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Autore: ElenCelebrindal    25/08/2014    1 recensioni
Questa è la storia della vita di Legolas. Da quando era un bambino fino alla sua partenza per le Terre Immortali. Bambino, ragazzo e adulto, tutto quello che ha passato assieme a suo padre Thranduil, le sue amicizie e i suoi scontri, tutto riunito in questa fan fiction.
Genere: Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Legolas, Thranduil
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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LA BATTAGLIA DEI CINQUE ESERCITI
 
Thranduil, seppur ancora adirato contro Tauriel, non si era opposto alla volontà del principe di andare a cercare l’elfa, e così Legolas stava ora girovagando nei pressi della Montagna con l’intento di ritrovare l’amica il più in fretta possibile.
Con l’arco teso, si avventurò in una delle zone più desolate, dove non sembrava crescere neppure un sottile filo d’erba, e fece attenzione a non produrre rumori nel calpestare i ciottoli sparsi a terra con i leggeri stivali che indossava.
Dopo qualche minuto di osservazione, quando stava per perdere le speranze e aveva deciso di provare a cercare in un altro luogo, Legolas sentì un lieve rumore, la corda di un arco che si tendeva e il legno che scricchiolava: si voltò in fretta e puntò la freccia incoccata nella direzione da cui aveva sentito provenire il rumore.
Quello che vide lo fece sentire allo stesso tempo incredibilmente sollevato e terribilmente preoccupato.
Perché Tauriel era dinanzi a lui, con l’arco teso, viva.
Ma le braccia che tenevano tesa la corda tremavano vistosamente, e l’elfa sembrava reggersi a stento sulle proprie gambe: la sua tunica verde era macchiata di rosso, sul torace, di qualcosa che sembrava senza ombra di dubbio sangue.
Sangue di elfo, poiché era chiaro e non nero come quello degli orchi.
Tauriel, quando Legolas gli si parò di fronte, abbandonò la presa sulle armi e si lasciò cadere in ginocchio, portandosi una mano nel punto in cui era ferita.
Il principe non ci pensò su due volte: si rimise arco e freccia in spalla e corse dall’amica: “Tauriel! Tauriel, mani marte?” (Tauriel, cosa è successo?).
L’elfa, invece di rispondere, fece un’altra domanda: “Mankoi naa le sinome, Legolas?” (Perché sei qui?).
Legolas non capì subito il motivo per cui gli era stata rivolta quella domanda, ma poi la risposta gli apparve nitida nella mente: lo sguardo che le aveva lanciato, in quella casa a Esgaroth, era di pura delusione: “Pensavi che non ti avrei mai più voluta come amica, Tauriel?”.
Lei annuì, poi disse, alternando le parole a leggeri colpi di tosse: “Io ti ho lasciato da solo, a vedertela con gli Orchi. Non avrei dovuto farlo. Resti sempre il mio principe, Legolas, non solo mio amico”.
L’elfo, preoccupato, disse: “Non importa, quel che è fatto è fatto. Ora hai bisogno di cure, andiamo. Ti aiuterò io”.
Lei fece per allontanarsi: “Law, cund nîn. Ú-aníron” (No, mio principe. Non è ciò che voglio).
Legolas non si mosse: “Un giorno mi hai detto che avresti combattuto fino alla fine, che non ti saresti mai arresa”, disse.
 
[flashback]
 
Il sole splendeva alto nel cielo, talmente luminoso che i suoi raggi, anche se filtrati dal fitto fogliame del bosco, erano intensi.
Era in una di quelle pozze di luce, che Tauriel si era distesa, con la schiena poggiata al tronco di uno degli alberi più imponenti di quella zona di foresta: Legolas la osservava, ridendo di tanto in tanto quando la loro conversazione verteva su argomenti più leggeri e divertenti.
“Sono felice che tu abbia voluto passare uno dei tuoi pochi giorni libero assieme a me. Era molto tempo che non ci concedevamo una lunga chiacchierata come questa. In un certo senso, ti distende i nervi e riesce ad allontanare da te i pensieri che ti opprimono”, disse Legolas, andando a sedersi accanto a lei.
Tauriel non parlò subito: alzò lo sguardo al cielo, con un lieve sorriso sulle labbra.
Poi disse: “Hai ragione. Da molto ormai non riuscivo a trovare una soluzione alla confusione della mia mente, e devo ammettere che una semplice chiacchierata è più utile di qualsivoglia altra cosa”.
Sospirò: “Fra un’ora dovrò ritornare in servizio,forse per me è meglio andare. Non vorrei mai farmi trovare impreparata, e non vorrei essere in ritardo. Mi attendono al campo d’allenamento”.
Si alzò e fece per andare via, ma Legolas la trattenne: “Idh! Voglio farti un’ultima domanda, più seria. Cosa accadrebbe se ti ritrovassi in una situazione da cui uscire è quasi impossibile? Tu cosa faresti?” (Aspetta).
L’elfa aggrottò le sopracciglia: “Come mai questa domanda, principe?”.
“Non conosco il motivo, ma dovevo portela. Cosa faresti?”.
“Non mi arrenderei mai”, rispose, prima di voltarsi e andarsene.
 
[fine flashback]
 
“Mi sbagliavo. Questa volta mi arrendo. Gwao hi, Legolas” (Vai ora, Legolas).
“No, io non vado via senza di te!”, ribatté deciso l’elfo, avvicinandosi di nuovo a lei.
Tauriel, però, si allontanò ancora: “Non fare lo sciocco. In non sono nulla né per te né per tuo padre. Sono solo un’elfa che ha disobbedito agli ordini diretti del suo re”.
“Non dire così, non è vero che non sei nulla. Lascia che ti aiuti”.
“Law! Kela, Legolas, kela!” (No! Vattene, Legolas, vattene!), gridò lei, raccogliendo le ultime forze e andando via da quel luogo, lontano dal principe del Reame Boscoso.
Legolas, troppo scosso per muoversi, la guardò andare via con un senso d’impotenza che cresceva prepotente dentro di lui.
Quando ritrovò la forza di muoversi, Tauriel era svanita, e la sera stava avvolgendo tutto con il suo manto.
Lentamente, si rimise in piedi e fece ritorno all'’accampamento, senza più badare a non fare rumore o a stare accorto lungo la strada.
 
