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Autore: Laylath    23/08/2014    1 recensioni
(spin off di Un anno per crescere)
Le loro vite sembravano così tranquille e delineate, i piccoli grandi problemi dell'adolescenza che si accompagnavano al clima tiepido di quella fine d'estate. Rientrando a scuola nessuno pensava che i loro destini si sarebbero intrecciati in maniera indissolubile e che gioie e dolori li avrebbero accompagnati nel difficile percorso della vita.
E dopo i Falman ecco le vicende dei genitori di Kain e di quelli di Heymans.
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Heymas Breda, Jean Havoc, Kain Fury, Nuovo personaggio
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Un anno per crescere'
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Capitolo I

1879. Il principe ed il soldato.



Annabell aveva sempre definito Ellie un animo romantico ed era vero.
Altri, meno gentilmente, la definivano come una ragazza con la testa un po’ tra le nuvole e nemmeno loro cadevano troppo in errore.
Rispetto al resto delle sue coetanee, infatti, lei passava gran parte del suo tempo a fantasticare.
A volte rimaneva sdraiata nel suo letto, o su un prato, e sognava ad occhi aperti fino a quando qualcuno non veniva a chiamarla, immaginandosi mondi incantati dove vivere meravigliose avventure.
Amava scrivere, leggere, inventare storie: si innamorava di dettagli del mondo che la circondava che altri non avrebbero mai considerato.
Per esempio: quale delle sue compagne di classe sarebbe rimasta ore ed ore ad osservare i riflessi dell’acqua sullo stagno, immaginando che dietro quei giochi di luce ci fossero magici incantesimi fatti da miliardi di piccoli spiritelli dell’acqua? E ovviamente quegli spiritelli avevano una regina…
“… la saggia regina Ofelia vive nelle profondità dello stagno, in un castello così piccolo che nessun occhio umano potrebbe mai vederlo…”
“Oh, finiscila, Annabell! – arrossì Ellie, coprendo con le braccia il quaderno – Sei la solita indiscreta!”
“Un’altra delle tue storie fantastiche? Dovresti fare la scrittrice da grande, ma ti consiglio di tenere ben custoditi i tuoi quaderni: se li trova uno dei ragazzi è la tua fine.”
La bruna arrossì ancora di più nel constatare che la sua amica aveva ragione, ma non aveva resistito alla tentazione. In genere scatenava il suo estro il pomeriggio, dopo che aveva terminato di studiare, oppure dopo cena. Tuttavia quella storia la stava catturando così tanto che non aveva resistito alla tentazione e l’aveva portata a scuola per poterla continuare durante l’intervallo.
“Non sono così brava – scosse il capo, facendo scivolare sulla spalle una delle trecce – se leggessi qualche romanzo, oltre i libri di scuola, vedresti l’abisso di differenza.”
“Se ci fosse un tuo romanzo al negozio di libri lo comprerei di certo.”
“Annabell – dichiarò Ellie, chiudendo il quaderno – tu, se avessi soldi da spendere, in libreria non ci metteresti nemmeno piede. Andresti subito a comprarti fazzolettini ricamati, nastri, caramelle o chissà che altro. Ti conosco bene.”
“Per te farei un’eccezione – annuì l’altra senza troppa vergogna – Ma veniamo a problemi più seri: hai fatto gli esercizi di analisi logica?”
“Certamente.”
“Mi faresti dare un’occhiata? – supplicò, mettendosi addirittura a mani giunte – Dopo l’intervallo sono sicura che mi chiamerà alla lavagna e temo che diverse frasi siano sbagliate.”
“Va bene – sospirò Ellie, frugando sotto il banco per recuperare il quaderno – ma non ti garantisco che siano giusti.”
“Forse per matematica avrei qualche dubbio nel chiedere a te, ma per le materie letterarie sei la migliore. Grazie mille: ti prometto che domani porto un pacchetto di caramelle alla frutta e ce lo dividiamo durante l’intervallo.”
