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Autore: Emily Kingston    26/08/2014    3 recensioni
E se non ci fosse il tempo? E nessuna ragione o nessuna rima?
Ha gli occhi marroni.
Dei bellissimi occhi marroni che ti guardano ridendo, mentre lei si nasconde nel labirinto, sparendo oltre le folte siepi.
“Albus,” chiama il tuo nome, lo sussurra, e tu la segui, rincorrendo la scia dei suoi ribelli capelli rossi.
Non hai mai visto dei capelli così rossi in vita tua. O degli occhi così profondi. Ma lei è davvero reale? Non lo sai.
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Prima classificata al contest 'Tredici materie' indetto da michicucciola. (Collegata alla precedente 'What if there was no time: nothing's wrong, nothing's right')
Genere: Fantasy, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Albus Severus Potter, Famiglia Potter, Famiglia Weasley, Rose Weasley | Coppie: Albus Severus Potter/Rose Weasley
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
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Note: questa è la seconda storia partecipante al contest 'Tredici materie', indetto da michicucciola sul forum di EFP. 
Le due storie sono collegate per una questione di tracce. In teoria potreste leggere anche solo questa, ma alcune parti non le capireste a fondo, se non avete letto la storia precedente (What if there was no light: nothing's worng, nothing's right)
La traccia per questa storia era: QUESTA TRACCIA PREVEDE UNA REINCARNAZIONE DEI PERSONAGGI COINVOLTI NELLA RELAZIONE DI AMICIZIA OPPURE AMORE. Ispirata alle stelle che passano da vari stadi prima del definitivo collasso. E' possibile anche usare il warning Triangolo e Threesome con il rating rosso (è per questo che non ho specificato il numero dei componenti della coppia)
Prima di passare alla storia vorrei fare un paio di precisazioni: ci troviamo in un contesto di Universo Alternativo in cui Ginny Weasley e Ron Weasley, pur avendo lo stesso cognome, non sono fratelli né parenti. La famiglia Potter (Ginny, Harry e figli) e la famiglia Weasley (Ron, Hermione e figli), pertanto, non si conoscono.
Spero che vi piaccia e che vorrete farmi sapere cosa ne pensate :) A prescindere, ringrazio tutti quelli che leggeranno!
Buona lettura, 
Emily. 



What if there was no time, and no reason or rhyme
 
Ha gli occhi marroni.
Dei bellissimi occhi marroni che ti guardano ridendo, mentre lei si nasconde nel labirinto, sparendo oltre le folte siepi.
“Albus,” chiama il tuo nome, lo sussurra, e tu la segui, rincorrendo la scia dei suoi ribelli capelli rossi.
Non hai mai visto dei capelli così rossi in vita tua. O degli occhi così profondi. Ma lei è davvero reale? Non lo sai.
“Ehi, aspetta!” le urli dietro, cercando di raggiungerla. Ma il labirinto sembra cambiare il suo percorso, impedendoti di trovarla.
Ti fermi a riprendere fiato, le mani sulle ginocchia e il busto leggermente piegato in avanti. I polmoni bruciano a contatto con l’aria, ma è un dolore che fa bene. Intanto, ti guardi intorno alla ricerca di una qualsiasi traccia di lei.
“Stai bene?” senti la sua voce chiederti e i tuoi occhi verdi la trovano immediatamente: è seminascosta da un cespuglio, sulla curva di uno svincolo a qualche metro da te.
Tu annuisci e lei ti sorride.
“Non… Non andartene,” le dici, allungando il braccio come a volerla afferrare. Lei ti guarda, incuriosita.
“Io non posso andarmene,” risponde.
Tu aggrotti le sopracciglia.
“Cosa significa?”
Sorride. “Io sono frutto della tua immaginazione, Albus. Potrò andarmene solo quando lo vorrai tu.”
“E allora come mai non riesco mai a raggiungerti?” domandi, confuso.
La ragazza ride, come se fosse ovvio. Ti guarda in modo penetrante e i suoi occhi ti ammaliano.
“Perché non vuoi raggiungermi davvero.”
 
