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Autore: Francine    26/08/2014    9 recensioni
Tutti abbiamo degli scheletri nell'armadio, segreti che non vorremmo che mai e poi mai fossero rivelati, giusto? Bene. Anche Milo di Scorpio ne ha uno. E bello grosso, pure. Che proviene dritto dritto dal suo passato. E che salta fuori, all'improvviso, da un anonimo quaderno con la copertina bordeaux...
[Baby!Gold Saint!]
Genere: Commedia | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Aquarius Camus, Aries Shion, Scorpion Milo
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Scripta Manent'
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El aura fai son vir
(Il vento fa il suo giro)
(Proverbio occitano)



«Io sono Aldebaran del Toro.»
È la quarta volta che lo ripete. Davanti allo specchio mezzo storto del bagno attiguo al dormitorio. A bassa voce. Solo. Si schiarisce la voce e prova una nuova versione.
«Il mio nome? Aldebaran…»
No. Ancora non ci siamo. La sola cosa di cui è sicuro è che il nome vada messo per ultimo. Buttato lì. Ad effetto. Con un nome importante – «altisonante», avrebbe detto Zuleika – è quasi costretto a giocare la carta rullo-di-tamburi-e-squilli-di-trombe. È solo indeciso sul come.
Meglio una frase formale – «Il mio nome celeste è Aldebaran del Toro» - oppure una più neutra – «Sono Aldebaran del Toro» – o una più informale – «Puoi chiamarmi Aldebaran…» - ?
 
Arriccia il naso e si porta una mano sotto al mento. È importante trovare un modo per presentarsi. Capitale. Zuleika e nonna Adriana direbbero che si sta perdendo in un bicchiere d’acqua –  E forse è così, ammette al se stesso dall’altra parte dello specchio. Non che a lui sia mai successo di stringere mani scandendo il proprio nome, ma ricorda che quando Saga era nei paraggi a lui capitava, eccome. Ad ogni passo. La gente lo fermava. Gli donava cibo. Pane. Frutta. Fiori. Specialmente le ragazze, che scappavano via ridacchiando dopo avergli consegnato delle corone di un bianco purissimo.
Adriano da Lima Santos de Oliveira è perfettamente conscio che a lui tutto questo non accadrà mai; tuttavia è ossessionato dal trovare una formula con cui presentarsi. La formula. Quella figa. Hai visto mai…
 
A Paraisopolis tutti sanno che la prima impressione è quella che conta, e se Adriano vorrà farsi nuovi amici al Santuario – ed evitare che lo prendano in giro per la stazza – gli converrà giocare d’anticipo. Sembrare solido. Affidabile. L’amico sincero, la roccia su cui far girare tutto il gruppo. Quello fico. Sotto sotto, magari. Ecco perché ha scelto un nome importante – altisonante!, direbbe Zuleika incipriandosi il naso – come la stella più luminosa della sua costellazione. Un nome d’impatto. Un nome figo. Non scontato come Regulus, Spica o Antares.
 
Oddio, per quanto Antares…
 
No. Antares fa bullo di quart’ordine. E tu non sei un bullo di quart’ordine, vero?
 
No, è costretto ad ammettere al se stesso che lo fissa dall’altra parte dello specchio. Adriano si chiede se riuscirà mai ad essere spigliato quanto vorrebbe, o se, piuttosto, non s’impiccerà. Se non si metterà a balbettare.
Oh, Athena, ti prego! Tutto, ma balbettare, no!
Perché Adriano sa che oltre alla figuraccia rimedierebbe anche un tormento costante da parte di quel marmocchio strafottente coi capelli ricci. Che lo prenderebbe in giro a vita semmai dovesse capitare che.
«No», dice – si ordina – staccando le mani dalla porcellana un po’ sbeccata del lavandino. «No», ripete, piano piano, dandosi fiducia. «No.»
Apre il rubinetto dell’acqua fredda e si sciacqua il viso. Deve stare tranquillo. Calmo. E non succederà nulla. Andrà tutto bene, si ripete, prima che uno starnuto interrompa i suoi pensieri. Si sta raffreddando? Possibile?
 
Secondo starnuto.
Possibile sì. E forse lui sa che possa essere il colpevole. La sua chioma folta e lucida. Nonna Adriana non gli ha mai tagliato i capelli, giusto una spuntatina prima di partire, e abituato com’è alla vita in spiaggia e ai bagni nell’Oceano, Adriano odia l’asciugacapelli. È una perdita di tempo. L’unica premura che ha nei confronti dei suoi capelli è quella di usare l’olio che Zuleika gli ha inviato nell’ultimo pacco. «Per scongiurare le doppie punte», ha scritto nel suo brasiliano incerto – come se a lui importasse qualcosa delle doppie punte – «e per tenere i capelli lisci. E non farli esplodere come una palla di sterpi». Peccato che Zuleika non sappia che il sole di Atene non è come quello di Rio. E che il Santuario non ha la vista sul mare, ma è circondato dalle montagne. E che quindi una passata con l’asciugacapelli è doverosa. Pur se ad Adriano viene l’orticaria al solo pensiero.
 
