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Autore: HeySoul    25/08/2014    1 recensioni
Si limitava a studiarla da lontano, qualche volta. In una moviola di capelli disordinati ed espressioni concentrate, di gambe accavallate deliziosamente e i suoi calzini al ginocchio a farla sembrare più giovane.
Genere: Commedia, Generale, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Alex Turner, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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Ciao a tutti lettori! Volevo avvisarvi di aver cambiato il rating. Mi sono accorta che nei prossimi capitoli c’è un qualcosa di più complesso e, sebbene lo tratti solo a grandi linee, è sempre meglio avvisare, per andare sul sicuro, no?
Quindi, niente. Grazie ancora a chi sta leggendo! Ed ecco il capitolo quattro.
 

Chapter Four
 
“The ghost in your room that you always thought didn't approve of you knocking boots.
Never stopped you letting me get hold of the sweet spot by the scruff of your
Knee socks.”
 
A Los Angeles l’unico suono che poteva accompagnare un risveglio era il rombo delle automobili, proprio a qualche metro di distanza dalla finestra della camera da letto. Sarebbe stato carino avere degli uccellini canterini, come nei film e nelle fiabe di quando si era piccoli, avrebbe contribuito a rendere tutto più dolce e a regalare qualche minuto in più di beata ignoranza. Perché si sa, il momento peggiore non è l’aprire gli occhi in sé, né il fastidio dato dall’interruzione di un bel sogno, ma quando la realtà si abbatte sul viso: una ventata di aria fredda, acqua ghiacciata, crudeltà, forse. Alex cercò di rimandare quel momento il più possibile, ostinandosi a lasciare fuori da quella stanza ogni pensiero, tutto. Le ciglia di Eileen erano così lunghe da arrivare ad accarezzarle gli zigomi, forse complice il mascara dalla sera prima. Il trucco non più in ordine le dava un’aria buffa, forzandola ad assomigliare ad una ragazzina alle prime armi con quei colori che l’avrebbero tormentata per il resto della vita. Le lentiggini sparse su tutti gli zigomi e un poco sulla fronte contribuivano a quell’immagine, così come le guance arrossate per il caldo dato dall’abbraccio e dal riscaldamento. Non aveva il coraggio di spostare lo sguardo da quel viso sereno, temendo che avrebbe potuto disturbare quell’anima persa in una pace profonda. Avrebbe avuto voglia di stropicciarsi gli occhi, spostare il braccio da quella posizione che lo costringeva a sentire un fastidio costante, o anche solo dare un’occhiata alla gatta che sentiva ronfare placidamente poco più in là, forse anche lei sul letto. Ma rimase fermo, concedendosi solo un sorriso inconsapevole. La osservò per un tempo che sarebbe sempre sembrato solo una manciata di secondi, in qualsiasi universo e in ogni vita che avrebbe vissuto, prima di cedere all’istinto di accarezzarle le labbra con il pollice. Erano screpolate dal sonno inizialmente agitato ma sempre rosee e piene, senza espressione. Fu in quel momento che Eileen si mosse un poco, stringendosi di più a lui e mormorando qualcosa di indefinito. Quel gesto lo spinse ad allargare il proprio sorriso, punzecchiando persino la sua curiosità, poiché riusciva a capire bene che lei non fosse affatto sveglia, solo in procinto di aprire gli occhi. Avrebbe potuto bisbigliare il suo più grande segreto che non avrebbe avuto modo di accorgersene, lasciando la sua innocenza nel cuore di Alex. Lui prese a passare l’indice sulla curva di quel collo candido, disegnando qualcosa in uno stato d’incoscienza per minuti interi.
«Ti amo.» Sussurrò lei, senza dare nessun preavviso. Non un suono sommesso, né un mugolio distratto, solo una coppia di parole nel silenzio dolce di quella mattina che desiderava lasciare tutte le ore successive in un mondo a sé stante. Alex si congelò, smettendo di imprimere segni invisibili sulla pelle di Eileen e concedendosi un’espressione interrogativa. Non riusciva a capire se lei fosse ancora dispersa in un sonno profondo, non aveva nessun ricordo di averla sentita parlare da addormentata, nelle notti precedenti a quella. Ma la risposta a quell’enorme interrogativo non si fece attendere.
