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Autore: Zia Heya    22/08/2014    1 recensioni
Di Curly Dadan si poteva dire di tutto, ma non di certo che fosse una donna gradevole. 
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Ricordava con una tenerezza che non le apparteneva tutti i corteggiamenti, alcuni discreti, alcuni più impacciatamente espliciti, che le riservavano i giovani del suo tempo. [...]
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Non si era mai tirata indietro a quel tipo di responsabilità, nemmeno quella volta, in quella gelida notte e con il tempo burrascoso, in cui Rufy, il suo Rufy, alto, vestito di bianco, magro, ma con tutta la bellezza e la raffinatezza dello stupendo uomo che era diventato, si presentò davanti a lei… in lacrime e stringendo protettivo la creatura che dormiva fra le sue braccia. [...]
 
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro Personaggio, Dadan, Monkey D. Garp, Monkey D. Rufy, Un po' tutti
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Buongiorno a tutti! Sono di nuovo io, Zia Proxy (e chi mi conosce? ç.ç). Dunque, che dire? Ad inizio capitolo, niente purtroppo. Non commento nulla per ora, non voglio rubarvi tempo alla lettura, se siete incappati fin qui. L’unica cosa che posso accennarvi è che ci tenevo a scrivere se non altro una one-shot su Curly Dadan, un personaggio che sta molto a cuore a Rufy e lo fu anche al nostro amato Ace. Per ora vi saluto, ci vediamo alla fine, pirati! 

Buona lettura.
 

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Requiem di Signora.




Le lacrime sono lo sciogliersi del ghiaccio dell'anima. E a chi piange, tutti gli angeli sono vicini. (Hermann Hesse)





Di Curly Dadan si poteva dire di tutto, ma non di certo che fosse una donna gradevole.

Alta, massiccia, perennemente sulla difensiva e burbera. L’impressione, la prima impressione che dava, era certamente questa. Attaccabrighe fino al midollo e criminale, ma troppo fifona per finire in carcere. Vantava i suoi crimini, ma li temeva non appena si trovava di fronte ad un qualsivoglia ufficiale della Marina. Fumava, oh, quanto fumava. E beveva. Quasi nessuno vedeva un lato positivo in lei. Viveva sul Monte Corbo, nei pressi di quel piccolo e rustico villaggio chiamato Foosha, assieme alla Dadan’s family composta da tre individui: lei stessa, Dogura e Magura. Talvolta, si aggregavano a loro i banditi della montagna e se la passavano. Comportamenti eccentrici, irresponsabilità e menefreghismo l’accompagnavano costantemente in ogni momento della sua esistenza. Non amava la compagnia di gente cosiddetta normale che celavano all’interno di loro stessi maldicenze e pregiudizi. Tanti difetti aveva Dadan, tanti difetti che si erano annidati in lei nel corso degl’anni. Nell’ultimo periodo, nei giorni di pioggia che le facevano prendere atto di come già fosse volato il tempo, si sedeva malamente su di una seggiola in legno, sorseggiando direttamente dalla bottiglia un alcolico da quattro soldi e fissava il paesaggio, dalla piccola finestra diretta a nord. Ripensava Dadan, a tante cose. Alla sua gioventù, ad esempio. Di quanto fossero belli i suoi soffici capelli ramati, ormai ridotti ad un grigio stopposo; ai suoi occhi, grandi, color dell’ambra; alle sue carnose labbra che in tanti avevano agognato baciare. Anche al suo corpo, slanciato e formoso nei punti giusti, divenuto sformato a partire dai quarant’anni. Ricordava con una tenerezza che non le apparteneva tutti i corteggiamenti, alcuni discreti, alcuni più impacciatamente espliciti, che le riservavano i giovani del suo tempo. Sogghignava quando questi pensieri le si materializzavano davanti, cancellando momentaneamente l’umido paesaggio di quei giorni cupi. Sogghignava perché li trovava nettamente in contrasto a come era poi divenuta in seguito. Aveva amato, a quei tempi. Aveva amato davvero tanto un ragazzo che contraccambiava la sua passione, o almeno così diceva. Passavano molto tempo insieme, erano felici, affiatati. Facevano quelle cose normali che fanno tutti i fidanzati, camminavano mano nella mano, si scambiavano teneri baci e, quando arrivò il momento, fecero l’amore. Si era aperta, Dadan, si era confidata e lui… l’aveva tradita. Con un’altra ragazza. I suoi amici di allora cercavano di consolarla, dicendo che quello stronzo non faceva per lei e quell’altra era brutta come la fame. In effetti era così. Era sgraziata, quell’altra e proprio non capiva come potesse essere stata lasciata per una così, ma se ne fece presto una ragione. Non era la tipa da farsi distruggere da una cosa simile e ben presto, tornò la ragazza allegra di sempre. Erano immagini sbiadite quelle della giovane deliziosa Dadan, così come sbiadite erano oramai quelle della sua età adulta.
Il fatto era che poteva aver truffato, rubato e quant’altro, ma ciò non faceva di lei una spaccona come voleva dar a credere. Era dannatamente spaventata dalle conseguenze. Ogni sbaglio va pagato. Ma la prigione… ritrovarsi faccia a faccia con un ufficiale della Marina… no, non poteva reggere una simile situazione. Non sarebbe mai e poi mai finita a marcire in postacci come le carceri.



