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Autore: ReaderNotViewer    19/09/2008    1 recensioni
Col beneplacito e in onore dell’adorabile L-Fy, autrice dell’indimenticabile “Prova del drago” – vero e proprio spin-off durmstranghiano della saga - pubblico questo mini-sequel. La mia storia si svolge otto anni dopo La prova del drago, cioè contemporaneamente agli avvenimenti del settimo libro. Cosa buffa – ma in fondo comprensibile, date le circostanze – non troverete in questa storia nessuno dei personaggi creati dalla Rowling.
Genere: Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La prova del drago di L-Fy

CAP.4



“Befanami.”

“Eh?” Costanza guardò Nadja, cercando su quel bel viso spiritoso i primi segni di quella malattia mentale, i cui sintomi intravedeva, ahimè, da diverso tempo e che pareva essersi aggravata nelle tre settimane trascorse dalla Notte dei Draghi. “Befa… che?”

“Befanami” ripeté l’altra, seria. “Rendimi una befana. Insegnami il tuo stile.”

“Ah. Grazie. Grazie davvero.”

“Ma sì. Guardati” disse Nadja, senza celare una certa ammirazione “Sembri la Bilenska. Dove sei riuscita a trovare un camicione di quel colore begiolino, mi domando. E i capelli? Non hai ancora bisogno di un lifting, perciò è inutile che li tiri in quel modo.”

“Ho corso dietro a Matilde tutta la mattina” brontolò Costanza. “Ieri ho passato il mio tempo a preparare una relazione in doppia pergamena per il Ministero della Magia per spiegare come mai i miei vicini babbani abbiano presentato un esposto ai Carabinieri per l’avvistamento di draghi in volo. Così sono rimasta indietro con le pulizie di primavera. Era quello che stavo cercando di fare prima che tu ritornassi qui con questa strana richiesta. Non dovresti essere a Bucarest, a spiegare come mai hai esportato illegalmente Fifì?”

“Ma Fifì era in pericolo!” protestò l’amica. “Non potevo aspettare i comodi di una manica di burocrati malvestiti per portarla in salvo. Comunque, è tutto sistemato. Più o meno. Sono sicura che la Basiliscu non si ricord…, cioè non darà seguito alla denuncia, intendo dire.”

“Nadja, hai gettato un incantesimo di memoria a una sottosegretaria del Ministero della Magia Rumeno?” indagò Costanza, severa.

“Non ricordo di averlo fatto” glissò Nadja, scuotendo perplessa i soffici capelli biondi. Costanza sospirò profondamente. Evidenti. Sintomi. Di. Malattia. Mentale.

“Mi correggo. Hai gettato contro la Basiliscu un incantesimo di memoria che ti è rimbalzato contro e ti ha preso di striscio?”

“Sai che potresti aver ragione?” ammise Nadja, pensierosa. “Questo spiegherebbe come mai io abbia cercato la mia valigia al Sangue di Dracula… bel posticino, ma non ha mai fatto servizio di locanda. Comunque. Torniamo al motivo della mia visita, se non ti dispiace. Che cosa puoi fare per rendermi più simile a te e meno simile a me?”

“Potrei sempre farti crescere un porro sul naso” minacciò Costanza.

“Tu non hai… no, senti. Sono seria. Davvero. Tu non ci hai mai tenuto molto ai vestiti, lo sappiamo. Solo io ricordo i sotterfugi a cui ho dovuto ricorrere, quand’eravamo a Durmstrang, per rendere il tuo look… accettabile.”

“Li ricordo benissimo anch’io, invece” ringhiò Costanza, che dopo otto anni non le aveva ancora perdonato lo scherzo dei bauli scambiati, alla partenza per le vacanze di Natale dell’ ultimo anno.

“Sei migliorata” convenne Nadja, girando attorno all’amica con occhio critico. La luce del sole pomeridiano, che inondava l’enorme soggiorno di Casa Malatesta mettendo in evidenza i tappeti scoloriti e le crepe dei vecchi mobili, rendeva più facile il suo esame. “Intravedo del pizzo valenciennes, ne deduco perciò che sotto questa… roba che indossi, almeno non porti più la sottoveste della divisa di Durmstrang. Ti sei sistemata le sopracciglia, brava. Ammetto persino che quei jeans ti stiano bene, anche se ti consiglio di regalarli all’Ente per i Maghi Poveri alla prima occasione.”

“Sei sicura di sentirti bene? Sei così strana, ultimamente. Più strana del solito.”

