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Autore: Jawn Dorian    23/08/2014    7 recensioni
"Afghanistan o Iraq?"
Dio. Se solo avesse sentito prima quella frase.
 
 
{ What if in tre capitoli.
Tre capitoli, tre canzoni dei Coldplay. }
E se Mike Stamford non avesse mai presentato Sherlock a John?
Genere: Drammatico, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: John Watson, Quasi tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Ogni Holmes deve avere il suo Watson'
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Attenzione!
Questo capitolo è stato ispirato dall’ascolto di Violet Hill, dei Coldplay.
Per tanto, si consiglia ai gentili lettori di ascoltare la suddetta canzone.
Sì, solo perché è bella.
Grazie, e buona lettura.
 
 
 
 
 
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“Afghanistan o Iraq?”
 
Dio. Se solo avesse sentito prima quella frase.

 
 
 
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Act II  - Violet Hill
 
 
 
 25 Dicembre, 2015
 
Si affacciò alla finestra, guardando la neve cadere giù.
Si affacciò, la notte di Natale, e osservò le luci appese fuori, che coronavano le strade.
Quelle meravigliose luci scintillanti di Natale.
E John desiderò ardentemente essere una di quelle luci, una qualsiasi.
Avrebbe voluto brillare. Anzi, no. Si sarebbe accontentato di aiutarle a brillare.
John avrebbe tanto voluto essere un conduttore di luce.
‘E’ tutto sbagliato’ si disse quella notte ‘è tutto sbagliato. Questa non doveva essere la mia vita.’
 
 
“Tesoro, dove vai?”
Appena uscita dalla doccia, beccò suo marito nell’atto di infilarsi il cappotto.
Erano  tornati nemmeno dieci minuti prima dalla cena di Natale dai suoi genitori, e Sarah avrebbe tanto voluto spendere le ultime ore della serata con del buon vino, davanti al camino.
John non sembrava della stessa opinione.
La guardò sorridendo rassicurante, come al solito, infilandosi il berretto di lana – regalo di sua suocera – e prendendo le chiavi dalla ciotola sul mobile all’ingresso.
“Torno subito. Faccio una passeggiata. Mi aiuta ad evitare gli incubi.”
Sua moglie sorrise accondiscendente di rimando. Evitare gli incubi era sempre cosa buona e giusta.
John, accompagnato dal suo fedele bastone, si diresse verso la porta d’ingresso, e le donò un ultimo sguardo. Un lungo sguardo.
Era cieca. Erano tutti ciechi.
Non lo vedevano, giusto? Non avrebbero mai visto.
 
 
John camminò a lungo sul marciapiede innevato.
Ogni volta che si appoggiava al bastone, ringhiava. Dannata, dannatissima gamba!
Ad un tratto, si strappò il berretto di lana di dosso e lo lanciò lontano.
Lo scagliò via con una rabbia tale, che un passante vicino a lui sussultò dalla sorpresa, e lo guardò storto.
Ma John non se ne curò.
Era come se si fosse liberato da un peso tremendo.
Continuò a camminare.
A Saint James Park c’erano le luci sugli alberi.
Era bello. Era come se le stelle si fossero incastrate tra i rami, e John decise che era arrivato al capolinea.
Scelse una panchina qualsiasi e si sedette, non trattenendo in nessun modo le lacrime.
Il suo pianto fu silenzioso e decoroso, privo di lamenti o mugolii, ma solo pieno di lacrime che scendevano senza pietà giù dagli occhi fino al mento. Da bravo soldato.
‘Non era così che doveva andare’ pensò, e non poteva esserne più sicuro.
E non poteva avere più ragione.
 
