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Autore: Kary91    23/08/2014    9 recensioni
[Posy Hawthorne| Accenni Dru/Posy | Partecipa al contest a turni “1 su 24 ce la fa” di ManuFury.]
Quell’emozione speciale che riusciva a sorprenderla solo quando guardava il cielo la spinse a decidere che il blu fosse destinato a diventare il suo colore preferito.
Non poteva ancora esserlo, però: per guadagnarsi il posto sul trono da ‘Re dei Colori’ gli mancava qualcosa di importante, una cosa a cui poter prestare il suo nome, così come il rosa aveva fatto con un fiore.
Così, a quattro anni e mezzo, Posy incominciò la sua ricerca: voleva trovare qualcosa di speciale da poter chiamare Blu.
Genere: Fluff, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Famiglia Hawthorne, Johanna Mason, Nuovo personaggio, Posy Hawthorne, Rory Hawthorne
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Figli del Giacimento - The Hawthorne Family.'
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Questa storia partecipa al contest a turni “1 su 24 ce la fa” [Hunger Games Contest]di ManuFury.

Premessa. la storia è suddivisa in prologo più tre mini-capitoli. Il prologo è ambientato quando Posy ha più o meno quattro anni. Il primo capitolo è ambientato quando Posy ha sei anni, dunque dopo Mockingjay. Il secondo quando è alla soglia dell’adolescenza e l’ultimo quando è ormai una donna adulta. Le altre note le aggiungo al fondo!

 

 

Qualcosa da chiamare Blu(e)

400x

 

Posy Hawthorne aveva quattro anni e mezzo la sera in cui, per la prima volta, si sorprese a domandarsi se il rosa fosse per davvero il suo colore preferito. Stava osservando il cielo stellato dalla finestra, con il mento appoggiato ai palmi delle mani e un’espressione incantata dipinta in viso. Il fascino che provava nei confronti di quella distesa blu era tale che per un istante si sentì quasi mancare il respiro, immergendo lo sguardo nel mare di puntini luminosi.

Rivolse poi un’occhiata impensierita ai capelli rosa della sua bambola e fu costretta ad ammettere a se stessa che, per quanto belli, non reggessero il confronto con lo spettacolo che stava avendo luogo sopra i tetti e le loro teste. D’un tratto le venne in mente un pensiero bellissimo e prese in braccio Lilo per poterglielo rivelare all’orecchio.

“Il cielo ha i capelli blu” mormorò, arricciando le labbra a formare un sorrisetto birichino, divertita dal pensiero buffo che aveva formulato. Pensò che le piacesse da matti, quel colore. Faceva sembrare tutte le cose infinite e incrollabili, proprio come il cielo. Eppure, fin da piccolissima, Posy aveva sempre preferito a tutte le tonalità che conosceva quella del rosa brillante: era allegro e piaceva molto anche a Lilo, perché era da femmina e s’intonava bene ai suoi vestiti. Mise a confronto con una lunga occhiata il colore sgargiante delle ciocche di lana di Lilo e le sfumature dai toni più scuri che tinteggiavano il cielo; fu in quel momento che una domanda le piombò addosso, talmente all’improvviso da rubarle il respiro per un istante: quale dei due colori preferiva di più? Quel problema la crucciò per giorni interi e la ragazzina mise il broncio quando i suoi fratelli maggiori non riuscirono a trovare il modo di aiutarla a sciogliere il dubbio. Rory, Vick e Gale, si era detta per consolarsi, erano troppo grandi e pure maschi, quindi non potevano capire quanto fosse importante il suo dilemma. Impiegò qualche settimana a risolverlo; ci riuscì un pomeriggio, mentre sfogliava le pagine di un vecchio libro di testo di Gale. Trovò un capitolo che parlava di fiori e ammirò affascinata il disegno di una rosa. Si trovò di fronte al primo vero e proprio indizio per aiutarla a chiudere tutta quella faccenda del colore preferito.

“Il rosa è talmente importante che ci sono dei fiori che si chiamano come lui” commentò rivolta a Lilo, che giaceva sulle sue ginocchia con il capo appoggiato alle pagine del libro. “Ma non ci sono delle cose che si chiamano come il blu!”