«Non smettere però. Era così piacevole.» Ora era chiaro che lei si fosse destata dalla sua condizione precedente, con quel lamento. Rimase per qualche altro secondo in quella posizione, per poi muoversi lentamente, appoggiando la testa sul cuscino a favore di Alex e il suo fastidio al braccio. Si riposizionò anche lui, poi. Adesso erano entrambi adagiati su un fianco, con gli sguardi intrecciati e le voci impastate dal sonno. Nonostante il cambio sulle lenzuola, Alex riprese ad accarezzarla, solo passando anche sulla linea della mandibola e sulle labbra.
«Avevo parlato a proposito di doverti riferire tutto. Mi sembrava un buon inizio.» Si giustifico così, stringendosi un poco nelle spalle con timidezza ma allo stesso tempo sorridendo con emozione e sincerità. Non era mai stata arruffata in quel modo, con i capelli tutti disordinati sopra il cuscino, il trucco scuro a contornarle gli occhi in modo per nulla omogeneo, quasi a darle l’effetto di un paio d’occhiaie da insonnia. Doveva aver pianto quella notte, perché il viso presentava dei segni quasi impercettibili, verticali e lungo le guance. Il passaggio di lacrime, il loro percorso casuale in un ombra di tristezza. Ma ad Alex non era mai apparsa più bella. Era reale e sapeva di verità, il suo sorriso pareva poter sconfiggere ogni male, oltre che in grado di illuminare l’intera stanza. Fu un attimo nella mente del ragazzo, un’istante per poterla ammirare, quasi di nascosto, poi le si avvicinò per incontrare le sue labbra.
«Ti amo.» Ripeté con la leggerezza nel cuore, nel suo tono di voce basso. La voglia di aggiungere qualcosa sulla sua bellezza stava diventando quasi un bisogno, ricordarle del sole dei suoi capelli e del nero desiderio nei suoi occhi, ma le parole appena pronunciate erano cariche anche di quelle impressioni e sapeva fossero arrivate a lei come di dovere. Si accostò alle sue labbra più volte, lasciando solo lievi carezze, mentre le dita vagavano fino a trovare il punto dietro il ginocchio di lei, proprio vicino alla stoffa dei calzini bianchi. Quella pelle era seta dal colore di mille perle alla luce, con i riflessi a mezzaluna a farle sembrare meno reali. Alex aveva l’impressione di non stancarsi mai di accarezzarla, di poter continuare in eterno sempre con il piacere sotto le dita.
«Hai profumo di notte.» Le parole erano proprio queste, pronunciate ad una distanza di qualche centimetro dal collo di Alex che rise, sentendola talmente seria e presa da quell’idea.
«Come?» Le passò una mano fra i capelli, mentre l’altra continuava a marchiare la pelle di invisibili segni.
«Sì, davvero. Qualcosa come aria notturna. Colpa del viaggio in moto, forse?» La piega delle sue labbra si congelò, e lei semplicemente si strinse di più a lui, non trovando nemmeno il coraggio di guardarlo negli occhi. Il ricordo della sera prima era tornato dentro quella stanza come una tempesta estiva, strisciando sui nervi ora non più rilassati di entrambi. Avrebbero avuto voglia di lasciare tutto quello fuori dalla calma e la dolcezza di quelle carezze, mentre adesso li spingeva solo ad avvinghiarsi maggiormente, come se uno dei due potesse svanire da un momento all’altro. Passò qualche secondo in un silenzio che non era più risveglio e nemmeno amore, ma incertezza concreta.
