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Autore: Emily Kingston    26/08/2014    4 recensioni
E se non ci fosse la luce? Niente sarebbe sbagliato, niente sarebbe giusto
Quando io e Scorpius abbiamo iniziato ufficialmente a frequentarci, mi sentivo costantemente sotto l’effetto della Felix Felicis: sembrava che niente potesse andarmi storto.
È stato questo a fregarmi, forse.
Oppure, semplicemente, eravamo come le stelle: obbligate a passare attraverso stadi prestabiliti per potersi evolvere.
[...]
Mi sono accorta di essermi innamorata di mio cugino Albus una mattina.
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Prima classificata al contest 'Tredici materie' indetto da michicucciola. (Prima di una coppia di shot collegate tra loro.)
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Albus Severus Potter, Rose Weasley, Scorpius Malfoy | Coppie: Albus Severus Potter/Rose Weasley, Rose/Scorpius
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
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Note: questa storia partecipa al contest Tredici materie, indetto da michicucciola sul forum di EFP. 
Il mio pacchetto era Astronomia e la prima traccia diceva: Citazione (Oscar Wilde) da inserire nel testo: "Siamo tutti nel rigagnolo, ma alcuni di noi fissano le stelle.". Osservazione da inserire in un contesto di osservazione notturna (suggerimento chiché: clandestina alla Torre di Astronomia). Per questa traccia può esserci anche solo un rapporto di friendship se le persone sono due.
 
Ci ho messo tantissimo a scrivere questa storia, l'ho riscritta almeno cinque o sei volte e spero che questa sia quella buona! 
Buona lettura a tutti, sarò felicissima di sapere cosa ne pensate, se vorrete farmelo sapere :) 
Emily. 





What if there was no light: nothing’s wrong, nothing’s right
 
 
Siamo tutti nel rigagnolo, ma alcuni di noi fissano le stelle.”
Sobbalzai, voltandomi di scatto.
Ero salita di nascosto sulla Torre di Astronomia per cercare di individuare la costellazione del Cigno e, per un momento, temetti che Gazza mi avesse scovata e stesse cercando di beffarsi di me e della punizione che mi attendeva.
Ho scoperto la mia passione per le stelle durante la mia prima lezione di Astronomia con la professoressa Sinistra. Inizialmente, sfogliando il libro di testo, mi era venuto il mal di testa all’idea di dover imparare a riconoscere così tante stelle e costellazioni, ma poi, una volta alzati gli occhi al cielo, tutto era stato così facile, naturale.
“Perdonami,” disse il ragazzo dai capelli biondi con un piccolo sorriso. “Non volevo spaventarti.”
Io scossi il capo, scrutandolo con più attenzione. Adombrato dall’oscurità della notte non l’avevo riconosciuto; solo quando mi soffermai sui suoi occhi grigi capii che si trattava di Scorpius Malfoy.
Scorpius è il migliore amico di mio cugino Albus, ma, nonostante questo, io e lui non ci eravamo mai parlati prima di allora. Ci limitavamo a qualche sorriso di cortesia o a piccoli cenni di saluto.
“Non preoccuparti,” lo rassicurai, aggiungendo un sorriso alle mie parole. Lui ricambiò.
“Posso?” chiese, indicando il posto vuoto accanto a me e io annuii, guardandolo sedersi al mio fianco, le gambe infilate tra le inferriate della balaustra e i piedi sospesi nel vuoto.
“Non immaginavo che uno come te conoscesse Oscar Wilde,” commentai dopo un po’. Ci volle solo un attimo per rendermi conto di ciò che avevo detto e arrossii. “Scusami.”
Scorpius sventolò la mano, scuotendo il capo. Sorrise.
“Non fa niente,” disse. “Mio padre ha una certa… reputazione alle spalle, lo so. Ma io non sono lui.”
Sembrava che volesse convincere più se stesso che me, ma io annuii.
“Tu non sei lui,” ripetei. “E io sono una sciocca che non pensa prima di parlare. Anche mio padre ha una certa reputazione alle spalle,” aggiunsi, abbozzando un sorriso, e  lo sentii ridere sottovoce.
Iniziammo a parlare del più e del meno e, quasi senza accorgermene, m’innamorai cento volte in una sola. Fui colpita quando me ne resi conto, perché, in fondo, era la prima volta che io e Scorpius ci parlavamo e non pensavo che l’amore arrivasse così velocemente. Be’, in realtà non pensavo neanche che se ne andasse altrettanto velocemente.
“E quindi sei un’appassionata di stelle,” commentò lui, alzando lo sguardo al cielo.
Io annuii, imitandolo.
“Guarda,” dissi, allungando il braccio e puntando l’indice verso l’alto. “Quella è la Via Lattea, si vede solo quando è particolarmente buio.”
Lo vidi sorridere con la coda dell’occhio e mi sentii arrossire leggermente.
“Ti andrebbe di uscire con me?” mi chiese all’improvviso, cogliendomi alla sprovvista.
Sbattei le palpebre, voltandomi per guardarlo in viso. Era stato quello il suo intento fin dall’inizio?
Non capivo come potessi piacere a un ragazzo che non mi aveva mai parlato fino ad allora, ma la mia bocca parlò senza che il mio cervello fosse d’accordo.
“Sì,” mi sentii dire. “Mi andrebbe.”
Lo vidi sorridere e ricambiai, dicendomi che, in fondo, nemmeno io gli avevo mai parlato prima, eppure il mio cuore batteva lo stesso all’impazzata ogni volta che sentivo i suoi occhi su di me.
 