Quel pensiero la colpì talmente tanto che fu costretta a restituire al rosa brillante il trono da ‘Re dei Colori’: se dava il suo nome a un fiore, doveva per forza avere qualcosa di speciale. Tuttavia, l’indecisione riprendeva a punzecchiarle lo stomaco ogni volta che la bambina si appoggiava al davanzale della finestra per osservare il cielo notturno: il suo blu era talmente bello e intenso che alle volte Posy aveva l’impressione di poterci cadere dentro solo guardandolo e, in quei momenti, le mancava perfino il respiro. Il rosa era allegro e importante, ma non le mozzava il fiato: non la spingeva a sentire il bisogno di respirare, come quando faceva il bagno e la mamma le versava un po’ d’acqua sulla testa per lavarle i capelli.

Quell’emozione speciale che riusciva a sorprenderla solo quando guardava il cielo la spinse a decidere che il blu fosse destinato a diventare il suo colore preferito.

Non poteva ancora esserlo, però: per guadagnarsi il posto sul trono da ‘Re dei Colori’ gli mancava qualcosa di importante, una cosa a cui poter prestare il suo nome, così come il rosa aveva fatto con un fiore.

Così, a quattro anni e mezzo, Posy incominciò la sua ricerca: voleva trovare qualcosa di speciale da poter chiamare Blu.

 

Water Blue

Posy strizzò gli occhi e serrò le labbra, dimenandosi con forza per restare a galla. Aveva bisogno di respirare, ma l’acqua le lambiva il volto fino alla punta del naso, impedendole di concedere aria ai polmoni. Cercò di sollevare la testa per riprendere fiato e gridare il nome di Rory, ma per quanto scalciasse e agitasse le braccia non faceva altro che bere, soffocata dai colpi di tosse e dal panico. Se avesse saputo nuotare come i suoi fratelli non si sarebbe mai trovata in quella situazione, ma aveva solo sei anni e Vick e Rory ne avevano nove quando Gale aveva insegnato loro a muoversi in acqua. Prima o poi il maggiore di casa avrebbe dovuto farlo anche con lei, ma era quasi un anno che non faceva più ritorno al Distretto 12 e al Due non c’erano molti laghi. Rory rimandava sempre, quando Posy lo supplicava di insegnarle, e Vick non nuotava ancora abbastanza bene da fidarsi a portarla con sé. Così, quel pomeriggio, la bambina aveva deciso di provare da sola. Aveva aspettato che Rory incominciasse ad aggirarsi dalle parti del lago e l’aveva seguito di nascosto, rassicurata dal pensiero che il fratello fosse lì con lei. Non voleva veramente entrare in acqua: si era solo sporta un po’ per cercare di capire quanto fosse profonda. Ma quando Rory si era accorto della sua presenza aveva gridato il suo nome e la bambina, per lo spavento, era sobbalzata, scivolando in acqua prima che il ragazzo potesse impedirlo. E adesso stava sprofondando in un vortice di paura tinteggiato di blu: un blu verdastro, come l’acqua che le aveva ingabbiato il respiro, obbligandola ad annaspare in cerca d’aria.

Rory!” riuscì ad urlare infine, prima di tossire.

Sentì un rumore poco distante da lei e individuò a fatica la figura di suo fratello, che si era appena tuffato in acqua. Rory nuotò fino a raggiungerla e le circondò la vita con un braccio, sforzandosi di farle tenere la testa fuori dall’acqua. Mentre si spostava più in fretta che poteva verso la riva Posy si aggrappò al suo collo, nascondendo il volto contro il petto del fratello. Una volta usciti fuori, la bambina si acquattò a terra, stringendosi nelle braccia per scaldarsi. Tremavano entrambi e i lineamenti contratti di Rory erano segnati dalla rabbia e dallo spavento: in quel momento Posy non riuscì a fare a meno di pensare che somigliasse tanto a Gale.

“Stai bene?” mormorò in quel momento il giovane, inginocchiandosi per essere all’altezza della sorellina. Quando fu sicuro che fosse tutto a posto, inspirò con forza e si passò una mano fra i capelli bagnati.

“Tu sei tutta matta!” sbottò infine, scuotendo la testa. “Mi hai spaventato a morte! E se non ti avessi vista?”

“Volevo solo toccare l’acqua, ma sono caduta” mormorò la bambina, chinando il capo. “Non gridare così, mi fai paura!” aggiunse, mettendo il broncio. Il fratello sospirò di nuovo, prima di sedersi di fianco a lei. Posy si strinse le ginocchia al petto per scaldarsi: aveva freddo e le mancava ancora un po’ il respiro, ma si sentì meglio quando Rory le circondò le spalle con un braccio.