«Abbiamo bisogno di una colazione come si deve. Tu soprattutto di un caffè, anche se adoro i tuoi occhi quando sono assonnati.» Si sentiva in colpa, almeno un poco, per aver interrotto il filo di quel risveglio diverso. Eileen cercò di riparare, riportando meglio che poteva quella nebbia tranquilla che li aveva avvolti fino al momento precedente. Lei si permise di lasciare scorrere il dorso della mano sul profilo della mandibola di lui, prima di scostarsi con l’idea di alzarsi dal letto. L’ultima immagine che ebbe Alex di lei furono i suoi calzini, uno alto e perfetto nella sua solita posizione, e l’altro stropicciato, accartocciato sulla caviglia. Le cosce nude e la gatta che trotterellava curiosa dietro di lei. Si concesse una sigaretta, a quel punto, convinto che la nicotina gli sarebbe stata d’aiuto. Aprì la finestra, l’aria gelida ed invernale lo colpì in pieno viso, come una avvertimento. Si lasciò andare poi ad una doccia, col pensiero distratto di stare sostituendo quel profumo di notte. Incrociò la ragazza, solo per poi vederla sgattaiolare in un’altra stanza. Quando finalmente poté sentire il profumo di caffè spandersi nella cucina, i suoi capelli non seguivano nessuna logica, scompigliati in un contrasto con il solito ordine del gel, portando persino la ragazza a ridacchiare alla sua comparsa nella stanza. Eileen teneva fra le mani una tazza calda, facilmente comprensibile dal fumo denso che ne usciva, e dalla macchia scura sulle labbra si poteva prevedere della cioccolata. E ormai Alex aveva avuto modo di procurarsi qualche biscotto – sempre presenti all’interno della dispensa – e il suo amaro, quando lei riprese a parlare.
«L’appartamento è mio, sai? Non pago l’affitto.» A lui sembrò un’uscita piuttosto singolare, soprattutto senza l’anticipazione di un discorso simile. Nulla del genere aveva mai sfiorato il suo interesse ma ora che ci faceva caso gli sembrò curioso. Effettivamente il nascondiglio di Eileen e di Medea poteva essere un facile interesse per chiunque, soprattutto per un agente immobiliare in cerca di una promozione. Era piuttosto ampio, anche se contava solamente quattro stanze, con il parquet scuro in perfette condizioni e il mobilio elegante – probabilmente scelto dalla ragazza stessa. In più si trovava in una zona favorevole, all’interno della città.
«Mia zia me l’ha lasciato quando se n’è andata.» Continuò, anche senza ricevere una vera risposta. Alex si sedette sul bracciolo del divano, incontrando il suo sguardo con un sopracciglio alzato ma con aria seria, attenta. Lei se ne stava comoda in una felpa più grande di almeno due taglie, con le ginocchia piegate e la tazza ancora piena a scaldarle le mani.
«Era una donna deliziosa, si chiamava Rosemary. Faceva della sua vita un insegnamento per chiunque l’avesse vicina. Passava ogni mattina a vagare per le strade meno frequentate, alla ricerca di qualche randagio che prontamente recuperava. Dava loro sempre nomi dei suoi personaggi letterari preferiti e li regalava ai bambini del quartiere, ma solo dopo essere riuscita a storcere loro delle promesse sincere e aver riempito le loro coscienze di raccomandazioni sulla salute dei gatti.» Prese un sorso della cioccolata bollente, dando di nuovo vita alle labbra altrimenti screpolate. Era il suo modo di aprirsi, e partire da lontano la faceva sentire al sicuro. Entrambi sapevano che non era Rosemary ad essere il problema che angosciava continuamente la ragazza ma ad Alex parve di avere il permesso di aprire un libro sempre rimasto chiuso. Intuiva fosse un grande passo per lei e si accorse di ammirare il suo coraggio. Ebbe l’istinto primordiale di accompagnarla in quella che pareva essere un’ardua impresa, così cercò un contatto. Appoggiò la tazza di caffè ormai vuota sul primo ripiano a lui concesso, per poi sedersi a sua volta sui cuscini, catturando le gambe di lei e posizionale con delicatezza sulle proprie. Medea balzò su di loro, ritagliandosi un posto in quell’intreccio.
