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Autore: peetarms    25/08/2014    10 recensioni
Elizabeth Jensen non sopporta il suo nome intero, si fa chiamare Effy. Non sopporta neanche il suo passato, la morte di suo fratello gli ha fatto prendere decisioni sbagliate.
Suo padre Jeremy Jensen è un attore di fama mondiale molto legato ad Effy, sua madre Amanda Cortese invece è una delle modelle più famose a New York.
Per far ricominciare una nuova vita ad Effy decidono di trasferirsi nella città natale di suo padre, Union in Kentucky. Ma quando tutto sembrava andare per il verso giusto, il passato di Effy ritorna.
Josh Hutcherson è tornato a Union in Kentucky dopo le ultime première di Mockingjay pt.2 per prendersi un paio di mesi di pausa. Quando il suo agente lo chiama informandolo che agli inizi di Aprile ci saranno le audizioni per il film dell'attore Jeremy Jensen – attore che Josh ammira da sempre – Così Josh decide di provare ad entrar a far parte del cast.
Film che Jeremy ha scritto ispirandosi al passato di Effy.
[OFFICIAL TRAILER: https://www.youtube.com/watch?v=FOPTZkdyxyk]
Genere: Drammatico, Erotico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon | Avvertimenti: Tematiche delicate
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*Attenzione: i comportamenti dei personaggi descritti durante la narrazione della fan fiction non sono assolutamente da imitare: quello che fanno e pensano è spesso sbagliato. Con questo mio scritto pubblicato senza scopo di lucro, non intendo dare rappresentazione veritiera del carattere di queste persone, né offenderle in qualche modo. La storia è solo frutto di pura fantasia.*






02.



7 Aprile 2016 ore 6.45AM.

Amo il mattino presto. 
Amo il fatto di poter uscire e trovare una cittadina silenziosa dove posso inspirare aria fresca e pulita mentre corro. A New York non era così.
Corro ancora per una decina di minuti fino ad arrivare alla prima panchina dentro al parco di Union. 
Guardo in alto mentre regolarizzo il respiro. Chiudo gli occhi e mi beo di questo silenzio che sogno da sempre.
Ho sempre pensato che la solitudine non esiste. Nel senso che non consiste nello stare soli, ma piuttosto nel non sapersi tenere compagnia. Chi non sa tenere compagnia a se stesso difficilmente la sa tenere ad altri. Quindi ecco spiegato perché si può essere soli in mezzo a mille persone ma anche perché ci si può trovare in compagnia di se stessi ed essere felici, per esempio ascoltando il silenzio. Ma il silenzio vero non esiste, come non esiste la vera solitudine. Basta abbandonarsi alle voci dell'Universo.
La riproduzione casuale del mio cellulare fa partire Live and Let Die dei Guns N'Roses.
Dopo aver fatto qualche minuto di stretching, ricomincio a correre percorrendo la via che mi condurrà a casa.


