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Autore: LimoneMenta    25/08/2014    2 recensioni
Davide è un giovane uomo in carriera che da Torino si è trasferito a Dublino. Sta per tornare a casa per le vacanze natalizie, quando, all'improvviso, la locandina della nuova stagione del Gaiety Theatre gli si piazza avanti agli occhi. In quel momento la decisione d fermarsi e tentare di rivedere quella ballerina che lui conosce da moltissimi anni e che non ha mai scordato. Tra lezioni di danza, ricevimenti in hotel di lusso e l'aiuto di una nuova amica riuscirà Davide a capire cosa prova? Si tratta davvero di una vecchia amicizia a lungo dimenticata oppure di qualcosa di più? Cosa c'è tra lui e quella ballerina?
Se qualcuno avesse voglia di perdere cinque minuti per una breve (o anche lunga!) recensione, mi farebbe davvero contenta! Grazie mille e buona lettura!
(sinceramente, non so perchè il testo sia un po' spostato. Comunque, è leggibile tranquillamente, quindi... don't worry)
Genere: Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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2. Un Piano Folle

«Perché è da quasi mezz’ora che fissi quel cartello».                                                                                                       
Da quasi mezz’ora… da quasi mezz’ora… mezz’ora? L’aereo! Il suo volo per Torino! Guardò terrorizzato l’orologio: le quattro meno un quarto. Non ce l’avrebbe mai fatta, il suo volo partiva da lì a quindici minuti, non avrebbe mai raggiunto l’aeroporto.                                                                                                                             
«C’è qualche problema?»                                                                                                                                                       
Riportò la sua attenzione sulla ragazza dai capelli rossi che lo fissava con aria gentile. «Io… dovevo recarmi all’aeroporto, ma non credo di arrivare in tempo».                                                                                                           
«Fra quanto tempo parte il tuo volo?»                                                                                                                                  
 
«Un quarto d’ora».                                                                                                                                                          
Lei sorrise. «Già, non ce la farai mai». Detto questo, allungò una mano in un breve salutò e fece ritorno all’interno del teatro. Lui non sapeva cosa fare. Rebecca era lì, o almeno lo sarebbe stata, a pochi metri da lui. Cosa avrebbe dovuto fare? Cercarla? Ignorarla e aspettare un altro volo per tornare a casa? Ma lei era lì, non poteva rischiare di non rivederla. Trasse un bel respiro e, non ancora del tutto convinto, seguì la ragazza nell’atrio. Aveva ripreso posto all’interno del botteghino e stava sistemando alcuni fogli alla scrivania, consultando ogni tanto il computer.                                                                                                                                      
«Oh, sei ancora tu! Io sono Aberdeen, fra parentesi, molto piacere».                                                      
«Davide».                                                                                                                                                               
«Bene Davide, posso aiutarti in qualche modo? Vuoi un po’ di compagnia a guardare quella locandina fuori?» All’udire la battuta contrasse un po’ la mascella, non gli andava granché che la gente si facesse beffe di lui, ma il sorriso della ragazza indicava che non lo aveva detto con cattiveria, solo con l’intento di fare una battuta, appunto. E forse poteva davvero aiutarlo.                                                                                                                           
«Il balletto della locandina fuori…»                                                                                                                                
Lei lo guardò incuriosita. «Il Lago dei Cigni, sì».                                                                                                              
«Ecco… ci sarebbero ancora dei biglietti, per caso?»                                                                                                          
Il suo sguardo passò dalla curiosità a puro sgomento. «Stai scherzando? Quei biglietti sono finiti da settimane! Sai cosa vuol dire un balletto con Alberto Pecetto e Rebecca Petrini insieme?»                                                              
«Ad essere sincero, no». Sapeva cosa voleva dire osservare Rebecca mentre trasformava una sequenza di passi in una coreografia da mozzare il fiato, quello sì. Non lo aveva mai dimenticato.                                                           
«E si vede. Biglietti finiti dopo due giorni e teatro al completo, ecco cosa. Un mare di gente piena di soldi e la più alta società irlandese tutta nello stesso edificio. Rende l’idea?»                                                                                
«Abbastanza».                                                                                                                                                                   
«Non ne sai molto di danza tu, vero?» chiese Aberdeen con l’aria di chi aveva già vissuto quella scena. Quella di dover mandare via giovani ammiratori senza poter esaudire le loro richieste. Quando si trattava di eventi così importanti, spesso, la metà di quei biglietti era stata prenotata da chi poteva permettersi di spendere più del dovuto, ancor prima di essere messa in vendita.                                                                                                          
«Non ne sai molto di danza tu, vero?»                                                                                                                             
 