Il risveglio è come riemergere dopo una lunga apnea.
Sobbalzo e butto una manciata d’aria nei polmoni. Ho il fiatone e sono tutto sudato.
Disorientato, tasto il materasso attorno a me, le coperte, il cuscino e, finalmente, capisco di essere nel mio letto, a casa.
Getto d’istinto uno sguardo alla sveglia. Le dieci.
Spossato, mi stendo di nuovo, affondando la testa nel cuscino morbido. Mi passo le mani sul viso e sospiro.
Di nuovo quel sogno. Di nuovo la ragazza dai capelli rossi.
Lo scenario è sempre diverso, ma la protagonista è sempre lei. E per quanto io glielo chieda o m’impegni per scoprirlo, ancora non so il suo nome.
Il telefono che vibra mi distrae dai miei pensieri. Mi volto per afferralo e rispondo.
“Pronto?”
“Al, sono James,” risponde mio fratello dall’altro capo del telefono.
Io grugnisco, ancora assonnato e scosso dal sogno.
“Cosa vuoi Jamie?”
“Amo queste tue manifestazioni d’affetto,” commenta lui. “Comunque, sono in città, ti va un caffè?”
“Adesso?”
“Quando vuoi.”
“Va bene, mi vesto e ti raggiungo. Dove sei?”
“Trafalgar Square.”
Annuisco e riaggancio.
Mio fratello James ha un anno più di me e l’estate scorsa si è trasferito a Edimburgo per studiare all’università. Non è mai stato uno studioso, ma è un tipo testardo e quando decide che vuole fare una cosa, fa di tutto per realizzarla.
Io e lui non siamo proprio il prototipo dei fratelli amorevoli, ma sappiamo entrambi di essere molto legati, anche se spesso ci scoccia ammetterlo. Nostra sorella Lily dice sempre che dovremmo smetterla di negare il bene che ci vogliamo, perché così sarebbe più facile, ma per noi è più facile fare finta di odiarci che essere amici. Siamo due stupidi? Forse.
Mi vesto di corsa e scendo in strada, raggiungendo in pochi passi la stazione della metro. Salgo sul primo treno per Trafalgar Square e mi siedo accanto a una ragazza di colore che sta leggendo una rivista. Il viaggio dura poco e in una decina di minuti scorgo mio fratello in mezzo alla piazza, proprio vicino all’obelisco.
“Jamie!” esclamo, facendogli dei cenni con le braccia.
Ci mette qualche minuto a vedermi, ma appena lo fa mi raggiunge.
“Al,” dice, abbracciandomi. Io ricambio, allacciandogli le braccia attorno al torace. “Mi sei mancato, fratellino,” ammette, scompigliandomi i capelli.
Io lo guardo in cagnesco, cercando di ridare un senso ai ciuffi ribelli ereditati da mio padre.
“Anche tu mi sei mancato.”
Ci avviamo verso un caffè nelle vicinanze e, nel frattempo, James mi parla dell’università. Mi confessa di aver trovato una ragazza, una certa Lyla, e di essere preoccupato per un esame che dovrà dare a fine estate.
Ordiniamo due caffè e poi ci sediamo a un tavolino.
“Tu, invece?” mi chiede. “Novità?”
Io scrollo le spalle. La mia rottura con Sarah non è più un mistero ormai, perciò non ho molto da dire su di me.
Improvvisamente, mi torna in mente la ragazza del sogno.
“Tu pensi che i sogni significhino qualcosa?” gli chiedo all’improvviso.
Non ho mai parlato a nessuno dei sogni strani che faccio ultimamente, anche se sono mesi che mi danno il tormento, e non so come mai adesso mi accingo a farlo con mio fratello. Forse Lily ha ragione e siamo più legati di quanto siamo disposti ad ammettere.
James sorseggia il suo caffè, scrollando le spalle.
“I sogni sono sogni, Al.”
“E se invece non lo fossero?” ribatto.
Lui mi guarda con intensità, cercando di leggere sul mio volto le mie intenzioni.
“Dove vuoi arrivare?”
Mi sistemo meglio sulla sedia, indeciso se dirgli o meno la verità. Poi, senza neanche accorgermene, la mia bocca parla al posto mio.
“Sono mesi che… sogno una ragazza.”
James ridacchia sotto i baffi. “Si chiamano ormoni, fratellino,” mi prende in giro.
Io scuoto il capo. “Sempre la stessa ragazza. A volte la incontro al mare, altre volte la rincorro in un labirinto, altre ancora stiamo prendendo un tè nel bosco. Il posto cambia, ma lei è sempre la stessa.”
Dallo sguardo di mio fratello capisco che si è incuriosito. Appoggia i gomiti sul tavolino, intreccia le dita e poi poggia il mento sul dorso delle mani, pronto all’ascolto.
“È una ragazza che conosci?” mi chiede.
“No, mai vista prima. Ogni volta che provo a scoprire il suo nome, accade qualcosa che mi impedisce di saperlo.”
James mi osserva in silenzio per un po’, soppesando le mie parole.
“Magari è una che hai visto di sfuggita a scuola. O magari non esiste. Sono solo sogni, Al.”
“E se lei esistesse davvero?”
Mi pongo questa domanda da tempo, ma non ho mai avuto veramente il coraggio di ammettere quell’ipotesi. Ogni volta che mi saltava alla mente, la ricacciavo indietro, dimenticandola.
“È una cosa assurda, Al. Non è possibile che lei esista-”
“È lei!” esclamo all’improvviso, osservando una ragazza che cammina tra la folla fuori dal caffè. Ha i suoi stessi capelli rossi, e gli occhi castani, e le lentiggini, e le labbra a cuore. È lei, ne sono più che certo.
Vederla mi sconvolge e, al tempo stesso, mi ingarbuglia lo stomaco.
“Non dire stupidaggini, fratellino,” dice James, mentre io continuo a guardare la ragazza camminare, cercando di farsi strada tra la gente.
Indossa un cappotto verde scuro, un paio di jeans chiari e ha dei libri tra le mani. I capelli rossi sono raccolti in una coda di cavallo, gli occhi attenti scrutano la folla alla ricerca di un passaggio per superare le persone davanti a lei.
“Quella ragazza non esiste, è frutto solo della tua immaginazione.”
Non ho mai creduto nella magia o nelle coincidenze. Non ho mai creduto a niente della cui esistenza non avessi le prove davanti ai miei occhi. Ma, stranamente e inspiegabilmente, oggi credo che la ragazza dei miei sogni sia reale, che sia qui, davanti a me. E, be’, non posso proprio lasciarmela scappare.
“Devo fermarla,” dico, alzandomi. Sembro una sorta di robot, come se non fossi padrone delle mie azioni. “Io… Io devo andare, Jamie. Ci vediamo a pranzo!” esclamò, uscendo in tutta fretta dal caffè per gettarmi sulla strada zeppa di gente.
La sua chioma rossa ormai è lontana da me, ma non mi perdo d’animo.
“Scusate. Permesso.”
Mi faccio strada tra le persone, colmando la distanza tra di noi sempre di più, sempre di più, sempre di più. Sono a un passo da lei, ho i suoi capelli rossi quasi in faccia.
“Ehi, scusami,” le dico, appoggiandole una mano sulla spalla per richiamare la sua attenzione.
La ragazza si volta, le sopracciglia aggrottate.
“Sì?”
Io sbatto le palpebre: non è lei.
 