7 Aprile 2016 ore 7.21AM.

«Buongiorno signorina Jensen» Howard, il nostro giardiniere mi saluta mentre corro lungo il viale costeggiato da ciliegi in fiori
Alzo la mano in segno di saluto prima di salire a due a due gli scalini ancora correndo.
«Buongiorno tesoro» mia madre mi accoglie quando chiudo la porta d'ingresso
«Ciao» la saluto prima di passare il palmo della mano sulla mia fronte imperlata di sudore
«Fatto una buona corsa?» le solite domande senza senso di mia mamma 
«Sì – mi avvio verso il salotto dove trovo mio padre intento a leggere il giornale – Giorno pà» lo saluto con un bacio sulla guancia
«Giorno piccola» mi sorride
«Vado a fare una doccia così poi facciamo colazione» anche mia madre ci ha raggiunto in salotto. Esco dal salotto e mi avvio verso la rampa di scale che mi porta direttamente nel corridoio dove si trova la mia stanza.
Una volta dentro chiudo la porta a chiave e mi ci appoggio con la schiena. Faccio un respiro profondo dopo aver appoggiato la mano destra sopra al cuore. Dopo un paio di minuti quando il mio battito è tornato regolare mi spoglio lasciando i vestiti sudati a terra. Mi dirigo nel bagno di fianco alla cabina armadio, apro la manopola dell'acqua calda e una volta che l'acqua ha raggiunto la temperatura che desidero entro dentro.
Lavo i miei capelli castani scuro con lo shampoo al cocco per poi lasciarli in posa qualche minuto con il balsamo anch'esso al cocco, mentre mi lavo il corpo con il bagnoschiuma alle more.
Una volta eliminati i residui di sudore e di sapone dai miei capelli e dal mio esile corpo esco dalla doccia avvolgendomi in un accappatoio grigio scuro.
Apro il mobiletto per cercare il phon e poco dopo l'aria calda invade i miei capelli.
Qualche minuto dopo sono dentro alla mia cabina armadia mentro mi pettino i capelli con indosso solo l'intimo alla ricerca di qualcosa da indossare. Alla fine opto per un semplice paio di jeans neri e una felpa gigante grigia della mia vecchia università a New York. Lascio i miei capelli mossi ricadermi sulle spalle coperte dal tessuto della felpa. Mi avvio verso l'uscita della cabina armadio dove ho posizionato le mie scarpe. 
Il 90% composto da vans e converse, con qualche Nike qua e là e infine i tacchi che devo indossare per gli eventi dei miei genitori o che indossavo maggiormente nel periodo nero.
Afferro le mie fedeli vans neri ed esco dalla camera dopo aver recuperato il mio cellulare e le sigarette da sopra al letto.


7 Aprile ore 8.35AM

«Finalmente Effy – mia madre mi guarda sollevata mentre mi siedo al mio solito posto – Credevamo che ti fosse successo qualcosa, non tornavi» 
«Tranquilla sto bene – gli sorrido prima di alzarmi per prendere l'astuccio contenenti le mie medicine – Me la sono solo presa con comodo, se avevate fame potevate cominciare a mangiare» appoggio la pastiglia da 1 mg di Xanax di colore azzurrino di fianco alla tazza del caffè, dopo di che lo raggiunge anche quella dorata di Paroxetina
«Sai che facciamo colazione tutti insieme quando siamo tutti a casa» mio padre mi sorride passandomi il cesto con il pane tostato
«Già» prendo una fetta di pane e ci metto sopra la confettura di ciliegia
«Oggi hai qualcosa da fare?» dopo qualche minuto di silenzio mio padre riprende la parola
«Oggi esco con tuo nipote» prendo il telefono visto che sta vibrando.
Chiamata in arrivo da Tommy.
«Buondì nobile cugina» scherza mio cugino appena accetto la chiamata
«Buondì oh cugino idiota» rispondo dopo aver finito di mangiare la mia fetta di pane e marmellata
«Per che ora ti vengo a prendere?» mi chiede dopo aver smesso di ridere
«Voglio uscire in moto – puntualizzo – Quindi o vieni con la tua moto e andiamo là insieme o mi dai l'indirizzo e mi arrangio da sola» 
«Dieci minuti e sono lì» chiude la chiamata
Alzo le spalle per poi appoggiare il telefono di fianco alla tovaglietta della colazione.
«Mamma mi passi le zollette?» gli indico il piattino di fianco a lei
«Tieni – mi allunga il piatto da dove prendo due zollette – Dove andate tu e Tom oggi?»
«Mi vuole presentare i suoi amici» dico prima di appoggiare sulla lingua le due pastiglie e mandarle giù con il caffè
«Mi sembra una cosa bella» mi sorride mio padre mentre io faccio una smorfia 
«Che c'è Effy?» mia madre sospira
«Sono stanca di questi psicofarmaci» li guardo
«Lo sappiamo tesoro» mia madre mi sorride comprensiva
«No, non lo sai. Tu non li prendi» la fisso
«Ne parleremo alla prossima seduta va bene?» mio padre si intromette per evitare una discussione
«Okay. Vado che Tom sarà qui a momenti. Ci vediamo dopo» lascio un bacio ad entrambi sulla guancia dopo aver preso cellulare e sigarette da sopra al tavolo ed averle messe nella tasca della felpa.
Esco dalla porta di ingresso, scendo lentamente le scale e mi avvio verso la mia moto parcheggiata in garage.
Indosso il casco dopo essere salita, accendo il motore ed esco andando a velocità ridotta per il vialetto.
«Esce signorina Jensen?» mi volto e trovo Robert, il figlio di Howard
«Sì – sorrido – Con mio cugino» lo guardo
«Me lo saluti. Eravamo in classe insieme al liceo» mi sorride prima di tornare ad aiutare il padre. Da lontano vedo arrivare la moto di Tommy.
«Comunque dammi del tu, se non mi sento vecchia» rido prima di raggiungere mio cugino in strada.