Quando io e Scorpius abbiamo iniziato ufficialmente a frequentarci, mi sentivo costantemente sotto l’effetto della Felix Felicis: sembrava che niente potesse andarmi storto.
È stato questo a fregarmi, forse.
Oppure, semplicemente, eravamo come le stelle: obbligate a passare attraverso stadi prestabiliti per potersi evolvere.
Mi sono accorta di essermi innamorata di mio cugino Albus una mattina.
Dopo aver passato la notte a rigirarmi tra le coperte in preda agli incubi, al mio risveglio, affannata e sudata, ho trovato mia cugina Lily china su di me, gli occhi spalancati dalla preoccupazione.
“Rose!” ha esclamato. “Rose, stai bene? Cos’hai sognato? Devo chiamare Madama Chips?”
Ha continuato a farmi domande alle quali non riuscivo a rispondere e io ho detto solo una cosa, solo un nome.
“A-Albus…”
Lily ha sbattuto le palpebre, guardandomi con curiosità; probabilmente si chiedeva perché avessi nominato lui e non Scorpius. Be’, me lo domandavo anche io.
Ignorando le mie parole, è scesa dal letto e mi ha detto di aspettare, che sarebbe andata in Infermeria da Madama Chips. Una manciata di minuti dopo ero nella stanza asettica adiacente all’Infermeria, con un panno imbevuto d’acqua sulla fronte e i miei cugini al completo al mio capezzale.
“Si è presa una bella influenza,” stava dicendo la vecchia infermiera, guardando i giovani Potter e Weasley. “Il sonno agitato è dovuto alla febbre. La terrò qui finché la temperatura non sarà scesa un po’, poi potrà tornare al dormitorio.”
Ho guardato i volti sfocati dei miei cugini annuire, prima che Madama Chips li spedisse fuori dalla stanza, dicendo loro che, se non si fossero sbrigati, avrebbero fatto tardi a lezione.
Il resto della mattinata l’ho passato in un piatto stato di dormiveglia. Riuscivo a sentire Madama Chips che, nella stanza adiacente, rovistava nei cassetti, spostava boccette di medicinali, consultava libri, parlava con studenti del primo anno che si presentavano accusando strani malesseri, subito diagnosticati come scuse per saltare una lezione noiosa. Ogni tanto aprivo gli occhi e osservavo la polvere danzare nei raggi di sole.
A pranzo Lily è venuta a chiedermi come stessi e a portarmi qualcosa da mangiare, ma non avevo fame. Mi ha detto che Scorpius aveva saputo che non stavo bene, ma che era impegnato con la squadra di Quidditch, quindi non era potuto venire a farmi visita nella pausa pranzo, ma sarebbe sicuramente passato quella sera dopo cena.
“Grazie Lils,” le ho detto, sorridendole con gratitudine. Poi lei se n’è andata, preoccupata di arrivare tardi a Erbologia.
Io ho chiuso gli occhi, sperando di riuscire a dormire.
“Psst, Rose.”
La voce di Albus mi è arrivata ovattata alle orecchie, come se provenisse da un’altra dimensione. Pigra, ho aperto gli occhi, ritrovandomi i suoi a pochi centimetri dal volto.
“Al!” ho esclamato, sobbalzando. Lui si è allontanato, sedendosi sul bordo del letto mentre si guardava intorno con fare guardingo.  “Che cosa ci fai qui? Dovresti essere a lezione!”
Lui ha annuito, facendomi cenno di abbassare la voce. Con la coda dell’occhio, vidi che la stanzetta nella quale Madama Chips accoglieva gli studenti era vuota.
“Stamattina c’erano tutti gli altri e non ho avuto tempo di parlarti,” si è giustificato. “Come ti senti?”
“Meglio,” ho risposto, mettendomi seduta sul materasso con la schiena adagiata sui cuscini. Lui mi ha appoggiato la mano sulla fronte e io mi sono sentita improvvisamente arrossire.
Non capivo perché mi sentissi in quel modo, ma cercai di scacciare quella sensazione.
“Sei ancora calda,” mi ha detto, dopo aver tolto la mano.
“Passerà.”
Lui mi ha sorriso e i miei occhi hanno incontrato i suoi. In quel momento mi sono sentita come quella sera sulla Torre di Astronomia con Scorpius: il cuore mi batteva forte e sentivo le farfalle nello stomaco.
“Ti voglio bene Rosie,” ha aggiunto poi, appoggiando la sua mano sulla mia.
Una parte di me sentiva che quello che stavo per dire era un’immensa bugia, mentre l’altra parte di me si stava ripetendo che amavo Scorpius e che Albus era solo il mio migliore amico.
“Anche io ti voglio bene, Al.”
 
