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Autore: MAMMAESME    25/08/2014    4 recensioni
La storia originale si interrompe poco prima della partenza dei fratelli Salvatore per nascondere il corpo mummificato di Klaus. Quello che avviene dopo è un miscuglio di “What if”, di scene trasposte e di personaggi noti … meno noti e inventati. Gli occhi che ci guideranno, la voce che racconterà non poteva essere che la SUA: una visione soggettiva, emotiva ed emozionante … almeno spero.
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti | Coppie: Damon/Elena
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO 28
… GUIDING LIGHT ...


(Elena)

Dieci giorni.
La mia vita era cambiata, io ero cambiata e Damon non era Damon.
Mi ero trasformata, grazie a lui e per lui, ma erano passati dieci giorni e non l’avevo ancora visto, non ero ancora riuscita a riabbracciarlo.
Mi spiegarono che avrebbero dovuto liberarlo dalla possessione prima di farmelo incontrare di nuovo: doveva essere di nuovo lui, prima che potessi rivederlo.

Bonnie e i miei figli avevano aspettato il solstizio, avevano eseguito il rito, ma Damon non era ancora rientrato a casa … e mi mancava … più del sangue … più della stessa vita, persa e ritrovata quella notte di dieci giorni fa.
Mi avevano raccontato che era andato tutto come avrebbe dovuto: Klaus era finalmente bloccato nel suo corpo, nella sua bara. Pheeb e Damon erano andati a seppellirla in fondo a qualche burrone, o mille metri sotto il mare, e sarebbero tornati in tempo per il compleanno dei gemelli.

Tutti intorno a me stavano sorridendo di sollievo e di gioia, per la ritrovata libertà o per un amico che non si rivedeva da tempo; tutti si stavano dando da fare per preparare una serata di festa per i miei figli, per l’arrivo del Natale, per la vita riconquistata dopo oltre vent’anni di angherie.
Se non fosse stato per Matt e Meredith, questa sarebbe sembrata una serata di tanti anni fa: una rimpatriata tra amici adolescenti, studenti del college. Volti che il tempo non aveva segnato si mescolavano a giovani anime che avevano dovuto conoscere troppo presto il tormento della scelta, il dolore della battaglia.

Dal giorno dopo qualcuno avrebbe ricominciato ad invecchiare.
Io non sarei stata quel qualcuno.

Dopo la doccia mi ero osservata a lungo nello specchio. Avevo guardato quel volto uguale a vent’anni prima, che sarebbe rimasto uguale per tutti i vent’anni a venire. Lo guardai e non vi trovai i segni del tempo trascorso a piangere, a dormire, a disperarmi. Non lessi la mia vita tra le pieghe del tempo, non ritrovai le cicatrici di una battaglia infinita contro Klaus, contro me stessa. La mia pelle era una pagina bianca che nessun inchiostro, graffio o ferita avrebbe mai più potuto marchiare.
Avrei visto i miei figli andare avanti, i miei amici morire, le ere evolversi e l’unica cosa che avrei potuto cambiare sarebbe stato il taglio dei capelli o lo stile dei vestiti.
Tutto ciò mi sarebbe sembrato intollerabile, sarebbe stato insopportabile, se non avessi avuto la consapevolezza che Damon sarebbe stato con me … ma ancora non era con me.

Ero scesa in salotto nella speranza di trovarmelo davanti, bello, strafottente, trionfante. Invece inciampai nella scatola con i miei diari. Ne afferrai uno, quello con la copertina verde, e andai a sedermi sul divano accanto al camino.
Quelle pagine, lo ricordavo perfettamente, raccontavano gli ultimi giorni della mia vita, gli ultimi istanti prima di annullarmi per rinascere, venticinque anni dopo, tra le sue braccia.
Le nostre liti.
Il nostro addio.
Il bacio in quel motel, a Denver.

Caro diario …
Che cosa mi accade?
Cosa mi è preso?
Chi era quella ragazza, su quel balcone, in quel motel?
Il ricordo non mi abbandona, le sensazioni sono ancora sulla mia pelle, dentro la mia pancia … in un angolo del mio cuore.
Se chiudo gli occhi, sono ancora lì e riesco a rivivere ogni secondo, ogni più piccola sensazione, ancora e ancora.


Il rumore della doccia non mi fa dormire.
Mi sono sdraiata in attesa che tornasse Jeremy mentre Damon è sotto la doccia.