“Non farlo mai più” la ammonì infine il ragazzo, ammorbidendo il tono di voce e stringendola a sé. Posy annuì, tirando su col naso. Sollevò lo sguardo in direzione del lago e gli rifilò un’occhiataccia, offesa dallo scherzo che lo specchio d’acqua le aveva giocato. Non poté comunque fare a meno di notare quanto fosse bello, esteso e uniforme com’era. Se fosse stato più grande avrebbe potuto essere il gemello del cielo: forse era suo fratello minore, si disse.

Si voltò verso Rory e analizzò la sua espressione, come se volesse assicurarsi che non fosse più arrabbiato con lei. Gli occhi del ragazzo erano grigi – da Giacimento – come i suoi, ma in quel momento sembravano quasi venati della stessa tonalità bluastra dell’acqua del lago. Erano occhi spaventati, di chi ha sentito il respiro mozzarsi e il panico crescere, proprio come era appena successo a Posy.

La paura, pensò in quel momento la bambina, aveva il colore dell’acqua e schiacciava i polmoni: rubava l’aria, proprio come il blu. Era forte come il cielo e speciale come i fiori che dovevano il proprio nome al rosa. Era proprio quello che cercava per poter risolvere il suo dilemma del colore preferito.

Fu così che, a sei anni, Posy Hawthorne decise che il blu era il colore della paura. E, come tale, le prestò il suo nome.

 

Pastel Blue

Dru[1] appoggiò la schiena alla parete del fortino e si passò una mano fra i capelli rossi, per sistemare le ciocche spettinate dal vento.

“«Ma se tu mi addomestichi, noi avremo bisogno l'uno dell'altro… »” lesse nel volumetto che aveva sulle ginocchia, prima d’indirizzare una rapida occhiata a Posy. La ragazzina lo stava ascoltando con attenzione, tenendo le gambe incrociate sulla piattaforma di legno blu. “«…Tu sarai per me unico al mondo, e io sarò per te unica al mondo[2] »”.

Un lieve sorriso arricciò gli angoli delle labbra della giovane: quando Dru leggeva o raccontava una delle vecchie favole di suo nonno Jonathan, la sua voce assumeva un’insolita sfumatura di dolcezza che aveva il dono rilassarla, con lo stesso tocco delicato di una carezza. Le piaceva ascoltarlo, ignorando lo scricchiolare delle assi e il poco spazio a loro disposizione per distendere le braccia o le gambe: incominciavano ad essere troppo grandi per quel fortino di legno[3], ma il quartier generale del Regno di Posy continuava ad essere il loro luogo d’incontro preferito. Tutto quel blu s’intonava alla perfezione con le sensazioni contrastanti che aveva incominciato ad avvertire ogni volta che il suo migliore amico si sedeva un po’ troppo vicino a lei: al suo fianco si sentiva bene e al sicuro, come quando da piccola sollevava gli occhi per guardare il cielo, ma di tanto in tanto l’agitazione prendeva il sopravvento, rubandole l’aria come aveva fatto l’acqua del lago la volta in cui, a sei anni, ci era caduta dentro.

“«Comincio a capire» disse il piccolo principe” lesse ancora Dru, prima di voltarsi una seconda volta verso Posy. Si accorse che la ragazzina stava ricambiando il suo sguardo e sorrise, prima di tornare al libro. “«C’è un fiore... credo che mi abbia addomesticato...»”.

S’interruppe per voltare pagina e arrossì leggermente, quando si rese conto che l’amica lo stava ancora fissando.

“Questo pezzo è uno dei miei preferiti” ammise Posy, facendo scivolare le gambe oltre la piattaforma di legno. Dru fece oscillare le proprie, prima di sospirare.

“Lo immaginavo, me l’hai già fatto leggere almeno tre volte da quando abbiamo incominciato il capitolo.”

Posy roteò gli occhi.

“Antipatico…” replicò, dandogli un colpetto scherzoso con il piede.

“In realtà mi fa pensare un po’ a te” ammise improvvisamente il giovane, sfregandosi il capo con fare nervoso. La ragazzina gli rivolse un’occhiata sorpresa.

“Come mai?”

Dru temporeggiò per qualche istante, sfogliando distrattamente le prime pagine del capitolo.