“Legolas? Iôn nîn, come mai quel’espressione cupa?”.
Il principe sollevò gli occhi dal terreno, evitando però di fissarli direttamente in quelli del padre.
Era tornato da poche ore, e la notte era calata rapidamente: Legolas si era rifiutato di parlare con chiunque, rifugiandosi nella propria tenda a pensare, a riflettere su quello che era appena avvenuto; mai avrebbe potuto immaginare che Tauriel, proprio lei, l’elfo più ostinato e caparbio che avesse mai incontrato, si sarebbe arresa all'’inevitabile.
Ed era tutta colpa sua.
L’aveva guardata lui, così, facendole credere di non volerla più al suo fianco come amica e alleata.
E ora, probabilmente era già morta.
Legolas sospirò, ma non disse nulla, così Thranduil andò a sedersi accanto a lui e gli mise una mano sulla spalla: “Non l’hai trovata?”, chiese ancora, visibilmente preoccupato.
Il principe annuì debolmente: “Na, adar. L’ho trovata, ma…” (Si, padre).
Lasciò in sospeso la frase,scuotendo la testa.
“Ma…”, lo incitò il padre.
“Ma non ha voluto seguirmi. Nonostante fosse ferita gravemente, non ha voluto il mio aiuto, ed è andata via. Ora sarà già morta, ed è tutta colpa mia”, continuò, con un tono di voce senza emozioni, apatico e lento.
“Perché dici questo? Non è colpa tua, Legolas!”.
“Invece si! Inconsapevolmente, le ho fatto credere di avermi deluso, di non volerla mai più al mio fianco. Mi ha detto di non essere nulla, né per me né per te, solo qualcuno che ha disobbedito agli ordini. Anche se è la realtà, il fatto che abbia ignorato i tuoi ordini, adar, questo non vuol dire che non conti nulla, almeno per me!”.
Thranduil lo abbracciò, stringendolo a sé: “Vale anche per me, galad nîn. L’avevo perdonata, così come ho perdonato te. Mi dispiace, Legolas, so quanto tenevi a lei, seppur si è dimostrata solamente un’amica”.
“La migliore”, aggiunse il principe, fermo tra le braccia del padre.
Si separarono quando qualcuno li chiamò dall’esterno: “Aran Thranduil? Cund Legolas? C’è qualcosa che richiede la vostra presenza”, disse la voce di un elfo.
“La nostra presenza? Cosa è così importante da richiederla ad una così tarda ora? Mancano poche ore alla mezzanotte”, disse Thranduil, sciogliendo l’abbraccio e spostando lo sguardo all'’ingresso della tenda.
“Riguarda lo Hobbit nei Nani, mio signore, Bilbo Baggins. Le nostre sentinelle lo hanno trovato sulla sponda del fiume”.
“Lo Hobbit? Molto bene, arriviamo”, replicò il re, alzandosi e raggiungendo l’ingresso della tenda: “Legolas?”, chiamò, voltandosi.
Il principe si alzò a sua volta e, assieme al padre, raggiunse un grande fuoco acceso sul davanti di una larga tenda.
Thranduil e Bard, anch’egli ovviamente presente, fissavano con curiosità quello strano individuo: uno Hobbit in armatura elfica, avvolto in una vecchia coperta, era una novità per loro.
Legolas teneva lo sguardo fisso sul piccoletto, senza sbattere nemmeno per palpebre.
“Avanti, allora, parla”, gli ordinò, seppur gentilmente, Bard.
Quello, con tono professionale, disse: “In realtà, come voi ben sapete, la situazione si è fatta insostenibile. Io personalmente sono stufo dell’intera faccenda. Vorrei proprio essere di nuovo a Ovest, a casa mia, dove la gente è più ragionevole. Ma ho un certo interesse in questa faccenda – un quattordicesimo, per essere precisi, secondo una lettera che per fortuna credo di aver conservato.
Portò una mano alla tasca della giacca che indossava sopra la cotta di maglia, e tirò fuori una lettera, tutta stropicciata e spiegazzata.
“Una parte dei profitti, badate bene”, continuò, osservato con crescente curiosità dai presenti: “Ne sono ben consapevole. Personalmente sono fin troppo pronto a considerare attentamente tutte le vostre rivendicazioni e dedurre quello che è giusto dal totale, prima di avanzare le mie richieste. Comunque voi non conoscete Thorin Scudodiquercia bene quanto me. Ve lo assicuro io, è prontissimo a star seduto su un mucchio d’oro per tutto il tempo che voi state seduti qui, a costo di morir di fame”.
“Ebbene, che lo faccia”, intervenne Bard: “Un pazzo del genere non merita altro”.
Bilbo non si lasciò scoraggiare: “Certo, certo. Capisco il tuo punto di vista. D’altra parte, però, l’inverno sta sopravvenendo molto rapidamente. Tra non molto avrete la neve e chissà cos’altro, e i rifornimenti saranno difficili, perfino per gli Elfi, m’immagino”.
Legolas si agitò sul tronco dov’era seduto,  ben sapendo che lo Hobbit era nel giusto.
“Ci saranno molte altre difficoltà. Non avete sentito parlare di Dain e dei Nani dei Colli Ferrosi?”, domandò poi lo Hobbit.
Stavolta intervenne Thranduil: “Si, molto tempo fa; ma cos’ha a che fare con noi?”, chiese, aggrottando impercettibilmente le sopracciglia.
“È quello che pensavo. Vedo che ho delle informazioni che voi non avete avuto. Dain, lasciate che ve lo dica, è ora a meno di due giorni di marcia da qui, e ha con sé almeno cinquecento nani pronti a tutto, e un bel po’ di loro sono veterani della terribile guerra degli orchi e nei nani, di cui avrete senz’altro inteso parlare. Quando arriveranno, ci potranno essere guai seri”, rivelò Bilbo ai presenti.
“Perché che lo dici? Stai tradendo i tuoi amici o stai tradendo noi?”, gli chiese Bard, con l’asprezza nella voce.
Lo Hobbit emise uno strano suono, come uno squittio, e si difese: “Mio caro Bard! Non essere così frettoloso! Non ho mai incontrato gente così sospettosa! Sto semplicemente cercando di evitare guai a tutti gli interessati. Ora vi farò un’offerta”.
“Sentiamola”, disse il re degli Elfi, attento ad ogni parola.
“Potete vederla! Eccola!”, esclamò quello, tirando fuori un involto di stracci.
In una sola mossa lo svolse, e finanche il re degli Elfi, i cui occhi erano abituati alle cose più belle e più mirabili, e la cui mente non era nuova a meraviglie del genere, si levò in piedi stupefatto.
Bard la fissò incantato, in silenzio, e Legolas era completamente rapito dalla bellezza di ciò che avea dinanzi.
Era un globo empito di luce lunare appeso dinanzi ai loro occhi in una rete intessuta dal bagliore delle stelle.
“Questa è l’Arkengemma di Thrain”, disse Bilbo ai presenti: “Il Cuore della Montagna; ed è anche il cuore di Thorin. Egli la valuta più di un fiume d’oro. Io la do a voi. vi sarà d’aiuto nelle vostre trattative”.
Così lo Hobbit, seppur ancora osservando la pietra con intenso desiderio dipinto in volto, la consegnò a Bard, che la prese e la tenne in mano quasi abbagliato.
“Ma come fai ad avere il diritto di darcela?”, intervenne Legolas, dopo aver distolto a fatica lo sguardo dalla meravigliosa pietra.
Lo Hobbit parve imbarazzato: “Oh, beh! Diritti veri e propri non ne ho; ma sono disposto a darla in cambio di tutte le mie richieste, proprio così, sapete. Posso anche essere uno scassinatore – o così dicono loro: personalmente, non mi sono mai considerato tale – ma sono comunque uno scassinatore onesto, spero, più o meno. Comunque adesso torno indietro, e i nani possono farmi quello che vogliono. Spero che la troverete utile”.
Thranduil guardo il piccoletto con nuovo stupore dipinto in viso: “Bilbo Baggins! Sei più degno tu di indossare quel’armatura da principe elfico che molti altri che l’hanno portata con più grazia. Ma mi domando se Thorin Scudodiquercia la penserà così. La mia conoscenza della razza nanesca è forse più vasta della tua. Ti consiglio di rimanere con noi, e qui sarai onorato e tre volte benvenuto”.
Legolas rivolse un’occhiata di ammirazione al proprio padre: poche volte lo aveva visto o udito pronunciare sentenze del genere, e ancor più raramente aveva fatto un’offerta simile ad un individuo poco conosciuto.
Sorrise lievemente, ma Bilbo rifiutò: “Grazie infinite, ne sono sicuro”, disse, inchinandosi: “Ma non mi pare giusto abbandonare in questo modo i miei amici, dopo tutto quello che abbiamo passato insieme. E poi ho promesso di svegliare il vecchio Bombur a mezzanotte! Devo veramente andarmene, e in fretta”.
Tentarono ancora di convincerlo a restare, ma nonostante tutto quello che dissero, non riuscirono a trattenerlo, così gli fu assegnata una scorta che lo accompagnasse fin dove possibile.
Quando andò via, sia Bard che i due reali elfici lo salutarono con rispetto.
Legolas sorrise, quando vide Gandalf alzarsi e congratularsi con lo Hobbit, ma poi rimase sorpreso.
Gandalf?
“Adar?”.
“Na, Legolas?”
“Quando è arrivato Mithrandir? Non mi pareva mi averlo scorto, prima di andare via”.
“Oh, giusto. Avevo dimenticato di dirtelo. Mithrandir è giunto qui mentre eri assente: avrei dovuto dirtelo, ma la tua preoccupazione me lo ha fatto scivolare via dalla mente”.
Il principe annuì, poi si avviò verso la propria tenda: “Quel du, adar”, disse, prima di entrare e chiuderne i lembi.
 