Perché avevo accettato quel viaggio con lui?
“Sentimenti irrisolti”
No … io sono un caso irrisolto … io non riesco a districarmi tra i miei vorrei e il mio voglio, tra ragione e istinto, ciò che sono e ciò che vorrei essere.

Lo sento trafficare. Sento, attraverso le pareti sottili, lo strusciare della stoffa dei pantaloni sulle sue gambe, i suoi piedi sbattere a terra mentre s’infila le scarpe, la sua mano impugnare la maniglia.
Chiudo gli occhi … inutile. Li riapro subito, incapace di resistere alla tentazione di spiarlo mentre pensa che nessuno lo stia guardando.

Cammina per la camera, afferra la bottiglia, si infila svogliato la camicia: guardo le sue spalle possenti e vengo invasa dalla consapevolezza che quello che sto vedendo è un uomo, non un adolescente, non un ragazzino, ma un uomo … vero … completo … pericolosamente attraente.

Il suo volto non ha la solita sfrontatezza mentre si versa da bere, con la camicia buttata addosso e il bicchiere tra le mani: è pensieroso, assorto inconsapevole del mio sguardo su di lui. Una piccola ruga in mezzo alla fronte, quei sospiri mentre si siede, i piedi appoggiati sulla sedia, gli occhi sul fondo del bicchiere prima di cominciare a bere …  a che cosa sta pensando? A chi sta pensando?

Mi rendo conto che starei a guardarlo per ore, che vorrei scoprire tutto di lui, andare oltre quegli occhi di ghiaccio e scoprire cosa lo tormenta, perché è innegabile: quello che ho davanti è un uomo tormentato, un uomo dalle molteplici sfaccettature, un uomo magnetico e sexy … indicibilmente sexy.

Mentre la mia mente continua a porsi domande, il mio corpo comincia a lanciarmi segnali, richiami che non voglio ascoltare, risposte che non voglio sentire. Fatico a mantenere la respirazione a un ritmo regolare, ma è impossibile ignorare quella sottile agitazione che mi attraversa la pelle, che mi blocca lo stomaco e mi scioglie il sangue.

Mi guarda, mi coglie in flagrante.

Fuggo abbassando le palpebre, ma quella barriera è troppo sottile perche lui non riesca a perforarla.
Niente: i miei occhi non riescono a stare chiusi e, appena li riapro, ritrovo il suo sguardo, intenso e ammaliante, fisso su di me.
Lo seguo mentre mi si avvicina, lo scruto mentre mi si sdraia accanto, ancora crucciato, ancora con quella sottile piega tra le sopracciglia.

Gli occhi non lasciano gli occhi.
Ci sfioriamo senza toccarci.

Gli chiedo di Rose, ma lui mi taglia fuori.
Gli chiedo di lui: mi risponde torvo che non vuole vivere secondo le aspettative di nessuno.
Di nessuno …
Prendere o lasciare.

E quegli occhi che mi scavano dentro sanno che prenderei tutto, anche se da quel tutto vorrei scappare.
Perché è tutto troppo: troppo intenso, troppo profondo, troppo pericoloso.
È prendere l’anima e rovesciarla come una maglietta sfilata in fretta dalla testa …
È spogliarsi e rimanere nuda, senza difese, davanti alle mie più profonde e sconosciute pulsioni …
È abbandonarsi alla passione, alle leggi di un cuore impazzito che sta per esplodermi nel petto.

Mi volto perché non riesco a reggere quella sua invasione, quel suo prendermi il respiro, togliermi l’aria, annebbiarmi i pensieri.

Annaspo.

Sento che mi accarezza con lo sguardo, che scivola sulla mia pelle con i suoi occhi chiari, ghiaccio bollente che mi ustiona ogni centimetro … la carne … l’anima … dentro e fuori.

E non sono le dita che s’intrecciano per un misterioso magnetismo …
E non è la sua pelle contro la mia …

È per come mi guarda, come aspetta, come mi sprona rimanendo immobile, come mi bacia le labbra solo fissandole, come mi disarma semplicemente respirandomi accanto.

Ogni difesa è in briciole, ogni paura è all’ennesima potenza.

Mi sento Amleto al bivio: essere quell’Elena che tutti conoscono o l’Elena che lui sta scoprendo? Essere una ragazza che vive delle sue regole o colei che fa vivere i propri desideri più reconditi, le passioni più cocenti?

Rimorsi o rimpianti?

