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Autore: Frarry    23/08/2014    0 recensioni
Janet è costretta a cambiare vita. Janet scappa dalla sua routine e dalla sua città natale per poter ricominciare, ma il suo incubo, lo stesso incubo che ha portato la giovane in una cittadina al sud dell'Inghilterra sembra perseguitarla.
A Janet non è rimasto niente se non l'amore per i libri. Sarà proprio questo amore materiale a farle conoscere Niall, la sua ancora di salvezza, la corda alla quale si aggrapperà.
Ma le corde non durano per sempre, se tirate troppo possono spezzarsi, consumarsi...
Genere: Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna, Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Guardai il mio riflesso dentro il rettangolo di vetro appeso alla parete.

Il cardigan grigio scopriva appena la gonna rossa a vita alta con le balze, in tinta con il cappello che faceva risaltare le mie sopracciglia scure. Aggiustai la maglia bianca con il collo rotondo, dentro la gonna. Notai che i collant si erano strappati un po'al di sopra della caviglia, così fermai la scucitura con lo smalto trasparente e per coprirla misi ai piedi gli anfibi bordeaux.

Mi sedetti ai piedi del letto continuando a guardare lo specchio e domandandomi se era giusto quello che stavo per fare.

Sospirai, liberandomi per qualche secondo dal peso che mi comprimeva il petto.

Trovai la forza di alzarmi, infilarmi il parka nero, recuperare la borsa e uscire di casa.

Era pieno inverno e lungo le starde di Brighton correvano fili di luci colorate e addobbi natalizi.

Il treno per Londra era in ritardo di due minuti.

Due adolescenti, davanti a me si scambiavano baci lunghi e passionali e quando arrivò il treno, lui rischiò di perderlo perchè era troppo attento a godersi le labbra di lei.

Londra.

Ero arrivata.

 

 

Avevo le mani congelate e le riscaldai comprando un bicchiere di caffè da starbucks.

Percorrevo piccadilly circus quando riconobbi il ciuffo biondo tirato in su.

Lo seguii per più di un quarto d'ora fino ad arrivare in un quartiere isolato.

Avevo paura e avrei voluto raggiungerlo, ma dovevo scoprire e per farlo dovevo stargli lontana.

Era giorno, ma c'era poca luce per i miei gusti.

Restai dietro di lui di venti metri.

Aspettava qualcuno.

Lessi il nome della via in alto a destra: Coxy.

Sentii dei passi che rimbomavano sul marciapiede, dalla parte opposta a dove mi trovavo io.

Vedevo Niall.

Jeans, vans blu e il suo solito giubbotto di jeans felpato.

Con le mani in tasca guardava la persona che stava per raggiungerlo.

Teneva gli occhi socchiusi dall'aria che soffiava e anche se non potei vederlo bene, perchè era di profilo, mi immaginai la sua espressione e mi venne voglia di corrergli incontro per baciarlo.

I passi si fecero sempre più vicini. Lui porse un braccio in avanti per prendere la mano a qualcuno.

Quella scena mi fece tremar le gambe. Quando lo raggiunse, la riconobbi. Era Monica.

Deglutii e i miei occhi si riempirono di lacrime.

Era vestita in modo elegante, troppo per un incontro con un ex.

Li vidi entrare in un portico e me ne andai correndo.

Correvo tra la folla della grande città scontrandomi con più sconosciuti, correvo e li immaginavo insieme.

Presi il primo treno per tornare a casa.

Durante il viaggio mi venne un attacco di panico e quando mi accorsi di avere lasciato a casa i calmanti, me ne prese un altro.

Immaginavo Niall sopra di lei, li immaginavo mentre ridevano insieme e si scambiavano battute come quel giorno alla fiera.

 

 

Decisi di seguire Niall dopo la giornata del salone al libro. Quella notte, quella telefonata, quel pianto.Niall mi nascondeva qualcosa e avevo appena scoperto cosa.

 

 

Niall's pov.

 

“Ecco il pacchetto. Ah, non ti do la busta, così non capisce che si tratta di un viaggio” presi il pacco dalle mani di Monica e la ringraziai.

“Vi consiglio l'Italia. E' molto bella, sai?”

“Ci penserà lei” dissi.

“Certo, ha buon gusto” Monica mise a posto una penna e mi accompagnò all'uscita.

“Grazie Monica” uscii e prima di mettere tutti e due i piedi fuori dalla porta mi congelai la faccia.

Monica aveva lasciato gli studi, studiare non era mai stato una delle cose da fare nella sua lista e aveva aperto un'agenzia di viaggi con la madre, era brava in queste cose.

Andaì fino a Londra per prendere il regalo di Natale a Janet. Un viaggio in europa avrebbe fatto bene a entrambi.

La gioranata fu stancante e non invidiai Monica che tutti i giorni faceva avanti e indietro tra Brighton e Londra.

 

 

Era tardi, ma decisi ugualmente di passare da lei per vedere come stava e perchè mi mancava.

Bussai, ma nessuno venne ad aprimi. Mi preoccupai e iniziai a pensare al peggio.

Le onde erano alte e arrivavano a pochi metri vicino alla casa.

Mi misi a cercarla. “Scusi ha visto Janet? La ragazza che abita sulla spiaggia, mora...” i passanti scuotevano la testa alla mia domanda. Era chiaro che nessuno l'aveva vista, perchè nessuno veramente sapeva dell'esistenza di Janet in città.

