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Autore: Dedde_Jester    23/08/2014    5 recensioni
La notizia che a Gabriel, notoriamente l’angelo più irresponsabile di tutti, era stata affidata una piccola recluta da accudire sulla Terra aveva fatto il giro di Paradiso e Inferno in meno di un’ora.
Scommesse erano volate ovunque, e la maggior parte puntavano sulla dipartita dello sventurato angioletto prima della fine della settimana.
Gabriel, tuttavia, aveva deciso di fare sul serio.

*
Gabriel deve fare da baby-sitter a Castiel per una settimana. Tra angeli maniaci, mostri nell'armadio, lezioni di volo e amici discutibili, ce la farà ad improvvisarsi un fratello responsabile? (E se tali amici sono Anna e Balthazar?)
Genere: Comico, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Anna, Balthazar, Castiel, Gabriel, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna stagione
Capitoli:
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Prologo
 
Castiel era l’ultimo di una lunga lista di fratelli che Gabriel non aveva mai visto né ha aveva intenzione di vedere. L’ennesimo, semplice angelo addestrato da Michael per svolgere la burocrazia divina, consegnare messaggi o proteggere qualche anonimo umano.
Quando aveva saputo che era stata creata una seconda schiera angelica non si era nemmeno preso la briga di salire in Paradiso per vederla, ed era probabilmente per quello che Dio aveva deciso di punirlo.
Doveva essere così, perché altrimenti Gabriel non aveva la più pallida idea del perché Metatron l’avesse richiamato nel suo ufficio per annunciargli che avrebbe dovuto prendersi personalmente cura di una delle nuove reclute sulla Terra per un’intera settimana. Aveva stroncato tutte le sue proteste  sul nascere annunciando che: «Questa è la parola di Dio, Gabriel», e così l’Arcangelo si era ritrovato per le strade fumose di una cittadina umana chiamata Sioux Falls a trascinare Castiel per il bavero del grosso cappotto.
Persino Michael, il Primo Angelo, Braccio Destro di Dio, Buttafuori e Grande Capo del Paradiso (nonché suo fratello maggiore), lui che non aveva mai messo in discussione una sola parola di loro Padre, era apparso preoccupato dalla prospettiva di scaraventare un piccolo angelo appena creato sulla Terra insieme a lui.
«Non potete affidarlo a Gabriel» aveva affermato con il solito tono pacato, la preoccupazione tradita solo dall’innaturale rigidità. «Insomma, si tratta di Gabriel. Non sarebbe capace di tenere in vita nemmeno un pesce rosso, quella recluta non sopravvivrà».
«Grazie della fiducia, eh».
«Sai che ho ragione».
«Gabriel scenderà sulle Terra con Castiel e ci resterà per una settimana, questo è il volere di Dio. Ha richiesto lui personalmente, non ci si tira indietro» tagliò corto Metatron, zittendo entrambi i fratelli.
«E, Gabriel: ti saremmo tutti grati se l’angelo sopravvivesse».
A quel punto Michael aveva ripescato dalle reclute il marmocchio e glielo aveva consegnato con un’occhiata strana. Le porte del Paradiso si erano richiuse dietro di loro e Gabriel si era ritrovato nella cittadina più deprimente di tutt’America, Sioux Falls, con un bambinetto aggrappato alla giacca e la certezza che quella sarebbe stata la peggior settimana della sua vita.
 