L’eco dei pensieri si fa sempre più flebile, la ragione mi sta abbandonando assordata dal mio cuore che batte come un tamburo africano che scandisce quel ritmo primordiale, annullata dall’impeto del richiamo animale che mi urla di essere donna.

Ho paura.

Mi alzo.

Scappo lontano da lui, da me stessa, dal quel desiderio devastante, dalla sensazione di essere sull’orlo di un precipizio e di volermi buttare, perche so, ne sono convinta, Damon mi afferrerebbe per portarmi o nel più azzurro dei cieli o nel più rovente degli inferni.

Nemmeno il vento che mi porta il suo profumo riesce a schiarirmi le idee, a raffreddarmi il sangue che gira bollente.
Nemmeno il distributore è un’ancora abbastanza forte cui aggrapparmi per non farmi travolgere dalle emozioni.

La sua voce.

La sua domanda …  nessuna risposta.

Perché non c’è un perché al mio no, mille ragioni, ma nessun vero perché, niente … non trovo un appiglio, un motivo.

“Perché no? … Elena”

Eppure sapevo la risposta, ne avevo a centinaia … ma non ne trovo una valida, nessuna veramente valida.

L’ultima barriera cade, l’ultimo baluardo, l’ultima difesa.

Volo tra le sue braccia, dove voglio essere, dove avrei dovuto essere da sempre e non ho voluto mai …
Dove tutto trova una risposta, dove una risposta non è necessaria.
Dove tutto quello che sembrava sbagliato trova la sua ragione d’essere ed io mi sento viva, vera, mentre muoio sulle sue labbra che mi regalano la vita.

Il mo cuore non sa se continuare a battere contro il suo petto o fermarsi una volta per tutte contro quel muro, tra le sue mani che mi plasmano come cera, facendomi sentire sua succube e sua padrona.

E poi tutti si ferma per un attimo, il mondo smette di girare, e sono ancora gli occhi nei suoi occhi, nei miei occhi …

Qualunque cosa accadrà, io sarò sua per sempre.
Qualunque cosa accadrà lui sarà in me, fino alla fine.

Lo avevo capito allora, ma mi ero rifiutata di accettarlo.
Lo avevo capito e gli avevo chiesto di andarsene.
E adesso lo aspettavo, perché avevo l’eternità davanti e lui era l’unico motivo valido per viverla.
Lo stridio dei freni sul vialetto di fronte a casa mi riportò alla realtà. Il botto delle portiere che si chiudevano mi fece alzare dal divano.
I passi … la porta che si spalanca.
Pheeb entrò tenendo per mano Cassidy e, dietro di lui, finalmente apparve Damon.


-o-o-o-o-

(Damon)

Pronto Damon?”
“Sempre.”

Prima di aprire la porta, Pheeb mi mise in allerta.

Elena si alzò dal divano, gli occhi in ansia, le mani intrecciate e il diario sul pavimento. Vedendo Pheeb le si addolcì il sorriso, mentre i suoi occhi correvano oltre le sue spalle, oltre Cassidy, per cercare il mio volto.
Non appena mi vide, dimenticò la gente che aveva attorno e mi corse incontro.

La guardai volarmi tra le braccia, allacciarsi attorno al mio collo, posare le sue labbra sulle mie e ... bruciai di gelosia.

Perche non c’ero io dentro quel corpo a sentire il calore del suo bacio, il bisogno dentro il suo abbraccio, il desiderio sulla sua pelle.

Io ero invisibile, ancora celato alla sua vista, spettatore passivo di uno spettacolo che doveva essere anche il mio, ma che mi era stato rubato, ancora una volta, da Klaus. Come aveva minacciato, lui era stato molto più scaltro di me e, alla fine, aveva riconquistato il mio corpo.

Fortunatamente, attraverso la sua connessione con le nostre menti, Pheeb si era accorto di quello che stava per accadere e, prima che Klaus si riprendesse, avvisò Cinthia, la quale era riuscita a bloccare la mia essenza nel limbo, in modo che lo scambio di corpi non fosse definitivo, lasciandomi a vagare nel nulla, legato solo alla mente di Pheeb.

Il corpo di Klaus era ancora nella bara, vuoto, in attesa di accogliere l’anima di quel pazzo … se di anima si poteva parlare.