7 Aprile 2016 ore 9.13AM

«Così continuerai a studiare ingegneria meccanica?» Tom mi osserva mentre accendo una sigaretta
«Esattamente, ultimo anno» sorrido
«Hai fatto tutto in poco tempo – mi guarda – Hai avuto una passione esagerata per quelle cose sin da piccola» sorride
«Cosa ci posso fare, mi ha sempre attratto. Poi sai che non sono quel tipo di ragazza che aspira a fare la segretaria in uno studio per poi provare a portarsi a letto il capo» faccio un tiro
«Lo so bene – annuisce – Mi ricordo quell'anno in cui siamo andati al Walt Disney World o come diavolo si chiama ad Orlando quando avevamo all'incirca 10 anni – sorride leggermente – Dopo essere scesa dalle montagne russe hai affermato che volevi fare quello nella tua vita»
«Sì – allungo la gamba sopra le sue cosce – Ho pensato tutto il tempo come poteva essere possibile una cosa del genere» faccio l'ennesimo tiro
«Mentre Freddie ti diceva di goderti il giro tu blateravi cose che hai letto sui libri di fisica» ride scuotendo la testa
Gli tiro un pugno sulla spalla «Volevi una cugina che appena si scheggiava lo smalto si metteva a fare una scenata isterica?» lo sfido
«No. Mi vai benissimo tu – mi abbraccia – Mi va benissimo la mia pazza Elizabeth» mi lascia un bacio tra i capelli mentre io guardo la moto che sta passando.
Una Harley Davidson. Mi mordo il labbro inferiore per non sorridere mentre il proprietario della moto mi saluta con un cenno della mano.
«Lo conosci?» poggia una mano sulla mia spalla
«Diciamo di sì» affermo sottovoce prima di ritrovarmi sulla spalla di Tom diretta a conoscere i suoi amici.