«Medea non era più grande di una tua mano, Alex, quando Rosemary la trovò sotto una auto. Era così magra che le sue ossa si potevano distinguere una ad una, nonostante il colore scuro del suo pelo. Era una brava persona, la migliore che io abbia avuto l’onore di conoscere.»
Pausa, carezze.
«Fu lei ad accogliermi qua dentro quando i miei genitori ebbero il coraggio di cacciarmi di casa, proprio come uno di quei gatti.» Ci fu una pausa più lunga, accompagnata da un incontro di sguardi. Eileen finì la sua cioccolata, mantenendo comunque la tazza vuota ma ancora tiepida fra le dita. Ad Alex parve, per qualche secondo, di non essere in grado di reggere tutto quello. Non avevano nemmeno sfiorato il vero argomento che gli mancava l’aria a sentirla così lontana. L’avrebbe voluta stringere fra le braccia e giocare con i suoi capelli, e sussurrarle egoisticamente che tutto sarebbe andato per il verso giusto. Aveva ormai rinunciato a cercare delle parole proprie, così la lasciò continuare.
«Non avevano mai apprezzato la mia passione per il disegno, non quando avrebbero voluto una figlia diligente capace di intraprendere le loro stesse carriere. Medico o avvocato, grande scelta, eh?» Si sarebbe aspettato di vederla sputare veleno, su un argomento del genere, invece Alex percepiva solamente un ironia triste. Le concesse un sorriso incerto e ricco di malinconia, mentre si stringeva nelle spalle con disagio. Persisté con le sue carezze, sulle ginocchia e sulle cosce nivee.
«Già, che cliché. Dicevano che sarei finita sulla strada senza nemmeno un soldo ma suppongo abbiano solo avuto voglia di anticipare i tempi. Gli concedo solo una cosa, solo una. Avevano ragione su di lui. Suppongo che il mondo abbia voluto dare contrasto alla mia vita, perché aver avuto la possibilità di conoscere Rosemary comportava dovere aver perso la testa per lui.» A quel punto le tremava la voce. Non guardava verso Alex, non più, e i suoi occhi erano colmi di lacrime che si ostinava a non voler lasciar cadere. Quell’ossidiana liquida fece sprofondare il ragazzo in uno stato di malinconia che gli attanagliava ogni nervo. Si concesse dieci secondi, solamente dieci, per poi sporgersi verso di lei senza nessun preavviso. Una mano sulle guance ora bagnate, un incontro di labbra dolceamaro della cioccolata e del caffè, dei ricordi e della tenerezza che si ostinava a non voler lasciare andare. Le parole erano ormai un concetto astratto per lui ma ebbe la necessità di riportarla a casa, in un certo senso. Donarle amore come antidoto a tutti quei brutti ricordi, darle sicurezza e offrire un posto caldo in un suo abbraccio. Nella propria mente nacque persino la consapevolezza di stare agendo per il proprio bene e non solo per quello di lei, poiché tutto quello gli scavava l’anima, togliendogli energia. E forse non avrebbe dovuto interromperla, forse esternare tutto quello poteva confortarla, ancora prima di rendere il suo viso triste, mentre lui aveva interrotto quel qualcosa. Si ostinava a continuare per la sua strada, coinvolgendola in baci lunghi, stringendola poi con tutta la premura di cui disponeva. La gatta era scivolata via dal divano, ora non più un posto calmo come qualche minuto prima. Alex aveva solo voglia di creare un nido sicuro per Eileen, dove poterle dare la possibilità di ricercare sollievo ogni volta che quell’oscurità minacciava di eclissare il sole dentro di lei. La coccolò a lungo e lei non si oppose, semplicemente si lasciò amare, ricordando ad entrambi una di quelle creature a cui Rosemary era solita dare un’altra possibilità. Passò un’ora, o poco più, quando il cellulare di lei squillò tagliando con crudeltà l’aria di sollievo che con fatica avevano costruito intorno a loro. Eileen fece per prendere l’apparecchio, cercando di districarsi dall’abbraccio che adesso li legava.