L’unica consolazione era che, grazie ai “filtri” messi in atto dai gemelli, Klaus non sapeva che io non ero nel suo corpo, in quella bara che aveva aiutato a nascondere, in un posto sicuro ma non inaccessibile, perché non aveva rinunciato a se stesso: aveva solo preso il mio corpo in prestito per insinuarsi nella famiglia e ricominciare a spargere il suo veleno
.
Guardavo Elena abbracciata a me … a lui … e mi si strinse il cuore.

Era così felice.
Era così sollevata nel vedermi ancora vivo.

Mi sembrava impossibile che mi amasse tanto, eppure sapevo che il suo cuore era mio, che il suo corpo era mio, che lei era mia e mi era intollerabile il pensiero che lui avrebbe potuto approfittarne.
Lo avrei fermato, a costo … letteralmente … di perdere la mia anima.

Richiamato da un’attrazione magnetica, mi ritrovai dietro ad Elena, a faccia a faccia con la mia immagine, davanti ad uno specchio che modificava il mio volto senza che io potessi comandarne le espressioni.
Klaus sfuggiva allo sguardo innamorato di Elena: i miei occhi non erano mai stati tanto pieni di arroganza e di superbia … il che è tutto dire!

Elena mi fissava, cercando qualcosa che non trovava. Le sue mani scivolarono sulle maniche del giubbotto guidando le braccia lungo i fianchi, dove rimasero abbandonate.
Trattenne il respiro un solo attimo, prima di abbassare gli occhi e fingere un sorriso.

Il legame tra due corpi è una questione chimica, un insieme di odori e sensazioni, di brividi e reazioni incontrollabili.

La connessione tra due anime va oltre: accentua ogni sfumatura, ogni tocco, ogni carezza arriva dritta al cuore; la chimica s’innalza a simbiosi, le reazioni toccano corde profonde e a scuotersi non sono solo i sensi accesi, ma qualcosa di ben più profondo sotto e oltre la pelle.

Elena lo aveva capito, lo aveva percepito chiaramente: quello che la stava baciando non ero io.

Klaus la scansò appena un po’ troppo bruscamente e si diresse verso il salone, dove gli invitati si erano radunati per accogliere l’altro festeggiato. Andò immediatamente verso Cinthia e le pose un bacio sulla fronte, mentre la mano disegnava una lieve carezza sulla sua guancia appena arrossata.

Erano passate le dieci e il fatidico compleanno stava per diventare un altro ieri da catalogare nei ricordi.

Cinthia fissò il mio volto in cerca di quello che sapeva essere sua padre. Afferrò la mano che la stava toccando e vi posò la testa, in modo da sentirne il tocco, da gustarne la dolcezza.

Pheeb le andò accanto e mise il braccio attorno alle spalle del padre, in un gesto che doveva apparire cameratesco, un virile abbraccio tra amici, compagni di battaglia. Poi afferrò la mano della sorella e tutto si fermò.

Ancora una volta i gemelli avevano fermato il tempo, ancora una volta avevano messo il loro potere al servizio della mia salvezza, contro la prepotenza del padre.

Come un’eco selvaggia, il ruggito dell’anima di Klaus si espanse nell’aria, mentre il mio corpo cadde a terra, scosso da violente convulsioni.

Dal gruppo immobile vidi Bonnie che si avvicinava a quelle membra sconquassate: prese la testa tra le mani e cominciò a salmodiare.

Uno strano vortice di luce si formò davanti alle fiamme del camino: una luce accecante si mischiava a nere striature, nuvole di tempesta mischiate a lampi di cielo.

Bonnie sanguinava dal naso mentre Pheeb rimaneva concentrato, mani nelle mani con sua sorella.

L’anima di Klaus combatteva per non lasciarsi estirpare, mentre la sofferenza della mia carne cominciava a giungermi, come se fossi ancora in me.

Con un ultimo grido bestiale, Klaus si ritrovò di fronte a me, evanescente quanto lo ero io, impotente come me.

Il vortice si calmò e, al posto del camino, vi era una strana finestra, al di là della quale si poteva scorgere la bara di Klaus, esattamente dove lui l’aveva lasciata insieme a Pheeb.