Mi chiudo la porta di casa alle spalle, sconsolato.
“Sono a casa,” dico e mia madre sbuca dalla cucina con un grembiule legato in vita.
“Finalmente!” esclama, raggiungendomi. “Lily non ti ha avvertito che abbiamo ospiti a pranzo?”
Scuoto il capo, togliendomi la giacca e appendendola all’attaccapanni.
“Di chi si tratta? Sono i genitori di Scorpius?” chiedo, speranzoso.
Scorpius Malfoy è il mio migliore amico. I nostri genitori si frequentano da prima che noi nascessimo, perciò è stato naturale per noi stringere un legame così forte e profondo.
“No, tesoro,” risponde mia madre. “Si tratta di un collega di tuo padre e della sua famiglia. I Weasley.”
Aggrotto la fronte, provando a ricordare se ho mai sentito quel nome, ma non mi viene in mente niente.
“Perché non li ho mai sentiti nominare?” chiedo.
“Ron, il collega di tuo padre, è stato trasferito a Londra da poco,” mi spiega, mentre ci avviamo insieme verso il salone. “Quando me ne ha parlato, ho pensato di invitarli a pranzo per farli ambientare un po’.  Non si sono ancora inseriti molto bene qui a Londra e Harry me ne parla così bene… Be’, ho pensato che fosse un’idea carina.”
Quando mamma termina di parlare, siamo in salotto.
Mio padre sta sorseggiando un drink insieme a quello che immagino essere Ron Weasley, un uomo alto e allampanato, con una manciata di capelli rossi e il viso coperto da lentiggini. Sul divano è seduta una donna con folti ricci castani e un sorriso gentile, mentre in un angolo della stanza ci sono i miei fratelli, James e Lily, che parlano con un ragazzo e una ragazza dai capelli rossi.
“Harry,” dice mia madre, richiamando l’attenzione di papà.
“Oh,” esclama lui, avvicinandosi a me. “Lui è mio figlio Albus,” mi presenta. “Al, loro sono Ron,” indica l’uomo dai capelli rossi, che mi sorride, “Hermione,” la donna seduta sul divano, “E infine Rose e Hugo.” I due ragazzi si voltano e mi manca il fiato.
La ragazza che si trova di fronte a me in questo momento e che mi sorride è la stessa che mi fa visita tutte le notti in sogno.
 