“Questo si chiama ragionare – sorrise lei – mi raccomando, quelle con lo zucchero sopra.”
“Affare fatto. Uh, la campana… meglio che mi dia una mossa!”
“Poi ripassami il quaderno, se il professore ci becca saranno guai.”
Fortunatamente i loro passaggi di compiti erano rapidi e forti di anni di esperienza: Annabell fu velocissima a controllare gli esercizi e fare le dovute correzioni ed il quaderno tornò nel banco di Ellie giusto cinque secondi prima che il professore facesse il suo ingresso in classe.
E dopo un quarto d’ora di lezione decise di interrogare e chiamò alla lavagna proprio la ragazza dai capelli color grano.
Ellie aveva sempre sostenuto che Annabell avesse il potere magico della preveggenza: ogni volta che sentiva di essere interrogata, puntualmente succedeva. Mentre la guardava correggere le frasi alla lavagna, la ragazza si immaginò che accanto alla sua amica ci fosse una sfera di cristallo, dove vorticavano miliardi di informazioni, parole magiche, stelle, nuvole.
Se avessi una sfera di cristallo per prima cosa scoprirei quando questo corpo si deciderà a crescere un minimo.
Già, era novembre e ancora non c’era stato un sensibile cambiamento nella sua persona. Vedeva che tutte le sue compagne in qualche modo stavano crescendo, mentre lei sembrava ancora una bambina di prima media: era vero che era la più giovane della classe, l’ultima che doveva compiere i tredici anni, ma la situazione le sembrava profondamente ingiusta.
Questo contribuiva a farla sentire in parte delusa da quelle decantate scuole superiori: le aveva aspettate tanto, come se fossero una soglia decisiva della sua vita, ma oggettivamente…
Ci troviamo solo in un’ala diversa dell’edificio scolastico ed i banchi sono leggermente più grandi. Per il resto ci sono solo materie in più e nuovi docenti a spiegarcele: mi sembra tutto uguale a quando siamo passati dalle scuole elementari alle medie.
Quanto al famoso guardarsi attorno… ad inizio anno era partita con i migliori propositi, pronta a dimostrare che almeno in quello era cresciuta, ma non era facile. Non era una cosa che funzionava a comando come si era illusa: purtroppo scrivere e fantasticare continuava ad essere molto più interessante, al contrario di quanto succedeva per le altre. Qualche volta Annabell cercava di coinvolgerla in qualche caccia segreta ai ragazzi di seconda e terza (i loro compagni erano quasi da escludere: li conoscevano sin dalle elementari e dunque non andavano bene), ma non ci aveva trovato niente di eccezionale.
Erano semplicemente ragazzi, tutto qui: durante l’intervallo giocavano a palla o a qualche altra cosa di esuberante, a volte litigavano. Ma non c’era nessuna grande magia in loro.
Era tutto estremamente normale.
Ma quella nuvola non è normale – pensò sbirciando fuori dalla finestra – ha la forma di un bellissimo cigno. Chissà, forse è un principe che, colpito da un maleficio, fugge alla ricerca di…
“Signorina Lyod!”
“Uh? Sì, professore?” esclamò, alzandosi in piedi di scatto, tanto che la sua penna cadde a terra e fu costretta a raccoglierla con aria lievemente imbarazzata.
“Torna tra di noi, Ellie: ti ho chiesto se andavi in quinta superiore a recuperare i compiti in classe; ho concesso loro, in accordo con il docente di storia, di continuare anche per mezz’ora dopo l’intervallo.”
“Vado subito, signore.”
Uscì dalla fila dei banchi e si diresse verso la porta, scambiando una lieve occhiata con Annabell che, dalla lavagna, la osservava divertita. Come mise una mano sulla maniglia, la voce del professore la richiamo.
“Ah, Ellie…”
“Sì?”
“Segui il corridoio di noi comuni mortali e non quello del regno delle fate: vorrei avere i compiti qui tra due minuti e non scoprire che qualche drago li ha rubati assieme a te.”
