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Autore: Frecchan    20/09/2008    6 recensioni
Kira... Light... Cosa devo pensare di te? Perchè un ragazzo come me, L, un personaggio che difficilmente di può definire umano, deve provare dell'affetto per l'unica persona al mondo che davvero non se lo merita? E perchè tu sei così affascinante e pericoloso al tempo stesso? Perchè avvicinandomi a Light, il ragazzo puro ed ingenuo con gli occhi color nocciola, mi devo inesorabilmente esporre anche a Kira, l'assassino che mi vuole morto? ... Alla fine, è tutto come ho sempre pensato, Light: noi due non abbiamo il diritto di essere felici, siamo solo pedine di un gioco più grande di noi. Siamo solo due opposti. Due opposti che inevitabilmente si attraggono.
Genere: Romantico, Malinconico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: L, Light/Raito
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Rieccomi dopo interminabile assenza!! çOç

Dite la verità che non vi sono mancata affatto XDXD

Mi scuso sinceramente per tutto il tempo che ho fatto passare, ma ero veramente persa in un buco nero e non avevo idea di come continuare… Infatti il capitolo è brutto e scritto male XD

Perdonatemi! T.T

Suvvia, tra poco la tortura finisce… abbiate pazienza, ancora qualche chap X3

Grazie come sempre per le recensioni, siete sempre preziosi… baci <3

Confronto

La vita è profondamente ingiusta.

Sono sempre stato convinto di questo, per ogni attimo della mia esistenza.

Per questo motivo volevo portare giustizia alle persone innocenti che se la meritavano.

Il mondo faceva schifo, la brava gente andava aiutata.

E per me, vivere è sempre stato doloroso.

Sempre.

Eppure…

Dopo il tuo arrivo, dopo tutto lo stravolgimento che il tuo viso, le tue azioni, le tue parole hanno portato… ci sono stati dei momenti in cui non pensavo che vivere fosse brutto.

Anzi.

Si, ci sono stati dei momenti in cui potevo affermare con la più assoluta certezza di essere felice.

Nonostante il dolore che mi occludeva il petto e mi rendeva difficile il respiro in ogni momento, quando stavo insieme a te trovavo una pace che non avevo trovato in nessun altro.

Eppure in quelle occasioni non era L ad essere padrone di me.

Era qualcun altro, un ragazzino apparentemente normale, che desiderava solo un po’ dell’amore che di diritto gli spettava.

E di sicuro, su questo potrei giurarci, neanche tu eri il solito Yagami Light.

Eri il ragazzo che voleva disperatamente uscire dalla sua vita troppo perfetta, che nascondeva un segreto esorbitante, quello che il tuo cuore non riusciva a reggere.

Insomma, noi fuggivamo dalle nostre vite rifugiandoci in personalità che non ci appartenevano, per cercare inutilmente un po’ della serenità che non potevamo trovare qui.

Strano, vero?

Il punto è che Light, il vero Light… mi aveva viziato, lui e la sua dolcezza, lui e il suo amore, per una persona che in realtà non ero io.

Ryuzaki.

Ma l’essere Ryuzaki, seppure estremamente ingiusto, era troppo piacevole, in confronto alla prospettiva di ritornare alla vita cruda e vuota di una lettera in Old English.

No, io non volevo. Io non voglio.

Non voglio dover essere costretto ad una rigidità mentale che ormai non mi appartiene più, non voglio essere costretto a vivere senza farlo realmente, come ho fatto finora.

Non voglio dover sacrificare Light, per uccidere Kira.

Pur di non vedere morire lui, te, l’unico che abbia mai amato, sarei disposto a rinunciare alla mia di vita…

Ma…

Nonostante ciò...

Questi sono i pensieri di un anima che non esiste, i pensieri che vogliono sconcentrare e tormentare L. Perché lui non è così.

Ryuzaki non esiste!

E’ un nome finto, quello che mi sono dato per mostrarmi al mondo.

Ma è solo un nome.

Un nome non può amare, non può provare sentimenti, non può prendere decisioni.

E quindi Ryuzaki non ti amerà. Mai più.

Perché non ne ha il potere, non ne ha il diritto…

Eppure, chi ha creato Ryuzaki? E perché?

Già. E’ stato L a crearlo.

E per amare te.

************************************************************

Tu.

Bello, bellissimo, avvolto da una luce quasi innaturale che esaltava la tua pietrificante bellezza.

Sorridevi, quasi felice, guardandomi con una sorta di tenerezza che non era da te.

Mi prendesti una mano pallida.

La stringevi, fortissimo, quasi per paura di non perderla.

Sentivo i tuoi polpastrelli sfiorare i miei, disegnare linee perfette sul mio palmo con la punta delle dita, eppure non sentivo emanare calore dal tuo corpo... sentivo solo gelo, e gelida attrazione…

Eri freddo, freddo come il ghiaccio.