Un altro starnuto.
Questa proprio non ci voleva, perché uno può anche trovare la frase giusta col tono giusto ed avere un’autostima da far impallidire Narciso, ma parlare col naso chiuso lederebbe anche alla voce di un dio. Con rispetto parlando, pensa – aggiunge – subito dopo. Ché gli dei greci sono perm… suscet… sensibili a certi argomenti. E morire fulminato per uno stupido pensiero tracotante che ti attraversa per purissimo caso la mente, non gli va. Affatto.
 
E va bene. La prossima volta userò l’asciugacapelli, promette a se stesso spegnendo la luce ed uscendo dal bagno. È tardi. Gli altri sono già nei loro letti, e lui spera che nessuno l’abbia sentito. Specialmente Cancro e Pesci. Ché se lo Scorpione è una zanzara fastidiosa che ti ronza attorno, quei due possono essere più… pericolosi.
Nella camerata regna il silenzio, rotto dal respiro regolare dei suoi compagni, placidamente addormentati.
Un altro starnuto.
Adriano si siede sul letto e rimedia un fazzoletto. Si soffia il naso e scivola sotto le lenzuola fresche di bucato, crollando stanco morto sul cuscino, che accoglie la sua testa, ed i suoi capelli, in un abbraccio inglobante e protettivo. Adriano tira su col naso un’ultima volta e crolla addormentato.
 
 
Ci sono giorni in cui i suoi duecentocinquanta e passa anni non gli pesano.
Giorni in cui sa di potercela fare. Di poter resistere. Manca poco, oramai. Una manciata di lustri, e la loro Dea li guiderà contro Ade. Ancora una volta. E tutto deve essere pronto quando arriverà quel momento. Sion non sa per quanto ancora calpesterà questa terra polverosa; ogni giorno in più è un giorno guadagnato per la causa di Athena e l’addestramento dei suoi Santi. Sono come piccoli, teneri germogli da difendere dalle gelate dell’inverno, e lui prega gli dei che gli concedano il lusso di vederli diventare adulti. Uomini. Solo questo pensiero basta a riempire il suo vecchio cuore di nuovo vigore, ed in quei giorni lui si sente il più fortunato ed il più benedetto tra i mortali.
E poi ci sono quei giorni. Pieni di domande e dubbi. Giorni in cui si chiede se questa generazione non abbia ottenuto le proprie armature troppo presto. Sì, c’è sempre il precedente di Regulus da tenere a mente, ma Regulus era un’eccezione. E aveva dodici anni, non sette. E per quanto lui, Yato e Tenma sapessero far venire i capelli bianchi al Sommo Sage, Sion è sicuro che il suo predecessore non si sia mai trovato a domandarsi se, per caso, la strategia di Ade stavolta non sia quella di boicottare le schiere di Athena dall’interno, come sta pensando lui adesso. Perché questo è uno di quei giorni, e nonostante lui si sia alzato con i migliori sentimenti possibili, questo non è bastato. E adesso, davanti a lui, c’è uno dei Santi d’Oro – il Toro – che piagnucola come una bambina a cui il fratello dispettoso abbia decapitato la bambola preferita.
 
Il Sommo Sion, il vosto stupefatto nascosto dalla maschera blu cobalto, rivolge lo sguardo ad Aiolos.
Aiolos che se ne sta ritto, accanto ad Aldebaran, senza sapere come muoversi.
Perché anche per Aiolos ci sono giorni e giorni.
Giorni in cui il suo ruolo non gli pesa. Giorni in cui si sente responsabile. Di suo fratello Aiolia, certo, che deve crescere nel migliore dei modi possibili e diventare uno tra i più forti guerrieri di Athena, se non il più forte; ma si sente responsabile anche dei suoi compagni più giovani. Il Sommo Sion ha chiesto a lui e a Saga di aiutarlo a formare la casta più alta dei guerrieri di Athena, e il suo cuore si è riempito di gratitudine.
E poi ci sono quei giorni. Quelli in cui scopre, con orrore, che le migliori intenzioni possibili non bastano, e in cui lui si chiede se, per caso, non fosse gratitudine ma hybris  quel sentimento che gli gonfia il petto quando, tra sé e sé, ripensa al compito che gli ha assegnato il Sacerdote.
Perché in tal caso si spiegherebbero tante cose, pensa Aiolos, osservando la scena surreale che si trova davanti.
Quando stamattina ha aperto gli occhi ha sentito che sarebbe stata una di quelle giornate in cui avrebbe fatto meglio a marcare visita e a restarsene a letto. L’ha capito da quel pizzicore alla nuca e dal naso chiuso. E l’urlo ha confermato le sue sensazioni. Sì, sarebbe stato uno di quei giorni, e Aiolos si chiede se anche il prossimo sarà così. O forse anche peggio.
 