A quella battuta, che ovviamente aveva suscitato le risate divertite dei suoi compagni, Ellie arrossì come mai le era capitato e desiderò che una voragine si aprisse sotto di lei per ingoiarla.
“Non si preoccupi, professore.” si costrinse a dire.
Sei un orribile e crudele orco!
Perdersi nei corridoi, ma quando mai! Aveva anche la testa tra le nuvole, ma se le davano un incarico lei era sempre puntuale nell’eseguirlo. Queste prese in giro se le poteva risparmiare, dopotutto era un professore e si presumeva un minimo di maturità da parte sua. E come se non bastasse era il docente di lettere, la materia che adorava di più sin dalle elementari… eppure era una persona così orribile che a volte temeva di perdere tutto l’amore che nutriva per la parola scritta.
Arrivò davanti alla porta della classe di quinta superiore e lì tutta la sua irritazione svanì. Si concesse un attimo per respirare profondamente e recuperare la calma: era sempre imbarazzante avere a che fare con ragazzi così grandi che, magari, si chiedevano che ci facesse una così piccola nella loro classe.
Tirando il fiato e raddrizzando la schiena bussò.
“Scusate il disturbo – disse con voce educata, tenendo lo sguardo sul docente – mi manda il professore di lettere a recuperare i compiti in classe.”
“Certamente, Ellie  – annuì l’uomo – sentito ragazzi? Quelli delle ultime file passino il compito a quelli avanti e poi fila centrale e di sinistra li passino ad Andrew.”
Mentre sentiva un rumore di fogli accompagnato dal mormorio della classe, il professore le fece un cenno positivo.
“Ne approfitto per congratularmi con te, signorina: stavo iniziando a correggere le relazioni di storia di voi di prima e la tua è veramente eccellente.”
“La ringrazio, signore.” arrossì lei con un sorriso: in quella relazione ci aveva messo notevole impegno, standoci per ben tre giorni di fila. Sapere di aver fatto un buon lavoro era davvero gratificante.
Ecco, questo sì che è un vero professore.
“Ecco i compiti.” disse una voce vicino a lei.
Ellie si girò verso il ragazzo del primo banco, pronta a recuperare la risma di fogli e…
Aveva il sorriso più bello del mondo, così dolce e maturo, e si rifletteva nello sguardo limpido. Gli occhi erano castani, con delle meravigliose sfumature d’autunno che solo lei era capace di vedere, ed erano così gentili, capaci di farla sentire in paradiso. In tutta la sua vita Ellie non si era mai persa in uno sguardo come in quel momento: la sua sfrenata fantasia aveva appena stabilito che quello era sicuramente un principe. Certamente, solo un principe poteva avere degli occhi capaci di incantarla in quel modo.
Tutto questo le passò nella mente nell’arco di due secondi netti.
Riuscì ad allungare la mano per prendere quei fogli che adesso erano davvero speciali.
 “G…grazie.” riuscì a dire, sperando di non arrossire troppo.
Lui le rispose con un cenno del capo ed un lieve accentuarsi del suo sorriso.
E a quel punto Ellie dovette usare tutto il suo autocontrollo per salutare il professore ed uscire dalla classe senza voltarsi a riguardarlo.
Come chiuse la porta si posò contro la parete e trasse un profondo sospiro.
Non si sarebbe persa nel corridoio della fantasia, no di certo: quello che stava percorrendo per tornare in classe era fatto di nuvole.
 
“Finalmente è arrivato il grande giorno – esclamò Laura qualche ora dopo – tra nemmeno cinque ore Henry sarà qui, non sto più nella pelle! Persino quell’odioso compito di lettere mi è parso facile.”
“Udite, udite! – esclamò Andrew, mentre si avviavano verso casa – Sei sicura di non avere la febbre? E’ un’affermazione molto grave da parte tua.”
“Dispettoso!” lei gli fece una linguaccia.
“Se fossi dispettoso non ti presterei i miei appunti per ripassare, quindi piano con le accuse.”