«Potrebbe essere qualcosa di importante.» Fece, nel momento in cui lui tentò di impedirle quel movimento. Alex la lasciò andare con molta incertezza, dopo quelle parole, ricevendo come rassicurazione l’ennesimo bacio. La vide camminare con sicurezza, quasi ricordandogli la determinazione che ci si impone quando bisogna mandare giù una pillola amara.
«Devo scappare a lavoro, a quanto pare hanno licenziato Kurtney e sono a corto di personale.» Chiarì, prima di ritirarsi a favore di un cambio d’abiti. Alexander poté stringerla solo un’altra volta prima di salutarla, ammirando il suo cappotto rosso e la sciarpa scura che le solleticava le guance. Rimase nell’appartamento non suo per altro tempo, rivestendosi completamente dei vestiti della sera prima e prendendosi del tempo per accarezzare Medea dietro le orecchie, perdendosi nei suoi pensieri e nel verde acceso di quello sguardo felino. Il cellulare di Eileen, simbolo di ogni male, era rimasto dimenticato sul tavolino d’ingresso, quello dove lei era solita poggiare le chiavi di casa. Lui lo osservò a lungo, facendosi tentare da dei pensieri non del tutto etici. Avrebbe voluto rigirarselo fra le dita, prima di aprire la casella dei messaggi e scoprire qualcosa di più sulla causa delle preoccupazioni della ragazza. Era sicuro di poter trovare informazioni su quel lui precedentemente citato, ma alla fine abbandonò l’idea, uscendo dal quel luogo candido che ormai riportava anche il suo odore.

Si ricordava molto piccolo quando sua madre, in un pomeriggio autunnale, gli spiegò il motivo per cui, a volte, si ritrovava costretta a punirlo per delle azioni che a lui parevano totalmente innocenti. Non lo fece con parole recuperate da delle riviste lette dal parrucchiere, né tirò in ballo i soliti discorsi infiniti sull’educazione. Gli aveva spiegato con molta calma il suo punto di vista, esponendosi più di quanto una figura di riferimento dovrebbe fare. Chiarì che il motivo che la premeva di più era proteggerlo perché era nella natura di una madre farlo. Come Penny, la cagnetta del vicino, che allora era conosciuta in tutto il quartiere come una creatura benevola, che provava affetto per chiunque e per chiunque si sarebbe sacrificata; ma dal giorno in cui ebbe i cuccioli diventò molto scontrosa quando li aveva intorno, solo perché temeva per la loro incolumità e il suo istinto la obbligava a comportarsi in quel modo. Così si giustificò sua madre. A quel tempo si ricordava solo di averla guardata senza capire bene, con i suoi occhioni scuri spalancati per l’innocenza infantile e con l’aria di un broncio ancora presente sulle labbra, a causa del divieto di incontrare i suoi compagni come castigo.
Poteva sentire in se stesso scorrere un sentimento simile quando spinse con indecisione la porta di vetro del bar in fondo alla strada. Accadde ore dopo l’ultimo abbraccio con Eileen ma, nonostante il tempo passato e la visita a Matt nella mattinata, non era riuscito a liberarsi del pensiero di lei. La sentiva ancora tremante sotto le sue dita e l’immagine dei suoi occhi colmi di lacrime non l’aveva lasciato in pace. Di certo non si era trasformato in un cane, né in una donna, si disse, semplicemente riusciva ad individuare nei suoi movimenti un senso di protezione primordiale.