7 Aprile 2016 ore 9.56AM

«Così tu sei la sua ragazza» squadro la bambola rifatta che ho di fronte.
Capelli biondi tinti, occhi verdi, corporatura perfetta. Indossa un vestitino rosa e un paio di tacchi neri lucidi.
«Sì e tu sei sua cugina» mi squadra anche lei.
Capelli castani mossi, occhi azzurri-grigi, corporatura esile. Indosso un paio di jeans neri e la felpa del college, con ai piedi un paio di vans nere.
«Esattamente. Elizabeth Jensen – allungo la mano – Ma credo che saprai benissimo chi sono» gli sorrido sorniona
«Sì, ne ho sentito parlare» mi squadra ancora una volta
«Vi siete presentate – Tom ci raggiunge e abbraccia entrambe – Spero che andrete d'accordo» guarda prima me e poi la sua ragazza
«Ma certo tesoro – risponde falsamente – Io e Effy andiamo già d'amore e d'accordo» altro sorriso falso
Tom si gira sorpreso verso di me «Ascolta Tom, lo sai che sono una che dice le cose come stanno – incrocio le braccia al petto – Non so che carattere lei abbia o come si comporti quando ha conosciuto meglio l'altra persona ma a me non sta bene. Mi squadra da quando siamo arrivati – la fisso – Crede perché sia figlia di una modella e di un attore di fama mondiale debba vestirmi firmata tutti i giorni. Ma tu sai benissimo che io sono una ragazza che si veste semplicemente – sospiro – Quindi mi dispiace Debora, ma io e te non andremo d'accordo. Sei partita con il piede sbagliato e difficilmente potrai recuperare. Soprattutto se ti comporti da ragazzina viziata e altezzosa» mi lascio cadere nella panchina del parco in cui ci troviamo
«Sai Effy – comincia mio cugino guardandomi – Lei non sarà perfetta. Ma neanche tu lo sei. Dici che non deve squadrarti ma lo stai facendo anche tu no? Devi piantarla di stare sulla difensiva. Non sei l'unica persona che ha sofferto nella vita, non sei l'unica persona che ha perso una persona importante. Devi piantarla di fare la parte della forte anche se non lo sei. Lascia cadere quelle pareti che ti sei costruita e sii più vulnerabile. L'Elizabeth acida e scontrosa non piace a nessuno, rimarrai da sola se continuerai a comportarti così» mi urla contra
Il panico mi assale. Raccolgo le forze che mi sono rimaste e mi alzo dalla panchina mentre mi infilo il casco. Cammino fino alla panchina ancora facendo fatica a respirare, anche colpa del casco. Salgo sulla moto e me ne vado. Lontana da mio cugino e dalle sue parole. La vista comincia a diventare offuscata come se tanti pallini neri si divertissero ad impedirmi di vedere perfettamente. 
Tra tutti i pensieri che invadono la mia mente in questa momento mi viene in mente quando lo psicologo mi ha fatto descrivere me stessa con un parola.
Avevo immediatamente detto disastro ma lui me l'ha fatta cambiare. Le parole non potevano essere: disastro, nullità, delusione, schifo.
Inaspettata ho detto dopo qualche minuto di silenzio.
Non c'era altra parola per descrivermi: sia nella buona che nella cattiva sorte. Sono qualcosa di non previsto, qualcosa di così sicuro ma al contempo così incerto. Un qualcosa che non c'è mai ma che in realtà c’è sempre.
Inaspettata come qualcosa che compare nella tua vita all’improvviso, che magari è sempre stata lì ma a cui tu non l'hai mai notata; perché era sempre così, con me. Credevo che nessuno mi notasse prima di cadere nel buco nero della mia vita. Era come se passassi veloce nella mente delle persone senza mai rimanerci a lungo, come se sgattaiolassi nei loro sogni o saltellassi tra i loro pensieri. Ero qualcosa che c’era, ma che non era fondamentale: qualcosa di cui la presenza era scontata, e la cui assenza era sì sentita, ma non come avevo bisogno io.
Ciò che mancava alle persone di me, credo, era il mio semplice essere lì come la semplice e brava ragazza che ero. A dire qualche parola ogni tanto che non veniva mai realmente ascoltata; qualcosa di marginale, che ha poco valore, di cui tutti hanno bisogno ma da cui nessuno dipende. 