“Vediamo se farai ancora lo sbruffone con il mio fratellone a difendermi. Gli dirò che per tutto questo tempo che non c’era tu sei stato presuntuoso e antipatico con la sottoscritta.”
“Ma quanto puoi essere infantile? – Andrew si unì alla risata dell’amica – Non capisco perché non sei in classe con quella ragazzina che è venuta a ritirare i compiti.”
“Mi fanno troppa tenerezza i piccoletti di prima superiore, questa poi sembrava delle medie. Hai visto come teneva lo sguardo basso e come è arrossita quando le hai rivolto la parola? Credono sempre che li dobbiamo mangiare o chissà che altro…”
“Siamo così spaventosi?”
“Mah, chissà. Allora, il treno arriva alle quattro: l’appuntamento è alle tre e mezza davanti a casa mia, va bene? Puntualità, mi raccomando.”
“Sono sempre puntuale, lo sai – Andrew iniziò a salire i gradini dell’ingresso di casa – Buon pranzo.”
“Anche a te!” salutò lei, proseguendo per la strada.
Aspettò che la ragazza girasse dalla strada principale prima di terminare i pochi gradini che portavano al portone di casa sua, una delle più importanti di tutto il paese con i semipilastri che circondavano i due pannelli di pregiato legno. La famiglia di suo padre era sempre stata agiata e questa casa era loro da quando era stata costruita, tre generazioni prima.
“Sono tornato.” salutò, entrando.
“Bentornato Andy – immediatamente sua madre comparve all’ingresso e gli andò incontro, dandogli un bacio sulla guancia – tutto bene a scuola?”
“Certo, mamma – sorrise lui, ricambiando il gesto – tutto bene come sempre.”
“Tuo padre ha detto che voleva parlarti. Io adesso vado a controllare la cuoca, il pranzo è quasi pronto.”
“Va bene, io vado nello studio di papà e poi salgo in camera.”
“Scendi tra venti minuti, mi raccomando.”
Annuendo il giovane oltrepassò l’ampio salotto e bussò alla porta di legno che divideva la casa dallo studio di suo padre. Attese di sentire “l’avanti” ed entrò.
Andrew sapeva che la sua casa era elegante, anche rispetto alle altre famiglie agiate del paese, ma riteneva che lo studio del padre fosse un ambiente maestoso ed in qualche modo distaccato dal resto delle stanze che risentivano del raffinato e delicato gusto materno. Sin da bambino quello studio aveva suscitato in lui una sola parola: imponenza. Era come se tutto il sapere giuridico di suo padre fosse espresso da quelle poltrone di velluto rosso davanti al camino, dalla grande scrivania di noce, dalle librerie che occupavano tutta una parete e che erano ricolme di grossi volumi, perfettamente allineati tra di loro.
Adesso che aveva sedici anni era ormai riuscito a venire a patti con quel posto, ma sino a poco tempo prima aveva sempre avuto un timore quasi reverenziale nell’entrare in quell’ambiente ovattato.
“Ciao papà.”
“Bentornato, Andy, tutto bene?”
“Tutto bene – annuì andando accanto al genitore, seduto alla grande scrivania – anche il compito di letteratura è filato liscio. Mamma ha detto che volevi vedermi.”
“Sì, figliolo – annuì il notaio Andrew Fury, alzando lo sguardo dai documenti che stava controllando. Si somigliavano molto, nonostante i capelli dell’uomo iniziassero ad ingrigire sulle tempie – volevo parlarti a proposito dell’Università di East City: è stata stabilita la data degli esami d’ammissione.”
“Davvero?” a quella rivelazione Andrew dovette trattenersi per non mostrare troppa apprensione.
“E’ arrivata stamattina – annuì il notaio, recuperando una lettera – assieme alle materie che dovranno essere presentate. Le date sono state anticipate a fine giugno: avrai quasi un mese in meno per preparati.”