Nadja si buttò sul divano, malconcio per servire principalmente da palestra a Matilde. Sasha, nonostante fosse nato e cresciuto in un lussuoso castello, si accorgeva a malapena dell’ arredamento, ma Costanza aveva buttato via un bel po’ del ciarpame che si era accumulato in quella stanza nel corso degli anni, anzi probabilmente dei secoli. Le teste mummificate sul caminetto, ad esempio, erano finite in solaio, a terrorizzare i topi invece che a suscitare educate espressioni di perplessità sul volto degli ospiti in visita. A nessuno, infatti, piace sentirsi chiedere come sta da una testa umana grande come un’arancia.

“Lo so” replicò Nadja tristemente, rimettendo a posto le molle del divano, che stavano insieme grazie a un bel po’ di incantesimi, senza farsi troppo notare. “Dov’è la mia figlioccia?”

“Sonnellino pomeridiano. Forse questo lungo soggiorno in campagna non ti fa bene, dopotutto” disse Costanza, che cominciava seriamente a preoccuparsi.

“Non è la campagna” sospirò Nadja. “Anche se la campagna, in effetti, ha avuto le sue responsabilità. Non potresti insegnarmi a vestirmi come te senza fare domande?”

“Tu non vuoi vestirti come me più di quanto Balthus desideri un raffreddore allergico” sentenziò Costanza “quindi credo proprio che se vorrai prendere ispirazione dal mio guardaroba, dovrai spiegarmi che cosa ti affligge.”

“Va beh. Tanto prima o poi a qualcuno dovevo confidarlo. L’ho detto a Matilde e a Fifì, ma non so quanto abbiano capito tra tutte e due. In sostanza, è per via di Spartacus.”

“Di Spartacus. Eppure sembrava che ultimamente andaste abbastanza d’accordo. Non ha presentato nessun esposto contro di te per via della fuga dei draghi. Vi date persino del tu, da quella notte. Del resto, andare a caccia di...”

“Non mi prende sul serio” sbottò Nadja.

“Credo di soffrire di allucinazioni auditive” disse Costanza. “Sbaglio o ho appena sentito la baronessa Iljovich lamentarsi che un essere di sesso maschile non la prende abbastanza sul serio? Tu sei capacissima di fargli cambiare idea. Non dico che riusciresti a spacciarti per un’esperta di Aritmanzia, ma puoi sempre sedurlo. In fondo è piuttosto carino. Mi sembra un po’ estremo per non perdere la custodia di un drago, ma…”

“Che c’entra Fifì? E comunque, quello l’ho già fatto” replicò Nadja, sempre più imbronciata.

“Quello che cosa?”

“Sedurlo. Non saprei dirti bene com’è andata, ma suppongo che uno di noi due abbia sedotto l’ altro. Perché mi guardi come se fossi il mostro del lago?” indagò osservando Costanza che apriva e chiudeva la bocca senza riuscire ad emettere suono. “Adesso penserai che sono una scema.”

“Tesoro, l’ho sempre pensato. Ma ti voglio bene lo stesso. Che cosa cavolo hai combinato, Nadja?”

“È così difficile da capire?”

“Cioè, sei stata con lui. Quando?”

Nadja fece dei gesti vaghi con la mano, poi s’interruppe per guardare verso la finestra. Si sentivano provenire strani rumori dal giardino, segno che Pandolfo continuava con i suoi lavori, ai quali, secondo quanto l’esperienza suggeriva a Costanza, difficilmente sarebbero sopravvissute le rose ballerino del pergolato. O i resti del prato, che in teoria avrebbe dovuto coprire il declivio dietro la casa. O magari lui stesso, che ogni anno diventava più orbo e più pasticcione. Consapevole che la manovra di Nadja era un gesto diversivo, Costanza insistette: “Te ne ricorderai, suppongo.”

“Beh, la prima volta è stata quando Fifì è scappata. Perciò dicevo che era colpa della campagna. Poi…”

“Ah. E…”

“Continua a non prendermi sul serio lo stesso” sospirò Nadja, affondando sempre più nel divano sfondato. Erano lacrime, quelle che brillavano tra il mascara blu cupo delle ciglia? No, forse aveva solo il sole negli occhi.

“Non mi dire che lo a…”

“Non dirlo” gridò Nadja frettolosamente “non pensare nemmeno a pronunciare quella parola. Non credevo che potesse fare così male” concluse scuotendo la testa. “Ti giuro che non lo sapevo, altrimenti non mi sarei mai sognata di spingere le altre persone a… percorrere questa strada, ecco. Credevo che fosse una lieta passeggiata tra il canto dei fringuelli e lo stormire delle foglie, non una spaventosa scarpinata in un deserto arido e assolato.”