Non so come abbiamo fatto io e Albus a innamorarci, suppongo che sia successo e basta.
E dopo che ce lo siamo detti… Be’, dopo che ce lo siamo detti le cose sono diventate un vero casino.
 
Quando mi sono resa conto di ciò che provo per Albus, ho iniziato a evitarlo. Stargli lontana il più possibile, e passare più tempo con Scorpius, mi sembrava la soluzione migliore. Il risultato, però, non è stato quello sperato.
Più tempo passavo lontana da Albus, più lui mi mancava. Più tempo passavo insieme a Scorpius, più mi accorgevo di non amarlo più. E ogni volta cercavo di togliermi queste idee dalla testa, ripetendomi che io e Scorpius eravamo fatti per stare insieme.
Era il due maggio e, come ogni anno dalla Seconda Guerra Magica, le lezioni erano state sospese ed era stato organizzato un banchetto in memoria e celebrazione dei caduti. L’idea era stata della professoressa McGranitt, allo scopo di non permettere che tutte quelle persone venissero dimenticate.
Il banchetto dei caduti non era una cena comune, si protraeva fino all’orario del coprifuoco e, per l’occasione, la Sala Grande veniva addobbata con biancospini, simbolo di speranza, crisantemi, simbolo di lutto, e rose bianche, simbolo di purezza.
Erano pochi gli studenti che non presenziavano al banchetto dei caduti, perciò, quando dissi a Scorpius di non sentirmi molto bene, fui certa che nessuno sarebbe venuto a disturbarmi.
Mi sentivo un po’ in colpa a saltare il banchetto, ma a casa mia ci ricordavamo fin troppo spesso di chi aveva perso la vita nella guerra, perciò la mia non era poi una così grave mancanza.
Ormai erano settimane che evitavo Albus e la cosa iniziava a farmi stare male; sentivo che non avrei potuto sopportare di vederlo divertirsi al banchetto, probabilmente con una delle tante ragazze che gli ronzavano intorno. Ma, soprattutto, sentivo che non ce l’avrei fatta a stargli ancora lontana.
Ero seduta davanti al caminetto acceso, la schiena appoggiata contro lo schienale del divano e le gambe incrociate sui cuscini. Le mie scarpe giacevano a terra, sul tappeto, e Pascal, il mio gattino, era acciambellato accanto a me. Gli accarezzai la testa, passando le dita tra il pelo folto e morbido, e lui chiuse gli occhi, iniziando a farmi le fusa.
Sentii l’ingresso della sala comune aprirsi e sobbalzai, stupita che qualcuno stesse mancando il banchetto come facevo io.
“Lo sapevo che non stavi male davvero,” disse Albus quando mi vide.
Io arrossii d’imbarazzo, colta sul fatto.
“Sto… Sto meglio adesso,” mi difesi, portando lo sguardo sulle fiamme scoppiettanti del camino.
Sentii i passi di Albus avvicinarsi a me e poi il suo peso piegare i cuscini del divano. Pascal tornò guardingo e balzò giù, sottraendosi alle mie coccole  per andarsi a sedere su una poltrona.
“Cosa sta succedendo, Rose?” mi chiese, prendendomi le mani tra le sue. Io mi ritrassi. “Cosa ti ho fatto?”
“Niente,” dissi, senza guardarlo. “Va tutto bene.”
“Mi hai preso per uno stupido?” esclamò, alzando leggermente il tono di voce.  “Sei la mia migliore amica, me ne accorgo se mi tieni il muso.”
Io sospirai, sentendo gli occhi pizzicare.
Perché doveva essere così difficile? Appena qualche mese prima ero felice, amavo Scorpius e pensavo che tutto sarebbe continuato ad andare bene.
“Dimmi cosa ti ho fatto, Rosie,” mi implorò. Sentii il dolore nella sua voce e il bisogno di capire tutta quella situazione, il senso di rifiuto e la paura di essere stato tagliato fuori.
“Mi sei successo, Al,” dissi sottovoce. “Ecco cosa mi hai fatto.”
Lo sentii alzarsi e, con la coda dell’occhio, vidi la sua espressione stupita.
“Cosa vuol dire?”