Delle campanelle precedettero il suo ingresso nel locale, il cui caldo lo avvolgeva con piacere. Aveva idea degli orari della propria ragazza solo in una scala approssimata, creata sui messaggi che lei gli riservava ogni volta che rientrava o usciva di casa. Pensò che quello dovesse essere probabilmente la fine del suo turno, mentre si guardava intorno assicurandosi di aver trovato il posto giusto. La sala non era tanto grande ma di una forma allungata che dava la possibilità ai nuovi ingressi di poter avere un’intera immagine della caffetteria; un bancone si estendeva coprendo quasi la distanza fra le pareti opposte, tracciando il confine con i tavoli di legno e le panche dai cuscini rossi. Non vi erano molti clienti, solo due ragazzini dall’aria distratta, un uomo sulla sessantina nel posto più vicino all’ingresso e una giovane donna con i gomiti poggiati sul bancone. Alex ne apprezzò la figura, prima di notare che la sua interlocutrice fosse Eileen che le dava le spalle, indaffarata con la macchina del caffè. Vederla serena, seppur impegnata con il lavoro, gli dava un senso di sollievo, ancora prima di poter avere la possibilità di vedere il suo sorriso, girandosi attirata dallo stesso suono di sonagli provocato dalla chiusura della porta. La sorpresa le si dipinse sul viso, facendole spalancare gli occhi scuri e dischiudere le labbra.
«Ehi, non c’era bisogno che venissi, staccherò fra qualche minuto.» Lo avvertì, prima di poggiare una tazzina e il rispettivo piattino sul vassoio, che consegnò al signore sulla sessantina con professionalità. Alex si guadagnò numerose occhiate evidentemente scettiche dalla ragazza che ora si era seduta con eleganza su uno degli alti sgabelli, poi ricevette un bacio di saluto da un Eileen sulla punta dei piedi.
«Avevo voglia di vederti, tutto qui.» Chiarì, avvicinandosi al bancone mentre lei ritornava dietro.
«Prendi il tè alle cinque o qualcosa del genere? No, forse sei più interessato alla birra.» Il tono sprezzante della sconosciuta lo portò ad essere quasi sulla difensiva. Alzò un sopracciglio, mentre lei continuava.
«Sheffield, giusto? Hai lo stesso accento di mia cugina che, tra parentesi, non sopporto.»
«Perspicace. E devo la tua attenzione su di me a…?» Era divertito, a dire il vero. All’inizio l’aveva trovata irritante, e adesso ancora di più, ma capì di esserne incuriosito.
«Alex, lei è Lana – Lana, lui è Alex.» Li interruppe Eileen, appena preoccupata per l’incontro non previsto. Prestava attenzione, nonostante stesse asciugando dei bicchieri, ma manteneva un sorriso tranquillo. L’aspetto di Lana non tradiva nessuna dolcezza. Il viso era squadrato e gli zigomi affilati, le labbra fini e gli occhi castani vispi. Il modo di porsi mostrava una donna con il pieno controllo della propria vita, e il carattere spigliato con cui lo affrontava ne era una prova. Lo stava studiando da testa ai piedi, dando l’impressione di un controllo pignolo e di un’estrema severità.
«Tesoro, non me ne ero propria accorta che lui fosse Alex.» Evidenziò con una smorfia divertita il nome. L’ironia tagliente lasciava però intendere un certo affetto, oltre che una complicità coltivata nel tempo, per l’amica che ora ridacchiava, pronta a godersi la scena.
«Devi la mia preziosissima attenzione al fatto che la qui presente Eileen – la indicò con l’indice, spostando lo sguardo fra i due velocemente – non sa badare a se stessa.»
«Ehi!» Protestò l’altra. Alex rise mentre si sistemava anche lui su uno degli sgabelli, per poi aggiungersi nuovamente, capendo che non sarebbe stata facile spuntarla con quella che si presentava come la personale guardia del colpo della propria ragazza.
«Non mi piace, il tè intendo. Mentre la birra sì, la preferisco. Piacere, comunque.» Le allungò la mano e lei la strinse con fermezza e senza esitare.
«Questo è da vedere. I capelli te li ha leccati una mucca? Hai l’aspetto di un mafioso ma suppongo che tu stia solo giocando a fare la rockstar.» Lei accavallò le gambe, sputando ogni parola che le veniva in mente. Lo stava mettendo alla prova, misurando le sue razioni con calibrata esperienza.
«Sì, qualcosa del genere.»