“Beh, il tuo nome…” rispose infine, voltandosi verso l’amica. “… significa fiore, no? E credo che tu mi abbia un po’ addomesticato” ammise, minimizzando con una scrollata di spalle. Fece poi oscillare le gambe, sfiorando con la punta della scarpa uno dei piedi della giovane.

Posy, che di norma non si faceva problemi a rivelare a voce alta tutto ciò che le passava per la testa, si scoprì per la prima volta a corto di parole. Uno sfarfallio insolito le punzecchiò lo stomaco e per un attimo avvertì il bisogno di respirare più a fondo, come se le famose farfalle che - si diceva - infastidissero le persone innamorate le stessero rubando tutta l’aria che aveva nei polmoni. Si sforzò di farsi venire in mente qualcosa di intelligente da dire, ma tutto ciò a cui riusciva a pensare era che avevano le mani vicinissime e che le loro spalle si toccavano al punto tale che, se uno dei due si fosse sporto di poco verso l’altro, le loro labbra avrebbero potuto sfiorarsi.

“Forse allora è per questo che mi piace così tanto la parte sul piccolo principe e sulla rosa” mormorò infine, tornando a incrociare il suo sguardo. “Sembriamo un po’ noi.”

Dru sorrise, leggermente in imbarazzato, e appoggiò le mani al pavimento di legno. Nel farlo posò le dita su quelle della ragazza che arrossì, azzardando una seconda occhiata nella sua direzione.

“Vuoi che ti rilegga la parte dei tramonti?” chiese a quel punto l’amico, spostando lo sguardo verso il volume che teneva ancora sulle ginocchia.

Posy scosse la testa, continuando a esaminare il suo volto con attenzione. Improvvisamente sorrise e gli sfiorò la guancia con l’indice.

“Posso contarti le lentiggini?”

Dru le rivolse un’occhiata sorpresa, arrossendo visibilmente.

“Cosa?”

“Vick ne ha un po’ sul naso e mi ha detto che nostro padre cercava sempre di contargliele, quando era piccolo[4]. Secondo te il piccolo principe le aveva, le lentiggini?” aggiunse, facendo oscillare i piedi e urtando nuovamente una scarpa di Dru.

“Non saprei…” rispose il ragazzo, stringendosi nelle spalle. “…Ma se vuoi puoi provare a contare le mie” acconsentì infine, tornando a voltarsi verso di lei. Posy avvicinò di poco al ragazzo e le farfalle ripresero a svolazzare nel suo stomaco, donandole una piacevole sensazione di solletico. Riusciva quasi a vederle, da quanto erano intensi i loro movimenti: le immaginava piccole e aggraziate, con ali dalle venature color pastello.

“Va bene!” esclamò infine, tendendo una mano per sfiorare una seconda volta lo zigomo destro del ragazzo. “Una…” mormorò infine, sorridendogli e indicando la prima lentiggine. Dru ricambiò il sorriso e avvicinò ulteriormente il viso a quello di Posy. “Due…”

Mente contava, la vicinanza con l’amico la sorprese all’improvviso, facendola avvampare.

“Tre…”

L’emozione tornò a rubarle l’aria, spingendola ad arretrare di poco con la testa. Aveva bisogno di respirare e chinò il capo verso il basso, distogliendo lo sguardo da quello del ragazzo. Si accorse che la vernice sulle assi della piattaforma era un po’ scolorita e che in alcuni punti aveva assunto delle sfumature color pastello, simili alle venature azzurrine delle ali delle farfalle. Improvvisamente sorrise: tornò a incrociare lo sguardo di Dru, che la stava fissando con espressione interrogativa.

“Tutto bene?” chiese, intrecciando le dita alle sue. Posy annuì.

“Ho le farfalle nello stomaco…” ammise poi, sorridendo imbarazzata. Il giovane arrossì e si avvicinò ulteriormente a Posy.

“E di che colore hanno le ali?” scherzò, stringendole più forte le mani.

La ragazza sorrise di nuovo. Distolse lo sguardo da lui per un istante e lo indirizzò verso l’alto. Il cielo, per lei, aveva ancora l’effetto mozzafiato di sempre, ma a farle mancare l’aria in quel momento era il sorriso timido di quel ragazzo dai capelli rossi e il naso puntellato di lentiggini.

“Le hanno blu” rispose infine con sicurezza, prima di rivolgere a Dru un sorrisetto sbarazzino. “Blu come il cielo: siamo o non siamo nel Regno di Posy?”