Finalmente mi decisi a guardarlo. Avevo gli occhi lucidi e sentivo la voce spezzarsi mentre parlavo.
“Non amo più Scorpius,” ammisi per la prima volta. Mi fece male, da morire, ma sapevo che era vero.
“Ne sei sicura?” mi chiese. “Magari è solo un momento e passerà. Magari-”
“Non amo più Scorpius,” lo interruppi. Sentivo la voce diventare sempre più flebile. “Perché amo qualcun altro.”
Ci guardammo a lungo senza che io aggiungessi altro. Le mie parole aleggiarono nell’aria e, finalmente, penetrarono nella mente di Albus, che capì. E rise.
Io incrociai le braccia al petto, guardandolo con rimprovero.
“Se ti fa tanto ridere, puoi anche andartene,” dissi secca.
“No, tu non capisci” rispose, continuando a ridere. S’inginocchiò davanti a me e mi prese il viso tra le mani. “È solo questo? È per questo che mi evitavi?”
Annuii, imbarazzata.
“Sì, ma non capisco cosa ci sia da-”
Mi baciò. Mi aspettavo che se ne andasse, o che mi prendesse per matta, e invece mi baciò.
Sentii le sue mani stringermi le guance e, senza che io dessi loro il consenso, le mie si tuffarono tra i suoi capelli, le dita che si arrotolavano attorno alle ciocche scure.
“Ridere,” sussurrai, quando lui si allontanò.
“Scusami,” disse lui, guardando la mia espressione stranita. “Tutto questo è sbagliato, lo so, ma dovevo farlo.”
Io scossi il capo, sentendo le lacrime offuscarmi di nuovo gli occhi.
Aveva ragione, tutto quello era sbagliato. Era sbagliato nei confronti della nostra famiglia, che non avrebbe mai permesso una relazione tra di noi. Era sbagliato nei confronti di Scorpius, che mi amava ancora e credeva che lo amassi anche io. Era sbagliato nei confronti di noi stessi, che ci amavamo, ma non potevamo amarci e perciò ci aggrappavamo a brandelli d’illusioni, per alimentare la nostra sopravvivenza.
“Domani fingeremo che niente di tutto questo sia successo,” mi disse, guardandomi dritto negli occhi. E anche se faceva male da morire io annuii, perché era la cosa giusta da fare: andare avanti seppellendo i nostri sentimenti dentro di noi quanto più possibile, in modo da dimenticarcene. E se ci fossimo ripetuti abbastanza a lungo che non ci amavamo, magari, un giorno, ci avremmo anche creduto. “Ma per stasera, per qualche ora, vorrei che fossi mia.”
Io lo guardai, stupita, non capendo cosa avesse in mente.
“Fai l’amore con me,” disse infine, prendendomi il viso tra le mani un’altra volta. “Fai l’amore con me stanotte e ci apparterremo per sempre.”
Non risposi subito, prendendomi qualche minuto per riflettere.
Pensai a Scorpius, che si trovava nella Sala Grande e credeva che avessi solo un brutto raffreddore. Pensai a Lily, la mia migliore amica, che pensava la stessa cosa. Pensai alle nostre famiglie e a cosa sarebbe successo se fossero venute a sapere di me e Albus.
Seppi che era sbagliato, ma decisi di farlo.
Decisi di farlo perché era l’unico modo per riuscire a fingere e continuare la mia vita con Scorpius.
Ci saremmo cercati e ci saremmo mancati, probabilmente per tutta la vita ci saremmo perfino rimpianti, ma in quel modo, almeno, ci saremmo ricordati che ci appartenevamo.
“Vieni,” dissi, alzandomi e prendendogli la mano, conducendolo verso le scale del dormitorio maschile.
 
Il giorno dopo io e Al ci siamo salutati in corridoio come se niente fosse successo. Abbiamo continuato le nostre vite fingendo che non fosse cambiato nulla, anche se sapevamo che era cambiato tutto.
Magari siamo noi le stelle, non io e Scorpius.
E, magari, prima di collassare, attraverseremo uno stadio in cui ci rincontreremo e, finalmente, potremo amarci.
 
 
E se non ci fosse la luce?
Niente sarebbe sbagliato, niente sarebbe giusto
 
 
   
 
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