 
Lunedì
La scuola materna
 
La notizia che a Gabriel, notoriamente l’angelo più irresponsabile di tutti, era stata affidata una piccola recluta da accudire sulla Terra aveva fatto il giro di Paradiso e Inferno in meno di un’ora.
Scommesse erano volate ovunque, e la maggior parte puntavano sulla dipartita dello sventurato angioletto prima della fine della settimana.
Gabriel, tuttavia, aveva deciso di fare sul serio ed era fiero di sé per i risultati ottenuti.
Aveva trovato un posto dove scaricare il fratellino senza rischi, un posto perfettamente sicuro e a prova di bambino (Michael sarebbe stato orgoglioso della sua perizia nelle ricerche), e così lunedì mattina accompagnò Castiel alla scuola materna.
Dopodiché, dal momento che non era certo di come la faccenda funzionasse, si presentò a casa dell’amico Balthazar per chiedere delucidazioni.
«Posso offrirti qualcosa?» borbottò di malavoglia lui quando l’Arcangelo si materializzò senza invito nel suo appartamento.
«Sì, il tuo aiuto».
Balthazar sospirò. «Che hai combinato, questa volta?».
«Ho un moccioso da tenere in vita per una settimana e non ho la più pallida idea di come fare» riassunse Gabriel lasciandosi cadere sul divano.
«Hai fatto arrabbiare qualcuno ai piani alti e ti hanno messo in castigo quaggiù?» rise l’amico, recuperando il vino dal ripiano della cucina e versandosene un bicchiere generoso.
«E che ne so, Metatron sostiene che Dio abbia richiesto proprio me per badare all’angelo».
«Vale così tanto da scomodare paparino in persona?» indagò Balthazar con un lampo negli occhi chiari.
«Non ti permetterò di scambiarlo neanche per un migliaio di anime, Balth, ne va della mia reputazione…».
«Già pessima».
«… del mio onore…».
«Ne hai uno?».
«… e del mio pass per il Paradiso. Se perdo il marmocchio o in ogni caso muore, Michael mi caccerà come ha fatto con Lucifer».
«Brutto affare» commentò Balthazar senza scomporsi. «Dov’è ora l’angelo?».
«Alla scuola materna».
«Bravo» approvò vagamente sorpreso. «Pensavo che lo avessi già dimenticato in qualche casinò a Las Vegas».
«Non sono così idiota» sbuffò Gabriel guardandolo in tralice e rubandogli il bicchiere di vino.
L’altro angelo sorrise beffardo e optò per un silenzio diplomatico, accendendo la TV.
 
Erano passate ore, e i due erano ancora spalmati sul divano a commentare un talent show, quando il campanello di casa suonò.
Balthazar assunse un’espressione stupita.
«Aspetti ospiti?».
L’angelo scosse la testa e andò ad aprire, cauto.
Un qualcosa di estremamente arrabbiato si fiondò nell’appartamento tra insulti irripetibili e minacce di morte, inchiodando Gabriel sul divano.
Anna Milton, angelo caduto e amica di vecchia data, gli puntò contro un dito accusatore, l’altra mano che stringeva un piccolo e spaventato Castiel.
«Ma si può sapere qual è il tuo problema?» sputò rossa come i suoi capelli.
«Ciao anche a te, Anna».
«L’hai abbandonato!» ruggì la ragazza cercando di saltargli addosso, mentre Balthazar provava in tutti i modi a trattenerla. «Il Paradiso ti affida un compito, uno solo dopo almeno un millennio di riposo, e tu lo scarichi in una scuola materna?!».
«È questo che fanno gli umani, mi sono informato!» si difese Gabriel, sconcertato.
«L’orario di chiusura è passato da due ore!» ringhiò Anna. «La scuola materna termina alle quattro del pomeriggio, saresti dovuto tornare a prendere Castiel! È rimasto due ore con gli insegnanti che non sapevano cosa fare o chi chiamare, dal momento che tu non ti sei curato nemmeno di lasciare un recapito, e se non fossi passata di lì per caso lo avrebbero sicuramente mollato sull’uscio di un orfanotrofio!».
«Okay». Gabriel si alzò in piedi, squadrando il bambino con uno sguardo distratto. «A me sembra stare bene. Quindi qual è il problema?».
Anna sospirò, nel tentativo di calmarsi. «Gabriel. Se porti Castiel alla materna la mattina, alle quattro devi tornarlo a prendere. È così che funziona».
L’Arcangelo alzò gli occhi al cielo, seccato. «E dove lo metto dalle quattro fino alle otto della mattina successiva?».
«Magari lo tieni con te!?».
«Ragazzi». Balthazar si mise in mezzo, le braccia alzate in segno di resa. «Se continuate così mi citeranno in giudizio per disturbo alla quiete pubblica».
«Fottiti, Balth».
«Non dire parolacce davanti al bambino!».
«E tu piantala di cercare di strangolarmi!».
«Ragazzi!».
«Gabriel?».
I tre angeli si immobilizzarono, abbassando lo sguardo sul dimenticato Castiel.
«Gabriel?» ripeté il piccolo azzardando un passo verso il fratello maggiore.
«Cosa vuoi?».
Il bambino si bloccò, abbassando lo sguardo. «Torniamo a casa?» mormorò.
«Ma che carino» sghignazzò Balthazar nello stupore generale. «Ti chiama per nome!».
«Anche tu lo fai, ma non per questo sei una compagnia più gradevole» lo zittì Gabriel con una smorfia.
«Sì, sì, andiamo» sbottò poi seccato rivolto a Castiel, che lo stava timidamente tirando per una manica.
«Ricordati--».
«Di non dimenticarlo alla scuola materna, lo so, Anna, lo hai già detto».
La ragazza sembrava diffidente.
«Domani vengo a controllare che lo tratti bene» minacciò infine mentre i due fratelli si chiudevano la porta alle spalle.
 