Stupendo ma innaturale, come un Iceberg.

E come un Iceberg io di te vedevo solo una piccola parte, quella che usciva allo scoperto, il 10% della tua anima che osava mostrarsi al mondo; il restante 90 mi era nascosto, non mi apparteneva, perché era impossibile da vedere sotto le tue maschere di finzione.

I tuoi occhi ambrati mi guardavano, come volendo scavarmi in fondo al cuore, farmi a confessare lo spudorato amore che provavo per te.

Le tue labbra bisbigliavano qualcosa, muovendosi sinuosamente, tenere e rosee. Non sentivo neanche ciò che mi dicevi, tanto ero perso nel guardarle crogiolarsi nella loro inumana perfezione.

Mi baciasti. Mi baciasti con tanta passione che quasi mi travolsi.

La tua lingua rincorreva la mia, quasi giocando, quasi fosse tutto uno stupido scherzo.

Mi veniva da ridere,nel pensare a quanto quel momento fosse semplice e bellissimo, su quanto io in realtà chiedessi poco e che quel poco mi venisse così ignobilmente negato.

Io volevo attimi come quello. E basta. Non mi serviva null’altro.

Alla fine, ciò che domandavo era soltanto smettere con quella vita da investigatore e vivere con te, felice…

Ma ovviamente tutto ciò era ai limiti dell’assurdo, che L facesse finta di non essere L e Kira smettesse di ripulire il suo Nuovo Mondo per essere felice col suo peggior nemico.

Perciò, dato che era sbagliato di per se, non potevo far altro che accontentarmi di quello che mi veniva offerto…

Sorridevo, di quella serenità, così strana… sapendo che non sarebbe durata, come al solito…

Poi, caldo.

Tanto, tantissimo caldo.

Che mi soffocava, e mi rendeva impossibile il respiro.

Vedevo tutto sottoforma di vapore acqueo, il tuo viso sorridente si faceva meno vivido, e io annaspavo in quel calore innaturale che mi aveva circondato…

Balzai fuori dalle coperte, che mi sotterravano nel piccolo lettino singolo.

Ero sudato, la fronte grondante.

Dapprima strinsi gli occhi, troppo deboli e abituati al buio per abituarsi subito all’accecante luce del giorno, e troppo stanchi per il sonno. Poi li riaprii, a fatica, guardandomi attorno.

Ero nella stessa camera di prima, quella dove io e te avevamo coabitato, risvegliato dopo un sogno.

O forse un incubo?

Accanto al letto, c’era un vassoio carico di dolci e una tazza di tea ormai fredda, sicuramente portato da Watari.

Ma il tuo viso sorridente non c’era più. Come mi aspettavo, dopotutto.

Eri stata una visione. Una splendida, bellissima, impossibile visione.

Avrei dovuto rendermene conto, prima o poi.

La vita non era un film… la mia non era neanche vita, se era per questo.

Trattavo casi della peggior specie, entrando nelle vite di ogni genere di persona, osservando e analizzando da vicino ogni cosa, circostanza, affare, dalla più irreale alla più umana.

Eppure non avevo ancora capito come andava il mondo.

Io per primo avrei dovuto saperlo, visto il tipo di lavoro che svolgevo, ma nonostante ciò per me solo le vite degli altri erano crude, dure, difficili, e la mia chiusa in una teca di cristallo, tra i vizi e un’infelicità che non potevo permettermi.

Alzai a fatica la testa pesante, i ciuffi di capelli neri che mi coprivano gli occhi, quasi incapace di muovermi.

Avevo le mani intorpidite e deboli, la schiena che doleva.

Ecco l’effetto che mi faceva dormire troppo. Sbuffai sonoramente.

Dovevo svegliarmi per bene, tentando di ricostruire i miei pensieri prima del sonno.

Le immagini si formavano nella mia testa, seguite da suoni e fatti, ricomponendo tutto ciò che quel dormire mi aveva fatto dimenticare.

E per prima cosa non mi ricordai di Kira, delle indagini, dei sospetti…

No.

Per prima cosa, mi ricordai di te, di come ti avevo trattato, in che modo dovevo farmi perdonare.

Un campanello trillava nella mia mente.

Avrei dovuto trovarti, parlarti, scusarmi per quel comportamento idiota nei tuoi confronti…e nei miei.

Certo che dovevo farlo. Almeno ti spettava una spiegazione...

Eppure...in realtà no.

Non avrei dovuto.

Sapevo che era sbagliato, che lasciare le cose così ci avrebbe allontanato e quindi L e Kira sarebbero tornati padroni di se stessi, com’era giusto che fosse.

Ma a quel punto cos’era il giusto e lo sbagliato?

Cosa significava la parola ‘Giustizia’, in un mondo dove regnava un Dio che in realtà era il più umano tra gli uomini?

