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Autore: DigitalGenius    26/08/2014    6 recensioni
Garfield arrossì lievemente. Non poté evitare che il cuore gli si fermasse, nel guardarla, anche se non era la vera Raven.
«Allora, cosa ti porta qui?» gli domandò lei sorridendo.
Garfield dischiuse le labbra per risponderle. All’improvviso tutti i suoi piani, tutti i discorsi a cui aveva pensato per riportare Raven tra i Titans, sembravano inutili. Chinò lo sguardo e strofinò per terra una suola della scarpa.
Sentiva quegli occhi addosso a sé e quello sguardo lo trafiggeva.
«Dov’è che sono le altre emozioni? Potrei parlare con alcune di voi?» esordì all’improvviso agitando le punte delle orecchie.
Coraggio scrollò le spalle. Il sorriso le si spense mentre si avvicinava al bordo del precipizio su cui si trovavano. «Loro non verranno» annunciò rassegnata. «Si vergognano»
«Perché dovrebbero?» le domandò il ragazzo seguendola. «Sono sempre il buon vecchio Beast Boy, credevo di piacere almeno alla metà di loro»
«Tu ci piaci» lo tranquillizzò lei nel vederlo quasi nel panico. Gli sorrise. «Diciamo che non sono pronte ad incontrarti. O almeno non lo sono la maggior parte di loro»
«Perché?» domandò Garfield mogio. «Perché loro no e tu sì?»
«Perché?» ripeté lei. «Perché io sono il Coraggio»
Genere: Azione, Romantico, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Beast Boy, Raven, Robin, Starfire
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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UN DESIDERIO TRA LE STELLE


Quando Cyborg mise piede nel corridoio, dopo aver abbandonato l’ascensore, il senso di sollievo riguardo ciò che aveva scoperto non l’aveva ancora abbandonato. Non vedeva l’ora di dirlo agli altri e sperava di trovarli nella sala principale.
Quando aprì la porta scorrevole non fu deluso, ma capì immediatamente che attirare l’attenzione di Richard sarebbe stato un compito arduo. Già Garfield era seduto davanti al loro capo e, sotto lo sguardo pensieroso di Kori, impegnata a cucinare qualcosa di accettabile, stava cercando di introdurre un discorso.
Con le spalle tese, il mutaforma, stringeva tra le braccia uno dei vecchi volumi di Raven, cercando probabilmente il modo migliore per dire qualcosa all’amico senza che questi si arrabbiasse.
«Dick» disse forse per l’ennesima volta. «Sul serio, questo è importante. Puoi darmi un paio di minuti di attenzione?»
Il Ragazzo Meraviglia gli fece un lieve cenno con la testa, ma non sollevò lo sguardo. «Dammi una ventina di minuti, poi sono tutto tuo. Voglio finire di catalogare questi moduli e poi…»
Sbuffando, Garfield spinse lo schermo del computer e richiuse il portatile. Richard li fulminò con un’occhiata mentre lui gli passava il libro e lo apriva alla pagina che gli interessava.
«Guarda» disse serio il mutaforma. «Questo capitolo parla di demoni chiamati Succubi, li hai mai sentiti?»
«Succubi?» domandò Richard. Poi scosse la testa. «Di che si tratta?»
«Leggi il capitolo. Leggilo attentamente» raccomandò Garfield. «Ero tranquillamente addormentato su un prato e sono stato attaccato da uno di questi. Una di queste» si corresse.
Lo sguardo di Richard si fece vigile, ed improvvisamente il volto s’indurì. «Tu stai bene?»
Kori smise di trafficare e prestò attenzione, sperando che la situazione non degenerasse.
Garfield si colpì la fronte con una mano. «Sono qui a parlartene, no? Hai un talento incredibile nel non capire la parte importante». Batté due dita sulla pagina e ripeté: «Io sono stato attaccato da uno di questi, volevo che lo sapessi per evitare che accadesse anche a te o a Victor, ok?»
Robin fissò la pagina, poi Garfield, la pagina e poi di nuovo Garfield. «Aspetta. Cosa ci facevi in quel prato? Lei sapeva che eri lì?»
Garfield emise un lieve rantolo. Capì immediatamente a cosa l’amico stava pensando, e non voleva che lo facesse. «No, non farlo. Non incolpare Raven. Lei non mi avrebbe mai fatto del male!»