Se lo ricordava quel giorno. Quell’uomo, Garp, quel Viceammiraglio che temeva tanto, le si parò davanti, in tutta la sua incombenza. Con lo sguardo corrucciato e occhi fissi, senza troppi preamboli le aveva posato tra le braccia un neonato.
Un piccolo, indifeso, dannato neonato.
-E’ figlio del Re dei pirati. Si chiama Gol D. Ace, d’ora in avanti Portuguese D. Ace. Ve ne occuperete voi.-
Questo le disse. Ovviamente in cambio aveva il silenzio sulla sua fedina penale non esattamente candida. Poi, com’era venuto, sen’era andato. Non lo aveva più rivisto per qualche mese; una volta tornato, con una bottiglia di liquore mezza vuota tra le possenti mani,  raccontò di preciso da chi fosse nato quel bambino, quando e perché aveva deciso di occuparsene. Dadan, nel profondo, rimase davvero colpita del sentimento che univa il Viceammiraglio e l’allora Re dei Pirati; nonostante tutte le infinite battaglie si rispettavano e stimavano.

Sorseggiò un altro goccio d’alcolico.

Dadan non aveva mai pensato di avere dei mocciosi. Non ne voleva. Non era mai stata quel tipo di donna che, quando immaginava il corso della sua vita si vedeva al fianco di un uomo che la amasse e che la proteggesse, né tantomeno sentiva dentro di sé l’istinto materno che qualsiasi cucciolo venuto al mondo merita. Niente di tutto questo. A dirla tutta però, non si immaginava nemmeno di rapinare, rubare ed arrivare ai cinquant’anni disfatta. Una vita semplice era tutto quello che voleva, niente pretese. Quiete e tempo da dedicare a sé stessa. Ma, evidentemente, il destino aveva in serbo altri piani. Sì, il fato ha deciso tutt’altro, si ritrovò a borbottate mente tentava di far stare buono Ace, che si era svegliato da poco, irrequieto.

Di tutto si poteva dire di Dadan, ma non che si tirasse indietro di fronte a quel tipo di responsabilità.

Aveva cresciuto il figlio del Demonio assieme a Magura e Dogura. Non ci sapeva proprio fare con i bambini, lo sapeva perfettamente, ma quei dannati non facevano altro che rinfacciarglielo. Fossero stati bravi loro, poi! Era vero, non aveva mai avuto modo di interagire con i più piccoli, ma tutto sommato… non le dispiaceva quel ruolo. Ma questo era un dettaglio che mai, mai avrebbe ammesso. Oh, no.
Ace cresceva. Diventava un ometto, giorno per giorno, autosufficiente e serio. Era molto orgogliosa di lui, ma non lo lasciava trasparire più di tanto. Si occupava di lui come meglio poteva. Molto spesso in maniera alquanto discutibile, ma segretamente, gli voleva un bene dell’anima.

Poi… arrivò anche l’altro.
Come un deja-vù, Monkey D. Garp ritornò a farle visita. Senza avvisarla, in un giorno qualsiasi di un mese non specificato. Un altro moccioso, petulante e sempre allegro. Il nipote del Viceammiraglio stesso. Dadan sapeva solo questo dettaglio, nient’altro; non sapeva chi fosse la madre né tantomeno il padre.
Nemmeno quella volta rifiutò il suo dovere.
Litigavano, bisticciavano, si rincorrevano, vivevano mille avventure, plasmavano il loro futuro con le pure menti di bambini. Si passavano il tempo e il tempo passava. Crescevano assieme, Ace Rufy e anche quel biondino, Sabo. Erano più che amici, erano fratelli. Il sentimento che li univa era il più forte che potessero provare alla loro età e al diavolo se erano figli di tre uomini e donne diversi. Non erano uniti nel sangue, ma nello spirito. Erano certi che, una volta cresciuti, quel legame di cui non facevano segreto a nessuno sarebbe continuato. E così fu.
Anche dopo che il fato, un triste giorno, impose il suo volere fatale sull’acerba vita di Sabo.
Anche dopo l’inizio dell’avventura di Ace nell’immenso blu, a diciassette anni.
Anche dopo la partenza di Rufy, tre anni dopo, solo, su di una umilissima barca, respirando a pieni polmoni la brezza marina e il profumo di un mondo tutto da scoprire.
Quei momenti passati assieme, quei sogni sussurrati, quelle lacrime nascoste, quelle risate teneramente acute. Nulla di tutto ciò sarebbe mai scomparso, loro sapevano. Anche Dadan, che vedeva, mestamente sorrideva.