 
 
 
 
“La sua vita deve essere tremendamente noiosa.”
John spostò lo sguardo dalle sue scarpe ad un altro paio di scarpe, perfettamente pulite e nere, attaccate a due lunghe gambe nascoste da un cappotto altrettanto nero, che ora gli si parava di fronte.
“Scusi?”
“E’ seduto su una panchina a Saint James Park nella notte di Natale a non fare niente.”
“Non sono affari suoi.”
John, stizzito dall’osservazione, con un veloce ed orgoglioso colpo di manica, cancellò ogni traccia di lacrime dalla sua faccia, e si prese un momento per identificare lo sconosciuto.
Per prima cosa trovò degli occhi che lo analizzavano. Azzurri, intensi.
Il viso pallido, asciutto, gli zigomi accentuati, dei riccioli neri quanto il cappotto e le scarpe,  indomabili, si riversavano sulla fronte. Sembrava finto.
Quell’uomo era forse un fantasma dei Natali passati?
“Chi è lei?” chiese John, quasi per inerzia, sperando davvero che fosse un fantasma, o un angelo, o qualcosa di cinematografico e subnormale pronto a strapparlo dalla sua vita.
L’attesa che arrivò sembrò rendere frizzante e trepidante l’aria e il territorio circostanti.
“Sherlock Holmes.”
“John Watson.”
Sul viso di Holmes soggiunse un’espressione scocciata e priva di interesse, ma John non si offese affatto, anzi quasi gli scappò da ridere, il che era ridicolo.
“Non sono qui per delle presentazioni, io credo di avere…un…problema—“
Non riuscì a finire la frase. John lo vide oscillare pericolosamente in avanti.
Si alzò di scatto, appena in tempo per riceverlo tra le braccia.
“Oh mio Dio! Si sente bene?!”
“Lei…lei che cosa dice?”
Arrancando per via della gamba dolorante, ma senza perdere un momento, John fece stendere l’uomo tenendolo saldamente per la nuca, e lasciando che la schiena aderisse alle sue ginocchia.
“Signor Holmes?”
Con un movimento fulmineo gli sbottonò il cappotto, e frugò come in cerca di qualcosa che era sicuro di trovare.
“Oh, merda…”
Nonostante l’avesse previsto, John non potè fare a meno di impallidire un minimo, quando la sua mano riemerse totalmente sporca di sangue.
“Un taglio. L’hanno accoltellato! Qualcuno chiami un ambulanza!”
Si accorse con orrore di essere l’unico essere umano nel raggio di almeno un chilometro.
Non perse la calma.
Frugò nelle proprie tasche, e finalmente trovò il cellulare.
“Pronto?! Saint James Park, un uomo ha subito una ferita al fianco destro, sanguina molto! Temo sia una tremenda emorragia, fate presto! Ok…sì, sono un medico, farò quello che posso!”
Neanche aveva chiuso la comunicazione, John aveva già preso la sciapa che l’uomo aveva al collo, e aveva iniziato a fare pressione sulla ferita più che poteva.
“Vita noiosa, ha detto…Dio, ma almeno nessuno mi ha accoltellato!” gridò, mentre con la mano libera lo sosteneva per il viso, dandogli qualche piccolo colpo, per tenerlo vigile.
“Resista!”
“Penso…tu mi possa dare del tu. Dopo tutto…mi hai appena sbottonato…il cappotto.”
John lo fulminò con lo sguardo, esterrefatto.
“Ti stai sforzando di parlare con un’emorragia per sfottermi? Sei uno psicopatico o cosa?!”
“Sociopatico iperattivo. Info…rmati.”
“Sherlock? Sherlock, rimani con me!”
“E poi…ho ragione…io.”
“Come?”
“Mi hanno…accoltellato. Ma…non sono annoiato come te.”
Ci fu un lungo scambio di sguardi, tra loro.
Quell’uomo aveva maledettamente ragione.
“Oh, stai zitto, per l’amor del cielo!”
“John?”
Strano, si disse, come suonava incredibilmente bene il suo nome, uscito da quella bocca.
E strano, si disse ancora, come in lui si stesse facendo strada la preoccupazione crescente di non sentirlo mai più pronunciato in quel modo.
“Cosa, cosa c’è?”
John avrebbe avuto voglia di urlare esasperato: di tutti i pazienti che aveva curato, anche i più insopportabili, nessuno aveva mai avuto l’incredibile faccia da schiaffi di criticare la sua vita, specialmente con una ferita da taglio ben assestata sul fianco. Non che i suoi pazienti con un emorragia avessero mai avuto la forza di parlare, prima d’ora.
“Rispondimi, stai con me! Cosa c’è?”
“Afghanistan o Iraq?”
John colse sulle labbra di Sherlock un sorriso breve ma carico di un’infinita soddisfazione, di fronte al suo totale sconvolgimento.
Fu l’ultima frase che gli sentì dire, prima di vederlo perdere i sensi.
 