Fu una dichiarazione fatta in tono neutrale, ma gli occhi castani dell’uomo fissarono con attenzione la reazione del suo unico figlio. Gli aveva dato il suo stesso nome, ma la strada che stava prendendo era completamente diversa dal futuro che aveva progettato per lui; ma nonostante tutto era pronto ad appoggiarlo in quella che era stata la sua decisione.
La notizia di avere un mese in meno di preparazione avrebbe gettato nel panico la maggior parte delle persone, del resto l’esame d’ammissione era veramente molto pesante e difficile.
Ma tutto quello che il ragazzo fece fu annuire con serietà e dire:
“Va bene, vorrà dire che studierò più intensamente nel periodo che ho a disposizione. Se posso avere la lettera, già da stasera cercherò di recuperare i testi che mi servono.”
“Se vuoi posso parlare con i tuoi docenti per consentirti di avere maggior tempo per la preparazione.”
“No – scosse il capo il giovane – non pretendo alcun favoritismo, papà. Voglio farcela con le mie forze: sono sicuro che se mi metto d’impegno non ci saranno problemi, fidati di me.”
“Mi fa piacere sentirtelo dire, sei proprio mio figlio.”
Andrew sorrise a quella dichiarazione: sì, decisamente lui e suo padre si assomigliavano molto di carattere, entrambi con quella determinata calma che contraddistingueva la sua famiglia da sempre.
“Però, per questo pomeriggio non voglio pensarci – dichiarò – torna Henry.”
“Ah, allora è oggi. Ne sono felice: invitalo a casa uno di questi giorni, sarò felice di rivederlo… e ovviamente porta anche la sua graziosa sorella.”
“Il grazioso folletto, vorrai dire.”.
A quella risposta suo padre gli lanciò un’occhiata curiosa, ma lui rispose con un sorriso: no, non c’era niente tra lui e Laura, se era questo che sospettava. Certo, gli Hevans erano una buona famiglia ed era sicuro che i suoi genitori avrebbero visto bene un eventuale fidanzamento con la ragazza.
Ma se Andrew aveva le idee chiare sulla sua futura carriera di ingegnere, sapeva altrettanto bene che non era Laura la ragazza destinata a stagli accanto in quel modo. Lei era l’amica, la sorella che avrebbe sempre protetto, ma non era quella che gli avrebbe fatto battere forte il cuore.
Solo quando fu salito in camera ed ebbe chiuso la porta alle sue spalle si arrischiò a guardare con attenzione il contenuto di quella lettera: molte materie se le era aspettate, ma altre erano una vera e propria sorpresa.
Fece un rapido calcolo del tempo che gli restava e capì che doveva mettersi sotto da subito: doveva sfruttare ogni momento libero persino a scuola.
“Andy, scendi per il pranzo.”
“Arrivo, mamma – annuì, ripiegando quei fogli – arrivo subito…”
Da domani… questo pomeriggio non voglio pensarci.
 
Alle quattro meno dieci i due sedicenni erano seduti sull’unica panchina che stava nella piccola stazione ferroviaria. Erano arrivati prima del previsto, in quanto Laura per l’ultimo tratto di strada aveva accelerato il passo fino a correre, non curandosi assolutamente di Andrew che le suggeriva di non andare così in fretta perché tanto il treno non sarebbe arrivato in anticipo per loro.
“Mancano ancora almeno cinque minuti, cerca di stare calma: il treno arriva.” disse proprio il giovane, sentendola sbuffare per la decima volta.
“Oh, Andrew, come puoi stare seduto così tranquillamente: è così tanto che manca da casa!” Laura si alzò di scatto e andò fino all’orlo della banchina per sbirciare lungo le rotaie. Non avendo visto niente in lontananza prese a camminare impazientemente in quei trenta metri di granito grigio che spuntavano come uno strano fiore in mezzo al verde della campagna
“Consumare la banchina non lo farà arrivare prima. Dai Laura, siediti accanto a me e calmati.”
Con uno sguardo rassegnato la ragazza eseguì l’ordine e si risedette, sistemandosi le pieghe della gonna.