Sospirò pesantemente, lo sguardo stanco, imbambolato a fissare le gocce scivolare sul vetro della piccola finestra.

Nel tempo che i ragazzi avevano passato a navigare e a conoscere persone nuove, la Dadan’s family l’ aveva trascorso continuato la propria modesta vita. Non accadeva quasi nulla di speciale, sul monte Corbo, né a Foosha in generale. Chissà se magari nel regno di Goa c’erano novità? Non che le importasse qualcosa, alla donna, di quei nobili da strapazzo che vivevano dall’altra parte dell’isola protetti da pesanti mura. Ma nei momenti di quiete assoluta e insolita, tante domande affollavano la sua mente. Pensava anche alle sue pesti, che ora erano chissà dove in quell’immenso mondo d’acqua. Si mostrava forte, di giorno, quando l’argomento cadeva su di loro; di notte, nella solitudine della sua stanza, timide lacrime velavano i suoi occhi. Gli mancavano. Eccome se gli mancavano. Non era tanto che erano partiti ma era come se fosse trascorsa una vita. Andava avanti con la sua di vita, Dadan, circondata dall’affetto dei suoi fidati uomini, Dogura e Magura. Non scendeva mai al villaggio, stava bene in solitudine. Solo raramente, solo in occasioni particolari si sentiva in obbligo d uscire dalla tana che s’era lei stessa creata.  E quel giorno, era uno di quei momenti.

Era una bella giornata, il cielo azzurro e il Sole splendente a tradimento. Il giorno in cui lo venne a sapere. Ace era morto. Ace. Il suo bambino. Il figlio del Demonio. Ucciso da dei bastardi della Marina, da quei pezzi di merda che inseguivano un ideale di giustizia senza né capo né coda, inventato e reinventato da loro. Avrebbe ucciso in quel momento, avrebbe sgozzato chiunque ma… si doveva trattenere. Sapeva che in un lasso di tempo relativamente breve lui sarebbe arrivato e allora sì, allora avrebbe sfogato tutta la sua furia. Sì, gl’avrebbe fatto rimpiangere tutto, pensò mentre l’ennesima sorsata di birra si faceva strada della sua gola.
Rabbia pura, ira, disperazione… questo provava. La donna che era in lei, la madre che segretamente sentiva di essere erano morte. Lo uccido, lo uccido. Questo pensava.
Quando Monkey D. Garp arrivò al villaggio di Foosha, un po’ si aspettava cosa sarebbe potuto accadere. Aveva una vaga idea degli sguardi che si sarebbero posati su di lui, delle voci smorzate che avrebbero commentato. Non si aspettò però la reazione di lei. Come appena lo vide gli piombò addosso con tutto il corpo e la violenza che nemmeno lei sapeva di possedere. Lo prese per il colletto della camicia e seguì una serie di schiaffi e pugni e urla. Parole gridate con voce tremante di odio e ribrezzo. Velenose, acide, dall’odore d’alcol.

-Perché?! Perché?! Perché?!-

Ripetuto all’infinito. Tutti osservavano la scena, stupefatti, ma troppo timorosi per poter fare anche un minimo movimento.

-BASTARDO! Tu eri là! Perché non hai fatto niente per salvarlo? Perché non hai salvato Ace?! Perché lo hai lasciato morire?! Per te viene prima il dovere alla tua famiglia?! Eh Garp?! EROE DELLA MARINA DEL CAZZO! Marcisci, maledetto vecchio! Ohi, Grap! Dì qualcosa! Perché non lo hai salvato?! ALZATI! Maledetto schifoso inumano!-
Un altro pugno, quello decisivo stava per tirargli, prontamente fermato dalla dolce Makino; disperata, la donna si era aggrappata al suo braccio