«Gar» sospirò il ragazzo. «Non puoi sapere se è stata una sua manovra per tenerti alla larga dai suoi loschi affari»
«Loschi affari? Loschi affari?» sbottò Garfield nervoso. «Ti ho già detto che Raven non mi farebbe mai del male, non ne farebbe a nessuno di noi»
«Gar ha ragione» s’intromise Kori. «Se ne è andata, ma resta sempre nostra amica»
Prima che Richard potesse replicare Victor decise di farsi avanti, appoggiando saldamente una mano sulla tavola. «Quando è successo?»
Sia Richard che Garfield lo scrutarono, indispettiti per l’intromissione, ma lo sguardo di Victor era troppo cocciuto per non rispondere.
«Neanche due ore fa» mormorò Garfield, sperando di non dover subire una strigliata anche dal mezzo robot.
Ma l’amico sorrise sornione. «Allora Raven non centra, lo so per certo»
Richard saltò sull’attenti, nervoso. «Come fai a saperlo?»
«Perché due ore fa lei era con me» rivelò Victor senza pensare.
Kori sorrise sollevata, ma il volto del suo ragazzo si fece paonazzo dalla furia.
«E perché, di grazia, Raven ti ha concesso udienza proprio oggi? L’ultima volta che l’ho vista non mi è sembrata esattamente favorevole ad una rimpatriata»
Victor si grattò la pelata, poi sollevò le spalle. «Mi ha contattato l’altro giorno per chiedermi di riportarle il suo specchio, così le ho dato appuntamento in centro ed abbiamo pranzato insieme»
Come se l’occhiataccia di Richard non fosse abbastanza anche Garfield s’incupì di colpo. «Tu l’hai incontrata e non mi hai detto niente? Amico! Sarei potuto venire con te!»
«Ho preferito non farne una faccenda di stato, e lei mi ha chiesto di andare da solo» si giustificò il ragazzo.
Garfield chinò la testa. «Si, ma avresti potuto dirmelo comunque» gemette frustrato. Non si preoccupò neanche di nascondere la sua espressione delusa; gli amici sapevano bene quanto gli sarebbe piaciuto riparlare con lei a quattrocchi, senza qualcosa che potesse interromperli o metterli una contro l’altro.
Victor chinò le spalle. «Mi dispiace, davvero. Ho pensato che se avessi fatto come aveva detto lei poi avrebbe accettato più facilmente di rivedermi»
Kori sorrise, comprendendo che il ragionamento dell’amico non faceva una piega, ma Richard non sembrava d’accordo.
«Basta» ordinò. «Smettetela. Lei se n’è andata, ci ha traditi. È una criminale»
Victor strinse i pugni. «Non ci ha traditi»
«Il libro che ha rubato contiene una formula per far risorgere Trigon!» rivelò il Ragazzo Meraviglia controvoglia. Aveva rimandato il più possibile il momento in cui avrebbe dovuto dirlo agli amici, ma ora aspettare non era più un’opzione
«NO!» gridò Garfield all’improvviso. Tutti s’interruppero, si voltarono verso di lui e lo videro stringere la mascella e premere i polpastrelli sul ripiano. «È Raven, porca miseria! Raven! Non è un demone qualunque! Non è un criminale qualunque! È Raven! Raven! Quella Raven che ha affrontato suo padre per salvare il mondo, che ci ha sempre guardato le spalle e che è sempre stata al tuo fianco durante la tua campagna contro Deathstroke!» sbottò. «Non starò qui ad ascoltare mentre tu parli male di lei»
«Lei se n’è andata» ribadì Robin. «Ha fatto la sua scelta. È il momento di dimenticarla. Non è la prima volta che un Titan tradisce»
Garfield spintonò Robin, gli ringhiò contro, pronto alla rissa.
Kori e Victor si avvicinarono; lei afferrò alle spalle il Ragazzo Meraviglia, lui il mutaforma, per impedire che si saltassero alla gola a vicenda.
«Non sai cosa voglia fare con quel libro. Ci deve essere qualcos’altro» grugnì Garfield furioso.
Richard aprì la bocca, ma Kori lo interruppe prima che riuscisse ad emettere un solo fiato. «Smettila, sai che Gar ha ragione. Non puoi sapere cosa vuole fare Raven, non finché non lo sentirai da lei con le tue orecchie»
Lo lasciò andare e lui si voltò a fulminarla con gli occhi. «Se avesse davvero in mente di fermare Trigon potrebbe venire a dircelo in qualunque momento e non la appoggeremmo e sosterremmo in ogni modo, ma lei chiaramente non ci vuole tra i piedi»
Garfield diede uno strattone a Victor, che lo lasciò andare, permettendogli di dirigersi a passo svelto alla porta digrignando i denti.