Arrivati nel piccolo disordinato appartamento di Gabriel, l’angelo schioccò le dita e face apparire un piccolo letto. Lo indicò al bambino. «Tu resti qui. Non entrare nella mia stanza. Non distruggere niente e non uscire dall’appartamento per nessun motivo al mondo. Capito?».
Castiel fece di sì con la testa e si accoccolò sul lettino. «Buonanotte, Gabriel».
Non ci fu risposta.
 
Martedì
I cereali

Quella mattina Gabriel si ritrovò a fronteggiare un altro problema della vita familiare.
«Ho fame».
Il Messaggero di Dio sbatté le palpebre, perplesso. «Sei un angelo, Castiel. Gli angeli non hanno bisogno di mangiare».
«Io però ho fame e ieri a scuola abbiamo mangiato» insisté il bambino.
«D’accordo». Il maggiore schioccò le dita e riempì il tavolo di qualsiasi dolcezza immaginabile: biscotti, caramelle, mashmellow, torte ricoperte di panna montata e persino una piccola fontana di cioccolato. Gabriel si tagliò una fetta di torta e indicò il mucchio di prelibatezze al fratellino. «Serviti pure».
«Non mi piacciono i dolci».
Gabriel lo fissò incredulo per qualche istante, la torta ancora a metà strada verso la bocca.
«Come sarebbe a dire che non ti piacciono di dolci? A tutti piacciono i dolci!» protestò non appena si riprese dalla sorpresa.
Castiel si strinse nelle spalle, in silenzio.
«Okay. Va bene. Quindi che cosa vuoi?».
«I cereali con la volpe».
«Cosa?».
«Quelli che abbiamo mangiato a scuola. Quelli con la volpe sulla scatola» spiegò Castiel.
Il fratello aggrottò le sopracciglia. Non aveva idea di cosa stesse parlando, e di conseguenza non poteva fare apparire quegli stupidissimi cereali.
Gabriel sbuffò, alzando gli occhi al cielo.
«Quelli non ce li abbiamo. Mangia un po’ di pane tostato e andiamo» lo liquidò schioccando le dita.
 