-Fermati Dadan!- aveva gridato la sua acuta voce.
E lei, per il momento, si era fermata, recuperando fiato, asciugandosi le lacrime.
-E’ chiaro che Garp stia soffrendo, ma non ha potuto fare nulla per salvarlo!- il delicato corpo della fanciulla si era anteposto al Viceammiraglio. Occhi decisi fissi su Dadan.
-Non è così…- sussurrò di rimando –Non è così!-
Ancora lacrime, che no, non  nascondeva. Non voleva e non poteva tenere dentro di sé.
-Quello che sta soffrendo di più è Rufy!-
Silenzio. Tutti i presenti, nessuno escluso osava fiatare. Il ricordo del giovane Rufy, il piccolo bambino allegro, pestifero e, talvolta, indisciplinato svaniva. Al suo posto appariva un diciassettenne distrutto fisicamente e psicologicamente. Un giovane uomo che urlava straziato come un animale fissando con occhi funerei il cupo cielo di Marineford; le mani calde della rossa linfa vitale del fratello che aveva amato più di sé stesso. Il corpo, rigido e sorridente di Ace a pochi centimetri da lui. E quelle urla non bastavano. Avrebbe voluto gridare di più, strapparsi vestiti, pelle, capelli… sbattere la testa contro qualsiasi cosa fino a rompersela. Quello che soffriva di più era lui.
Makino, preferendo evitare di immaginarsi come il ragazzo potesse stare in quel momento, aveva scelto, per qualche secondo, di rifugiarsi nei tempi di quando lui ed il fratello erano piccoli. Questo però le causò più dolore. Ancora più forte…

Rufy. Come stava Rufy?

Corse via la ragazza, in lacrime anche lei.
-Makino!- gridò Dadan, consapevole che sarebbe stato inutile.
Seguì un interminabile silenzio. O forse, era durato solo un paio di secondi che erano parsi un’eternità. Una timida voce dell’anziano sindaco chiese a Garp cosa fosse successo a suo nipote, se era ancora vivo e con chi era.
Con voce roca che mai gl’era appartenuta, il Viceammiraglio rispose che tutto quello che sapeva era che suo nipote era scappato con un sottomarino, che la Marina aveva fatto di tutto per cercarlo, ma senza risultati. Per ora, quello che sapeva per certo era la sua sopravvivenza.
Sorrisi e sospiri si udirono nell’aria, da parte dei presenti. La donna sai ricci capelli diede le spalle a Garp.
-Rufy è uno sciocco! Ma qualunque tipo di pirata diventerà, non importa. Io sono dalla sua parte. Quando penso a come deve sentirsi… mi si spezza il cuore!-
Alzò lo sguardo al cielo, strinse i pugni.
-RUFY! NON CEDERE AL DOLORE!-

Si asciugò una lacrima impertinente. Fottuti ricordi. Non le faceva bene pensare a certe cose, a quei momenti. Tante cose il cervello umano è in grado di ricordare e lei aveva vissuto anche bei momenti nella sua vita. Rise. Oltre alle immagini ingiallite della sua giovinezza, aveva vissuto esperienze belle anche in età adulta e quelle le ricordava meglio. Oltre alle scaramanzie dei mocciosi… c’erano altri episodi che mai e poi mai avrebbe scordato.
Quando venne a sapere che Sabo era ancora vivo.


Non poteva crederci. Quel ragazzino che era entrato in casa sua –come nella sua vita- prepotentemente era… vivo. Aveva sofferto, sempre in silenzio, quando era venuta a sapere della sua presunta morte. I bambini c’erano rimasti malissimo, piangevano, soprattutto Rufy. Ace, invece, lo dava meno a vedere. Da un certo punto di vista, lei e il figlio del Re dei Pirati erano simili. Non volevano dare a vedere i loro punti deboli né davanti alle persone a loro care né tantomeno a loro stessi. Una sera, mentre Rufy dormiva, Ace sgattaiolò nella camera della donna. Inizialmente, infastidita, cercò di mandarlo via, ma si bloccò all’istante quando vide i suoi occhi inumidirsi. Lui si avvicinò cautamente a lei, l’abbracciò e iniziò a sfogarsi, piangendo. Non dissero nulla quella sera. Non c’era niente da dire. Dadan lo strinse protettiva e la notte passò così. Fu in quell’occasione che si rese conto di quanto amasse quei ragazzini e di quanto mancasse anche a lei il giovane Sabo, di quanto fosse ingiusto alle volte il destino.
Quando le venne riferito che invece era ancora vivo, non seppe spiegare a parole quello che provava. Qualcosa le esplose dentro, un sentimento che si faceva strada in lei prepotentemente. E stava bene. Diamine, quanto si sentiva bene. I banditi della montagna non contennero la gioia e urlavano dalla felicità, saltavano, correvano ovunque e si abbracciavano, ridevano. L’atmosfera era meravigliosa e lei si sentì davvero in pace.