 
 
 
 
 
 
 
26 Dicembre, 2015
 
John era salito sull’ambulanza con Sherlock Holmes. E gli aveva tenuto la mano.
Non sapeva perché l’aveva fatto. Di sicuro Holmes era il genere di uomo che non lasciava che qualcuno gli tenesse la mano così facilmente, o che gli avrebbe chiesto di non essere toccato, se fosse stato cosciente. Sentiva semplicemente che ne aveva bisogno.
Ma non sapremo mai chi dei due ne aveva di più.
Mentre l’autovettura procedeva a gran velocità, John poteva giurare di aver sentito Sherlock ricambiare la stretta, e aveva visto quelle due fessure azzurrissime aprirsi e guardalo eloquentemente per pochi attimi, che a lui sembrarono un’eternità.
John non avrebbe mai saputo. Non avrebbe mai saputo cosa voleva dire quello sguardo:  ‘Non ce la farò, me lo sento. Ma grazie per averci provato. Sembri un tipo così stupidamente sentimentale. Un vero idiota. Eppure ho camminato un isolato intero con il cellulare in mille pezzi e una ferita da coltello per decidere di affidare la mia vita a te. Forse l’umanità non mi sarebbe sembrata così ridicola e stupida se ti avessi incontrato prima, sai?’
John aveva corso insieme ai medici in sala operatoria.
John era rimasto fuori dalla sala durante l’operazione, con la testa fra le mani, come se dentro ci fosse stato suo fratello, e non un uomo appena conosciuto che l’aveva provocato nel parco.
John aspettò il chirurgo con impazienza ed una sorta di inquietudine sempre peggiore.
John non voleva davvero sentirsi dire le parole fatidiche, che anche lui aveva detto un miliardo di volte, con una noncuranza ed una freddezza di cui si sarebbe pentito per sempre.
Chiese a Dio solo quel miracolo. Ma non sapeva perché.
Evidentemente, Dio era un tipo a cui servivano argomentazioni.
 
 
“Mi dispiace, ma non ce l’ha fatta.”
“…Oh.”
 
Delusione. Sconforto.
Gli crollarono addosso, lo mangiarono vivo.
Ma davvero non seppe spiegarsi perché.
“Ha perso troppo sangue durante il tragitto in ambulanza. Abbiamo scoperto troppo tardi che stava avendo anche un’emorragia interna per via della rottura della milza. Sul corpo c’erano numerosi segni di colluttazione. Ha lottato, prima di venire ferito.”
Aveva visto troppe persone morire sotto i suoi occhi, e in modi infinitamente più brutali di quello, per dirsi che tutto ad un tratto riusciva ad essere scioccato dalla perdita di uno sconosciuto qualsiasi.
Il chirurgo ora lo guardava come aspettando una qualche reazione, ma John rimase solo a fissarlo con la bocca semi aperta e lo sguardo più perso mai prodotto da un essere umano.
“Lo conosceva?”
Prima domanda legittima, di fronte a dei simili occhi smarriti.
“No, io…io ero- ero solo-“
“Si sente bene?”
“Sì. Sto bene. Mi scusi.”
Mentì, perché ormai era la cosa che sapeva fare meglio.
E anche perché non riusciva davvero a spiegare - prima di tutto a sé stesso - per quale motivo finì con l’accasciarsi sulla sedia più vicina a trattenere le lacrime, lasciando crollare il bastone a terra.
 