«Dobbiamo trovare dei cereali con la volpe».
Balthazar guardò stralunato l’amico entrare a grandi passi nel suo appartamento.
«Quel coso vuole degli stupidissimi cereali in una scatola con una stupidissima volpe sopra» chiarì Gabriel a beneficio dell’angelo, che esibiva ancora un’espressione perplessa.
«Intendi dire Castiel?».
«E chi altri?».
Balthazar lo osservò distrattamente gettarsi sul divano e tormentare il lecca-lecca che aveva in bocca, ridotto ormai ad uno stecchino bianco contorto e appiccicoso, prima di decidere: «Chiamo Anna».
Dopo una lunga conversazione telefonica in cui Balthazar fu costretto a prendere appunti, l’angelo sventolò sotto il naso dell’amico quella che aveva tutta l’aria di essere una lista della spesa.
«Tutta roba che Anna ritiene indispensabile per il sostentamento di un bambino» annunciò trionfante. «Si può trovare al supermercato».
Gabriel inarcò le sopracciglia. «I cereali?».
«Nel reparto cereali».
«Grazie per l’illuminazione. Come faccio a farli comparire se non ce li ho presente?» insisté Gabriel tirandosi su.
«Non lo fai. Andiamo al supermercato e li compriamo».
Ma la questione si rivelò un filino più complicata del previsto: i due angeli vagarono per i reparti per quasi mezz’ora, cercando di decifrare la lunga lista di Anna e di trovarne gli elementi; alla fine, quando era ormai un’ora che gironzolavano a vuoto tra gli alimentari, un’anziana signora ebbe pietà di loro e gli indicò i fantomatici cereali con la volpe che piacevano a Castiel.
Così, dopo aver recuperato il bambino alla materna e averlo riportato a casa, Gabriel gli mostrò orgoglioso la scatola comprata con tanta fatica. «I tuoi cereali».
Castiel alzò gli occhi di lui, stupefatto. «Li hai trovati!».
«Ovvio, ma per chi mi hai preso?» replicò lui con sufficienza, lanciandogli un’occhiata di sbieco.
Beccati questa, Michael. Spero proprio che tu perda la scommessa, aggiunse mentalmente rivolto al fratello maggiore. In realtà, Gabriel non era certo che l’incorruttibile Grande Capo potesse essersi abbassato a tanto da scendere all’Inferno per combinare scommesse con il Re[5], ma di sicuro non aveva smesso un attimo di gufare contro di lui. Dopo la caduta di Lucifer, quell’angelo aveva sviluppato la mania di vedere sempre il bicchiere mezzo vuoto e di incolpare sempre Gabriel per qualsiasi cosa accadesse in Terra e Paradiso.
Se fosse riuscito a tenere in vita il bambino fino alla scadenza del suo obbligo, sarebbe stata una doppia vittoria.
Anna si presentò da loro un quarto d’ora dopo con una teglia di biscotti («Non gli piacciono i dolci, ma io li assaggerò con piacere» aveva ghignato Gabriel felice della sua rivincita), e ispezionò la casa da cima a fondo. Poi, spaventosa come solo lei sapeva essere, si piantò di fronte a Gabriel con le mani sui fianchi.
«Dov’è tutta la roba che avevo detto a Balthazar di comprare?».
«Non lo so, chiedilo a Balthazar».
«Gabriel ha preso i cereali» si intromise Castiel indicando la scatola ancora sul bancone della cucina.
«Ma che bravo, Gabriel». Anna riuscì a far suonare il suo nome come il peggiore degli insulti, e inarcando le sopracciglia aggiunse a denti stretti: «Però che cosa mangerà Cass per cena se non hai comprato niente?».
«Ehi, nemmeno ieri c’era niente ma non è mica morto di fame» replicò Gabriel scrollando le spalle.
Anna chiuse gli occhi, prendendo un respiro profondo.
«Ho capito. Dovrò pensarci io» sbuffò piano, più rivolta a se stessa che ai due fratelli, e fulminando Gabriel con un’occhiataccia finale scomparve.
Tornò una frazione di secondo più tardi, in cui Gabriel non aveva fatto nemmeno in tempo ad aprire bocca per commentare, con una serie di buste di plastica per ogni mano.
«Che figura ci facciamo noi angeli con Cass, eh?!» borbottò mentre ne svuotava il contenuto sul bancone della cucina e iniziava a far apparire pentole, piatti e un sacco di altri aggeggi che Gabriel non seppe identificare. «Lo affidano al più irresponsabile, amorale, idiota degli angeli, sarei sorpresa se alla fine della settimana questo povero bambino non riportasse un shock post-traumatico».
Mezz’ora e molti borbottii più tardi, l’isola in mezzo alla cucina era bene o male apparecchiata e Castiel osservava stranito il polpettone nel suo piatto.
«I cereali con il latte vanno mangiati a colazione» stava spiegando nel frattempo Anna all’altro angelo. «Prima di accompagnarlo a scuola. Per cena ordina una pizza, io sarò via. Non fare danni, non avvelenare Castiel e non lasciarlo morire di stenti, sono stata chiara?».
«Scuola, pizza, niente veleno. Sì, credo di aver afferrato» commentò sarcastico lui.
«Ottimo». Anna gli tirò una pacca comprensiva sulla spalla. «Andiamo, Gabe, ce la puoi fare. Ho scommesso su di te, non posso perdere contro Ruby».
E con queste parole si smaterializzò.
 