Ho passato praticamente tutto il pranzo a fissare Rose, convincendomi sempre di più che lei sia la ragazza dei miei sogni. Ci ho anche parlato un paio di volte, ma per la maggior parte del tempo ho avuto una strana balbuzie che mi ha impedito di fare bella figura.
Adesso sono in giardino da solo.
Quando mamma ha portato il caffè, mi sono educatamente dileguato per andare a digerire quello che è appena successo.
Sento dei passi alle mie spalle e mi volto, sorpreso che qualcuno mi abbia seguito. È Rose.
“Scusami,” dice, portandosi una ciocca di capelli dietro l’orecchio. “Ti ho spaventato?”
Scuoto il capo, rassicurandola con un sorriso.
“Non voglio essere invadente,” dice, avvicinandosi a me. “Ma cosa ci fai qui da solo?”
“Io… Ehm, non sono molto bravo a socializzare,” mento. Non è proprio una completa bugia, dato che è un miracolo se sto riuscendo a parlarle.
“Non stai andando male,” mi rassicura lei, affiancandomi.
“Oh, be’, vuol dire che è il tuo giorno fortunato!”
Ride e mi sento così stranamente felice di essere riuscito a divertirla.
Io e Sarah siamo stati insieme tre anni, praticamente tutta la mia adolescenza dato che ho diciassette anni. Per tanto tempo ho pensato che non sarei mai stato capace di trovare un’altra ragazza come lei e quando mi ha lasciato, ho perso la voglia di cercarne una, perché non la volevo.
La rottura con Sarah è stato un duro colpo per me; un po’ per quanto l’amavo, un po’ perché mi ha lasciato per stare con un altro.
Adesso però, con Rose qui accanto a me che mi guarda con quei suoi occhi grandi, mi rendo conto che sì, non troverò mai un’altra ragazza come Sarah, ma non me ne importa. Perché non ho bisogno di un’altra Sarah, ho bisogno solo di una ragazza che mi faccia stare bene.
“Posso raccontarti una cosa assurda?” chiedo, senza voltarmi a guardarla.
Ho due possibilità: o Rose scapperà credendomi un maniaco, oppure crederà alle mie parole.
“Mi piacciono le cose assurde,” confessa. “Spara.”
“Io ti ho sognata.”
Sento il suo sguardo su di me e conto fino a dieci. Non scappa. Resta lì, in attesa che io continui.
“È circa un mese che ti sogno. Quasi ogni notte. Siamo in un posto sempre diverso, ma tu ci sei ogni volta. Ho cercato di scoprire il tuo nome, ma non ci sono mai riuscito. Secondo te, cosa vuol dire tutto questo?”
“Be’, è abbastanza assurdo,” ammette, riflettendo sulla mia confessione. “Sei proprio sicuro che sia io?”
“Al cento per cento.”
“Non è che in realtà sei uno stalker e mi pedini?”
Per un momento temo che dica sul serio e boccheggio, in cerca di una giustificazione. Poi lei scoppia a ridere e sospiro di sollievo.
“Stavo scherzando, Albus,” spiega. “È una cosa strana, ma i sogni non sono mai normali.”
“Tu credi che voglia dire qualcosa?”
Rose si stringe nelle spalle, voltandosi a guardarmi.
“Forse vuol dire che era destino che ci incontrassimo,” risponde.
“E tu credi nel destino?”
“Fin’ora non molto,” ammette. “Ma potrei cambiare idea.”
Sento una strana sensazione farsi strada in me, mentre parlo con Rose. Come se l’avessi aspettata per tanto tempo e adesso non potessi lasciarmela scappare. Come se  fosse arrivato finalmente il momento che attendevo. Come se fosse un’occasione unica che non dovrei sprecare per nulla al mondo.
“Ti andrebbe di uscire con me, Rose?” le chiedo a bruciapelo, rischiando il tutto per tutto.
Non capisco perché io mi senta così, in fondo neanche la conosco. Eppure, dentro di me, è come se l’avessi sempre conosciuta, solo che non lo sapevo.
Rose sorride, annuendo.
“Voglio provare a darci una possibilità.”
Allungo la mano per sfiorare la sua ed è come prendere la scossa. L’elettricità mi percorre le dita, risalendo il braccio e poi raggiungendo il resto del corpo.
Guardo Rose, i suoi capelli indomabili e gli occhi profondi e mi rendo conto di una cosa sconvolgente e che mai avrei potuto pensare prima di qualcuno.
Io non ho mai creduto nel destino o nella magia. Non ho mai creduto alle coincidenze.
Ma oggi, ora, specchiandomi negli occhi di Rose c’è una voce dentro di me che sussurra: io ho vissuto per incontrarti 1.
 
 
E se non ci fosse il tempo?
E nessuna ragione o nessuna rima?
 
 
 
 
 
1 Questa frase è una rivisitazione di una citazione presa dall’anime Bokura Ga Ita. La frase originale è:
fin da quando t’incontrai, ho sempre sentito di aver vissuto per incontrarti 
   
 
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