Il giorno seguente , molto presto si vide un uomo solitario affrettarsi su per il sentiero, fermandosi ad una certa distanza e salutando i Nani: “Salute a voi, Nani di Erebor! Una sola domanda vi verrà posta: darete ascolto ad un’altra ambasceria? Grandi novità incombono, e le cose sono decisamente mutate”.
“Intima loro di venire in pochi e disarmati, e io li ascolterò”, gridò Thorin in risposta al messaggero.
Allora, verso mezzodì vennero avanti, di nuovo, gli stendardi della Foresta e del Lago, una compagnia di una trentina di persone.
All'’inizio del sentiero deposero spade e lance, e avanzarono verso la Porta: tra essi, Bard e il re degli Elfi con suo figlio; dinanzi a questi, Mithrandir, avvolto in mantello e cappuccio, che portava tra le mani un robusto cofanetto in legno e ferro.
Fu Bard a parlare: “Salute, Thorin! Sei ancora dello stesso parere?”.
“Io non cambio parere coll’alba e il tramonto di pochi soli”, rispose Thorin: “Siete venuti a farmi domande oziose? L’esercito degli Elfi non se ne è ancora andato via, come avevo intimato! Fino ad allora inutilmente vieni a trattare con me!”.
“Non c’è nulla per cui cederesti un po’ del tuo oro?”, continuò Bard, imperterrito.
“Nulla che tu o i tuoi amici abbiate da offrire”.
“E se fosse l’Arkengemma di Thrain?”, disse Legolas, e a quella parole Mithrandir aprì il cofanetto, tenendo alta la gemma.
La luce filtrava dalla sua mano, bianca e vivida nel mattino.
Per un lungo momento il silenzio restò immutato, nessuno parlò.
Alla fine Thorin ruppe il silenzio, e con la voce densa di collera disse: “Quella pietra era di mio padre, e appartiene a me. Perché dovrei comprare quello che mi appartiene?”.
Poi la sua voce acquistò una sfumatura sorpresa: “Ma come avete fatto a impadronirvi di questo cimelio della mia famiglia? Ammesso che ci sia bisogno di fare una domanda simile a dei ladri…”.
“Noi non siamo ladri”, fu la risposta pronta di Bard: “Quello che ti spetta ti verrà restituito in cambio di quello che spetta a noi”.
“Come avete fatto a impadronirvene?”, urlò Thorin, incollerito.
A quel punto si udì la vocina di Bilbo, simile ad uno squittio: “Gliel’ho data io!”, disse, facendo capolino da sopra il muro.
Thorin si voltò nella sua direzione, afferrandolo con entrambe le mani: “Tu! Tu! Miserabile Hobbit! Sottosviluppato! Scassinatore!”, gridò, scuotendo il poveretto come un coniglio, ma non aveva ancora finito.
“Per la barba di Durin! Come vorrei che Gandalf fosse qui! Che sia maledetto, lui che ti ha scelto! Che gli caschi la barba! Per quanto riguarda te, ti scaraventerò giù dalle rocce”, gridò ancora, sollevando Bilbo con le braccia.
Allora fu Gandalf a parlare: “Fermo! Il tuo desiderio è esaudito!, esclamò, togliendo cappuccio e mantello, buttandoli da parte.
“Ecco qua Gandalf! E neanche troppo presto, a quel che vedo! Se non ti piace il mio scassinatore, per piacere non danneggiarmelo. Mettilo giù, e ascolta prima cos’ha da dire!”.
Il Nano posò Bilbo in cima al muro: “Siete proprio tutti d’accordo! Non avrò mai più niente e che fare con nessuno stregone né con i suoi amici. Che hai da dire tu, brutto ratto figlio di ratti?”, disse, rivolgendo poi la domanda allo Hobbit.
“Povero me! Povero me! Tutto questo è molto imbarazzante. Forse ti ricorderai di avere detto che avrei potuto scegliere la mia quattordicesima parte? Forse ti ho preso troppo alla lettera: mi è stato detto che talvolta i Nani sono più educati a parole che a fatti. Ciò nonostante c’è stato un tempo in cui pareva che tu ritenessi che io vi ero stato di un certo aiuto. Figli di ratti, ma senti un po’! sono questi i servizi che mi hai promesso a nome della tua famiglia,Thorin? Considera che ho disposto a piacer mio della mia parte e lascia perdere!”, disse il piccoletto.
“Lo farò”, disse Thorin, aspramente.
“E lascerò perdere anche te – e il cielo voglia che non ci rincontriamo mai più!”.
Poi si volse, parlando da sopra il muro: “Sono stato tradito. Era giusto immaginare che non avrei potuto fare a meno di riacquistare l’Arkengemma, il tesoro della mia famiglia. Per essa darò la quattordicesima parte del mio tesoro in oro e argento, lasciando da parte le gemme; ma tutto ciò verrà calcolato come la parte promessa a questo traditore, e con questa ricompensa può andarsene e voi potete dividervela come vi pare. Lui ne avrà ben poco, non lo metto in dubbio. Prendetevelo, se volete che viva; la mia amicizia certo non lo accompagna. Adesso scendi dai tuoi amici! O ti butto giù io”, disse poi a Bilbo, ma egli replicò. “E l’oro e l’argento?”.
“Verranno dopo; come, si vedrà”, rispose il Nano.
“Ora scendi!”.
Bard, che fino a quel momento era stato in assoluto silenzio, intervenne: “Fino ad allora terremo noi la pietra”, gridò, e Gandalf aggiunse: “Non stai facendo una bellissima figura come Re sotto la Montagna. Ma le cose possono ancora cambiare”, disse.
“Proprio così”, rispose Thorin, ma le sue parole sembravano celare altri pensieri, oscuri a coloro che ascoltavano.
Così Bilbo fu calato giù dal muro, partendo con solo la cotta di maglia come dono.
“Addio! Spero che ci rincontreremo da amici”, gridò loro.
Legolas sorrise, nell’udire tali parole, e si rivolse al padre, sottovoce: “Che gran cuore nasconde, lo Hobbit. Se tutti noi fossimo come lui, il mondo sarebbe senz’altro migliore”, disse.
Thranduil voltò la testa verso il figlio: “Parole sagge, iôn nîn. Chi lo sa, forse un giorno tutti riusciremo a capire come si fa, ad essere creature di gran cuore”, replicò.
Thorin, però, non la pensava allo stesso modo: “Sparisci! Hai indosso un’armatura che è stata fatta dalla mia gente e che è troppo buona per te. Non può essere trafitta dalle frecce; ma se non ti sbrighi, ti pungerò quei miserabili piedi. Perciò spicciati!”, urlò.
Bard parlò ancora, calmo e controllato a dispetto della rabbia del Nano: “Senza tanta fretta! Ti diamo tempo fino a domani. A mezzogiorno torneremo a vedere se hai prelevato dal tesoro la porzione che deve essere barattata con la pietra. Se questo sarà fatto senza fallo, allora ce ne andremo, e l’esercito degli Elfi ritornerà nella foresta. Nel frattempo, addio!”.
Detto questo, la delegazione voltò le spalle alla Montagna e fece ritorno all’accampamento, con Bilbo che li seguiva a passettini, con aria sconsolata.
L’accampamento era relativamente tranquillo, anche dopo aver riportato le nuove, e si udivano solo pochi sporadici canti, intonati per tenere alto il morale.
Legolas, tornato alle sue preoccupazioni, ma rassegnato ormai al peggio, vagava senza meta tra Uomini ed Elfi, quasi senza rivolgere alcun cenno di saluto a qualsivoglia individuo; poi, in un angolo, seduto in disparte, notò il piccolo Hobbit, avvolto in una coperta e con l’aria decisamente sconsolata.
“Bilbo Baggins! Come mai tutto solo qui, mio buon Hobbit?”, gli domandò, andando a sedersi accanto a lui.
Quello alzò lo sguardo: “Stavo riflettendo su ciò appena accaduto, principe Legolas. Non posso dire di essere sollevato, di essere sfuggito alla collera di Thorin. Ritenevo ormai i Nani miei amici, e scoprire di essere così poco considerato, ora che hanno ritrovato il loro ambito tesoro, non è decisamente il massimo per tenere alto il morale”, rispose, alzando le spalle.
“Sono certo che tutto si aggiusterà, non temere. Ma una cosa non comprendo… come fai a conoscere il mio nome? Sì, avrai capito ch’io sono un principe vedendomi accanto a mio padre, re Thranduil, e se mi avrai sentito parlare a Thorin, ma non rammento di aver mai pronunciato il mio nome, o di averlo udito dalle labbra di altri, mentre eri presente”.
Lo Hobbit sembrò andare in agitazione, ma dopo qualche istante ritrovò la calma: “Io… l’ho udito mentre facevamo ritorno dalla Montagna. Non sono così distratto come potreste pensare voi tutti”.
“Nessuno ha mai affermato simili cose. Ti lascio solo con i tuoi pensieri; anche io ne ho molti che opprimono la mia mente, e so che il modo migliore per farli andar via è restare soli. A presto, Bilbo Baggins”, disse Legolas, alzandosi, seppur non credendo fino in fondo alle parole dello Hobbit.
Si ritirò nella propria tenda, e così il giorno scivolò via, così come la notte.