C’è un cuscino ancorato saldamente alla testa di Aldebaran del Toro. Che ripete al Sacerdote tutta la storia. Daccapo. Aiolos è la terza volta che la sente.
Qualcuno in vena di scherzi gli ha versato della colla sul cuscino, abbondando con le dosi. Perché il mastice – quello denso, viscoso e aggrappante che usano i calzolai giù a Rodrio – è colato sui lunghi capelli del Toro, è passato oltre il cotone leggero della federa ed ha creato un blocco unico con le piume dell’imbottitura. Piume piccole, di gallina, che pesano come un blocco di pietra.
Aldebaran non sa chi possa essere stato, no. Perché lui non ha nemici. Non ha mai litigato con nessuno, e questo Aiolos può testimoniarlo. Ieri sera si è coricato stanco e raffreddato ed è crollato addormentato quasi subito.
No, non ha visto nessuno aggirarsi attorno al suo letto, perché quando lui è stanco non lo svegliano nemmeno le cannonate. E questo Aiolos lo sa. Solo che qualcuno deve pur essere stato a giocare col mastice, ma chi possa essere il colpevole questo né Aiolos né Aldebaran sanno dirlo.
 
Il Toro tira sul col naso, la testa che pende a sinistra, cercando un appoggio sulla spalla. Con lo sguardo chiede che i grandi facciano qualcosa. Che lo liberino da quel macigno e da quella situazione imbarazzante. Oh, nessuno ha riso vedendolo alzarsi con quell’affare sulla testa, no. Ma rideranno. Alle sue spalle. Ed il suo orgoglio ne uscirà ancora più massacrato dei muscoli del suo collo.
 
Il Sagittario sospira. Sospira anche il Sommo Sion. Che si alza. Raggiunge in tre passi il Toro e gli pone una mano sulla spalla libera, cercando di rimettergli in equilibrio il collo.
Adriano tira su col naso. Non fa altro da dieci minuti a questa parte.
«Io non so cosa fare», dice Anna, una delle donne che si occupano dei bambini. «Ho provato con l’acqua calda, con la benzina, con l’olio, ma niente. I suoi capelli sono incollati al cuscino, Sacerdote…»
Il Sommo Sion alza l’altra mano, come a dire «Va bene, ho capito, non è colpa tua», e la donna tace.
«Adesso sistemiamo tutto, d’accordo?»
 
 
È tutta colpa sua, pensa grattandosi la testa. Rasata di fresco. Come quella di un pulcino. Deve essere stato lui a fare la spia a quel precisino di Aiolos, che ha riferito tutto al Sacerdote – quando mai? – che ha deciso di punirli. Tutti. E poco importi che anche Camus abbia la chioma ridotta ad un centimetro come gli altri compagni. La farina del diavolo va tutta in crusca, diceva sua nonna. Sì, è stato lui. È stato Camus. È sempre colpa di Camus.
Aphrodite e Death Mask non lo guardano più in faccia. Se devono condividere la stessa stanza, fanno in modo di trovarsi il più lontano possibile da lui. E se lo incrociano per strada, cambiano percorso. Si dice in giro che il bellissimo Santo dei Pesci abbia protestato e pianto fino a rovinarsi gli occhi mentre i suoi capelli cadevano sul pavimento di marmo candido.
Piangeva come una femminuccia, dicono le malelingue, ma lui sa che, invece, Aphrodite piangeva di rabbia. Per quel torto subito. Per la morte della Giustizia. Ed è per questo che Milo ha un motivo in più, semmai ve ne fosse bisogno, per detestare con tutto il cuore Camus dell’Acquario. Ma tutti i nodi verranno al pettine, si dice lo Scorpione, meditando sulla vendetta. E poco importa che Aphrodite non lo guardi più nemmeno in faccia. Milo lo vendicherà. Per una questione più alta dell’amicizia che lo lega a Pesci e Cancro. E non c’entra nulla l’appartenenza allo stesso Elemento. La questione riguarda la Giustizia. Il gioco s’è fatto serio. E quando il gioco si fa serio, bisogna armarsi di sana pazienza. Ed aspettare. Preparare una trappola in cui, a tempo debito, la preda cadrà.
Aristoteles glielo riepteva sempre. Mai avere fretta. E la vendetta è un piatto che si gusta freddo, giusto?
Giusto.
 