“E così il mio destino è sempre aspettare dei treni…” mormorò dopo qualche secondo.
“Cioè?”
“Beh, andrai all’Università, no? Sarà come per Henry, dovrò sempre attendere che un treno vi riporti a casa, non lo trovo molto giusto.”
“Se verrò ammesso, è già stabilito che tornerò ogni due mesi. E lo sai bene e saranno solo tre anni: poi ho intenzione di tornare in paese. C’è bisogno di un ingegnere e sono tante le migliorie da fare a questo posto.”
“Lo so, ma questi tre anni saranno duri: anche Henry ripartirà e io sarò sola e abbandonata.”
“Ma finiscila, con tutte le amiche che hai. Ti porterò un regalo ogni volta che tornerò, va bene?”
“Così la cosa si fa interessante, Andy!”
“No, non chiamarmi così – arrossì lui – un conto è a casa, ma tu lo puoi ampiamente evitare. Andrew va benissimo e lo sai.”
Laura stava per stuzzicarlo ancora, ma proprio in quel momento un fischio in lontananza li avvisò che il treno stava arrivando. Con un sorriso la ragazza scattò in piedi, mentre la sua gonna si agitava per il vento.
“Eccolo! Eccolo! Ah, finalmente a casa!”
Anche Andrew si alzò, proprio mentre la locomotiva iniziava ad entrare nella loro visuale: dopo una ventina di secondi, con stanchi sbuffi, il treno entrò nella stazione. Ovviamente nel loro paese raramente arrivavano visitatori e dunque non si sorpresero quando, oltre al fattorino che consegnava al capostazione il sacco con la posta, l’unico a scendere dal treno fu un soldato.
“Sapevo che avrei trovato un folletto ad attendermi!” esclamò Henry, prima di essere investito da Laura che gli saltò letteralmente addosso. Senza alcuna difficoltà, dato che aveva lasciato cadere la sua sacca da militare a terra, la afferrò per la vita ed iniziò a farla volteggiare come una bambina, con lei che rideva deliziata.
“Fratellone, che gioia averti di nuovo qui!”
“Ah, follettino mio – rise Henry, mettendola a terra e dandole un bacio in fronte – fatti vedere: ma quanto sei cresciuta in sei mesi che non ti vedevo!”
“Dici? – arrossì lei, facendo una giravolta – ti piace la mia gonna? L’ho fatta io da sola!”
“Non avevo dubbi. Ma adesso lasciami salutare anche Andrew, altrimenti gli avrai fatto fare un viaggio inutile fino alla stazione. Come va, amico mio?”
“In forma come sempre – sorrise Andrew, stringendo con vigore la mano che gli veniva offerta. Ma passò solo qualche secondo prima che si scambiassero un abbraccio e una pacca sulle spalle – come te del resto.”
Ed era vero: Henry Hevans aveva quasi ventuno anni e sembrava nato per portare la divisa dell’esercito. La sua figura per quanto snella era ben piantata e sicura nei movimenti: aveva i capelli rossi leggermente più corti di quanto ricordasse, ma il carisma negli occhi grigi era sempre lo stesso.
“Andrew Fury, ma guardati – mormorò il caporale, squadrandolo con soddisfazione come se fosse una recluta di cui si è particolarmente orgogliosi – ho detto a Laura che è cresciuta tantissimo, ma anche tu non scherzi, vero?”
“Oh, ma lui è ormai un quasi universitario – si intromise Laura, prendendo per il braccio l’amico e fissandolo con aria maliziosa – quest’estate ha l’esame d’ammissione ad East City.”
“Davvero? Beh, allora ne avrete di cose da raccontarmi mentre torniamo in paese – Henry recuperò la sacca e se la mise in spalla, circondando poi con affetto la vita della sorella – prima di essere sequestrato da mamma e papà voglio sapere tutto da voi due.”
“Non siamo mica obbligati ad andare di corsa.” rise Laura, capendo il sottinteso.