Un’abitudine, quasi.
Avevo sentito dire che le abitudini ci mancano solo quando esse vengono a mancare, si sentono solo quando se le si scrolla di dosso: molte notti non riuscivo a dormire pensando a questo, pensando a cosa avrebbe comportato la mia assenza.
Magari, se me ne fossi andata, le persone avrebbero capito quanto fossi importante. Ma sarebbe stato comunque troppo tardi.
Per le persone, una volta che te ne vai, non puoi più tornare. Non come prima. Ed è stato quello che ho fatto, me ne sono andata per poi tornare in peggio.
Spengo il motore della moto quando sono giunta sul vialetto di casa. Mi lascio cadere sulla ghiaia. Un senso di impotenza, terrore, devastazione, ma soprattutto di vuoto mi aspetta da affrontare. Cavo il casco mentre le lacrime di rabbia scorrono lungo le mie guance. Lancio il casco contro il garage urlando con tutta la rabbia che ho in corpo.
Sono come un treno in discesa coi freni rotti. Senza via di scampo. Tutte le frasi che ho sentito dagli psicologi e dai miei genitori non erano vere. 
Tutte le loro parole di conforto e la speranza che un giorno sarei stata meglio erano false.
Se no non sarei qui in preda ad un attacco di panico mentre urlo come una pazza per cercare di fermare le voci dentro alla mia testa. Per cercare di riempire il vuoto che ho dentro.
Due possenti braccia mi bloccano. Non sento neanche quello che dice, vedo sempre più nero.
Pian piano smetto di urlare così posso sentire da chi proviene la voce.
«Stai calma Effy, calma» non riconosco la voce, cioè l'ho già sentita ma non so collegarla a chi
«Chi sei?» ansimo con la poca voce che mi rimane
«Effy ora chiamo tuo padre okay, tu stai tranquilla qui» sento la mia schiena a contatto con l'umida ghiaia del vialetto
«No – cerco di urlare – Non mi lasciare» comincio a tremare
Sento i passi più vicini a me. Poco dopo sono di nuovo a contatto con un corpo caldo.
«Effy che ti prende? Che ti sta succedendo?» mi accarezza i capelli mentre io continuo a tremare. Non rispondo. Non ho la forza. Il peso del dolore ha vinto anche questa volta.
«Ora ti prendo in braccio ed entriamo dentro va bene?» non controbatto, non rispondo, non faccio nulla.
Mi sento solo sollevare, appoggio la fronte contro la sua spalla mentre sale le scale.
«Josh che cosa gli è successo?» la voce sconvolta e preoccupata di mio padre mi arriva come una doccia fredda, cerco di aprire gli occhi ma inutilmente
«Jeremy non lo so. Quando stavo per rientrare l'ho trovata ad urlare e piangere come una pazza sul vialetto. Non sapevo cosa fare» Josh mi appoggia su un qualcosa di comodo, sicuramente il divano.
«Josh per favore, vai in cucina da mia moglie e fatti dare il Rescue Remedy dei fiori di Bach, veloce» non sentivo mio padre così preoccupato da tantissimo tempo.
Dopo qualche minuto sento mio padre aprirmi la bocca e cinque gocce cadono sopra la mia lingua.
«Ora si riprende» lo dice sicuramente rivolto a Josh
«Jeremy che cos'ha Effy?» anche la voce di Josh è preoccupata
«Non te lo posso dire io» riesco ad aprire gli occhi ed anche a vedere decisamente meglio «Te lo dirà lei se gli sembrerà il caso» mi passa una mano sulla guancia mentre io mi sento un po' meglio.
Dopo una decina di minuti sono seduta sul divano con la gola in fiamma a causa degli urli con stretta tra le mani una tazza bollente di thè.
«Effy che cos'è successo?» Josh anticipa mio padre
«Nulla» evito il suo sguardo. L'ultima persona che avrei voluto che mi vedesse così era lui.
«So che non ci conosciamo per niente, ma vederti così è stato orribile» so per certo che cerca il mio sguardo
«Visto che passeremo decisamente più tempo insieme visto che mio padre ti ha preso per il suo film – comincio con la voce rauca e graffiata che mi ritrovo in questo momento mentre guardo mio padre che annuisce – Era un attacco di panico»