Il giorno dopo il vento mutò, cominciando a soffiare da ovest, e l’aria si fece tetra e scura.
Era ancora molto presto, primo mattino, quando un gridò si udì nell’accampamento; alcuni messaggeri, difatti, avevano appena riferito che un esercito di Nani era appena apparso dietro lo sperone orientale della Montagna Solitaria, e stava affrettandosi verso Dale.
A quanto pare, Dain era infine giunto, e prima di quanto non predetto dallo Hobbit.
Lo squillo di trombe e corni chiamò Elfi e Uomini alle armi, e non passò molto che si avvistarono i Nani risalire la valle, rapidamente.
La maggior parte si arrestò tra il fiume e lo sperone orientale della Montagna, ma alcuni continuarono il loro cammino e, una volta attraversato il fiume, posarono le armi e alzarono le mani, segno che venivano in pace.
Bard uscì ad incontrarli, e con lui il sovrano ed il principe del Bosco.
Anche Bilbo il seguì, in silenzio.
Fu Legolas ad interrogarli, e questi risposero: “Siamo inviati da Dain figlio di Nain. Ci affrettiamo a raggiungere i nostri consanguinei nella Montagna, perché siamo stati informati che il regno del passato è risorto. Ma chi siete voi che sedete in questa pianura come nemici di fronte a mura difese?”.
Questo, alle orecchie di Legolas, sembrava semplicemente una maniera educata per dire “toglietevi di mezzo o vi facciamo guerra”, ma non disse nulla in risposta.
Fu Bard ad intervenire: “No. Non avete il permesso di dirigervi alla Montagna, non direttamente”, rifiutò.
Furono pronunciate parole irate, ma i messaggeri si ritirarono imprecando nella barba.
Thranduil li osservò, senza batter ciglio, e disse: “Non credi sia rischioso attendere, mio buon uomo? Attendere l’oro e l’argento promessi, con una così grande compagnia, per di più con una grande riserva di provviste, sarà divenuto inutile. Potrebbero sostenere un assedio per settimane, e nel mentre altri potrebbero giungere, mentre i nostri assediati avranno la possibilità di aprire altri ingressi, tanto da costringerci a circondare l’intera Montagna”.
Ma Bard era risoluto: “Non mi arrenderò ora”, replicò, e si affrettò ad inviare alcuni messaggeri verso la Porta.
Tuttavia essi non trovarono nulla, se non un nugolo di frecce che li costrinse alla ritirata, costernati e delusi.
Nell’accampamento, ormai, regnava la più grande eccitazione, quasi che la battaglia fosse imminente; i Nani avevano, infatti, ripreso ad avanzare lungo la riva orientale.
Bard rideva, incurante di ciò che stava avvenendo: “Pazzi! Venire così sotto le pendici della Montagna! Non capiscono niente di guerre all'’aria aperta, anche se sono esperti di battaglie nelle miniere. Ci molti dei tuoi arcieri, Thranduil, e miei soldati nascosti tra le rocce sul loro fianco destro. Le armature nanesche saranno anche buone, ma tra poco saranno messe a dura prova. Attacchiamoli da entrambi i lati adesso, prima che si siano riposati!”.
Il principe scosse la testa, e il padre disse: “Aspetterò a lungo, prima di incominciare questa guerra per l’oro. I Nani non possono passare di qui, se noi non lo vogliamo o se non accade qualcosa che non siamo in grado di prevedere. Speriamo ancora che qualcosa porti alla riconciliazione. La nostra superiorità numerica sarà sufficiente, se alla fine sarà proprio inevitabile venire alle mani”.
Legolas sorrise, nell’udire quelle parole, e riconobbe finalmente il vero Thranduil, il re saggio che rifletteva prima di adirarsi o di compiere azioni avventate.
Riconobbe il proprio padre, non un elfo ossessionato dalle ricchezze, dal timore di non accumulare un tesoro degno dei grandi re del, passato.
Mentre questi discutevano, improvviso, arrivò l’assalto dei Nani.
Senza alcun segnale di avvertimento le frecce cominciarono a fischiare, ma più improvvisamente ancora, con una velocità spaventosa e innaturale, l’oscurità calò.
Una tempesta invernale, trasportata dal vento, giunse fino alla Montagna, e i fulmini tagliarono il buio, illuminandone la vetta.
E sotto le nubi temporalesche, una macchia ancor più nera che avanzava, ma veniva dal nord, come uccelli nel buio, buio così fitto che nessuna luce poteva filtrare.
Allora Gandalf apparve, isolato, con le braccia sollevate fra i Nani che avanzavano e le schiere che li attendevano: “Fermi! Fermi!”, gridò.
Il suo bastone fiammeggiava, con un bagliore intenso simile a quello del fulmine: “Il terrore è calato su tutti voi! Ahimè! È arrivato più presto di quanto immaginavo. Gli orchi sono su di voi! sta arrivando Bolg dal Nord, o Dain! Ecco! I pipistrelli sono sopra al suo esercito come una marea di cavallette. Ed essi montano i lupi, e i Mannari sono al loro seguito!”.
Tutti, Nani, Elfi e Uomini, caddero in preda allo stupore e alla confusione, e il buio intanto cresceva.
I nani sollevarono lo sguardo al cielo, voci si alzarono nelle schiere degli Elfi, e Gandalf parlò ancora:”Venite! C’è ancora tempo per un consiglio. Che Dain figlio di Nain venga subito da noi!”.
Allora Dain raggiunse coloro che stava per attaccare, e insieme Bard, Gandalf, Thranduil, Legolas e lo stesso nano svilupparono una strategia, una strategia che tutti speravano sarebbe stata vincente.
La sola speranza era quella di attirare gli Orchi tra i contrafforti della Montagna e di poter occupare i grandi speroni a sud e ad est; non vi era tempo per elaborare un piano migliore, oppure per mandare messaggeri in cerca di aiuto.
Bilbo, come s’avvide Legolas, era scomparso, ma ormai nessuno si preoccupava troppo del piccolo Hobbit, preoccupati com’erano tutti dall’imminente scontro.
E così, ebbe inizio una battaglia che nessuno, nemmeno nelle più oscure previsioni, si era mai aspettato.
Da un lato, le oscure creature che popolavano la Terra di Mezzo, Orchi e lupi.
Dall’altro, Elfi, Uomini e Nani, uniti quasi per miracolo in battaglia.
“Non abbiate timore! Combattete senza tirarvi indietro, non fuggite! Siete guerrieri, non abbiate pietà per nessuna di quelle oscure creature, non lasciate vivi e non fate prigionieri!”.
Questo fu il breve discorso che Legolas fece agli Elfi, e queste furono le parole aggiunte dal re: “Abbiate il coraggio di affrontare qualunque nemico, fate brillare le vostre lame, fischiare le vostre frecce e cantare i vostri archi!”.
Questi guerrieri erano disposti sui pendii più bassi dello sperone meridionale della Montagna, e tra le rocce ai suoi piedi molti abili arcieri erano celati.
Quelli più agili, assieme ad alcuni Uomini e allo stesso Bard, si arrampicarono sul dorso orientale per poter vedere cosa accadeva.
Legolas stringeva nervosamente Orcrist, lo sguardo fisso davanti a sé e le orecchie tese per cogliere ogni suono; non aveva mai partecipato ad una vera e propria battaglia, e sentiva quasi sulla pelle la tensione nell’aria, ogni tanto udiva il rumore delle corde degli archi che si tendevano accanto a sé.
Conficcò la punta della spada a terra e portò la mano sinistra alla ferita, ormai quasi guarita, ma che ancora gli doleva, e fece una lieve smorfia.
Thranduil dovette accorgersene, perché si accostò al figlio: “Legolas, le tyava quel?” (ti senti bene?), gli domandò, preoccupato.
Il principe tentò di sorridere: “Uuma dela, adar” (Non preoccuparti), rispose, tornando a stringere le dita sull’elsa della spada, estraendola dal terreno.
Era preoccupato, e sì, anche intimorito: “È solo che… non ho mai combattuto una battaglia vera, come questa, e anche se mi costa ammetterlo, ho paura. Ho paura per me, per te. Per tutti quanti. E non dovrei averne”, disse, abbassando la testa.
Thranduil sorrise, e gli fece rialzare il capo mettendogli due dita sotto il mento: “Oh, Legolas, iôn nîn… sarei preoccupato se tu non ne avessi. Solo gli sconsiderati e gli sciocchi non provano paura. Anche io sono spaventato,e lo sono stato sempre, prima di affrontare una battaglia. Senza paura non si vive, Legolas. Troppa può ucciderti, ma se la controlli, allora può salvarti la vita. Non scendo in battaglia senza timore: ho paura per la tua vita, per quella del mio popolo. Ho timore di perdere la mia. Ma combatterò ugualmente, non mi tirerò indietro e terrò la spada alta fino alla fine”.