-    Siamo ancora noi due, l'uno contro l'altro … - mi sfidò.
-    Per l’ultima volta, - risposi.
-    Illuso … se non prenderò te, entrerò in uno chiunque dei presenti. Vediamo: potrei cominciare dal tuo amico Matt, è invecchiato bene … per un paio di giorni potrei anche adattarmicisi. Oppure Jeremy: immagina come sarà contenta Elena quando mi sarò stancato del fratellino e andrò a sfracellarmi contro un muro per liberarmi del suo corpo inutile … magari proprio con la tua Camaro. A pensarci bene, però … non sono mai stato nel corpo di una donna … una neovampira … La scoperesti ugualmente sapendo che sarei io a sentire tutta la tua passione? –

La sua risata sadica mi scosse di rabbia, ma non avevo tempo da perdere: il portale non sarebbe rimasto aperto a lungo e i gemelli non avrebbero potuto aprirne un altro. Era la loro ultima magia, il loro ultimo sprazzo di potere.

L’aria immobile fu scossa da un tuono assordante e tutti scomparvero.

Nella stanza non vi era più nessuno: eravamo rimasti solo io e Klaus. Il portale illuminava lo spazio vuoto e la bara campeggiava oltre la superficie tremolante.

L’unico aggancio con il presente era la voce di Pheeb che mi sussurrava nella mente.

“C’è un solo pensiero che può riportarti indietro, una sola forza … solo tu sai cos’è … solo tu ti ci puoi aggrappare. C’è un solo richiamo, per uno solo di voi: seguilo o sarai perduto, seguilo o morirai”

-    Non ti lascerò scappare: in quella bara ci finirai tu! – ruggì Klaus.

“Un solo pensiero, un solo richiamo …”

-    Questa volta non mi fregherete: ucciderò quel mio figlio bastardo, ucciderò tutti quanti con le tue mani e lascerò Elena per ultima … e mi supplicherà di possederla … e mi supplicherà di ucciderla … urlando il tuo nome, odiandoti … disprezzandoti- continuò per distrarmi, per togliermi dal cuore l’unica possibilità di salvezza.

Una sola voce, una sola certezza …”

Se avessi ceduto alla rabbia, avrei perso.
Avevo un solo pensiero possibile, e quel pensiero mi avrebbe salvato: se Klaus fosse riuscito a distrarmi, mi sarei perduto per sempre.

“Damon”
La voce di Elena riempì il vuoto della stanza: il mio richiamo … il mio unico pensiero.

“Damon, non lasciarmi, non un’altra volta … non per sempre!”

Il ghigno di Klaus cerò di sovrastare quel suono, quella traccia, quell’unico filo di speranza che avrebbe potuto portarmi indietro.

-    Sentila, ti chiama. Immagina quanto sarà disperata quando vedrà il tuo corpo essiccarsi, morire … -
Non dovevo ascoltarlo … non potevo perdere la concentrazione o avrebbe vinto.

“Damon … per favore … torna qui, torna da me!”

La finestra del portale si stava rimpicciolendo: rimaneva poco tempo.

Cercai di fissare la mia attenzione sulla voce di Elena, sul suo volto che immaginavo reclinato sul mio, a quegli occhi caldi e innamorati che mi avrebbero accolto quando avrei riaperto i miei.

-    Non la rivedrai … non la riavrai. Ascolta: ha smesso di chiamarti. La sua speranza sta morendo, e tu con essa. Povero illuso. Povero piccolo bastardo … nessuno ti ama mai abbastanza. Nessuno sprecherà più di cinque minuti a piangerti. – sghignazzò.

-    Nessuno ha sprecato un filo di voce per chiamare il tuo nome: non uno dei tuoi fratelli, non una donna … nemmeno tua figlia! –

Le parole mi uscirono dalla bocca ancora prima di passarmi per il cervello, prima ancora di essere pensieri.
Il volto di Klaus rimase attonito per un breve istante, un secondo solo, il tempo di farsi trafiggere da un dolore antico quanto lui, feroce quanto la sua rabbia, atroce quanto la sua cattiveria … un secondo di troppo, e il suo autocontrollo si frantumò contro la sua immensa solitudine.

Una forza invisibile lo attirò oltre il portale. Vidi la sua essenza svanire silenziosamente dentro la bara. La luce del portale si affievolì fino a spegnersi, lasciandomi al buio.

Klaus era finalmente sconfitto.

Il sollievo per quel pensiero si girò in panico.

Avevo perso la concentrazione, avevo perso il mio pensiero guida … avevo perso l’attimo.

La stanza si stava rimpicciolendo, come se le tenebre volessero fagocitarmi, come se volessero penetrarmi e spegnermi.

Dovevo tornare … volevo tornare …

Ma non sapevo come.

 








 


 

 





  
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