«Dove vai?» domandò il robot.
«In città» tagliò corto il mutaforma infilando l’anello al dito. Immediatamente la sua pelle assunse un colorito normale ed i suoi capelli persero il loro verde sgargiante.
Kori fece per corrergli dietro «Gar, aspetta!»
«Kori!» la fermò Richard preoccupato. «Non riuscite a vedere che ci sta facendo stare male? Ci sta facendo soffrire, ci sta dividendo!»
«No, Dick. Sei tu che non riesci a vedere che abbiamo bisogno di sperare e di credere in lei» concluse Kori uscendo a sua volta.
Victor sospirò. Ora erano rimasti solo lui e l’amico, nella stanza. Preferì non dire nulla, ma vide Richard chinare la testa mogio. Robin non aveva tutti i torti, rifletté, nonostante ciò che lei stessa gli aveva detto. Era stata troppo sbrigativa, troppo secca. Come se volesse sbarazzarsi di lui in fretta.
Robin sospirò, poi si lasciò ricadere sulla sedia e strofinò due dita sulle tempie. Victor si sedette accanto a lui, serio.
«Come fai a non sperare nel suo ritorno? Ti spaventa il fatto che potremmo preferire lei alla squadra?»
«Mi spaventa la possibilità che vi faccia - che ci faccia - star male di nuovo» rivelò Richard. «Non è la prima volta che un Titans tradisce» ribadì.

Quando, finalmente, vide Garfield camminare tra la folla con le spalle basse, Kori dovette trattenersi dal sollevarsi in aria per raggiungerlo. Sebbene l’anello nascondesse il suo colore non riusciva a fare nulla per l’aria avvilita che il ragazzo emanava.
Accelerò il passo, mentre i lampioni in strada iniziavano ad accendersi per fare luce nella sera che scendeva in fretta. Indossando un paio di jeans ed una semplice maglietta non doveva preoccuparsi di essere riconosciuta, poteva quindi dedicarsi esclusivamente ad ascoltare l’amico. Non esitò a chiamarlo a gran voce, ignorando gli sguardi accigliati della gente, per impedirgli di voltare l’angolo rischiando di perderlo di vista.
«Gar!» gridò. Vide l’amico fermarsi e guardarsi attorno, e prima che lui potesse ricominciare a camminare lo chiamò una seconda volta. «Gar!»
Lui si voltò, la vide, spalancò gli occhi e sorrise lievemente. Infilò le mani nelle tasche della giacca e rimase ad aspettare che lo raggiungesse.
«Tutto bene?» le chiese quando l’ebbe raggiunto, strisciando leggermente il piede per terra.
Kori scosse la testa. «Sono io che dovrei chiedere a te se va tutto bene. Robin si è comportato da vero Pnekton»
Garfield scosse la testa sospirando. «Non è grave, sta solo cercando di fare il capo. Sai com’è; il maschio Alpha che deve tenere insieme il branco»
La ragazza lo guardò confusa, anche se negli ultimi anni aveva imparato a conoscere le abitudini terrestri non si era mai concentrata sulle dinamiche del regno animale; non ne aveva mai sentito la necessità.
«Dovremo vedere insieme qualche documentario, qualche volta» le propose Garfield sollevando un braccio per avvolgerlo attorno alle spalle di Kori. «Vieni, facciamoci un giro. Dove vuoi andare? Al centro commerciale? A prenderci una pizza?»
«Non importa, mi basta stare un po’ con il mio amico» rispose lei con un sorriso iniziando a camminare affianco a lui.
Rimasero vicini, per confortarsi a vicenda dopo gli ultimi avvenimenti della settimana.
Garfield sorrise tra sé; era bello avere un’amica come lei con cui condividere le preoccupazioni. Teneva anche a Robin, certo, ma lui si lasciava cogliere troppo facilmente dalle manie di controllo ed in certi casi era difficile comunicargli quello che si provava davvero.
«Sai cosa pensavo?» borbottò il ragazzo timidamente. «Se solo riuscissi a parlare con Raven forse potrei convincerla a tornare»
Kori sospirò, ci aveva pensato anche lei nelle ultime ore. «Non lo so, Gar. Sembrava tenesse davvero a quei ragazzini, dubito che li lascerebbe da soli solo per tornare con noi»
«Non le chiederei mai di abbandonarli» rivelò Garfield serio. «Diamine, se io avessi dei fratelli farei di tutto per stare con loro. Vorrei solo avere la possibilità di dirle che non serve che scelga tra noi e loro. Ci sono così tante stanze alla torre…»
Kori sorrise ancora, camminando lungo il marciapiede spalla a spalla con lui. Annuì. «È vero. Era grande quando eravamo in cinque, è ancora più grande ora che siamo solo in quattro»
«Immagina come sarebbe anche con Lilith e Jeremy. Credo che potrebbe diventare alquanto caotica» ridacchiò Garfield.