Allibita, Costanza tacque, digerendo la notizia. Nadja aveva avuto delle storie. Non così tante come mormoravano gli invidiosi, non così poche come pensavano gli ingenui. Ma non aveva mai fatto similitudini, tanto meno del genere natural-escursionistico. La situazione doveva essere grave, quindi. Rifletté, tentando di vedere Gogolmenko nei panni del seduttore, cosa tutt’altro che facile. Non faticava a credere, al contrario, che avesse mantenuto così bene il segreto sulla sua relazione con Nadja. In questo caso, era molto strano, viceversa, che ci fosse riuscita Nadja. Oltre che grave la situazione sembrava, ripensandoci, anche sospetta.

“È difficile da spiegare. All’inizio è stato come se fossimo sotto un incantesimo. Un momento prima eravamo lì, in piedi in mezzo a un prato, a discutere su Fifì e il maledetto succo di primule – ricordo perfettamente che ero tentata di chiudergli la bocca con una fattura pur di farlo stare zitto. Un momento dopo, ecco… “

“… hai trovato un altro sistema per ottenere il medesimo risultato” concluse Costanza.

“È stata più un’alternativa che abbiamo abbracciato contemporaneamente, direi” spiegò Nadja con un lieve sorriso nostalgico. Costanza ebbe una breve immagine mentale della bionda e minuta baronessa che si avvinghiava all’esile, pallido funzionario della EMU, ma si rese conto di mancare del materiale di base per completarla. Avendo dormito per sette anni nella stessa camera, conosceva a memoria le fattezze di Nadja, mentre non aveva idea di che cosa nascondesse Spartacus Gogolmenko sotto quei suoi vestiti antiquati e troppo abbondanti. Non che ci tenesse a saperlo, ma era nondimeno strano.

“Sei sicura che non si tratti veramente di un incantesimo, di un filtro d’amore o di qualcosa del genere?”

“Magari. Niente di così semplice, purtroppo. Non sarebbe neppure un problema così enorme, se solo lui mi prendesse sul serio.”

La scelta di parole di Nadja, rifletté Costanza, era a dir poco interessante. Non sarebbe un problema enorme? La baronessa Iljiovich doveva aver scoperto l’understatement tutto d’un tratto. Non era carino rigirare il coltello nella piaga, tuttavia c’era un’altra domanda che Costanza, in qualità di migliore amica, aveva il dovere di fare.

“Nel senso che le tue intenzioni verso quel poveretto sono serie? O nel senso che ti ruga venir trattata nello stesso modo in cui di solito tratti gli altri?” chiese.

“Un po’ tutti e due” ammise Nadja sinceramente, dopo un momento di riflessione. “E non chiamarlo poveretto: Spartacus sembra convinto che la cosa tra noi non possa durare e io sono un po’ stufa di sentirgli ripetere Chi l’avrebbe mai detto? come una vecchia comare. Questo mi riporta alla mia richiesta iniziale, quella di cambiare il mio look in modo da non sembrare la meravigliosamente frivola baronessa Iljovich, bensì la straordinariamente affidabile Nadja. Mi aiuterai, Costanza? Ti prego, ti prego…” concluse Nadja in comico tono d’urgenza, sbattendo gli occhi e facendo la boccuccia a cuore, in modo che mandò alle ortiche ogni sua pretesa di voler sembrare una persona seria.

“Tu non hai bisogno di un nuovo guardaroba vecchio, bensì di una visita al Santa Galampanga di Nairobi, la migliore clinica psichiatrica dell’intero mondo magico, a quanto ho sentito dire” rise Costanza. “Ma sei indubbiamente l’unica e inimitabile meravigliosamente straordinaria e frivolmente affidabile baronessa Nadja Iljovich!”

Un rumore di piedini nudi sulle assi dell’antico pavimento del corridoio annunciò che Matilde si era svegliata dal suo sonnellino. “Guarda chi c’è. Sei riuscita di nuovo ad allargare le sbarre del tuo lettino, Matilde?” chiese Costanza vedendo comparire in soggiorno la bimba, che aveva il visino bello riposato e i capelli, che erano ricci come i suoi, tutti per aria.

“Nadada!” strillò la bambina saltando sul divano e sulle ginocchia della sua madrina, che la strinse a sé, affondando il viso in quel corpicino confortevolmente caldo. Il cuore le batteva veloce come quello di un uccellino e la sua pelle profumava di sudore infantile, dell’ onnipresente pozione Bimbobello e di qualcosa d’indefinibile, l’odore della vita al suo inizio. Costanza sapeva bene che quell’odore, oltre ad essere il migliore del mondo, dava assuefazione.