Le strade erano deserte.

Lei non sarebbe mai entrata in un pub, ma provai ugualmente.

“Horan” così mi salutò Noel Donk, proprietario del locale e mio compagno del liceo.

Il posto era affollato, pieno di ragazzi della mia età e l'aria era viziata. Non ero abiutato a frequentare posti del genere.

“Donk” ricambiai il saluto appoggiandomi al bancone di legno. “Hai visto questa ragazza oggi?” mostrai a Noel la foto di Janet che avevo salvato nel telefono. Lui si buttò lo straccio con cui aveva pulito i bicchieri su una spalla. “Se l'avessi vista probabilmente io non sarei qui, ma al piano di sopra per approfondire la conoscenza. E' un bel bocconcino” mi andò il sangue al cervello per quello che si era permesso di dire e mi trattenni dal prenderlo per il colletto sudicio.

“Come vanno gli studi, Horan?” cambiò argomento, ma non avevo voglia di perdere tempo con lui.

“Ho mandato la domanda al collage, spero mi prendano”

“Comprerò un tuo libro, se riuscirai a realizzare il tuo sogno” Noel mi sorrise e uscii da quel buco senza salutarlo.

Poteva essere ovunque.

Giari tutta la notte per cercarla, faceva freddo, ma non pativo, anzi stavo persino sudando.

Mi fermai qualche istante con il suo regalo in mano.

Andai in biblioteca, ma non trovai nessuno, ripassai da casa sua, da casa mia, sotto gli archi, i ponti, le strde principali e non della città. Ero esausto.

Stavo per fare una chiamata quando sentii la sua risata accompagnata da una voce maschile.

 

 

Mi voltai e vidi Janet tra le braccia di Will, il ragazzo della sorveglianza. Janet non si reggeva in piedi. Il parka nero era aperto e le cascava da una spalla. Barcollava a ogni passo che faceva e non smetteva di lamentarsi. Non dovetti nemmeno correre per raggiungerli.

“Will”

“Niall” mi salutò.

La mia attenzione era rivolta a Janet.

“Niall” disse guardandomi dal basso. Gli occhi fondi e il poco trucco che si era messa era sbavato sotto le ciglia inferiori. Un sorriso sbilenco, sconosciuto. Non riconoscevo la ragazza che avevo di fronte e mi chiesi cosa doveva esserle successo per spingerla a tanto. Forse un momento di debolezza e troppi pensieri in testa. Fu quando mi avvicinai maggiormente per prenderla che capii che era causa mia. Mi respinse. Gli occhi rossi erano pieni di lacrime che colavano lungo il viso distrutto. “Janet, vieni a casa” le presi la mano gelata, ma lei si scansò cadendo a terra perchè Will non fu così veloce da tenerla. “Vieni a casa?” rise “ci sto andando a casa, solo... non con te. Vedi: Will è un ottimo compagno di bicchieri” dondolava la testa mentre parlava.

“L'hai fatta bere tu? Hai lasciato che si riducesse in questo stato?” mi rivolsi al mio amico che alzò le braccia “Niall ho provato a farla smettere” si giustificò.

“Puzzi da far schifo, hai bisogno di una doccia” spostai Will e presi Janet in braccio.

Iniziò a scalciare e tirarmi pugni sul petto. “Mi fai schifo Niall, schifo” quelle parole facevano più male dei colpi. “Mettimi giù, non ti voglio. Va da lei, cosa ci fai con me? Va da Monica” tirò un altro e ultimo pugno prima di crollare rifugiando il naso sotto il mio braccio.

 

 

Spogliai Janet dai suoi vestiti, lasciandola in mutandine e reggiseno. La condussi sotto la doccia mentre continuava a respingermi e barcollare. Provai a farla rimettere, ma non ci riuscì e mi stupii di come poteva tenere tutto quell'alcol dentro il corpo. L'aiutai a entrare nella doccia. Era così bella. Il corpo magro e slanciato. Le curve al punto giusto. Mi mandavano fuori di testa. Aprii il doccino e le bagnai la pelle olivastra e poi i capelli che scendevano lungo le spalle.

“Perchè mi fai questo?” la sua voce distrutta rimbombò nella stanza.

“Non ho fatto niente Janet, hai frainteso. Ti spiegherò domani mattina” la rassicurai stringendola a me e lasciando che l'acqua mi bagnasse i jeans.

 

Le rimboccai le coperte e sembrò che l'acqua avesse mandato via l'odio che provava per me. “Stai con me?” un sorriso dolce le comparve sulle labbra prima di chiudere gli occhi e crollare.

Non accontentai la sua richiesta. Mi sistemai sul divano.

Erano le quattro di mattina e quel silenzio mi faceva male ai timpani. Presi il cellulare e iniziai a scrivere a quel numero che mi perseguitava da mesi, ormai. “Farò ciò che vorrai, ma lasciala in pace” inviai il messaggio.

 

 

Spazio autrice

Buonaseraaaa :)

Sono tornata dalle vacenze e quindi prontissima per scrivere il seguito della storia.

Un vostro parere mi servirebbe per spronarmi a continuarla.

Al prossimo capitolo,

un bacio.

  
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