«Sarebbe divertente» rifletté Kori divertita. «Credi che loro accetterebbero di venire a vivere con noi?»
Il ragazzo si fermò all’improvviso, trattenendo involontariamente l’amica. «Dovremmo chiederglielo» affermò convinto.
Lei lo guardò corrucciata solo per un istante, poi tornò a sorridere. «Credi che accetterebbero?»
«Può darsi. Ho parlato con Lilith alcuni giorni fa. Ha ascoltato, è stata socievole. Se riuscissimo a convincere uno di loro due Raven potrebbe accettare più facilmente di tornare con noi» ipotizzò sovrappensiero.
Kori si fece immediatamente avanti. «Questa è la notizia più gloriosa che io abbia sentito da lungo tempo. So che Robin non sarà d’accordo, ma è già arrabbiato e comunque voglio che Raven torni a casa. Sono con te. Dimmi cosa devi fare ed io lo farò»
Garfield le sorrise; probabilmente il sorriso più brillante degli ultimi mesi. «Dobbiamo trovare quei due ragazzini e riuscire a parlare con loro. Con calma, senza spaventarli, da amici»

Raven non aveva mai avuto problemi a dormire, tranne quando, in previsione del suo sedicesimo compleanno e con il giungere dello scadere della profezia, Trigon aveva incominciato a tormentare i suoi sogni. Questa volta, però, era diverso.
Non si trattava più dell’avvento dell’apocalisse, ma di un semplice demone che aveva iniziato a girarle attorno da un po’, giocando con i suoi sogni più proibiti e tormentando le sue notti, ricordandole ogni momento ciò che non avrebbe mai potuto avere. Non faceva nulla che potesse nuocerle, dato che era comunque la figlia di Trigon, ma spossava particolarmente la sua parte umana, soprattutto dal punto di vista emotivo.
Tutto questo, però, Lilith non lo sapeva. La ragazzina sapeva solo che qualcosa tormentava i sogni di sua sorella e che lei aveva il potere di aiutarla. Aveva preso l’abitudine di alzarsi a controllare se Raven stesse bene, quando la sentiva agitarsi emotivamente nel sonno, ma Belial l’aveva sempre rassicurata, dicendo che l’avrebbe aiutata lui.
Quella volta, però, Belial non c’era. E Raven era quasi in lacrime e non se ne era neanche resa conto. Stava rannicchiata nel lettino della vecchia villetta a schiera nella periferia di Jump City – i proprietari erano probabilmente in vacanza – e stringeva la mano attorno al lenzuolo stropicciato.
Lilith le si avvicinò di soppiatto, richiudendosi la porta alle spalle ed inginocchiandosi al fianco della sorella. Sembrava che la sua sola presenza fosse riuscita a tranquillizzarla, ma Lilith voleva fare qualcosa di più. Giocherellò leggermente con l’orlo del vestitino a fiori – che aveva trovato in uno degli armadi – ed inclinò la testa pensierosa.
Non sapeva cosa avrebbe potuto aiutarla, ma sapeva che chiunque sarebbe stato meglio grazie ad un semplice pensiero felice. Non era certa, però, di quale sarebbe stato il pensiero felice adatto a Raven, e si rese conto che lei non le aveva mai parlato di ciò che avrebbe voluto per il proprio futuro. Sapeva che, personalmente, sarebbe stata felice di essere libera in un bosco assieme a sua madre – un pensiero che dovette accantonare immediatamente, perché il pensiero del modo orribile in cui era morta le faceva ancora venire gli incubi la notte – e si domandò se anche per Raven il pensiero della madre sarebbe stato confortante.
Non sapeva nulla della madre di Raven, neppure il nome. Non aveva nulla da cui partire, per piantare le radici di un sogno che la riguardasse. Sollevò le mani, rassegnata, decidendo di infondere nella sua mente uno dei suoi desideri più recenti, dei suoi sogni più felici.
Sperava che Raven condividesse almeno un po’ la sua voglia di restare insieme per sempre, di essere felici come una vera famiglia.