Andrew sorrise nel vedere quell’affiatamento così forte. Era sempre stato così. Laura ed Henry: mai visti due fratelli così uniti, così pronti a capirsi e a sostenersi. A volte gli sembrava che a lui fosse stato concesso di essere ammesso in un circolo esclusivo.
Si completavano a vicenda: Henry era carismatico, protettivo, un vero leader ed era pazzo per la sua unica sorella, sin da quando erano piccoli. Forse era stato per quello che quando Laura aveva stretto amicizia con Andrew aveva voluto immediatamente conoscerlo: voleva essere sicuro che la sua sorellina frequentasse una persona giusta… e la conseguenza era che nell’arco di poco tempo si era formato quello strano terzetto che, fino a quando Henry aveva frequentato la scuola, era inseparabile.
Ma anche con separazioni di mesi o anni ogni volta che ci ritroviamo sembra che ci siamo lasciati da solo un giorno – pensò con soddisfazione Andrew – e questa è una di quelle cose destinate a durare per sempre, ne sono certo.
 
Il periodo più brutto che Laura aveva mai dovuto affrontare nella sua giovane vita era stato quando il fratello era partito per i due anni di Accademia. All’epoca lei aveva tredici anni e le era sembrato che la casa venisse privata di un elemento fondamentale, così come la sua stessa vita: non che fosse diventata all’improvviso triste o musona, ma non poter sentire la voce del fratello nella sua quotidianità era stato qualcosa di strano e destabilizzante. Le lettere tra di loro erano sempre state numerose, ma ovviamente la parola scritta non poteva compensare la risata sicura, gli occhi che la guardavano con affetto, le braccia forti che la sollevavano come un fuscello… non potevano compensare quel posto vuoto a tavola, proprio accanto a lei, il bacio della buonanotte, il modo con cui le ciocche dei suoi capelli veniva scherzosamente tirate.
Fu quindi naturale per lei sgusciare nella camera del fratello la sera tardi, quando finalmente i loro genitori erano andati a dormire.
“I piccoli folletti non sono a letto a quest’ora tarda?” chiese lui, intento a disfare il proprio bagaglio.
“Volevo stare da sola con te – ammise la ragazza con un lieve broncio, mentre si sedeva nel letto – prima eravamo con Andrew e poi mamma e papà non ti hanno lasciato un minuto. Tempo per noi due da soli proprio non ce n’è stato.”
“Abbiamo due mesi di tempo tutti per noi, sorellina. Non parto a tua insaputa, stai tranquilla.”
Il ragazzo sorrise e si sedette accanto a lei, circondandole le spalle con un braccio e inducendola a posarsi contro il suo petto. Laura accolse con piacere quel gesto e si raggomitolò contro di lui, cercando di farsi il più piccola possibile ad imitazione di quando era una bambina.
“E’ tutto diverso quando tu sei qui, perché non mi porti con te?”
“E dove ti nascondo, sotto il letto? Sciocchina, lo sai bene che io devo stare in caserma con il mio plotone.”
“E’ che mi manchi…”
Ed era vero: senza Henry si sentiva privata di un senso di protezione naturale. Era lui il membro della famiglia con cui aveva maggiore affiatamento: con i suoi genitori aveva un buon rapporto, ma aveva iniziato a capire che c’era una lieve differenza di considerazione. Le parole di lode che si sprecavano per Henry erano tantissime, ma sembrava che lei non fosse niente di eccezionale. E a dire il vero era la prima a pensarla in questo modo: era sempre vissuta all’ombra del suo fratellone, ma Henry invece di disdegnarla l’aveva sempre trattata come il più prezioso dei tesori, preferendo molto spesso la sua compagnia a quella degli altri ragazzi.
“Il nostro giovane Andrew non riesce a farti degna compagnia?”
La voce scherzosa di Henry la fece riscuotere ed alzò lo sguardo per incontrare il viso sorridente e malizioso.