Con quelle parole, sfoderò la spada che un tempo era appartenuta a Oropher: “Questo giorno le nostre spade brilleranno assieme, e colpiranno assieme. Te la senti?”.
Allora Legolas sorrise sul serio: “Insieme”, disse solamente, e tornò a volgere lo sguardo verso nord, con una nuova luce risoluta negli occhi.
L’aria cominciò presto a riempirsi degli ululati dei lupi, e le grida degli orchi risuonarono, vibrando nell’aria.
Un manipolo di coraggiosi si era schierato in avanguardia, con il solo compito di fingere di fare resistenza, e molti lì caddero prima che il resto si ritirasse.
Gli elfi caricarono per primi, ché il loro odio contro gli Orchi era freddo e spietato, e le loro armi rillavano nella penombra tale era l’ira delle mani che le reggevano.
Non appena le schiere nemiche si infittirono, Thranduil sollevò la spada: “Hado i philinn!” (Scoccate le frecce!), ordinò, e una nuvola di frecce, guizzanti come fuoco, fischiarono nell’aria e finirono addosso ai nemici, macchiando del loro sangue nero le rocce.
Scoccarono molte volte, e sempre le frecce andarono a segno.
Poi scesero all'’attacco anche i Nani, e le loro grida di battaglia echeggiarono come un ruggito; e dietro di essi gli Uomini, armati di lunghe spade.
Gli Orchi caddero nel panico, e gli elfi approfittarono, caricando con maggior impeto: “Herio!”, esclamò Legolas, e anche coloro armati solo di lancia e spada si lanciarono all'’attacco, e il principe assieme a loro.
La lama di Orcrist di macchiò presto del sangue nero degli Orchi, e Legolas non si fermò, dando coraggio ai suoi amici e abbattendo uno dopo l’altro tutti i nemici che gli si paravano di fronte.
La vittoria ormai sembrava vicina, quando un grido risuonò sulle alture sovrastanti.
Legolas deglutì, prima di voltarsi e sollevare lo sguardo; e allora capì che tutto quello non era altro che l’inizio.
Gli Orchi scendevano a fiotti dalla Montagna, una marea nera inarrestabile che uccideva senza fare distinzione, e molti caddero sotto le loro armi, molti che credevano essere al sicuro, ormai.
Le ore passavano, le spade si levavano e colpivano, le frecce fischiavano, ma a nulla servivano gli sforzi di tutti contro quella moltitudine, a cui si aggiunse un’altra schiera di Mannari, e con essi giunse la guardia del corpo di Blog, grandi orchi dalle scimitarre d’acciaio.
I nobili Elfi resistevano attorno al loro re, che combatteva senza pause, affondando senza esitare la spada e colpendo qualunque nemico senza sbagliare mai.
Ma Thranduil aveva nel cuore l’angoscia per la sorte del figlio, solo tra le schiere nemiche e con un braccio ancora ferito, e non badava a cosa faceva.
Più volte aveva rischiato di essere ferito, e se non lo era lo doveva solo al coraggio e alla fedeltà delle sue guardie, che lo proteggevano quando fronteggiava un nemico e l’altro lo prendeva alle spalle.
In ogni breve pausa che poteva permettersi faceva vagare lo sguardo, alla ricerca del figlio, ma senza alcun risultato.
Lo stesso faceva Legolas, cercando il padre ogni qualvolta poteva permetterselo.
Improvvisamente, si levò un grido, e dalla Porta squillarono le trombe.
Il principe si voltò verso la Montagna; aveva dimenticato Thorin e gli altri Nani!
Una parte del muro che avevano eretto crollò, e il Re sotto la Montagna varcò la soglia, seguito dai suoi compagni; non più cappuccio e mantello a ricoprirli, ma delle lucenti armature, i loro occhi ardenti come fuoco.
Thorin sollevò l’ascia, e cominciò a combattere, gridando: “A me! A me! Elfi e Uomini! A me! O miei consanguinei!”, e la sua voce si udì in tutta la vallata.
Tutti i Nani di Dain si precipitarono in suo aiuto, rompendo lo schieramento, e vennero giù anche Uomini del Lago, e soldati elfici si unirono, capeggiati da Legolas, che fu il primo a raggiungerlo.
Una volta di più gli Orchi furono stretti d’assalto nella valle, e i loro cadaveri resero il luogo ancor più scuro.
I Mannari furono sbaragliati e Thorin puntò alle guardie di Bolg.
Legolas fece per seguirlo, ma un Mannaro era rimasto vivo, e gli piombò addosso all'’improvviso, mancandolo di poco con le fauci irte di denti aguzzi.
Una delle zampe lo colpì proprio al braccio destro, già ferito, e Legolas cadde in ginocchio, sopraffatto dal dolore lancinante che provò quando la ferita di riaprì e uno degli artigli della bestia gli si conficcò nella carne.
Riuscì a liberarsi, ma nell’impatto aveva perso Orcrist, e non poteva impugnare un arco con un braccio solo, né tantomeno poteva affrontare un nemico simile armato solo di un pugnale.
Così, quando al bestia caricò di nuovo, chiuse gli occhi aspettando la morte, rappresentata dalle zanne del Mannaro.
Ma la morte non arrivò, e il principe non tardò a scoprire il perché; riaprì gli occhi, e non poté trattenere un grido soffocato alla vista che aveva dinanzi.
Tauriel era giunta all'’improvviso, ed era lei che il Mannaro aveva azzannato, e l’elfa gli aveva conficcato una spada nella gola.
L’orrendo lupo, morendo, lasciò la presa e Tauriel cadde  malamente a terra, sanguinante, con gli abiti ridotti a brandelli.
“Law!, esclamò Legolas, riacquistando le forze e correndo accanto all'’amica: “Tauriel… law. Mani le uma tanya?” (Cosa hai fatto?), disse, con le lacrime agli occhi.
Ella respirava appena, e nel sentire quelle parole aprì gli occhi: “Le naa cund nîn, Legolas… ar mellon nîn. Ho fatto solo il mio dovere… ti ho protetto” (Tu sei il mio principe, Legolas… e il mio amico), rispose lei, con voce debole.
Un lieve sorriso le si dipinse sulle labbra: “Namárië”, disse in un soffio, prima di respirare per l’ultima volta.
Legolas chinò la testa, senza nascondere il proprio dolore, ma le grida della battaglia lo riportarono presto alla realtà.
Stringendo i denti, riprese la spada e, incurante della ferita, riprese a combattere, avventandosi contro le guardie di Bolg.
In quella, le nuvole furono spazzate via dal vento, e un rosso tramonto divenne visibile all'’occidente.
Un grido altissimo, proveniente da qualcuno di ignoto, e delle parole che rinfocolarono la speranza nei cuori dei combattenti: “Le aquile! Le aquile! Arrivano le aquile!”.
Legolas alzò gli occhi al cielo, e i suoi occhi non poterono ingannarsi; stagliate contro il rosso del tramonto, seguendo la direzione del vento, le maestose aquile stavano arrivando in loro aiuto, in numero enorme.
Molti ripresero quel grido, e molti occhi stupiti si levarono al cielo.
Ma Legolas non udì gira di gioia, ma di dolore; perché Thorin Scudodiquercia era a terra, ferito, e i suoi due nipoti erano morti.
Il principe fece appena in tempo a correre in quella direzione, uccidendo con un colpo netto l’ultimo dei nemici rimasti di fronte al Nano, pronto ad assestare il colpo di grazia a Thorin.
Quello, quando Legolas si voltò, lo guardò con riconoscenza; poi chiuse gli occhi e svenne.
Un rapido sguardo intorno a sé, e il principe capì che la battaglia si era ormai conclusa, e tutti i nemici erano ridotti a ben miseri corpi a terra; ma non era rivolto a quello il proprio pensiero.
Non all'’immenso orso che raggiunse Thorin e lo trasse con sé.
Non a coloro che issarono i suoi nipoti su degli scudi, portandoli lontano da quel luogo.
Non alle grida di vittoria che molti si lasciavano sfuggire.
Legolas cercava una sola persona, e quella stessa persona stava in quel momento facendo guizzare lo sguardo da una parte all'’altra, con il timore, l’angoscia e la preoccupazione che stavano per prendere il sopravvento.
Allora lo sentì: “Adar! Adar, manke naa?”, (Padre, dove sei?”).
La voce non era limpida, e celava una grande sofferenza, ma era lui. “Legolas! Tula sinome, iôn nîn!”(Vieni qui), esclamò in risposta, sollevando la spada per farsi ritrovare.
Non appena lo riconobbe, in lontananza, Thranduil corse dal figlio e lo abbracciò, lasciando cadere a terra la spada per poter circondare con le braccia il proprio figlio, con il cuore che traboccava di gioia nel vederlo ancora vivo.
“Legolas, sei ferito!”, esclamò poi, quando ebbe sciolto l’abbraccio.
“Non è niente, adar, non temere…”, cercò di dire Legolas, ma la vista gli si annebbiò all'’improvviso, e le ginocchia gli cedettero.
Dopodiché tutto fu buio.
 