Poggiò timidamente i palmi sulle guance della sorella ed iniziò a sussurrarle mentalmente il suo sogno.

Belial si introdusse nella grotta con cautela. Sapeva di non aver nulla da temere, e l’immagine di Lilith che calmava Raven gli aveva lasciato una piacevole sensazione di calore. Se all’inizio la presenza degli altri tre eredi di Trigon era per lui motivo di disturbo ora si era abituato alla loro compagnia. Non l’avrebbe mai ammesso, ma si sentiva bene in loro presenza; erano diventati una piacevole costante nella sua esistenza e questo gli dava in parte fastidio. La sua parte demoniaca gli ricordava ogni giorno che aveva un compito più importante a cui doveva pensare, e per questo gli occorreva il loro aiuto, ma che alla fine sarebbe andato per la sua strada, libero da ogni legame con loro.
Era grato che i suoi poteri gli permettessero di celare la battaglia che imperversava nel suo animo infranto, perché certo non si sarebbero più affidati a lui, se avessero scoperto i suoi dubbi e desideri nascosti.
Aveva imparato alla perfezione ogni sfumatura dell’animo dei suoi fratellastri e questo l’aveva aiutato a trattare con loro. Ora era capace di controllare la loro gamma emozionale con particolare facilità, ma l’effetto svaniva quando restavano per molto tempo lontani da lui ed iniziava a temere che questo potesse rivoltarsi contro di lui molto presto.
Aveva percepito diversi sbalzi emotivi soprattutto da parte di Raven, da quando lei si era trovata a scontrarsi contro i famosi Teen Titans. La prima volta aveva temuto per un istante che lei riprendesse il controllo di sé stessa abbastanza da intuire cosa le stava facendo, ma per fortuna non era successo. Ora Belial temeva che Raven potesse sconvolgersi emotivamente al punto da ritrovare la totale coscienza di sé, e questo non sarebbe stato d’aiuto alla sua campagna.
Raggiunse il fondo della grotta, il demone lo aspettava chino sulla carcassa di una qualche creatura che a Belial non interessava riconoscere, e si sentiva tanto sicuro da dargli le spalle. Sapeva bene che Belial non l’avrebbe mai attaccato.
«Abbiamo tutto pronto», lo informò Belial.
«Ci siamo quasi» annuì l’altro, sollevando gli occhi dalla carcassa per puntarli contro il nuovo arrivato.
Belial sospirò, avvicinandosi con passi svelti fino a trovarsi faccia a faccia con lui. «Dovremmo fare a Raven una festa memorabile» borbottò, incrociando le braccia.
«Stai tranquillo, non la dimenticherà facilmente» sorrise. «Sarà il suo primo compleanno con la sua vera famiglia» aggiunse. Una lieve risata roca sfuggì alla sua gola, prima che lui sollevasse la mano per dare una pacca sulla spalla di Belial. «Non mancherò per nulla al mondo».

Starfire aveva lasciato Garfield in centro a sbrigare alcune faccende di cui non aveva voluto parlarle. Non ci era voluto molto impegno, questa volta, per accantonare la curiosità. Trovava l’idea di fare amicizia con i fratelli di Raven abbastanza entusiasmante da tenerla impegnata per un bel po’. Si domandò quanto ci volesse per poter incrociare casualmente uno dei due, ma poi ricordò di aver sentito da qualche parte un detto che parlava di una montagna che aspettava qualcuno e che, non vedendolo arrivare, decideva di andargli incontro. Le pareva fosse un certo Moffetto.
Colta dalla rivelazione del significato dell’affermazione, Koriand’r esultò, incapace di trattenersi, e prese il volo incurante degli sguardi attoniti dei passanti, i quali, fino ad allora, non avevano avuto idea della sua identità.
Sorvolò le strade principali con una velocità particolarmente moderata, per i suoi gusti; scrutando i passanti sotto di lei con il suo sguardo affilato. Nessuno pensava mai che, essendo un’aliena, i suoi occhi potessero vedere meglio di quelli umani. Studiò le teste dei cittadini di Jump City, decisa ad individuare almeno uno dei due ragazzini anche a costo di stare sveglia a girare in tondo per tutta la notte, se necessario.
Alcuni bambini che giocavano nei giardini e nei parchi notarono la sua ombra stagliarsi per terra ed alzarono gli occhi per guardarla ammirati. Koriand’r li salutò con un sorriso, continuando la sua ricerca mentre si assicurava rapidamente che tra quelle faccette con gli occhi sgranati non ci fossero proprio quelle che cercava. Arrivò al molo e in periferia, ma fu quando tornò di nuovo in centro per un secondo giro che scorse la sagoma mogia di Jeremie vicino alla vetrina di un negozio.