«Per tua fortuna mi piace la musica tua e del tuo gruppo. E hai un’espressione da bambino smarrito per la metà del tempo. Non puoi essere del tutto cattivo.» Gli concesse, prima di alzare un angolo della bocca mimando un sorriso. Alex capì immediatamente il ruolo di Lana nella vita di Eileen. Era un mastino pronto a dilaniare chiunque paresse essere un pericolo, e fu sinceramente felice di sapere che ci fosse anche qualcun altro, oltre a lui, a tenere così morbosamente alla sicurezza di Eileen. Decise perciò di sorvolare sul carattere peperino per mostrarle rispetto, in segno di quella tacita alleanza in favore della più dolce fra i tre.
«E’ il suo modo per dirti che le piaci. Posso portarti qualcosa?» Eileen gli si rivolse, sporgendosi sul bancone con la sua solita malizia velata e la premura, invece, più evidente. Lana borbottò qualcosa in risposta, soffocato dal gesto di bere da un bicchiere d’acqua.
«No, grazie. Sto bene così, piccola. Hai finito qua?» Le accarezzo la guancia con il dorso dell’indice. L’attenzione di tutti e tre venne catturata dal suono delle campanelle sulla porta, da cui ne entrò un ragazzo che Eileen salutò come Kevin.
«Sì, quasi.» Trotterellò poi dai clienti, come il suo lavoro le richiedeva. Dopodiché si sfilò il grembiule nero con il nome della caffetteria stampato sul petto, poiché quel Kevin era il collega che le avrebbe dato il cambio. E mentre quest’ultimo si infilava il suo, di grembiule, riconobbe la figura di Alex seduta nel locale in cui lavorava. Così, fra espressioni di sorpresa e complimenti, il cantante si dovette prestare ad una foto.
«Non tirartela troppo, Turner.» Lo provocò Lana, ricordandogli di essere ancora sotto il suo tiro. I due uscirono dall’edificio, sotto consiglio di Eileen che avrebbe dovuto recuperare i propri effetti personali sul retro. Alex non fece in tempo a varcare la soglia che si ritrovò ad essere nuovamente attaccato dalla ragazza, con un tono secco che non ammetteva repliche.
«Okay, cara rockstar. Eileen è bellissima e dolce, e persino sensuale se ci si mette. E Dio solo sa quanto è premurosa. Ma non hai il diritto di spezzarle il cuore, capito? E’ meno forte di quello che da a vedere e ho visto come ti guarda.» Gli puntava un dito sul petto e manteneva lo sguardo fisso nei suoi occhi, cercando di incenerirlo con la mente se si fosse rivelato necessario.
«Non so come sia possibile ma la fai stare bene. Non è ancora uscita da un periodo orribile della sua vita ma tu stai raccattando pezzi e nemmeno te ne accorgi. E-» A quel punto parlava talmente veloce che le parole parevano accavallarsi. Alex fu costretto ad interromperla, facendo un passo indietro per togliersi di dosso il suo indice e la sua furia.
«Senti, Lana, siamo sulla stessa barca, va bene?» Si prese un momento di pausa, cercando di ricomporsi e di trovare il giusto modo per esporre i propri pensieri.
«Eileen è fantastica, proprio come hai detto. Ieri sera ha avuto una crisi di qualcosa che non saprei come definire e ho passato la notte a la mattina a cercare di tenerla al sicuro. Non so cosa le succeda e probabilmente tu sì, ma non lo farò, non le spezzerò il cuore. Non sono uno stronzo.» Dichiarò, riprendendo la calma, anche se durante quei chiarimenti aveva sempre mantenuto il contegno. Si passò una mano fra i capelli tradendo un minimo di disagio, disordinando la logica del gel. La ragazza, al suo fianco, estraeva dalla borsa un pacchetto di sigarette, con lo sguardo crucciato.
«Cazzo, continua a nascondermi le cose.» Lana parlava fra sé, più che ad Alex, ma lo coinvolse porgendogli le sigarette, un’offerta che venne accettata dal ragazzo.