“E’ Andrew, che altro c’è da dire? – sbuffò, facendo muovere una ciocca rossa che le era caduta in fronte – Il solito studioso, responsabile, maturo, Andrew Fury che come sempre si vergogna quando lo coinvolgo in qualche gioco o chissà che altro. E sì, prima che tu me lo chieda, si è preso cura di me come sempre quando non ci sei… anche se non capisco cosa ci sia da curare: scuola, passeggiate, chiacchiere, lo sai che qui le cose non cambiano mai.”
“Non sembri però delusa.”
“E’ la nostra realtà, tutto qui. Sai, non vedo l’ora che finisca quest’ultimo anno… finalmente metterò via quei noiosi libri e potrò dedicarmi ad ago e filo: entro l’estate voglio fare un vestito tutto da sola. Quando l’ho detto a mamma mi ha risposto di non esagerare con l’ambizione, ma sono sicura di farcela.”
“Non so se tra le abilità dei folletti rientri anche quella di cucire… quelli non erano i ragni?”
“Stupido! – rise lei, allontanandosi con finto sdegno e dandogli un colpo sul braccio – Mi dai del ragnetto, adesso? Ti faccio vedere io!”
“Ragazzina impudente – Henry la guardò con finta ferocia – vuoi davvero metterti contro di me? Guarda come ti imprigiono in meno di cinque secondi!”
Nonostante Laura fosse rapida nei movimenti, Henry aveva uno scatto molto più deciso e bastarono tre secondi perché la imprigionasse nella sua presa, rovesciandola sul letto tra le risate di entrambi.
“No, Henry! – supplicò lei – Il ribaltone no!”
“E invece sì! Uno… due… tre! E adesso, Laura Hevans? Come la mettiamo ora che sei ribaltata di schiena e alla mia mercé? Vediamo quali torture mi posso inventare…”
“Mi metto ad urlare, ti avviso!”
“Oh ma aspetta! – lui nemmeno la ascoltò, assumendo un’aria estremamente concentrata, come se non gli comportasse niente tenerla imprigionata sul letto – sei già in camicia da notte e scalza! E tu soffri il solletico ai piedi!”
“No! Scemo! No…Henry!” la ragazza cercò di dimenarsi come poteva, ma scoppiò a ridere non appena quella minaccia venne attuata.
“Uh uhhh, ma guarda come ti agiti, sorellina – sghignazzò il soldato – proprio non ci siamo e…”
“Ragazzi smettetela di fare tutto questo chiasso! – la voce della loro madre li fece bloccare – Perché non siete ancora a dormire? Laura, tu domani devi andare a scuola e dovresti ben sapere che tuo fratello è stanco per il viaggio! Di corsa a letto, chiaro?”
“Sì, mamma! – esclamò Henry, liberando la sorella dalla presa e facendola rialzare – L’ho chiamata io perché dovevo dirle una cosa.”
“Non ce n’era bisogno – mormorò la ragazza, sistemandosi la camicia da notte – posso sopravvivere ad una sgridata di mamma, lo sai.”
“Niente sgridate finché ci sono io, è una promessa – il giovane la prese tra le braccia e le depose un bacio sulla fronte – buonanotte, follettino. Ci vediamo domani a colazione.”
“Buonanotte.”
Laura aspettò che il fratello aprisse con discrezione la porta e sbirciasse al di fuori: ricevendo il segnale di via libera sgusciò nel corridoio buio e si affrettò a raggiungere la sua camera da letto. Solo una volta che la porta si chiuse silenziosamente alle sue spalle si sentì al sicuro e si concesse di sorridere furbescamente, in maniera assai simile a quella del fratello.
“Sono solo le undici e mezza, mamma – dichiarò buttandosi nel letto e guardando l’orologio appeso sopra una mensola – e come ha detto Henry, niente sgridate quando c’è lui. Adesso siamo di nuovo insieme per due mesi… e lui è tutto per me, chiaro?”
Lieta di quella piccola presa di posizione, come se sua madre fosse stata davanti a lei, si mise sotto le coperte e spense la luce.
  
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