Sorrise. Finalmente si sentiva meglio. Trovava ora quasi sgradevole il sapore di quell’alcol che aveva sorseggiato fino ad un istante prima. Non le piaceva mescolare i ricordi belli che conservava gelosamente con una cosa volgare come un sorso di vino. Scadente, oltretutto. Sospirò per l’ennesima volta.
C’era un altro episodio ancora, quello che non doveva narrare a nessuno. In pochi sapevano. E nessuno doveva parlare.


Il tempo passava, Rufy continuava la sua avventura in mare. Erano passati due anni dalla morte di Ace, aveva incontrato altre persone che l’avevano salvato più volte, si era legato a loro, era andato a Dressrosa e fu proprio in quell’occasione che re-incontrò il fratello Sabo. Aveva in sèguito proseguito il suo viaggio, la ciurma si era ingrandita. Dadan invecchiava, si appassiva, Rufy sbocciava. Passarono altri anni e anni, fino a quando una notizia sopraggiunse in ogni angolo del mondo, sconvolgendo ed emozionando chiunque: i Mugiwara erano giunti all’isola di Raftel. Avevano decifrato i Poignee Griffe e trovato il famigerato One Piece. Rufy aveva realizzato il suo sogno, era diventato finalmente il nuovo Re dei Pirati a nemmeno trent’anni.
La donna in quel momento non provò nulla. Troppe cose sentiva dentro di sé, e al tempo stesso non sentiva niente. Re dei Pirati. La gioia che provava era indescrivibile, ma aveva come il presentimento che non si sarebbero mai più rivisti. Dove sarebbe andato ora? Cos’avrebbe fatto con la Marina che gli sarebbe stata  costantemente alle calcagna? Si sarebbe ricongiunto a Sabo e a suo padre Dragon? Alle volte lo faceva, ma doveva salutarli due o tre giorni dopo perché il Governo li trovava ovunque fossero. Avrebbe telefonato a suo nonno, a Shanks, alla stessa Dadan? Non poteva, perché qualunque chiamata effettuasse, veniva intercettata. Sia lui che la sua ciurma erano costantemente in ansia. Fu poco dopo che arrivò una telefonata alla piccola casetta della Dadan’s Family. Sperava con tutte le forze che le erano rimaste, Dadan. Sperava fosse il nipote di Garp. Ma non era andata così. Non era lui, ma comunque una persona a cui teneva: Sabo.

-Dadan, ho un po’ paura. Rufy non sorride più-

Il cuore le si gelò. Tante cose erano successe, troppe. Aveva perso il sorriso Rufy, alla morte di Ace, ma lo aveva recuperato. Lo aveva perso in tante altre occasioni, ma era sempre riapparso. Quella volta no, però. Lei ne era sicura; se aveva perso ciò che aveva di più prezioso nel periodo in cui aveva realizzato il suo sogno… non lo avrebbe mai visto felice di nuovo.

-E poi è magro…- un gemito, strozzato -è sciupato e siamo tutti preoccupati. Nemmeno la presenza dei suoi amici, la mia o quella di suo padre lo fanno stare meglio.-

Poco aveva potuto dire, se non di continuare a stargli vicino e… magari… anche se per breve tempo, di tornare a Foosha.
Passò un altro anno. Era sera, forse le sette, forse le otto. Era buio e fuori dall’abitazione c’era il finimondo. Pioveva a dirotto, lampi abbaglianti e tuoni prepotenti. Dogura e Magura sistemavano la tavola, sparecchiandola; Dadan era seduta su di una sedia, fumando due sigarette. Non pensava a nulla in particolare e quando sentì bussare alla porta non si scompose più di tanto.
-Ma chi potrà mai essere a quest’ora con questo tempo?!- chiese a sé stessa, con il tono brusco che faceva parte di lei.
Dadan non si tirava mai indietro a quel tipo di  responsabilità.
Aprì la porta e quello che vide, sapeva, se lo sarebbe ricordata per tutta la vita. Un marchio indelebile che non se ne va.
Non si era mai tirata indietro a quel tipo di responsabilità, nemmeno quella volta, in quella gelida notte e con il tempo burrascoso, in cui Rufy, il suo Rufy alto, vestito di bianco, magro, ma con tutta la bellezza e la raffinatezza dello stupendo uomo che era diventato, si presentò davanti a lei… in lacrime e stringendo protettivo la creatura che dormiva fra le sue braccia.

