente della mattina e mettersi a correre per 5 chilometri prima di colazione significava davvero essere innamorati persi del basket.

            Mitsui prese la palla, la portò al petto e caricò un tiro sulla linea dei tre punti. Lo scatto elastico del salto, la corrente elettrica che lo attraversò fece venire un brivido a Sakura, che osservò la parabola perfetta inserirsi nel cesto. Un’ovazione esplose nel palazzetto: lo Shohoku era di nuovo in vantaggio.

            La palla carambolava da una parte del campo, come se fosse in un flipper impazzito. Due punti, tre punti. I canestri si susseguivano a ritmo serrato. Mancavano quindici secondi alla fine. Lo Shohoku era in vantaggio di un punto, non dovevano farsi segnare nemmeno un canestro. Sarebbe stata la fine.

Sakura era in piedi. Stare seduta su quella scomoda poltroncina di plastica era una tortura. Era agitata. “Fa che vada tutto bene” continuava a ripetersi. Guardava Mitsui, nella speranza che non cedesse all’ansia. Constatò che era sicuro di sé e perfettamente calmo. Buon segno. Era stato chiesto un timeout dal Ryonan. Palla a loro. Rimessa in gioco. Sendoh partì all’attacco con Fukuda, marcato da Sakuragi, che corse come un lampo fin sotto il canestro. Palla passata a Uekusa che fece da sponda per superare Miyagi. Sendoh era pronto per passare a Fukuda, ma Rukawa rubò palla e scattò fulmineo verso il canestro. Passò a Mitsui che lanciò verso il ferro dalla lunga distanza per un alley-oop. Rukawa schiacciò. Partita chiusa. Mancavano tre secondi e non erano sufficienti nemmeno per un’azione.

            Il palazzetto scoppiò di urla e acclamazioni. Dispiaceva per la squadra sconfitta, ma qualcuno doveva pur perdere.

Sakura corse giù dagli spalti. Non poteva più aspettare, aggiungerà gioia sul trionfo. E’ in squadra, Mitsui sarà nella squadra del Yokohama! Le scale sembravano non finire mai, rischiò di inciampare, ma niente era più importante che raggiungerlo e dargli la notizia tanto attesa. Aprì la porta che immetteva sul campo e lo vide lì, festeggiare con i suoi compagni tra abbracci e pacche sulle spalle, capelli scompigliati. Ayako le corse incontro abbracciandola.

            < Ce l’ha fatta! > le disse, praticamente urlandoglielo. Ayako la strinse più forte, poi la spinse verso il numero 14. Mitsui la vide e uscì un attimo dalla baraonda causata dall’euforia. La guardò negli occhi, sperando di leggere la risposta alla domanda che gli rimbombava nella testa “Ce l’ho fatta?”. Vide Sakura respirare sempre più profondamente e trattenere le lacrime. Le corse incontro e l’abbracciò. Quanto aveva sperato che accadesse! La strinse più forte e la sollevò da terra, godendo di quel contatto insolito, un contatto sperato e temuto, voluto e odiato. Sakura affondò la testa nella sua spalla, respirandogli sul collo.

            < Sei stato grande! Sei grande, davvero grande! Ce l’hai fatta! Ce l’hai fatta! > Sakura pronunciò queste parole tra i singhiozzi, stringendolo forte a sé.

Mitsui respirò il profumo di quella piccola ragazza. La tensione si sciolse e qualche lacrima rigò il volto del ragazzo. L’abbraccio si allentò, Sakura fu rimessa a terra e lui si asciugò in fretta gli occhi: non voleva che lei pensasse che fosse un debole. Si guardarono negli occhi umidi. Erano felici, davvero felici. Hisashi fece un respiro profondo, si avvicinò alle labbra di lei e vi posò un bacio innocente. La timidezza aveva preso il sopravvento e un bacio appassionato non se la sentiva proprio di darlo. Non davanti a tutto il palazzetto, perdio!

Tornò a guardarla, rosso in volto, per cogliere la sua reazione. Un sorriso, un segno di diniego per la sua insicurezza e un nuovo abbraccio stretto.

 



[1] I suicidi sono degli esercizi che prevedono scatti dalla linea di fondo a quella dei tiri liberi, poi si torna indietro e si corre fino alla linea di metà campo, poi si torna indietro e si corre fino alla linea dei tiri liberi oltre la metà campo, poi si torna indietro e si corre fino all’altra linea di fondo. I suicidi al contrario sono la stessa cosa, solo che si corre prima sulla linea di fondo opposta, poi quella dei tiri liberi, sulla linea di metà campo e infine sulla linea dei tiri liberi della metà campo da cui si parte.

   
 
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