 
“Legolas? Galad uin hin nîn, edrach in hin lîn” (Luce dei miei occhi, apri gli occhi).
La voce del padre arrivò sussurrata alle orecchie del principe, che lentamente sollevò le palpebre,stringendo gli occhi quando la luce del mattino glieli ferì.
Fece per domandare cosa era accaduto, ma i ricordi gli tornarono in fretta, pesanti come macigni gettati giù da una montagna.
Tentò di mettersi seduto, ma Thranduil gli pose una mano sul petto, tenendolo giù: “Daro” (Fermo), gli ordinò.
“Sei ancora troppo debole, devi stare disteso. Recupera le forze per… per il funerale. Devi recarti alla Montagna con me, più tardi”.
“Quanti sono morti?”, domandò il principe in un soffio.
“Ancora non prendiamo il conto dei morti, ma molti elfi sono caduti sotto i colpi del nemico. Vite eterne strappate alla loro immortalità. Che possano trovare il loro riposo nelle Aule di Mandos. E… vagando per il campo di battaglia ho trovato anche Tauriel”.
Legolas chiuse gli occhi, cercando di non pensare a tutti gli Elfi che erano morti quel giorno, cercando di non pensare a nulla, ma non ci riuscì: “Mi ha salvato la vita… non meritava la morte. Nessuno la meritava”.
“Non possiamo essere noi a scegliere chi vive e chi cessa di vivere, Legolas. Forse nessuno lo meritava, è vero, ma è accaduto”.
Poi aggiunse: “Dovresti davvero recarti con me al funerale di oggi, ma se non te la senti, non sarò certo io ad obbligarti”.
“No io… verrò. Ma, se si tiene nelle sale della Montagna, chi è morto? Ho visto i due nipoti di Thorin, sul campo, ma…”.
“Anche Thorin è morto. Gli eredi più prossimi di Durin hanno abbandonato per sempre queste terre. Ha chiuso gli occhi non molto tempo dopo la fine della battaglia, dopo aver parlato con me e con il piccolo Hobbit”.
Thranduil si alzò dal letto del figlio, dov’era seduto: “Ti lascio riposare, ora”, disse, prima di svanire oltre l’ingresso della tenda.
 