Nessuna parola. Lo fece entrare immediatamente in casa, lo condusse subito nella sua stanza e chiese con tono grave a Dogura e Magura, attoniti, di portargli dei vestiti ed una coperta calda. Chiuse la porta e fece sdraiare il Re dei Pirati sul letto, mentre lui continuava a piangere.
-Dadan… i-io…- non sapeva davvero cosa dire.
La donna lo abbracciò. Quante volte aveva desiderato fare una cosa del genere… quante volte non si era lasciata andare a simili sciocchezze, come le chiamava lei, per puro e infondato orgoglio. Pianse anche lei. Non poteva farne a meno, nemmeno provandoci. Respirava l’odore di quel bellissimo uomo, che non era mutato da come se lo ricordava, lo stesso odore che aveva da bambino. Non parlarono. Il silenzio alle volte dice di più di mille parole.
Si udì poi un debole mugolio e Dadan abbassò lo sguardo: finalmente notò meglio quello che inizialmente aveva intravisto e che aveva poi subito rimosso per concentrarsi su Rufy. Un neonato.
Piccolo, come Ace la prima volta che lo aveva visto.

Un… bambino…
Deglutì. Non osava chiedere, sentiva che qualsiasi frase da lei pronunciata sarebbe stata sbagliata. Per fortuna, il moro l’anticipò.
-Lui… è il mio bambino- disse, toccandogli con la punta dell’indice il nasino –sua madre… non lo voleva. Diceva che un figlio per lei era un intralcio, era inutile. L’ha partorito e poi se n’è andata.-
Dadan lo strinse a sé come a proteggerlo. Non le importava della madre. Non voleva sapere. Quella donna, chiunque fosse stata, non amava quel miracolo che aveva messo al mondo e questo le bastava per detestarla.
-Sai come si chiama?- occhi neri, ammalianti, si posarono su di lei. Un sorriso, leggero ma autentico –Kobi. Il suo nome è Kobi Alexander-Ace.-
Altre lacrime. Una curiosità. La donna dai ricci capelli capiva il perché dei due ultimi nomi. Alexander era il nome completo di Sabo ed Ace… beh, Ace era Ace. Ma Kobi…?-
Come a leggerle nel pensiero, Rufy spiegò la sua scelta.
-Kobi fa parte della Marina. È stato promosso a Viceammiraglio. Quando l’ho conosciuto per la prima volta era un ragazzino impacciato che faceva il mozzo su di una nave di pirati. Non voleva quello dalla vita, ma aveva troppa paura per ribellarsi. Io l’ho aiutato, con il mio modo di fare da diciassettenne- una lieve risata –alla fine ha intrapreso la sua strada di recluta, con un altro ragazzo biondo, di nome Helmeppo… sono cresciuti e hanno realizzato il loro sogno. Kobi, nonostante faccia parte della Marina, mi ha sempre considerato un suo amico e… beh, dice di essermi grato per tutto. Quando è nato mio figlio, il Governo voleva vederci chiaro, perché a quanto pare gl’era giunta la voce che esistesse un mio erede. Delle flotte della Marina ci inseguivano già un’ora dopo la sua nascita… Ma Kobi intervenne subito, coprendomi e facendo sapere che non c’era nulla di vero. Così… ho deciso di chiamare il mio bambino come lui. Quando l’ha saputo non la smetteva di piangere e di abbracciarmi.-
Dadan sorrise. Osservava quella piccolissima creatura dai capelli color dell’ebano come quelli del padre. Dormiva, ignaro di tutto.
-Ho paura Dadan- disse ad un tratto Rufy, la voce rotta. –Ho paura che me lo portino via…- una lacrima, l’ennesima, bagnò il visino di Kobi, che con un tremito, parve comprendere la tristezza del suo papà.
E ancora lacrime, ancora e ancora continuavano ad uscire dagl’occhi della donna, il suo cuore era come distrutto.
