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Autore: _Woodhouse_    22/08/2014    6 recensioni
❝Lo osservò dormire, sfiorando di tanto in tanto le linee insidiose delle sue costole, incastrata negli occhi di un altro, nel ricordo del suo respiro, affogata, vittima masochista del piacere che le procurava il ricordo della tensione che si librava fra i loro corpi e della complicità che aveva avvertito, mentendo insieme a lui, due volte e senza ragioni.❞
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate, Triangolo | Contesto: Contesto generale/vago
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Capitolo 8.


 
 
Quella stessa sera, dopo aver mostrato le foto della giornata al fratello maggiore, Robb chiamò Spencer e Tracy, una coppia d’amici del posto.
Con loro aveva trascorso gli anni del liceo, e con Tracy aveva addirittura avuto una storia, ma niente di veramente importante considerato che in seguito alla rottura, Robb la spinse tra le bracciadell’amico Spencer.
In tutto ciò nessuno dei tre si era mai fatto cruccio del passato e adesso, dopo quasi nove anni, Tracy e Spencer erano praticamente una coppia secolare, di quelle che almeno in apparenza apparivano indistruttibili.
Robb desiderava vederli e presentar loro Josephine. Quella sera organizzò tutto.
Tracy aveva proposto un picnic sul lago e Josephine, sporta verso la cornetta, aveva acconsentito animosamente e così pure Robb.
Stabilito un itinerario, Robb telefonò anche a Roahd e Sierra Cohen, i gemelli Cohen, anche loro vecchi amici di liceo con cui aveva mantenuto rapporti assidui nonostante il suo trasferimento a Londra.
Entrambi furono contenti del suo ritorno dal Vietnam e accettarono senza indugi la proposta di Robb. L’intera comitiva si sarebbe incontrata quel venerdì, dopo soli due giorni. Robb ne era entusiasta. Voleva mostrarla, la sua Jo.
Voleva che tutti sapessero, che tutti l’associassero a lui.
L’idea della gita mise Josephine di buon umore e quella sera gli promise una notte indimenticabile.
James invece preferì tornare al suo appartamento in centro. Li avvertì solo quando fu alla porta col piccolo borsone che aveva portato con sé al suo arrivo. Josephine lo salutò di malavoglia, ma notevolmente sollevata, mentre Robb lo mandò al diavolo, definendolo un asociale scostante. Erano le undici di sera e i signori Draper non erano ancora rincasati. Quando James si chiuse la porta alle spalle, Robb, che nella sua testa rimescolava da ore le promesse lascive di Josephine, non perse tempo e se la caricò sulle spalle.
– Mettimi giù! – Gli urlò contro lei, poi gli morse una spalla ed ottenne soltanto il sapore amaro del cotone sulla lingua, perché lui parve non sentire nulla. Ed in fondo andava più che bene così.
Robb la trasportò su per le scale per poi sfrecciare lungo il corridoio, come se lei non costituisse nessun rallentamento, come se stesse sollevando una piuma. Josephine sentì una familiare adrenalina attraversarle lo sterno e il ventre, ogni fibra del suo corpo era in stato d’allerta, agognante di quel contatto che sarebbe di lì a poco avvenuto.
Ed avvenne.
Robb la gettò di peso sul letto e senza smettere di spogliarla con il solo sguardo, chiuse la porta dietro sé, con un calcio ben assestato. Si avvicinò al letto e finalmente la sovrastò. I loro corpi, premuti e costretti in quell’incastro di clavicole e seni e addome, si fecero bramosi. Le loro bocche sembravano lottare per catturarsi in una morsa che fosse definitiva. Si spogliarono con foga, come se i vestiti fossero incandescenti. Una scintilla di malizia feroce attraversò lo sguardo diRobb quando la vide completamente nuda sotto di sé, dopodiché non ci fu più niente. Niente che non fosse la pelle di lei.
Jo sorrise, ansante, di un sorriso che le lasciò sulle labbra una scia amara.
Perché?
Ma era una domanda talmente muta che nemmeno lei riuscì a sentirla perfettamente.
 
 
***

 
 
Quella notte, dopo aver disfatto ogni scorcio di quel letto e aver osservato Robb sprofondare nel sonno, Josephine si avvolse il lenzuolo intorno al corpo, si avvicinò alla porta finestra che dava sul balcone e la spalancò.
Era una notte di luglio, ma tirava un vento fresco che le sfiorò subito la schiena nuda. Josephine rabbrividì e rimase ferma, lo sguardo perso nel cielo nero, le mani attorno ad un lembo di lenzuolo stretto sui seni.
Sentiva il bisogno di piangere, ma non riusciva a capirne il motivo. Aveva sentito questo bisogno tutta la notte, proprio mentre lei e Robb stavano facendo l’amore. Quel pensiero le fece ancora più male e dovette lottare contro il pizzicore che cominciava ad investirle gli occhi.
Non voleva piangere perché piangere avrebbe reso quel dolore assurdo, reale. Non voleva piangere perché piangere significava purificarsi, e lei non voleva, non voleva far sembrare quella notte una macchia da lavare via.
E allora perché quell’asfissia che le assottigliava la gola e le scavava un buco nero e immenso nel petto?