«Soffri anche di attacchi d'ansia?» mi guarda comprensivo
«Sì» sospiro
«La causa dell'attacco di panico» questa volta è mio padre a parlare
«Sarà stato sicuramente il ragazzo con cui l'ho vista mentre venivo da lei» Josh mi anticipa 
Ma a questo ragazzo gli piace anticipare le persone?
«Tom? Non credo che suo cugino l'avrebbe fatta stare male – mi guarda in cerca di una risposta – Sa che soffre di queste cose»
«In realtà ha ragione Josh – porto una mano alla gola – Abbiamo avuto una discussione»
«Per cosa?»
«La sua altezzosa ragazza» stringo un cuscino al petto
«Così ti ha urlato contro cosa?» mi chiede ancora
«Solo la verità» sussurro
«La verità è come il collirio, brucia un po’, ma ti farà vedere meglio» mi ricorda mio padre
«In questo caso gli ha scatenato un attacco di panico, credo che come verità l'abbia colpita profondamente» mi guarda e io ricambio lo sguardo
«L'importante ora è che stia meglio mia figlia – mio padre guarda Josh – Vado a tranquillizzare tua madre» si alza e mi lascia un bacio sulla fronte
Annuisco e lo guardo uscire dal salotto dopo essersi raccomandato con Josh.
«Scusa» mi volto verso di lui
«Non ti devi scusare – mi sorride – Non è colpa tua» appoggia una mano sulla mia coscia
«In un certo senso sì» sussurro
«In che senso?» mi guarda
«Lasciamo stare. É troppo complicato da spiegare» lo guardo
«Mi piacciono le cose complicate» si siede di fianco a me
«Io sono più che complicata» rido poco
«Ho notato. Sei una bella sfida» ride anche lui
«Hai notato cosa?» inclino di poco la testa e lo guardo
«É il dramma delle persone forti» mi accarezza una guancia 
«Ma di che stai parlando Josh?» gli blocco la mano e lo fisso attentamente negli occhi
«É il dramma delle persone forti accollarsi il dolore degli altri. Fare finta che tutto vada per il meglio, tenersi tutto dentro fino a scoppiare. Fino a soffrire nella maniera in cui stai facendo tu» 
«Non è vero» mento spudoratamente
«Avanti andiamo, ho visto i tuoi occhi Effy, sono pieni di dolore, un dolore che ti perseguita ogni giorno della tua vita» insiste Josh
«Hai ragione – affermo dopo un po' – Non so come hai fatto ma hai ragione» socchiudo gli occhi
«Bene, per festeggiare che ho indovinato ti va se questa sera usciamo a fare una passeggiata? Ho sentito dire che l'aria fresca della sera è miracolosa, soprattutto quella del Kentucky» mi sorride divertito
«Ci devo pensare» lo guardo
«E perché mai?» ride
«Uscire con una famosa star di Hollywood per una passeggiata, chi sa che cosa mi aspetta» scherzo mentre ci alziamo entrambi dal divano
«Facciamo che ti aspetto nella prima panchina del parco di Union alle 9pm» si appoggia allo stipite della porta d'ingresso
«E chi lo sa se verrò» lo guardo
«Io sono convinto che verrai» si avvicina di più a me
Sento le sue labbra morbide posarsi sulla mia pallida e fredda guancia.
«Lo scopriremo Hutcherson» dico mentre scende la scalinata 
«Allora ci vediamo questa sera così posso scoprire di più sulla ragazza complicata» si infila il casco dopo avermi sorriso
Lo vedo uscire dal vialetto mentre io rimango mi siedo sui gradini della scala. Prendo una sigaretta dal pacchetto che ho in tasca assieme all'accendino. 
Non credo Hutcherson affermo spegnendo la sigaretta dopo un paio di minuti con la punta delle mie vans.





















 

BUON POMERIGGIO GENTE.
QUESTO CAPITOLO É PIÚ CORTO RISPETTO ALL'ALTRO MA É DECISAMENTE PESANTE: VISTO CHE EFFY HA AVUTO UNO DEI SUOI ATTACCHI, ED ABBIAMO ANCHE SCOPERTO QUALCOSA IN PIU DEL SUO PASSATO.
BEH, RINGRAZIO LE DIECI MERAVIGLIOSE PERSONE CHE L'HANNO RECENSITA E ANCHE LE ALTRE MERAVIGLIOSE PERSONE CHE L'HANNO MESSA TRA LE PREFERITE E RICORDATE, MA ANCHE I LETTORI SILENZIOSI, I QUALI SPERO CHE PRIMA O POI MI LASCINO UNA RECENSIONE.
AL PROSSIMO CAPITOLO ALLORA,
PEETARMS.

   
 
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