Il bussare della porta e l’apparizione di Dogura e Magura non servì a rompere l’atmosfera. Entrarono in punta di piedi, vagamente consapevoli della situazione. Tra le mani, una coperta e un pigiama caldi. Li posero e si sedettero a loro volta.
-Cambiati, Rufy, o prenderai freddo- consigliò amorevolmente Magura
Il Re dei Pirati sciolse l’abbraccio con Dadan e le porse Kobi. L’emozione che provò in quel momento fu come ritrovare qualcosa di scomparso da anni; riprovò il sentimento materno che aveva sempre avuto e che credeva di aver completamente rimosso. Fece come gl’era stato detto, Rufy si cambiò sotto il timido silenzio e le guance imporporate dei presenti. Era molto cambiato. Era diventato adulto, aveva un corpo incantevole e movimenti felini. Porse i suoi eleganti abiti bagnati a Dogura, sorridendogli, mentre quest’ultimo, ancora lievemente imbarazzato li prese e li posò su una sedia a lato della stanza, nella speranza si asciugassero in fretta. Lo stesso fece Dadan con il piccino: nonostante il padre avesse cercato di proteggerlo il più possibile dalla violenta pioggia, un po’ si era bagnato anche lui. Gli tolse il panno e la tutina che indossava e ne prese una asciutta dal cassetto della biancheria. Era quella che aveva conservato, quella di Ace. Una volta pronto, porse nuovamente il bambino, che continuava a dormire, a Rufy.
-Non so cosa fare. Non ne ho la più pallida idea, ragazzi- mormorò, con voce quasi impercettibilmente, udita però dai presenti.
Era la verità. Non sapeva proprio cosa sarebbe potuto accadere. Kobi era il figlio del Re dei Pirati, nelle sue vene scorreva il sangue del re rivoluzionario. Se il Governo fosse venuto a sapere anche solo della sua esistenza, non avrebbe esitato un attimo ad ordinare un Buster Call in qualsiasi luogo egli si fosse trovato, infischiandosene del fatto che era solo un indifeso cucciolo. Non poteva permetterlo Rufy, non potevano permetterlo Zoro, Sanji, Chopper, Nami, Franky, Usopp, Brook, Robin, tutto il resto della ciurma… Jinbe, Joe, Cassidy, Zaiwan e tutti gl’altri. Sabo, Dragon, Shanks, Hancock, Trafalgar Law, Bibi, Kobi, Helmeppo e Garp. Tutte queste persone sapevano del bambino, ma nessuno parlava. Dovevano difenderlo per il suo bene. C’era solo una cosa che poteva fare... anche se…
-I genitori… non sono quelli che mettono al mondo un bambino, ma quelli che lo crescono. Io… vorrei portarlo con me ovunque… vorrei stare sempre con lui e vorrei vederlo crescere. Sentire le sue prime parole, aiutarlo a fare i primi passi e… sì, tutte quelle cose normali che si danno per scontate. Vorrei così tanto poter… essere suo padre- un singhiozzo e una carezza sul delicato viso –ma… mi rendo conto che… stando con me… che futuro potrà mai avere? Dove lo potrò mai portare, realisticamente parlando? Dove? Ad Impel Down?- rise nervosamente.
Dadan lo fissò, consapevole ed inespressiva. Dogura e Magura, non osarono sollevare il volto.
-Ragazzi… dovere credermi… la sua nascita è stata inaspettata, è vero. La madre… non so cosa mi aspettassi davvero da lei. Non vi dirò  chi è perché non voglio ricordarmela. Ha cercato di abortire più volte quando ha saputo di aspettare un bambino da me, dal Demonio… non mangiava per farlo morire di fame e tirava dei pugni sulla pancia sperando di ucciderlo. Io… credevo fosse diversa, ma si è rivelata per quello che è realmente. Quando sen’è andata, non le è corsa dietro nessuno. Ho lottato con tutto me stesso per salvarlo e per tenerlo con me. Ora però… mi chiedo se sia stata la scelta giusta…-