Per questo aspetterà, prima di dare all’Acquario la lezione che merita. Fosse per lui, avrebbe dato retta a quel fuoco iroso che gli incendia il petto e avrebbe ridotto Camus ad una polvere di atomi disgregati tra loro. Ma Camus si aspetta una sua mossa, e se l’aspetta adesso. Quando il ferro è ancora caldo. Se s’è fatto rasare i capelli senza protestare è solo per una questione di strategia. Vuol passare come vittima. Deve far parte del complotto, quale che sia, che la testolina caotica dello Scorpione non riesce a mettere a fuoco, persa com’è dietro a propositi di vendetta sempre più truci, truculenti e sanguinolenti.
Ecco perché adesso lui righerà dritto. E poi la mannaia – la ghigliottina, per restare in tema – calerà sul collo dell’Acquario. Quando meno se l’aspetterà.
 
Ed è mentre Milo è ancora immerso in questi pensieri così edificanti che la mano di Camus appare nel suo campo visivo.
Che diamine…
Alza lo sguardo, uno sguardo carico di odio e livore, ed incrocia quello serafico del compagno.
«Non hai sentito?»
«No.» Sentito, cosa? «Parlavi con me?»
«Sì.» Camus sospira. Non lo ha fatto apertamente, ma Milo sa che l’ha fatto. Nel suo cuore. Che sarà bianco rosso e blu, ci scommette la testa. «Ci hanno convocato nelle stanze del Sacerdote.»
Un processo?, pensa Milo. Con Camus nei panni dell’accusa, è pronto a scommetterci.
«Perché?», chiede.
Camus si stringe nelle spalle. Sembra sincero. Quanto sei bravo a fingere, mangiarane. Ma con me non attacca. «Non lo so», dice l’Acquario. «Il sacerdote ha mandato a chiamare entrambi.»
«Sì, ma perché io e te?», insiste lo Scorpione. «Tu sai perché ci ha chiamato assieme. Non è vero?»
«No», ed il tono di Camus si fa di ghiaccio. «Non lo so. Non ne ho la minima idea. Se ci tieni così tanto a scoprirlo, l’unica è andare dritto di filato dal Sacerdote e sentire dalla sua bocca perché ci ha chiamato. Non pensi? O forse hai la coscienza sporca, ché tentenni così?»
Milo si alza.
Calmo. Calmissimo. Un sorriso atarassico dipinto sulle sua labbra.
«Io? No, perché mai?», risponde all’Acquario, ma non alla sua provocazione. Anche se è così difficile tenere le mani lontane dal collo di quel galletto strafottente. Sta andando incontro al suo processo, adesso ne è sicuro; ma lui non fuggirà. Non darà a Camus la soddisfazione di vederlo piangere, implorare, supplicare. Sopporterà il castigo che il Sacerdote gli imporrà – qualunque esso sia – come un martire. Col sorriso sulle labbra. Tanto te le metto tutte in conto, Camus. Tutte. Dalla prima all’ultima. «Anzi, vogliamo andare? Non vorrai far aspettare il Sacerdote…»





Se non si fosse capito, a me piacciono i proverbi. E la congiunzione quando, ma questa è un'altra questione.

El aura fai son vir è un proverbio occitano traducibile in francese con Le vent fait son tour e in italiano con Il vento fa il suo giro. Il significato è "Tutto, prima o poi, torna indietro". Quindi è un esortazione a pensare, prima di agire. O prima di aprire bocca e darle fiato.

Confesso che sono stata combattutissima se chiamare questo cpaitolo così, oppure scomodare il nostrano La farina del diavolo va tutta in crusca, il cui significato è lo stesso. Solo che mentre l'espressione italiana presuppone che la punizione arrivi subito, o quasi, il proverbio occitano allude al fatto che il vento può tornare indietro anche dopo anni a chiederti conto delle tue azioni.

Ho poi scoperto che i francesi non hanno - o non avrebbero - un espressione assimilabile alla nostra coda di paglia. Strano, vero?

Regulus è il Santo del Leone apparso in Lost Canvas, figlio di Ilias e nipote di Sisifo. In pratica, un figlio d'arte.
Yato è il Santo dell'Unicorno - antesignano di Jabu ed allievo di quel matto scocciato di Kardia - mentre Tenma è il pegaso della precedente generazione.
Kurumada dica quello che vuole, per me fa fede il passato ideato dalla Teshirogi. Si metta il cuore in pace.

Zuleika è colui che cresce Aldebaran a Paraisopolis, una favela di San Paolo, e Adriana è la nonna di Aldebaran. Sì, avete letto bene. Zuleika è un lui, che raccimola ogni soldino possibile per trovare il corpo che ha sempre sognato, ma con una carica di femminilità che farebbe impallidire Eva.
   
 
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