 
Il rumore cupo dei coperchi che venivano posti sulle bare di Fili e Kili rimbombò nelle troppo silenziose sale di pietra di Erebor, un tempo ricche di splendore ma ora rovinate dalla furia del drago, e Bard e Thranduil si avvicinarono a quella ancora aperta di Thorin.
Erano sotto la Montagna, nel luogo più recondito e profondo, dove i morti sarebbero rimasti per l’eternità; il gelo sembrava riempire ogni cosa, sconfiggendo perfino il calore delle torce accese per fare un po’ di luce in quella sala.
Bard, prendendo l’Arkengemma dal cofanetto in cui era stata rinchiusa fino ad allora, la pose sul petto di Thorin, dicendo: “Che rimanga qui finché la Montagna non cada! Possa portare fortuna a tutto il suo popolo, che qui dimorerà in futuro”.
Allora la tomba venne chiusa, e ancora una volta il cupo suono echeggiò sotto le volte.
Venne il turno di Thranduil, allora, di farsi avanti.
Egli stringeva tra le mani la spada Orcrist, che Legolas gli aveva prontamente restituito prima di recarsi a Erebor.
“Saresti stato un grande re, Thorin Scudodiquercia, seppur il tuo cuore bramava troppo le ricchezze. Ingiustamente sei stato trattato da me, ma hai accettato le mie scuse e mi hai perdonato. Ti rendo Orcrist, e ti chiedo di nuovo perdono, se mai il tuo spirito potrà prestarmi ascolto”.
Detto questo, depose Orcrist sulla sua tomba, e lì sarebbe rimasta, e avrebbe brillato al buio, cosi che mai la fortezza dei Nani sarebbe potuta essere presa.
 