Mercoledì
Il mostro nell’armadio

Ormai Gabriel si stava quasi abituando alle stranezze di avere un baby coinquilino.
Quasi, perché quando Castiel si arrampicò sul suo letto prima dell’alba scuotendolo per un braccio, la sua prima reazione fu quella di sbattere contro il comodino tra mille imprecazioni alla ricerca della Lama Angelica. Poi, realizzando che il pericoloso nemico non era altri che Castiel e osservando prima il piccolo angelo, poi la sveglia che segnava le cinque del mattino, si risolse a sbottare un ben poco gentile: «Ma che diavolo vuoi a quest’ora?!».
«C’è un mostro nell’armadio» sussurrò spaventato Castiel.
«Ho la casa tappezzata di sigilli anti-tutto, nessun mostro può mettere piede in questo appartamento» replicò Gabriel seccato, cercando di scrollarsi di dosso il fratellino.
«Ma lui è nell’armadio» insisté Castiel afferrandolo per un braccio. «Io l’ho visto!».
«Ti sarai sbagliato».
«E se mi prende mentre dormo?» pigolò lui.
«E dove vuoi che ti porti, a Narnia? Lasciami dormire e tornatene di là, la scuola inizia tra tre ore».
Si rimise a letto e voltò ostentatamente le spalle al bambino, che si lasciò scivolare giù dal materasso e uscì mogio mogio dalla stanza.
Passarono i minuti. Gabriel non riuscì a riprendere sonno.
In fondo era pur sempre un Arcangelo: non aveva neanche bisogno di dormire, la sua era solo un’abitudine consolidata durante il suo lungo soggiorno terreno.
Alla fine, alle cinque e mezza, si alzò e seguì Castiel, che era rannicchiato nel suo letto con gli occhi sbarrati fissi sull’armadio. Sentì il suo sguardo seguirlo mentre si avvicinava alle ante e le spalancava.
«Non c’è nessun mostro» ribadì, per poi esclamare: «Ma che ca-- ZACHARIAH!».
Castiel emise un debole squittio e si tirò le coperte sulla testa, per nascondersi.
Gabriel invece rimase a fissare sconvolto l’angelo che era appena uscito dall’armadio e che si stava spolverando il completo nero.
«Gabriel» lo salutò lui imperturbabile.
«Si può sapere che cazzo ci facevi nel mio armadio?!» sbottò Gabriel, che iniziava a perdere la pazienza.
Arcangelo o meno, restavano pur sempre le cinque e mezza del mattino e nessuno -umano, divino o demoniaco- a quell’ora era particolarmente ben disposto verso il prossimo.
«Non essere volgare, Gabriel» lo rimbrottò Zachariah con un’occhiatina di superiorità. «Sono qui solo per controllare che l’angelo», e qui accennò a Castiel ancora nascosto, «Stia bene».
«Stava meglio prima che lo traumatizzassi».
«Con te come baby-sitter?». Zachariah rise, sprezzante. «Ne dubito».
«Resta il fatto che non hai nessun diritto… Dio mi ha affidato questo compito, ripetilo a Michael quando torni su in Paradiso. Perché è lui che ti ha mandato, non è vero?».
«Allora non sei così stupido come si dice».
«Tu invece lo sei eccome, tanto da provocarmi di prima mattina».
I due restarono a fissarsi in cagnesco per qualche istante, prima che la voce di Castiel giungesse ovattata da sotto le coperte. «Il mostro se n’è andato?».
«Non sono un mostro, sono un angelo come voi» lo rassicurò Zachariah.
«Gabriel, mandalo via» supplicò lui, ignorandolo.
Il maggiore ghignò. «Con piacere».
Schioccò le dita, e l’angelo scomparve.
«Il mostro dell’armadio se n’è andato» annunciò poi al bambino, la cui testa arruffata fece capolino dalle coperte. «E se torna?».
«Fidati, l’ho spedito in un posto da cui sarà difficile scappare».  
Gabriel gli rivolse un sorrisetto sbilenco, schioccando le dita e facendo apparire un mucchio di caramelle sul bancone della cucina. Scartò un lecca-lecca e se lo ficcò in bocca.
«Mirtilli, il mio preferito» commentò estasiato, lasciandosi cadere su uno sgabello e iniziando a frugare tra i dolci. «Tu tieniti pure i tuoi stupidi cereali, ma questi cosi sono la fine del mondo».
 
Quel pomeriggio, come avvisato, Anna non si fece vedere.
Balthazar, invece, si materializzò nell’appartamento dei due angeli, si offrì un drink e iniziò a lamentarsi di tutto il lamentabile. Poi, quando la conversazione sembrò arenarsi, Castiel, che si era accoccolato sul divano a fissare il nuovo arrivato, disse: «Gabriel ha cacciato il mostro nell’armadio».
«Il mostro…?».
«Zachariah. Michael l’ha spedito quaggiù per controllarmi» spiegò Gabriel alzando gli occhi al cielo.
«Urgh, ci credo che l’abbia scambiato per un mostro» commentò Balthazar.
«Almeno Michael poteva avere la decenza di mandare qualcuno di più carino, anche io mi sarei spaventato vedendolo di prima mattina».
I due angeli scoppiarono a ridere, mentre Castiel, che non capiva, ripeté: «Gabriel l’ha mandato lontano e non tornerà mai più, l’ha detto lui».
Balthazar ghignò. «Però, sei proprio un eroe, mammina. Il prossimo passo qual è, la favola della buona notte? Ora devo andare, c’è Samandriel che mi aspetta» aggiunse rapidamente prima che l’angelo potesse insultarlo, e in fruscio d’ali scomparve.
«Spero che Samandriel abbia brutte notizie per lui» ringhiò offeso Gabriel. «Allora, Anna ha detto stasera pizza. Dunque che pizza sia» annunciò poi rivolto a Castiel, afferrando il telefono e componendo il numero della più vicina pizzeria d’asporto.
 