«Quella ragazza preferirebbe negare l’evidenza, piuttosto che far pesare i propri problemi sugli altri.» Continuò poi, ora rivolgendosi direttamente a lui. Alex si chiese se Lana potesse essere totalmente spensierata, se si concedesse il permesso di lasciarsi andare ad una risata e se avesse effettivamente mai avuto lo sguardo di una bambina. I lineamenti affilati le davano un’aria vissuta, mentre era piuttosto sicuro di non poterle dare più della sua stessa età.
«Ha nominato un lui, questa mattina.» Intavolò il discorso solo dopo aver preso l’ennesima boccata di fumo. Sentiva i propri nervi rilassarsi, pur sapendo di non essere così teso da mesi. Perché Eileen era stata ispirazione e lo era ancora, nei suoi calzini al ginocchio e nella pelle nivea, nel pozzo scuro di quello sguardo ricco di dolcezza e nei fuochi d’artificio dei baci, ma quelle preoccupazioni, che per settimane erano state solo ombre, erano diventate un qualcosa di concreto. E le tempeste erano freddo e devastazione, non più pomeriggi di sensazioni amplificate.
Lana lo guardò con sorpresa non celata, spalancando i suoi occhi castani e inarcando un sopracciglio, poi il suo sguardo si indurì nuovamente.
«Ci ha messo mesi ad aprirsi con me su quello.» Borbottò qualcosa a proposito delle leggi e dell’omicidio, inveendo su un nome: Eric. Quella furia venne presto calmata dalla comparsa di Eileen e dalle sue labbra tinte di un rossetto acceso. Si strinse ad Alex, mentre lui si destava dagli orrori legati a quel nome maschile solo per apprezzare la dolcezza e la sensualità di quella bocca che sarebbe potuta essere sua in qualsiasi momento.
«Lana ha la specialità di traumatizzare le persone, non l’ha fatto, vero? Sembri tutto intero.» Gli tastò il petto, prima di accarezzargli una guancia. Lanciò poi un’occhiata all’amica, sentendo il braccio del ragazzo circondarle la vita.
«Stai attenta a quello che dici, ragazzina!»
«E’ stata una piacevole compagnia, il tuo mastino.» Concesse, gettando la cicca della sigaretta a terra e spegnendola poi con la punta della scarpa.
«Ti tengo d’occhio, Turner.» Gli punto il dito contro, minacciandolo con ironia e verità velata. E dopo essersi guadagnata una risata roca da parte del ragazzo e una smorfia, con tanto di lingua, dall’altra, Lana li salutò con un gesto della mano.

Quel pomeriggio Alex ripensò spesso a Lana e al suo fare protettivo. La immaginava gravitare intorno alla figura di Eileen, tastando il terreno prima che l’altra potesse camminarci sopra. Il suo sarcasmo tagliente sui conoscenti, l’effetto sperato sulle compagnie poco desirate. Poteva figurarsi le due parlare animatamente, un abbraccio di rassicurazione e un consiglio importante. La continuava a ringraziare, nella sua testa, perché incominciava a concordare sull’innocenza della propria ragazza. Lei che sembrava sempre smarrita, quando lui non la toccava facendola sentire al sicuro; lei che accarezzava la gatta e minacciava con lo sguardo il proprio apparecchio telefonico; lei che leggeva una frase del libro del giorno, sopra le note della chitarra di Alex. Quella piccola dimora che continuava ad ospitarli si divideva fra un’aria di assoluta leggerezza, di carezze e voci soffuse, e un disagio crescente. Mezze verità e vite celate, segreti mai detti e storie da raccontare. Alex decise che, per quel giorno, ne aveva avuto abbastanza di ricordi sbiaditi e tristi, del segno indelebile di ragazzi. Quello che invece credeva di non poter rinunciare era la seta di cui parevano essere fatte le cosce della ragazza, della luce che le illuminava il viso mostrando meglio le lentiggini, e delle sue guance arrossate quando le stropicciava i calzini. Sentiva di amarla, più di quanto un colpo di fulmine – uno in piena notte, nel bel mezzo di una desolazione artistica – avrebbe predetto.
  
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