 
Prima della partenza degli Elfi, Thranduil ricevette la sua promessa parte del tesoro, le gemme ch’egli prediligeva, e furono accettate con gentilezza, ogni rancore ormai al vento, ch’erano anche le gemme che non gli erano state restituite.
La schiera, poi, si mise in marcia, e dietro di loro cavalcavano Gandalf e Bilbo, decisamente lieto di abbandonare finalmente quel luogo.
Accanto a loro, Beorn il muta pelle rideva e cantava, donando allegria al gruppo.
Così avanzarono fino al margine del Bosco Atro, a nord del punto dove il fiume Selva ne usciva.
E lì si fermarono, poiché lo stregone e lo Hobbit si rifiutarono di entrare nel bosco, seppur il re li invitò a restare per del tempo nel proprio palazzo.
Anche Legolas provò ad insistere, ma la risposta non mutò.
“Addio, o re degli Elfi! E addio, caro principe!”, disse Gandalf: “Lieto sia il bosco fronzuto finché il mondo è ancora giovane. E lieto sia tutto il vostro popolo!”.
Thranduil sorrise: “Addio, Mithrandir. Che tu possa sempre apparire là dove si ha più bisogno di te e meno ci si aspetta di vederti! Più spesso apparirai nel mio palazzo, più sarò contento!”.
Bilbo si intromise, balbettando e stando ritto su una gamba sola: “Ti prego di accettare questo dono!”, disse, tirando fuori una collana d’argento e di perle.
Legolas osservò tutta la scena senza proferire parola e, mentre il padre si avvicinava allo Hobbit, sorrise: “Che cos’ho fatto per meritare un tale dono, mio piccolo Hobbit?”, gli domandò Thranduil.
Bilbo aveva l’aria piuttosto confusa: “Be’, ehm, pensavo, come sai… ehm, la tua, ehm, ospitalità dovrebbe essere ricambiata con qualcosa. Anche uno scassinatore ha il suo orgoglio, non so se mi spiego. E ho bevuto un bel po’ del tuo vino e mangiato molto del tuo pane”, riuscì a dire.
Thranduil tese la mano, e lasciò che Bilbo vi facesse cadere la splendida collana: “Accetterò il tuo regalo, mastro Bilbo, e ti nomino amico degli Elfi e benedetto. Che la tua ombra non dimagrisca mai. Addio!” , disse.
Legolas scosse la testa: “Ora ho capito come conoscevi il mio nome!”, esclamò, sorridendo.
“Ci salutiamo da amici, dunque. Addio!”, aggiunse.
Poi gli Elfi si volsero verso la foresta, e iniziò il loro cammino alla volta di casa.


Piccolo angolino autrice

Vi prego, non linciatemi per questo ritardo inimmaginabile e non chiamate qualche oscura creatura di Morgoth o di Sauron per punirmi. Avrei dovuto aggiornare molto tempo prima, lo so, ma putroppo non ne ho avuto proprio il tempo e, tra sagre di paese, feste, impegni vari e tutto il resto la fic è andata a farsi un bel viaggetto a Mordor. Nemmeno ora sono molto libera, però prometto che cercherò di impegnarmi di più per non farvi attendere un'Era intera per avere il nuoco capitolo.
Detto questo, aggiungo solo una rapida cosetta sulla storia ed evaporo: gran parte dei dialoghi e alcune frasi sono presi direttamente dal libro "Lo Hobbit" di J.R.R. Tolkien, a cui mi sono molto ispirata per poter scrivere la Battaglia, perciò una bella parte del merito va al nostro caro professore. 
Molto bene, questa volta evito di ringraziare specificatamente, e vi do un grazie enorme e un abbraccio. I ringraziamenti completi li metterò alla fine della fanfiction.


Meneg suilad, mellon nîn. Al prossimo incontro dalla vostra elfa ancor più ritardataria del solito

Hannon le

ElenCelebrindal
 
   
 
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