Il giovane annuì, prima di adagiare la fronte contro quella della ragazza.

“Il mio nome fa rima con blu” osservò, eliminando con un ultimo movimento la poca distanza che ancora separava i loro volti. Posy chiuse gli occhi e smise di prestare attenzione al rossore delle proprie guance o all’insicurezza che avvertiva nel sentire per la prima volta le labbra del suo migliore amico sulle proprie. Il bisogno di respirare che l’aveva sorpresa al principio c’era ancora, ma a provocarlo non era la paura. Era una sensazione più delicata, ma altrettanto intensa, che le solleticava il petto dall’interno, come ali di farfalla; un qualcosa che rubava l’aria, ma che faceva venir voglia di sorridere, un po’ come il cielo quando era limpido e talmente pieno di stelle che, a guardarlo, girava perfino la testa. Era una sensazione che le ricordava un blu dalla tonalità tenue, come la vernice scolorita del suo fortino di legno.

Posy Hawthorne aveva quasi tredici anni quando decise che il blu non fosse affatto il colore della paura. Prestò invece il suo nome a quella sensazione di farfalle nello stomaco: farfalle dalle ali color pastello.

 

Baby Blue

Aveva bisogno di respirare.

Posy non riusciva a pensare ad altro mentre il dolore la trafiggeva, aumentando d’intensità man mano che le contrazioni si facevano più ravvicinate.

“Respira lentamente, tesoro” continuava a ripeterle Hazelle, scostandole i capelli dal volto e tenendole la mano. Di tanto in tanto sua madre scoccava qualche occhiata rassicurante in direzione di Dru, che stava osservando la moglie dal bordo del letto con lo stesso sguardo spaesato di quando era ragazzino: la sua agitazione sarebbe risultata evidente anche a decine di metri di distanza; aveva i capelli arruffati e la maglia indossata di traverso, con l’etichetta in bella mostra sul fianco sinistro, ma nessuno ebbe il tempo di farci caso.

Respira, si ripeté Posy, stringendo più forte la mano di sua madre. Si concentrò sull’aria che stava immagazzinando nei polmoni per distrarsi il più possibile dal dolore. Era la seconda volta che quella scena si ripeteva in due anni, ma le sensazioni che stava provando in quel momento erano le stesse che aveva avvertito al momento della sua prima gravidanza: l’emozione e il nervosismo facevano a pugni dentro al suo corpo, mentre il bisogno di trarre lunghi respiri si faceva più insistente e la sua mente reclamava a gran voce il desiderio che tutto finisse. Chiuse gli occhi, schiacciata dalla stanchezza. Quando li riaprì la determinazione era tornata a farsi strada nel suo sguardo. Quaranta minuti più tardi il pianto di un neonato riempì la stanza e Posy appoggiò esausta la testa al cuscino, ricambiando debolmente il sorriso di Hazelle.

La stanchezza oscurò tutto – il dolore provato, i rumori che la circondavano – fino a quando non avvertì il corpicino del suo secondogenito adagiato contro il petto. Lo osservò con orgoglio, sfiorandogli il dorso di una manina. Sentì la carezza di sua madre sui capelli e la vicinanza di Dru, che si era chinato sul letto per baciarle la fronte e dare il benvenuto al nuovo arrivato di casa Callister.

“Buongiorno, Liam” lo salutò, rimirandolo con una tenerezza quasi reverenziale nello sguardo che fece sorridere la moglie. “Sei appena diventato ufficialmente il primo pel di carota della famiglia Hawthorne” aggiunse, analizzando con fierezza i pochissimi capelli del bambino: erano più chiari di quelli di Dru, ma tendevano al rosso, anche se avrebbero ancora potuto cambiare colore man mano che il neonato cresceva. Solo in quel momento la donna notò che il piccolo aveva aperto gli occhi e stava fissando il padre con un’espressione spaesata.

“Ha la stessa aria intontita che avevi tu poco fa” mormorò scherzosamente al marito, accarezzando di nuovo la manina del bimbo. Il suono della sua voce attirò l’attenzione del neonato, che voltò appena la testa per ricambiare il suo sguardo. Nel guardarlo negli occhi per la prima volta, Posy si accorse che il respiro era tornato a mancarle. Il bisogno d’aria che le impregnò i polmoni, tuttavia, non aveva nulla a che vedere con il dolore provato al momento del parto o la paura con cui aveva imparato a fare i conti sin da piccola. La sensazione che stava provando era più forte, piacevole come le farfalle nello stomaco che aveva avvertito a ogni primo timido approccio avuto con Dru. Aveva provato qualcosa di altrettanto intenso solo una volta, prima di quel momento: quando era nata sua figlia, Leah.