 
 
“Pronto?!”
“Pronto.”
“John! John, dove diavolo sei?! Sono le tre del mattino!”
“Sarah…”
“John…tesoro, che cosa è successo? Dove sei?”
“All’ospedale.”
“Come—come sarebbe a dire all’ospedale?! Che ti è successo?!”
“Niente. Assolutamente niente.”
“John…oh santo cielo, in che ospedale sei? Dimmelo, ti vengo a prendere!”
“…Saint Bart’s Hospital.”
 
Sarah arrivò tre quarti d’ora dopo.
Preoccupata, spaventata a morte.
Lo chiamò, cercò di scuoterlo in qualche modo, gli fece domande.
Ma John non rispose.
 
E forse finalmente aveva capito perché: Sherlock Holmes era l’unica scintilla di vita vera che si fosse mai ritrovato tra le mani. E se l’era lasciata scappare per sempre.
 
 
 
 
 
 
 
 
27 Dicembre, 2015
 
“Buongiorno, dottoressa Watson.”
“Buongiorno. Scusi…ci— ci conosciamo?”
“Non proprio. Sto cercando suo marito, il dottor Watson.”
“Mi scusi, ma…mio marito è molto stanco e al momento non vuole parlare con nessuno.”
“Oh. Beh, sono certo che per me potrà fare un’eccezione.”
 
Se lo ritrovò davanti.
Non aveva voluto vedere nessuno, come a voler riposare gli occhi dopo tutto quello che avevano subito, eppure quell’uomo si presentò comunque di fronte a lui.
Alto, elegante, distinto, pareva di ghiaccio.
Lo osservava austero, fiero, a testa alta, in modo quasi presuntuoso, ben artigliato al suo ombrello, come un re col suo scettro, e con quel completo così impeccabilmente elegante da stonare con l’arredamento di casa. John, seduto sulla sua poltrona, gli donò dal basso uno sguardo distrutto da un dolore ridicolo e ingiustificabile all’occhio di ogni essere dotato di intelletto.
“Buongiorno, dottor Watson.”
“Lei chi è?”
“Mi chiamo Mycroft Holmes.”
“Holmes? Lei è…”
“Sono il fratello di Sherlock Holmes.”
Mycroft Holmes -  John certamente non poteva saperlo  – era uno di quei uomini che si scompongono difficilmente. Forse avrebbe dovuto capirlo dal modo in cui aveva a mala pena alzato un sopracciglio ad un solo giorno dalla morte di suo fratello minore.
Fatto sta, che John ebbe l’incredibile privilegio di vederlo contrarre il viso in un’espressione quanto meno genuinamente stupita, quando lui si alzò con un balzo dalla poltrona facendosi leva con il bastone, e quasi gli ringhiò a pochi centimetri dalla faccia.
“Lo hanno preso?”
“Mi scusi…di chi—“
“Il criminale che l’ha accoltellato” sputò John, senza un minimo di auto-controllo, stringendo il bastone così forte, che il signor Holmes riuscì quasi a provare timore nel vederselo scagliare in testa.
“Lo hanno preso?”
Mycroft innanzi tutto si concesse un ulteriore sopracciglio alzato, prima di rispondere con la sua solita serafica calma: “Sì, lo hanno preso.”
Seguì un lungo silenzio, che neppure uno come Mycroft Holmes che – John non sapeva, di nuovo – era il governo inglese in persona riuscì in nessun modo a decodificare.
“So che…lei ha fatto il possibile per salvare mio fratello. I medici mi hanno detto che ha aspettato per tutto il tempo, e che…gli è stato vicino in ambulanza.”
A quel punto John non proferì parola. Forse per il fatto che non sapeva come commentare, o spiegare, o motivare quello che era stato appena detto, in nessun modo.
“Se volesse venire al funerale domani mattina al cimitero di Londra, lo apprezzerei.”
Un altro silenzio stranamente privo di aspettativa aleggiò nella stanza per attimi interi.
“Ci sarò.”
 