«Già…» E così, era sfumata. La sua possibilità di rivederla era andata all’aria nel giro di pochi minuti. Non sapeva il perché di questo improvviso desiderio, in fondo, in quattro anni non aveva mai fatto alcun tentativo per riuscirci. Non ne aveva motivo, ma soprattutto, il solo pensiero lo spaventava a morte. Aveva paura di provare ancora tutte le emozioni che avvertiva quando era con lei e doversene poi separare.                                                  
«Perché volevi quei biglietti?» Ancora una volta, la voce della ragazza lo riportò alla realtà.                                         
«Rebecca, lei… tanti anni fa noi eravamo… noi ci conoscevamo…» Ormai non era sicuro neppure di quello: l’aveva davvero conosciuta in fondo? In tutte quegli sguardi, in tutti quei bisbigli, quelle notti passate a dormire insieme e i pomeriggi a studiare… possibile che fosse davvero lei in quei momenti, in quegli istanti solo loro? No. No, lei era sé stessa solo quando ballava.                                                                                                        
 
«Adesso stanno provando».                                                                                                                                           
Scosse la testa, riemergendo dai suoi pensieri. Ultimamente si distraeva un po’ troppo facilmente. No, non ultimamente, solo da poco meno di un’ora.                                                                                                                       «Cosa?»                                                                                                                                                                                  
Lei alzò gli occhi al cielo con finta aria spazientita. «Ho detto che adesso stanno provando».                                        
Sbarrò gli occhi: «Davvero?»                                                                                                                                             
«Sì… vuoi vederla?» gli chiese con un sorriso intenerito. Lui annuì, incapace di rispondere. La guardò uscire dal botteghino e dirigersi verso l’entrata, girandone il cartello appeso sulla scritta “CLOSED”.                                           
«Da questa». Gli fece cenno con una mano di seguirla, indicandogli una rampa di scale. Esitò solo per un momento, di nuovo preda del panico, poi si diede una scossone e la raggiunse, quasi percorrendo di corsa i gradini. Salirono di un piano, fino a raggiungere un corridoio la cui parete destra era composta da una gigantesca vetrata che dava proprio sull’interno del teatro, mostrando platea e palcoscenico, dove due ragazzi stavano ballando. Nonostante i muri e il vetro spesso, la musica raggiungeva anche i piani più alti, avvolgendo ogni spettatore e trascinandolo in un mondo di pura armonia. Era una sinfonia che conosceva anche lui, che di danza classica e teatro proprio non si interessava, pur non riconoscendone il titolo. Seduta in mezzo alla platea, come una normalissima spettatrice, stava una donna, dall’aria piuttosto matura, che li guardava con un sorriso soddisfatto sulle labbra.                                                                                                                                           
“Dev’essere la loro coreografa” pensò Davide. Non aveva l’aria con cui vengono dipinti spesso i coreografici, ovvero come persone rigide, severe, amanti della perfezione, ossessionati dall’idea di dover far capire chi sono anche dall’aspetto fisico. Quella donna somigliava più ad una nonna che osservava orgogliosa i propri nipoti, non portava i capelli raccolti strettamente in uno chignon, era disposti in un carré alla spalla leggermente spettinato, che le conferiva l’aria di chi è troppo impegnato per prendersi cura del proprio aspetto. Ad un tratto, la musica finì. La musica finì e lui vide entrambi i ballerini concludere la coreografia e mantenere la posa un paio di secondi. Si rilassarono solo nel momento in cui si sentì la donna applaudire e complimentarsi con loro. Quello che sicuramente doveva essere Alberto prese fra le braccia Rebecca, sollevandola e facendola volteggiare un paio di volte, prima di posarla di nuovo a terra. Lei scoppiò a ridere, divertita, portando la testa all’indietro e solo in quel momento si accorse della loro presenza. Con un sorriso, alzò un braccio in segno di saluto. Lui si paralizzò sul posto, mentre Aberdeen salutava con la mano.                                                                      
«Ci… ci ha visto? - balbettò, contorcendo le mani – Mi ha riconosciuto?»                                                                      
Lei continuò a fissare pensierosa le tre persone al di sotto che avevano cominciato a chiacchierare e a mimare qualche passo giusto per piacere. «Ci ha visto, sì, ma non ci ha riconosciuto, almeno non te. Siamo troppo distanti e leggermente in controluce, non possono distinguerci bene, ma Rebecca sa che spesso vengo qui a dare una sbirciata delle prove, ecco perché ha salutato».                                                                                                                                      
 