Uno schiaffo.

-Che cazzo dici?! Come sarebbe a dire che non sai se è la scelta giusta?! Non lo puoi tenere con te quindi preferiresti che non fosse mai nato?!- alterata, la donna dai rossi capelli lo fissò furente
-Cosa? Ma no, Dadan io non in…-
-Taci. So cosa intendevi. Non hai sbagliato nulla Rufy- riprese con tono quieto –hai salvato la vita di questa creatura perché lo ami. E questo non è sbagliato, credimi-
Rufy sospirò.
-Dormi, coraggio. Sarai certamente stanco… riposatevi, tu e Kobi. Io e questi due disperati veglieremo sul vostro sonno.- commentò poi Dadan, osservando sorridendo il Re dei Pirati stendersi di lato, abbracciando il fagottino accanto a lui. Lo guardò per un fugace attimo, prima di posare un delicatissimo bacio sulle labbra del piccino.
-Buonanotte ragazzi…- mormorò poi
-Buonanotte a te, Rufy-
 
Custodiva nella sua criptica memoria quel ricordo, Dadan. Ricordava quella notte nei minimi particolari, battuta per battuta, lacrima per lacrima. Ricordava anche il giorno successivo, di come Rufy fosse dovuto tornare dalla sua ciurma situata un po’ più a largo dell’isola di Down, per non far sapere a nessuno della loro presenza. Il Re dei Pirati, per non farsi notare era arrivato scortato dal sottomarino dei pirati Heart. Ricorda della decisione presa dalla Dadan’s Family e dai Banditi della Montagna e persino da Makino. Decisero di tenere con loro il piccolo Kobi. Era la scelta giusta. Ricordava delle lacrime, delle infinite lacrime versate da Rufy, nel doversi separarsi da suo figlio, dal suo sangue. Ricordava di come lo stringesse protettivo al suo petto, dei baci che gli posava sulla fronte, sulle labbra e sulle guance; di come gli diceva che lo amava più di qualsiasi altra cosa. Di come glielo avesse poggiato delicatamente fra le braccia e di come se ne fosse andato, singhiozzando, scortato da alcuni abitanti del villaggio.

Erano passati altri anni, diciassette. Il tempo sfuggiva come sabbia tra le mani.
Kobi era cresciuto. Era un ragazzo meraviglioso; educato, responsabile, tranquillo e dalla bellezza selvatica del padre. Sapeva di essere il figlio di Cappello di paglia dall’età di sei anni… e ne era entusiasta. Sosteneva tutto ciò che aveva fatto e non si era mai sentito abbandonato da lui. Sapeva che suo padre lo amava ed era proprio per questo sentimento che aveva dovuto lasciarlo alla Dadan’s Family. Lo aveva incontrato anche il mese prima, erano stati assieme sulla sua nave per due settimane. Alle volte invece, si incontravano nella casetta sul Monte Corbo. Kobi adorava suo padre e Rufy adorava suo figlio. Dadan non poteva essere più felice. Si alzò dalla sedia facendo ricadere a terra la bottiglia vuota, stanca ma serena. Al di fuori, pioveva ancora, con intensità minore. Si avviò cauta nella sua stanza da letto,  zoppa e con il respiro pesante. Si stese e chiuse gl’occhi. Quegl’occhi che tante ne avevano viste, quegl’occhi che avevano amato, odiato, accettato, mentito. I capelli grigi e annodati  ricadevano sul cuscino, sfiniti anche loro. Era davvero esausta. Il suo corpo si rilassava, era leggero. La mente scollegata. Sentì impercettibilmente qualcuno entrare nella piccola camera. Tutto era ovattato attorno a lei… mani, da prima delicate, in seguito sempre più pressanti scuotevano le sue spalle. Una voce gentile, poi spaventata, chiamava il suo nome. Altri passi, altre voci, allarmate. Si sentiva sempre più distante da quel luogo, Dadan. Si sentiva leggera e contenta. Si sentiva energica come da giovane, vedeva tutto. Vedeva le lacrime della sua famiglia, che l’avevano sempre accettata, nel bene e nel male. Le lacrime del suo Kobi e di tutti gl’abitanti del villaggio, giunti in seguito.
Sorrideva, Dadan, orgogliosa della sua vita. Aveva vissuto. Aveva partecipato, per un lasso di tempo breve, fugace, all’esistenza di quel mondo. C’era stata, aveva lasciato in piccolo il suo segno. L’avrebbero ricordata, l’avrebbero continuata ad amare.

-Riposa in pace - sussurrò Kobi, carezzandole il rugoso volto.
-Proteggici da lassù e non smettere mai di guardarci. Buonanotte, mamma-

Si alzò mestamente, una telefonata al padre e acuta disperazione.


Lacrime, sorrisi e consapevolezze nei cuori, mentre il cielo si tingeva di mille sfumature rossastre.
 

 



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Ebbene, signore e signori, ragazze e ragazzi, fanciulle e fringuelli, eccoci qui. Dunque, come vi è sembrata? Spero tanto che vi sia piaciuta. Come detto ad inizio del capitolo, Dadan è un personaggio relativamente marginale, ma dal mio punto di vista è importante… si è occupata di crescere tre marmocchi pestiferi (a modo suo, ma l’ha fatto)… con questa Fanfiction, che come avrete capito è avanti nel tempo rispetto la serie (ma va’?) ho semplicemente voluto esprimere Dadan dal punto di vista della vecchiaia, in forma di ricordi. L’ho pure fatta morire. E m’è dispiaciuto, tanto tanto. T.T
È un personaggio un po’ complesso, questa donna. Ho dovuto studiare per bene, quel poco che sappiamo di lei. Ho cercato di renderla più IC possibile… spero di esserci riuscita, ecco ^^
Vi sarei molto, molto grata se mi faceste sapere!

Un bacio,
Proxy.

N.d.P: l’abito bianco di Rufy è lo stesso tailleur pantalone della mia altra Fanfic, “Clockwork”. Non sapevo come altro vestirlo xD.
  
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