Quella sera lo sguardo di Castiel lo seguì mentre faceva sparire i cartoni vuoti e scartava qualche caramella prima di andare a letto.
«Posso dormire con te, questa notte?» chiese dopo un po’.
«No».
«Ma il mostro…» iniziò Castiel.
«Era solo un mio collega di lavoro, e ti ho già detto che non tornerà» tagliò corto Gabriel andandosene in camera da letto. «E ora a dormire».
Si chiuse la porta alle spalle, con la sensazione nitida degli occhi azzurri di Castiel piantati sulla sua schiena, e si lasciò cadere sul materasso. Riuscì a sentire i fruscii delle coperte del letto del piccolo angelo e fu certo che si era nuovamente nascosto sotto le lenzuola per paura di quello stupido armadio.
Gabriel sospirò, esasperato. Balthazar lo avrebbe preso in giro a vita.
«Puoi venire, ma solo per questa notte!» urlò a Castiel, che in uno scalpiccio di piedi nudi corse nella sua stanza e si arrampicò sul letto.
«Grazie, Gabriel» mormorò riconoscente infilandosi sotto le lenzuola e accoccolandosi contro di lui.
«Sì, ma non dirlo a Balthazar, intesi?» bofonchiò il maggiore dandogli le spalle
Poi, sentendo il corpo del fratellino premuto contro di sé, si affrettò a spintonarlo via.
«Senti, coso, spazio vitale, okay? Resta a minimo dieci centimetri di distanza da me» ordinò brusco.
Castiel annuì, e rimase ad osservare il profilo della schiena dell’angelo sull’alta sponda del letto.
Gli piaceva Gabriel. Era un po’ strano e odorava sempre di zucchero e caramelle, ma gli piaceva.
«Buonanotte» sospirò dopo un po’, sistemandosi meglio sul cuscino.
«’Notte, coso, e ricordati lo spazio vitale».
 
Giovedì
Lezioni di volo

Neanche a dirlo, la mattina successiva trovò Castiel avvinghiato al suo braccio.
Se lo scrollò di dosso e si alzò dal letto, sbadigliando, deciso a mantenere le distanze.
Poi andò in cucina e si sgranchì un po’ le ali, che non usava da fin troppo tempo, iniziando a zuccherare il suo caffè. Non si accorse della presenza di Castiel fino a quando la sua voce meravigliata non lo raggiunse: «Hai delle belle ali».
La zuccheriera gli sfuggì di mano con una mezza imprecazione, e Gabriel schioccò rapidamente le dita per impedirle di esplodere in mille pezzi sul pavimento.
«Sono un Arcangelo, vorrei anche vedere» bofonchiò, affrettandosi a  ritirarle.
«Anche le mie diventeranno così?» chiese Castiel piegando il capo di lato.
«Non lo so, ero assente alla lezione “Come Crescere un Baby Angelo”» replicò Gabriel sarcastico, tirando fuori un ciotola e preparandogli la colazione.
Il bambino iniziò a mangiare i suoi cereali, in silenzio, poi domandò: «Tu sei il mio papà, Gabriel?».
Per poco il caffè non gli andò di traverso.
«Ma che-- ti sembro Dio, per caso?!» sbottò, forse un po’ troppo bruscamente. «Sono tuo fratello. Perché me lo chiedi?».
«Alla scuola materna sono i papà ad accompagnare i bambini» spiegò Castiel tranquillamente.
«Noi siamo angeli. Nostro Padre è Dio, e lui non si scomoda di certo per portare te alla materna».
«Oh». Dopo qualche secondo di silenzio, però, Castiel tornò all’attacco: «Neanche Sam e Dean vengono accompagnati dal loro papà. Ci pensa lo zio Bobby, perché lui è al lavoro».
Gabriel non si diede la pena di commentare, e vuotata la tazza del caffè fece apparire l’eterno lecca-lecca che si infilò in bocca con un mugugno soddisfatto.
«Tu che lavoro fai?».
«Sono un Arcangelo».
«E che cosa fanno gli Arcangeli?».
«Un po’ quello che gli pare».
«Oh. E non avete dei compiti?».
«Sì, ma sono rari. Annunciare qualcosa sulla Terra, addestrare le schiere angeliche, mantenere l’ordine su in Paradiso». Gabriel scrollò le spalle. «È per questo che siamo qui: mi è stato assegnato l’incarico di tenerti sulla Terra per una settimana. Ricordi com’era prima di scendere?» chiese poi curioso.
Castiel aggrottò la fronte. «Non lo so. C’era qualcuno che ci spiegava… delle cose. Poi siamo arrivati a casa».
 «Quello era Michael, mio fratello maggiore. Un tipo noioso, a dirla tutta. E comunque questa non è casa» precisò Gabriel, indicando in alto. «Quella è casa».
«Il soffitto?».
«Il Paradiso» chiarì il maggiore alzando gli occhi al cielo, esasperato. «E se non ti succede nulla per i prossimi tre giorni ci torneremo presto».
 