 
 
 
 
 
 
 
 
28 Dicembre, 2015
 
A quel funerale non venne quasi nessuno. Quasi.
C’era una vecchia signora. Singhiozzava disperata, con il fazzoletto al naso.
C’era un uomo dall’aria stanca, con i capelli brizzolati e l’impermeabile stropicciato.
C’era una ragazza minuta, che tentava in tutti i modi di essere composta e forte, ma sembrava dover crollare da un momento all’altro.
Nell’angolo riservato ai parenti, stavano solo due coniugi dai capelli bianchi e gli occhi dello stesso azzurro infinito che John aveva visto tre giorni prima.
Di Mycroft Holmes non c’era alcuna traccia.
 
“John?”
“Mh?”
“John, se ne sono andati via tutti. La celebrazione è finita.”
“Lo so.”
“…Ma quindi…lo conoscevi?”
“…Sì.”
“Oh…non me ne hai mai—“
“Sarah, scusami. Potresti lasciarmi solo un momento?”
“Sì…sì, ti aspetto in macchina.”
 
 
John non era uno sdolcinato. Romantico sì, ma non sdolcinato.
E sapeva che non puoi dire di aver conosciuto una persona in poco più di otto minuti.
Ma adagiò comunque una mano sopra il marmo freddo di quella tomba.
Si schiarì la voce. Guardò per terra. Si sistemò la cravatta, più e più volte.
Sentiva di avere così tanto da dire, nonostante avesse parlato con Sherlock Holmes per esattamente poco più di otto minuti. Eppure, davvero, non puoi conoscere una persona nel tempo necessario ad un ambulanza di Londra per arrivare al Saint James Park.
Prese un lungo respiro.
 
“Afghanistan.”
 
Lui non avrebbe mai dovuto essere una persona normale, calma, e tranquilla.
Lui avrebbe dovuto essere un conduttore di luce.
Della più brillante, splendida, sorprendente, imprevedibile e capricciosa luce.
 
 
“Io e te…non ci conoscevamo, ma…posso chiederti solo un favore? Uno solo, solo per me.
 Non essere morto.
Torna indietro. Spiegami come facevi a sapere dell’Afghanistan.”
 
Troppo tardi.
 
It was a long and dark December
From the rooftops I remember
There was snow
White snow

Clearly I remember
From the windows they were watching
While we froze down below

{…}
If you love me, won’t you let me know?
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Note dell’autrice
…E felice anno nuovo.
So che è presuntuoso da dire, ma credo di meritarmi almeno una riga di recensione solo per la manciata di ansiolitici che ho dovuto buttare giù per scrivere una cosa del genere.
Scherzi a parte.
Ecco il secondo capitolo.
E santa Madonna non ci posso credere che l’ho scritta davvero io, questa cosa. Non ho mai finito in vita mia una storia con la frase ‘troppo tardi’. Beh, ahimè, c’è sempre una prima volta.
Ora, passiamo alle spiegazioni: questo capitolo potrebbe avere una sua logica tutta giusta, come tutta sbagliata. Questo perché io faccio parte della scuola di pensiero fermamente convinta che Sherlock ce lo saremmo giocato in A study in pink  per via della pillola cattiva, se non ci fosse stato John.
Ma vabbè. Dovevo farli incontrare, anche se solo per quindici secondi.
Per quanto riguarda il ‘ma ehi, com’è che al funerale ci sono solo i suoi genitori, Molly, la signora Hudson e Lestrade?’. Semplice: senza John, Sherlock non ha avuto nessun blogger, di conseguenza non è mai diventato famoso.
C’è poco da girare intorno al cosa ho scritto, perché l’ho scritto, e perché vi ho rovinato il fegato con il mio stile di scrittura orripilante: se John e Sherlock non si fossero incontrati, le loro vite sarebbero andate a rotoli. John avrebbe vissuto nella noia mortale. E Sherlock avrebbe vissuto da solo. E – nel peggiore dei casi – da tossicodipendente.
Il resto è fuffa.
Il prossimo capitolo sarà l’ultimissimo, sarà più corto, e finalmente smetterò di dilaniare questo fandom con le mie immense stronzate.
Ancora una volta, se avete letto fino a qui, grazie di cuore.
Alla prossima settimana.
 
Ah, dimenticavo: Violet Hill mi fa del male fisico per quanta tristezza mi fa venire.
  
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