«Vieni spesso qui? Scusa, ma da quanto tempo sono a Dublino?» chiese sospettoso.                                                     
«Oh, be’, saranno circa dieci giorni».                                                                                                                                
«Die-dieci giorni?» ripeté sconvolto. “È qui da dieci giorni e io… io…” Prima che potesse prendersi a pugni da solo, Aberdeen interruppe il filo delle sue ingiurie contro sé stesso.                                                                       
«È da molto che non vi vedete?» gli domandò cominciando a scendere le scale per tornare nell’atrio.                       
Lui sospirò. «Abbastanza… circa quattro anni». “Ma non l’ho mai dimenticata”.                                               
Aberdeen parve colpita da un’illuminazione: «Facciamo così: presentati qui questa sera, verso le nove. Mi raccomando, sii puntuale e indossa l’abito più elegante che hai, tutti gli uomini presenti porteranno il tight o lo smoking e tu non dovrai essere da meno».                                                                                                                          
«Scusa, credo di essermi perso il motivo…» disse lui inarcando il sopracciglio sinistro. Oh Dio, quel gesto… era un’abitudine (una delle tante) che aveva preso proprio da Rebecca, che spesso si limitava a rispondere o a rimarcare una domanda in quel modo.                                                                               
«Per riuscire a incontrare Rebecca, no? Avessi visto anche tu la faccia che hai fatto quando si è girata… è stata quella a farmi prendere la decisione di aiutarti. Il piano è questo: all’ingresso ti mescolerai fra tutti i ricconi che saranno qua in attesa di prendere posto in platea e aspetterai che arrivi anch’io».                                                      
«Sbaglio o sei stata tu a dirmi che non c’erano più posti disponibili? Come oltrepasso le maschere senza un biglietto? In volo?» chiese poco convinto.                                                                                                                                    
Lei roteò gli occhi. «No, mio caro, semplicemente non le oltrepasserai. Dal retro del botteghino si estende un corridoio…indovina dove porta?» chiese con un sorriso sornione.                                                                                    
«Dietro le quinte?» provò a rispondere speranzoso.                                                                                                           
«Meglio, alla platea. Più precisamente, dietro l’ultima fila di poltrone. Da là potremo osservare tutto lo spettacolo, anche se ci toccherà stare in piedi per un bel pezzo. Quelli che ti vedranno ti scambieranno per una maschera, quindi nessun problema» precisò con un gesto noncurante della mano.                                                            
«Sembra che io debba introdurmi alla sede centrale della CIA come spia degli Emirati Arabi, piuttosto che in un teatro per rivedere una ballerina».                                                                                                                     
Aberdeen fece un piccolo saltello sul posto, congiungendo le mani con aria sognante: «Già! Non ti sembra eccitante tutto questo?»                                                                                                                                                   
Lui roteò gli occhi: «No, più da folli in realtà. Perché fai questo? Perché mi vuoi aiutare?» chiese diffidente.  
«Sono un’inguaribile romantica. E perché vorrei anch’io che qualcuno mi guardasse nello stesso in cui tu hai guardato Rebecca non appena l’hai vista» gli rispose con aria velatamente triste. Quella frase lo lasciò spiazzato: come la guardava lui, come una vecchia amica? No. Come una sorella lontana? Neppure. Come un qualcosa di irraggiungibile? Forse.                                                                                                                                  
«Cioè come?» chiese titubante.                                                                                                                                            
Lei gli fece l’occhiolino. «Lo sai, devi solo ammetterlo a te stesso. Io l’ho capito subito».                                    
“Ammettilo”. 
Come un qualcosa di bramato, ecco come.

  
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