Jo chiuse gli occhi, trattenne quelle lacrime e rientrò in camera. Si condusse lentamente verso la scrivania di Robb, divincolò le caviglie dalla coda del lenzuolo e si sedé davanti al desktop nero del Mac. Passò un dito sul cursore e decise di passare in rassegna le foto di quella giornata.
Voleva distrarsi, schiacciare i suoi pensieri. Jo notò che Robb aveva già rinominato tutti i files e li scorse con lo sguardo.
Quando in lista vide scritto “L’idillio” immaginò si trattasse di una foto di lei e Robb, e allora l’aprì e solo in quel momento si rese conto del sorprendente sarcasmo di Robb.
Nella foto erano rappresentati, in una disarmonia che faceva disgusto, lei e James.
Improvvisamente ricordò quel momento.
Quello in cui lo scacco matto e la faccia impossibile, feroce ed incredula di James le avevano regalato un minuscolo momento di godimento privato.
Al cospetto della foto, Jo si rese conto di non essere affatto riuscita a trattenere quel sorriso che era sicura di aver ben dissimulato. “L’idillio”. Quasi le venne da ridere, ma non lo fece, non riuscì più a farlo quando si accorse pienamente delle dinamiche di quella foto.
Lei e James, a guardarli attentamente, non erano loro, non davvero.
Sembravano due corpi sospinti l’uno verso l’altro come barche in balia della marea, barche senza timone che confluivano al centro dell’oceano, prua contro prua. Le braccia, le mani così vicine, le pelli di una tonalità così simile, il blu che li fasciava e poi annodava in un laccio invisibile, che a sforzarsi lo si sarebbe potuto vedere – e lei lo vide. Gli occhi di lui sulle labbra di lei seguivano l’orma del sole, anch’essa spiaggiata su di esse. Il disprezzo e lo scherno, in tutto quel continente di colori e linee, confinavano realmente, paradossalmente e brutalmente nell’idillio.
Eppure continuava ad esserci qualcosa, qualcosa che non cessava di screziare l’idillio trasparente. C’era qualcosa di crudelmente più concreto.
In quella foto non c’erano semplicemente lui e lei. Non c’erano semplicemente Josephine Fray e James Draper.
In quella foto c’erano il fascino spietato e poi un’ombra, nient’altro che un’ombra.
 
Josephine sentì il bisogno di tirarsi su e di uscire da quella stanza che ormai non odorava nemmeno più di sesso. Sentì un fastidio profondo, un’inquietudine che non riusciva a placare nemmeno trascinandosi su e giù per la stanza.
Senza nemmeno preoccuparsi di mettere qualcosa addosso, sicura com’era che tutti dormissero – erano ormai le tre di notte- si allontanò da quel nido, da quell’alcova e da quel computer. Si mosse per il corridoio buio, mollemente, attenta a non inciampare sui lembi del lenzuolo. Non si preoccupò nemmeno di accendere la luce, quella della luna che filtrava dalle finestre le era sufficiente. Ma non quanto aveva creduto.
Non se ne accorse nemmeno, non lo vide fino a quando non furono faccia a faccia, illuminati e resi visibili dal bagliore lunare.
Jo ebbe un sussulto dovuto alla paura e a qualcos’altro che in quel momento non seppe definire.
James non sembrava per niente scosso, quasi come se si aspettasse di trovarsela davanti.
Sapeva di dover dire qualcosa, di dover articolare un misero suono; anche un cenno sarebbe bastato. Artigliò ancor più strenuamente il lembo di lenzuolo che stringeva sul petto, perché si sentiva nuda, indecente, vulnerabile sotto quello sguardo così perfetto, così denso e diverso. Leggermente diverso da quello di sempre. Dentro vi scorse un’intensità che la rese sua vittima. La pelle, la barba appena accennata, visibile solo perché trafitta dai raggi di luna, quel petto che sembrava più spazioso. Fece un passo. Solo uno e si immobilizzò.
Voleva toccarlo.

***

Non riusciva a spiegarsi razionalmente quel momento, quello sconquassamento che lo colpì al centro dello stomaco.
Non si sarebbe mai aspettato di trovarla lì, sul pianerottolo, avvolta in un lenzuolo.
Quando era corso in auto per tornare alla villa - essendosi ricordato nel cuore del sonno della cartella coi resoconti che avrebbe dovuto presentare alla riunione del giorno dopo - James non avrebbe mai pensato di potersi trovare in quella situazione e in quelle condizioni.
Era come se quella di fronte a lui non fosse Josephine, ma una sconosciuta che in qualche modo le assomigliava.
Fu colto da quella stessa sensazione del pomeriggio, la stessa di quando l’aveva trovata sdraiata sul letto in quel modo che non credeva le appartenesse.

In quel modo così sinuoso, così sensuale.

La squadrò, muto. Gli occhi di lei fecero lo stesso. Quegli stessi occhi che non riusciva a sopportare, in quel momento erano, sì, ancora intrappolati in un velo lugubre, ma più liquidi, densi di una malia ipnotica, struggenti. Se avesse dovuto associarli a qualcosa, James li avrebbe associati alla morte.
Come la morte, quegli occhi non gli lasciavano vie di fuga, inghiottendolo.


 
– Josephine, – mormorò ipnotizzato.
– J-James. – La voce di lei non era che un sussurro.
 
Non riuscirono a dire altro. Sentivano solo il bisogno di guardarsi e di non sprecare quegli istanti così alieni da ogni altra cosa del mondo.
Entrambi pensarono a quella foto e si pensarono barche anche in quel momento.
Entrambi pregarono che quel momento non finisse, che quel contatto fatto di niente non cessasse.
Ma Josephine si mosse, rinsavì per prima da quella dimensione che li aveva intrappolati.
Neanche in quel momento riuscì a dire nulla, né un’espressione la scalfì. A James parve marmorea, granitica.
Non sapeva che chaos la stesse tramortendo in quel momento; un chaos che lei non riuscì a sostenere oltre, ritrovandosi così ad indietreggiare, per poivoltarsi spezzando definitivamente quel contatto visivo.
Si trascinò lontano da lui, lasciandosi seguire dallo strascico del lenzuolo e sentendo sulla schiena, in un punto in mezzo alle scapole, l’intensità del suo sguardo.
   
 
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