Meno di tre ore più tardi, Posy era stata spostata in reparto e la stanchezza stava incominciando a gravarle sulle palpebre, rendendole difficile concentrarsi su ciò che le stava accadendo attorno. Immaginò che la porta della stanza dovesse essere aperta, perché sentiva delle voci provenire dal corridoio, e le bastò origliare la conversazione qualche secondo per riconoscerle.

“Fiocco rosa o fiocco blu?” stava esclamando un trafelato Rory: né Dru, né Posy avevano voluto rivelare il sesso del nascituro prima del parto ed era evidente che i suoi familiari non fossero intenzionati ad attendere oltre per scoprirlo. L’accostamento di quei due colori, il rosa e il blu, catturò per un istante l’attenzione della donna, strappandole un sorriso. Le venne spontaneo ritornare con la mente al grande dilemma di quando era piccola e alle ore che aveva speso a riflettere su quale dei due colori preferisse. Il rosa brillante, che le trasmetteva allegria e che aveva sempre associato alla sua prima infanzia e ai giochi con la bambola Lilo. Oppure il blu, il colore del cielo, che accostava alle emozioni più forti, quelle che le rubavano il fiato, costringendola ad avvertire il bisogno di respirare: la paura, le farfalle nello stomaco. La nascita dei suoi figli.

“È un maschietto” annunciò in quel momento Hazelle, strappando un “Sì!” entusiasta ad entrambi i gemelli[5], che dovevano essere appena arrivati in ospedale assieme a Vick.

“Ancora maschi?” si lamentò invece la piccola Sawyer[6], facendo ridere qualcuno dei presenti. “Ma io volevo un’altra cuginetta!”

“Chiedi a zio Rory e zia ‘Leen se te la fanno” propose Gale alla figlioletta, ottenendo in risposta un categorico “No” da parte della cognata.

“Se conto mio marito ne ho già tre di bambini” specificò poi la donna, facendo sorridere Posy.

“Perché invece non ti fai fare una sorellina da mamma e papà?” ribatté Rory, ancora rivolto a Sawyer. Un rumore improvviso venne seguito all’istante da un’imprecazione a denti stretti.

“Se Hawthorne vuole un’altra figlia se la fa da solo” esordì poi la voce di Johanna Mason.

“Ma perché devi sempre picchiarmi?” la rimbeccò il mezzano dei fratelli Hawthorne, strappando un risolino a Dru, che stava origliando la conversazione seduto di fianco alla moglie.

“Hai la faccia da schiaffi, prenditela con il tuo corredo genetico, non con me” fu la risposta spiccia di Johanna, che precedette l’ingresso dei tre fratelli Hawthorne nella stanzetta. Vick aveva in braccio la piccola Leah, che rivolse un sorriso luminoso ai genitori non appena lo zio la depositò sul letto di fianco a Posy.

“Ciao, sorella maggiore” la salutò con tenerezza la donna, quando la bambina si acquattò al suo fianco, succhiandosi il pollice con espressione soddisfatta. “Sei pronta a conoscere Blue?”

Gale aggrottò le sopracciglia, visibilmente perplesso.

“Blue?” ripeté Gale, intercettando lo sguardo altrettanto confuso di Vick. “Pensavo che se fosse stato un maschietto l’avreste chiamato Liam.”

Liam Blue Hawthorne” specificò Dru, passandosi una mano fra i capelli arruffati. “Liam come suo nonno paterno e Blue come uno dei colori preferiti della sua mamma. E della sua sorellona” aggiunse poi, prendendo in braccio Leah, che stava gattonando sul materasso per raggiungerlo.

“Blue!” ripeté la bambina, giocherellando con l’etichetta della sua polo. Dru arrossì, accorgendosi solo in quel momento di aver infilato la maglietta al rovescio.

“Blue Hawthorne suona bene” commentò in quel momento Rory, attraversando la stanza per sedersi vicino alla sorella.“Mi piace già, questo piccoletto.”