Il ragazzo indossava la stessa tuta della prima volta che l’aveva visto, con il cappuccio sollevato sopra la testa per non essere riconosciuto o forse solo per sentirsi più sicuro. Aveva mosso lo sguardo immediatamente, puntandolo nella sua direzione quando si era sentito addosso i suoi, ma non fece nulla per muoversi o fuggire, certo che le intenzioni di Koriand’r non fossero ostili.
Lo vide restare immobile ad osservarla, mentre scendeva in un vicolo poco distante, e quando ne venne fuori, attraversando il marciapiede attenta a non urtare nessuno, lo trovò lì ad aspettarla con le mani nelle tasche.
Fu lei la prima a rompere il silenzio, sperando di riuscire a trattenere l’entusiasmo per non farlo scappare a gambe levate. «Ciao» disse in un sospiro, stringendo le mani al petto e sporgendosi verso di lui. «Tu sei Jeremie, giusto?»
Lui la fissò, distolse lo sguardo per un istante e poi le rispose controvoglia. «Sì», disse. E prima che Koriand’r potesse emettere un solo sospiro di sollievo continuò brusco: «Cosa vuoi da me? Arrestarmi?»
Il tono usato da lui non riuscì a smontare l’entusiasmo della ragazza, che scosse la testa e ribatté con dolcezza: «No, voglio solo conoscere meglio il fratellino di un’amica».
Attese che lui le rispondesse, ma Jeremie si limitò a voltarsi di nuovo verso la vetrina e puntò gli occhi su modellino di un telescopio. L’intera esposizione era dedicata all’astrologia, tra enciclopedie e mappe delle stelle. Una lampadina si accese sulla testa di Koriand’r.
«Ti piace lo spazio?»
Jeremie rifletté un istante se rispondere o no, scostò con la scarpa un po’ di terra dal marciapiede e disse controvoglia: «Magari troverei un posto per me, se potessi andarci»
Koriand’r rifletté sulle sue parole, trovandovi più significati nascosti di quanti lui avrebbe voluto. Conosceva la sensazione, e sapeva che non sempre il luogo da cui si proviene è adatto alla persona che si è. Aveva lasciato il suo pianeta in balia di una guerra ed ora chiamava casa quel piccolo pianeta azzurro trovato in quel lontano sistema solare. Ma, soprattutto, chiamava casa il posto in cui aveva conosciuto le persone più importanti della sua vita; i Teen Titans.
Si chiese se Raven avesse gli stessi dubbi di Jeremie, perché non si sentisse abbastanza al sicuro, apprezzata ed accettata da lei e dagli altri, ma forse il motivo per cui si era allontanata era veramente un altro.
«Sai» borbottò timidamente, domandandosi se fosse la cosa giusta da dire. «Io vengo dallo spazio»
Gli occhi di Jeremie si sgranarono, mentre il so interesse saliva alle stelle.

Belial scivolò tra le ombre che il tramonto rigettava su Jump City, diretto verso il villino che occupava con i suoi fratellastri. Sperava che lo stessero aspettando a casa tutti e tre, ma il suo potere gli disse il contrario, quando passando tra i vicoli della strada principale riconobbe l’aura di Jeremie in una traversa. Si avvicinò quatto, mascherando il suo potere per evitare che il fratellino lo percepisse, e lo vide camminare al fianco della ragazza aliena dei Titans.
Lei gli stava parlando, sorridente, e quel sorriso e quell’entusiasmo sembravano tanto intensi da essere capaci di fare breccia nel muro che Jeremie si era costruito attorno negli anni. Un muro che neanche lui aveva potuto scalfire senza l’aiuto dei propri poteri.
Devo assolutamente intervenire, pensò Belial.



******

Rieccomi qui, spero di non avervi fatto aspettare troppo, cercherò di essere più veloce con i capitoli – anche perché, miseriaccia – ho solo questa ed un’altra fic in corso e sarebbe stupido non dedicarcisi tanto. A proposito, a qualcuno interessa la mia altra fic? VI lascio il link; è nella sezione delle originali:
L’Ombra nell’anima, mia, che sono Kojima Ayano
e, visto che ci sono, con gli stessi personaggi originali, c’è anche questa fic di Digital nella sezione d i Pretty Cure:
Heroes, di Makoto Hoshikawa (Digital).
Baci, Genius

  
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