Di ritorno da scuola, Gabriel aveva lasciato il fratellino da solo per discutere con Balthazar.
Non aveva ben capito cosa stesse accadendo in Paradiso, ma l’amico gli aveva riferito che c’era più movimento del solito, e dubitava che si trattasse ancora della questione Gabriel-babysitter.
Così si era smaterializzato nel suo appartamento e aveva incontrato Samandriel, che era un po’ il corriere divino, sballottato da una parte all’altra per recare messaggi e partecipare ad aste a cui nessun altro voleva andare. Lui, con una strana espressione, riferì che Metatron era andato su tutte le furie quando aveva scoperto delle scommesse degli angeli e aveva cancellato buona parte dei patti con il re dell’Inferno.
«Nessun problema» aveva terminato con una scrollata di spalle, ammiccando furbamente. «Adesso controllo io il giro di scommesse con l’Inferno. Ho puntato su di te contro Uriel».
Balthazar sorrise. «Interessante. Riferisci a Crowley che scommetto mille anime su Gabriel» annunciò tirando una pacca sulla spalla dell’amico.
«Tu non ce le hai mille anime, Balth» sbuffò con una mezza risata Gabriel.
«E allora? Le guadagnerò non appena vincerai» replicò lui sicuro di sé.
«Grazie mille, ragazzi» disse Samandriel scribacchiando fitto fitto su un taccuino. «Fare affari con voi è sempre un piacere. Vado da Crowley, anche Zachariah si è deciso a scommettere. Contro di te, Gabriel, tra parentesi, quindi vedi di non perdere l’angelo, d’accordo?».
Samandriel si dileguò.
«Ora che mi ci fai pensare, dov’è Castiel?» chiese Balthazar dopo qualche istante.
«Al sicuro a casa».
«E da quanto è solo?».
Gabriel ci pensò su. Poi, imprecando, si smaterializzò all’istante.
Quando tornò, gli sgabelli della cucina era rovesciati e il pavimento era ricoperto di schegge di vetro.
Alcuni dei quadri che Balthazar insisteva a stipare da lui erano in frantumi, altri sul punto di cadere.
«Ma che… Castiel!» esclamò, riconoscendo la figura seduta per terra in mezzo a quel disastro.
Lo sollevò in fretta, posandolo sul divano e controllando che non fosse ferito.
«È stato Crowley? Eppure dovrei aver messo sigilli anti-demone ovunque… un angelo? È stato un angelo, Castiel?». Poi però notò le piccole ali arruffate che gli spuntavano dalla schiena, e sospirò.
«Hai provato a volare, non è vero?».
L’angelo, lentamente, annuì.
«D’accordo. Ti sei fatto male?» chiese osservandogli i palmi graffiati delle manine. Aveva un brutto livido sulla spalla, visibile da sotto la maglia rovinata, ma per il resto sembrava tutto intero
Castiel scosse la testa. Poi, proprio mentre il maggiore tirava un sospiro di sollievo e schioccava le dita per sistemare la stanza, domandò: «Mi insegni a volare, Gabriel?».
Lui inarcò le sopracciglia. «Come, prego?».
«Voglio volare. E apparire e scomparire come fai tu. Me lo insegni?».
«Ma…».
«Ti prego».
«Va bene, va bene, ma non qui. Andiamo dallo zio Balth» concesse Gabriel con una smorfia, prendendolo per un braccio e smaterializzandosi dall’amico.
Anna era lì, e stava aiutando Balthazar ad appendere un quadro enorme sopra al divano.
«Ti piace? L’ho vinto ad un dio pagano dal nome impronunciabile» lo accolse lui soddisfatto, prima di dire ad Anna: «Vai un po’ più a destra… così, esatto, un po’ più su…».
In un modo o nell’altro riuscirono ad appenderlo, ma Balthazar, allontanandosi per osservare il risultato con occhio critico, storse le labbra in una smorfia insoddisfatta.
«Mi sa che stava meglio in camera da letto…».
Dal divano, Anna gemette e si esibì in una serie di gestacci osceni, prima di accorgersi del piccolo Castiel che la osservava curioso. Si affrettò ad abbassare il braccio e arrossì.
«Cass… credevo che…». Tacque. «Cosa ci fate qui?».
«Vuole imparare a volare» disse Gabriel.
«In effetti il volo è una parte importante dell’addestramento basilare, in Paradiso» approvò Anna, impedendo a Balthazar di raggiungere il quadro che si era messo in testa di spostare.
 «E allora?» fece invece lui.
«Allora devi insegnarglielo tu». 
«E che c’entro io? Castiel è stato affidato a te, mica a me».
«Sì, ma… insomma, non ho mai addestrato un angelo prima d’ora. Non so come si faccia. Quindi a te l’onore, Balth» liquidò Gabriel con una scrollata di spalle.
L’amico, che alla prima affermazione era scoppiato a ridere, tacque per qualche istante.
«Sì. Giusto. Lezioni di volo» disse poi, ma senza accennare a muoversi.
Gabriel inarcò le sopracciglia. L’amico continuò a guardare altrove, fino a quando:
«Non lo sai fare neanche tu, vero?».
Balthazar alzò le mani in segno di resa. «Ehi, volare è un po’ come respirare. È spontaneo, non sono capace di insegnare a qualcuno come compiere un gesto praticamente involontario».
Anna, dalla sua postazione, sbuffò.
«Siete due incapaci» disse alzandosi e facendosi strada verso il piccolo Castiel.
«Adesso ti spiego io come si fa a volare, altro che questi due imbecilli».
 