Posy si limitò a sorridergli, troppo stanca anche solo per formulare una risposta. La sua attenzione venne attirata da qualcosa di blu che penzolava dal comodino, a cui non aveva fatto caso fino a quel momento: era l’estremità di un fiocco, di quelli che si esponevano fuori dalla porta per annunciare la nascita di un bambino; sua madre doveva esserselo procurato subito dopo essere uscita dalla sala parto. Appendere fiocchi non era più di uso comune da anni, ma Posy sapeva che in passato venivano utilizzati per manifestare la felicità che comportava l’arrivo di un neonato in famiglia. ‘Felicità’ era il termine più adatto per descrivere ciò che stava provando in quel momento: si sentiva come la bambina di quattro anni che ogni sera ammirava il cielo, credendolo incrollabile, proprio come la torre di legno che aveva nel cortile di casa sua. Era gioia quella che avvertiva, eppure a Posy venne più spontaneo associare quell’emozione a una seconda parola: blu.

Posy Hawthorne aveva ventisette anni, ormai, il giorno in cui il rosa brillante perse definitivamente il trono come ‘Re dei Colori’. La donna continuava a pensare che fosse una tonalità allegra, ma non reggeva il confronto con la sensazione di serenità e meraviglia che solo il suo rivale riusciva a comunicarle: la stessa emozione che le aveva trasmesso suo figlio nel momento in cui l’aveva guardato negli occhi per la prima volta.

Adesso, Posy aveva qualcuno di speciale da poter chiamare Blue.

 

Note finali.

                  Ho da poco aperto una paginetta Facebook sulle mie storie. Se vi va passate a trovarmi! La trovate qui: How to Catch a Comet.

Quando ho letto la frase su cui avrei dovuto basare questa storia storia per il quinto turno del contest (“aveva bisogno di respirare”) ho immaginato che o sarebbe uscito qualcosa di terribilmente angst, oppure qualcosa di terribilmente fluff (il bisogno di respirare l’ho subito associato al momento del parto e poi a un ipotetico primo bacio di Posy) e alla fine ho optato per quest’ultimo, anche se non mi aspettavo di tirare fuori qualcosa di così diabetico >.< Il ‘fluff’ mi è sfuggito un po’ di mano.

Ho cercato di inserire nel racconto diversi riferimenti alle storie precedenti scritte per il contest e, in particolare, credo che questo racconto si possa considerare una sorta di “Spin-off” di “Il cielo non crolla”, visti tutti i riferimenti al blu e al cielo. Il passaggio del Piccolo Principe che legge Dru l’ho inserito per collegarmi a “A Flower that Blooms in Adversity”, poiché la storia si basa sul fatto che il nome “Posy” significhi appunto ‘fiore’ o ‘mazzo’ di fiori.

Infine, la “e” fra parentesi nel titolo è stata inserita appunto fra parentesi per fare in modo che quel “Blu” possa riferirsi sia al colore in generale che al soprannome del piccolo Blue Hawthorne. La stessa cosa vale per la frase di chiusura, dove la “e” finale di Blue è stata evidenziata appunto in blu. E… niente, questa storia non è il massimo, probabilmente è troppo sdolcinata, ma ci tenevo a consegnare qualcosa per il quinto turno, visto che ormai ne mancano solo più tre, e questo è tutto ciò che son riuscita a combinare xD

Un abbraccio e a presto!

Laura

 

 



[1] Dru Callister è un ragazzino del Distretto 13 che si trasferisce assieme alla famiglia nel 12 dopo la rivolta. Il suo rapporto con Posy era già stato delineato in “Il cielo non crolla (ed io nemmeno)”.

[2] I passaggi che legge Dru sono tratti da “Il Piccolo Principe” di Antoine de Saint-Exupéry.

[3] Fortino di legno blu costruito nel periodo post-rivolta, a un mesetto di distanza dal ritorno degli Hawthorne al Distretto 12. Il fortino è stato costruito per Posy, che all’epoca aveva 5 anni, e se ne parla nella mini-long “Il cielo non crolla (ed io nemmeno)”.

[4] Questo è un riferimento alla storia: “Adesso mi ricordo” in cui Hazelle racconta a Vick che suo padre giocava spesso a contargli le lentiggini, quando era piccolino.

[5] Adam e Noel, i due gemellini figli di Vick [v. S.O.S. Hawthorne].

[6] Sawyer è la figlioletta di Gale e Johanna [v. S.O.S. Hawthorne].

   
 
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