Dopo pochi momenti Nadja si sciolse dall’abbraccio della sua figlioccia, per la quale era scoccata l’ora della merenda, e rialzò il viso. I suoi occhi azzurri brillavano di malizia e di determinazione.

“Forse questa volta non hai tutti i torti, miss Spocchia. Forse Spartacus deve solo imparare a guardare al di là della perfezione e dell’eleganza.“

“Che cosa intendi dire?”

“Che è venuto il momento in cui Gogolmenko si deve rendere conto di quello che ha e che potrebbe perdere” dichiarò Nadja.

“Vieni, piccola. Andiamo a fare merenda” nascose un sorriso Costanza mentre prendeva in braccio Matilde. “Sei sicura che non lo sappia già?”

Nadja ci rifletté su un momento, mentre guardava, pensierosa, il ritratto di Brigida Malatesta appeso sopra il camino: strega bruttissima ma di grande carattere, l’antenata chinò il capo con condiscendenza. Nadja le era simpatica e stravedeva per Matilde, mentre non aveva ancora digerito il fatto che Costanza avesse sposato un Valenskij. In un passato che nessuno ricordava, c’era stato un attivo scambio di maledizioni senza perdono tra i membri delle due famiglie. Precedenti del genere erano assai comuni tra le famiglie di maghi europee, quindi nessuno che non stesse dentro una cornice vi faceva più caso.

“Il giovane di cui parlate, baronessa” interloquì Brigida con la sua voce profonda e assai poco femminile, che contrastava con il profluvio di pizzi in cui era avvolta, “si rende certamente conto di non essere alla vostra altezza.”

Di solito la contessa leggeva quietamente il manuale di pozioni che aveva in mano, invece di ascoltare le conversazioni che si tenevano in salotto, a meno che non si trattasse di questioni successorie, che erano la sua passione. Prediligeva in particolare l’istituto dell’ enfiteusi, sul quale poteva discettare con grande competenza per ore, come Costanza aveva scoperto a sue spese durante le vacanze scolastiche, che aveva trascorso molto spesso dalla nonna.

“Contessa Malatesta” si scusò Nadja indirizzando un inchino all’illustre antenata “spero di non avervi annoiato con le mie sciocchezze.”

“Non nominare l’enfiteusi” le raccomandò Costanza a bassa voce.

Nadja la guardò male. Probabilmente non aveva la più pallida idea di che cosa fosse l’ enfiteusi. Forse pensava che si trattasse di una malattia imbarazzante e si sentiva offesa all’idea che l’amica mettesse in dubbio la sua capacità di sapersi ben comportare in società.

“Le questioni di cuore non sono prive di importanza dal punto di vista sociale” sospirò Brigida Malatesta, “pertanto non è fuori luogo che una strega bennata vi dedichi la dovuta attenzione.”

Costanza pensò che l’antenata dovesse sapere ciò di cui stava parlando, dal momento che la sua incredibile bruttezza non le aveva impedito di avere tre mariti e di mettere al mondo un totale di dodici figli. Costanza sospettava anzi che quel libro di pozioni, al quale Brigida era evidentemente così affezionata, non fosse estraneo alla ripetuta e inspiegabile attrattiva che la sua proprietaria aveva esercitato sul sesso opposto.

“Che cosa mi consigliate dall’alto della vostra esperienza di vita, madame?” indagò Nadja, interessata.

“Questo… Spartacus Gogolmenco – nuova nobiltà, suppongo, perché non ho mai avuto occasione di sentire prima questo nome” riprese Brigida Malatesta con un gesto che voleva significare come ci si dovesse rassegnare anche a sposare dei parvenue, “non può che sentirsi inadeguato a sostenere un legame con una strega della vostra avvenenza ed eleganza, baronessa. Se per qualche capriccio del vostro cuore, voi invece lo giudicate all’altezza del compito, dovrete fare ciò che in altre circostanze sarebbe del tutto sconsigliabile, ovverossia rendergli evidente che egli gode del vostro favore.”

“Fare capire a quel babbeo che io a lui ci tengo?” tradusse Nadja.

L’antenata chinò il capo in senso affermativo. “Che cosa aspetti a dare da mangiare a quella creatura, mia cara?” aggiunse poi in tono pratico, rivolta a Costanza, prima di riprendere la sua lettura.

“Merenda” gridò allegramente Matilde.

“Perché questa bambina pronuncia perfettamente solo i nomi dei pasti?” si chiese Nadja, perplessa, prima di seguire madre e figlia in cucina. Rimasta sola, la contessa Brigida Malatesta sorrise in modo materno e comprensivo, il che la rendeva solo leggermente meno brutta, prima di riprendere l’eterna lettura del suo libro.


  
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