Castiel aveva provato e riprovato, fino a ricoprirsi di lividi violacei per le cadute.
Non aveva pianto nemmeno una volta, né aveva chiesto di fermarsi, ed era toccato a Gabriel intervenire per evitare che finisse ammazzato. Lui e Balthazar erano stravaccati sul divano ad osservare i tentativi del piccolo angelo di spiccare il volo, e quando Castiel perse nuovamente quota, precipitando verso il pavimento a velocità vertiginosa, il fratello si smaterializzò.
Un attimo dopo erano entrambi con i piedi saldamente ancorati a terra, anche se Castiel aveva un grosso graffio rosso su una guancia.
«Posso ricordarti che se Cass si schianta da qualche parte, voi perdete le vostre scommesse e io il mio Pass per il Paradiso?» ringhiò ad Anna, che assunse un’espressione vagamente colpevole.
«Michael ci ha addestrati così» si scusò stringendosi nelle spalle.
Balthazar, invece, scoppiò improvvisamente a ridere.
«Ma sentitela, Mamma Gabriel! Cos’è, hai iniziato ad affezionarti all’angioletto?».
Castiel abbassò lo sguardo, stringendo con forza la mano del fratello.
Gabriel esitò per una frazione di secondo, poi si divincolò dalla sua presa e rise.
«Continui a non capire, non è vero?».
Si gettò nuovamente sul divano accanto all’amico. «Due giorni e lui torna in Paradiso. Io ottengo la riconoscenza di tutti gli angeli che hanno scommesso su di me e la rivincita su quei bastardi che hanno gufato per tutto il tempo, Michael e Metatron in primis. Tu vinci mille anime a Crowley. Anna straccia Ruby. Viviamo tutti felici e contenti».
Gabriel allargò le braccia, soddisfatto.
«Non pensi che tenere l’angelo in vita possa farci comodo?» terminò sarcastico.
Quella sera Castiel si infilò nel suo letto senza una parola.
Non voleva tornare in Paradiso, dove c’era il mostro dell’armadio e quel Michael di cui parlavano i grandi, quello sempre serio che non sorrideva mai.
Voleva restare con Gabriel, ma lui evidentemente aveva tutt’altre intenzioni.
 
 
Angolo della più o meno Autrice

Prima che l'intero fandom di Supernatural mi linci per le mie giganterrime licenze poetiche alla cazzo, vorrei premettere che questa storia è stata scritta come regalo di compleanno ad un non fan di Spn e che quindi non mi sono curata troppo del fatto che gli angeli non nascono bambini, che sono tutti tramiti etc. Giuro che lo so. Però la storia non sarebbe stata in piedi altrimenti. 
Tra parentesi, avrebbe dovuto essere una OS ma ho deciso di spezzare la settimana in due capitoli altrimenti sarebbe stata troppo lunga e niente, spero di essere riuscita a strapparvi almeno un piccolo sorriso. Sinceramente amo molto questi personaggi e mi dispiace che ci siano così poche storie su di loro, quindi... sì, insomma, eccomi qui.
Un enorme grazie a tutti coloro che sono arrivati fin qui e uno ancora più enorme a chiunque deciderà di lasciarmi un commento: ci terrei molto al vostro parere :)
Mi farò sentire presto con il prossimo capitolo (è già tutto scritto e corretto),
Asia
 
  
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