Chi poteva permettersi di praticare il buono, in un posto dove la vita umana aveva un prezzo inferiore a qualsiasi oggetto?

Si, a questo si era ridotto il Mondo… un luogo senza giustizia né pace, un surrogato dell’Inferno.

E per questo dovevo rinunciare alla mia felicità?

Ovviamente no.

Per una volta, decisi, L sarebbe stato egoista e menefreghista.

Era sbagliato?

Non me ne importava assolutamente nulla.

Come alla gente non fregava niente della crudeltà che albergava in ogni disgustoso anfratto di mondo, io me ne infischiai di quanta giustizia può esserci in un amore tra due nemici letali.

Non mi preoccupai neanche delle mie condizioni. Scesi velocemente dal letto, corsi fuori dalla camera e mi fiondai in Sala Computer, dove di solito si riunivano tutti.

Dovevo vederti, parlarti… Non potevo più sopportare l’idea che tutti gli orribili pensieri che ti eri fatto su di me stavano diventando sempre più concreti.

Io non ero così.

Io ti amavo, anche se mi ostinavo a negarlo.

E tu ne dovevi avere la prova. Costi quel che costi, me ne fregavo di che fine avremmo fatto. Tu dovevi sapere che il tuo Ryuzaki, il gemello buono dello spietato detective, ti amava come nessuno.

Perché questa era la pura e semplice verità.

Ma quando mi avresti detto la tua?

Ero solo io il cattivo della situazione?

Corsi la scalinata senza fermarmi, tutta d’un fiato, finché non mi trovai di fronte alla Sala.

Spalancai il portone di metallo grigio.

Tutti i presenti si voltarono.

“Ryuzaki!”

Mi guardai attorno, osservando i volti di tutti gli uomini scrutandone le espressioni e gli occhi, come per capire dove ti stessero nascondendo da me. No, tu non eri li.

Quell’affusolato viso pallido, impreziosito dai sottili occhi del colore dell’ambra più pura, non degnava il posto della sua presenza. Tutti cominciarono a tempestarmi di domande senza senso, che neanche ascoltavo, su come stavo e del perché ero in piedi.

Io scattai verso di loro, i grandi occhi spalancati, con un viso a metà tra il preoccupato e il rabbioso.

“Dov’è?” mi limitai a chiedere velocemente, con un tono che non ammetteva repliche.

“Chi??”

“Light! Devo parlargli!”

Tutti rimasero zitti, in silenzio.

Quasi volessero realmente nascondermi qualcosa.

Il punto era… cosa?

Abbassarono lo sguardo. Matsuda iniziò perfino a sudare.

Prevedevo guai.

“Ryuzaki…”

Tuo padre mi guardò serio, con il tono del medico che deve dare brutte notizie ai parenti del paziente.

“Posso sapere dov’è Light-kun si o no?” sbottai.

Il sovraintendente Yagami si avvicinò lentamente a me, con una vaga tristezza nello sguardo, perennemente puntato al pavimento. Un passo dopo l’altro, in silenzio, mi portava lentamente novità che potevo aspettarmi tragiche, e i suoi sguardi erano lame, che mi uccidevano piano…

Mi appoggiò una mano sulla spalla, infine. Vicino, vicinissimo, tanto che potevo vedere le rughe formarsi su quella fronte arricciata e cupa, e le labbra creare una smorfia amara.

“Light ha deciso che se ne va.”

Silenzio.

Per dei secondi interminabili, nessun effetto acustico osò farsi sentire.

Attimi quasi innaturali di staticità e quiete. Tutti immobili, fermi, incapaci di emettere suoni.

Non mi ricordo bene cosa provai in quel momento.

Tristezza… Rammarico… Infelicità?

No…

Forse di più, nella mia mente, premeva la dura consapevolezza della realtà.

Me lo aspettavo.

Era come se un incubo assopito, di cui non mi ero ancora accorto dell’esistenza, si fosse svegliato nel momento meno opportuno.

Perché dopotutto quell’opzione c’era sempre stata, solo io non me ne accorgevo.

Tu non eri di mia proprietà.

Nulla ti legava più a me, ormai. Non le prove, non i sospetti, non l’affetto. Neanche una catena.

Eri stato scagionato, eri libero di andare dove ti pareva… potevi anche viverti la tua vita dall’altro capo del mondo, come probabilmente avresti fatto.

Nemmeno il tuo prezioso caso Kira ti tratteneva.

Forse non ti importava neanche più di essere scoperto da me…

O forse sapevi già che io avrei rinunciato al batterti?

Rimasi freddo, immobile. Abbassai giusto per un attimo le grandi iridi nere, senza esprimere alcun sentimento o emozione.

Una macchina. Mi ero tramutato in un computer.

Questo era L, senza il suo Raito.

“Capisco.” sussurrai.

“Ryuzaki… Sai…Vuole andare a vivere con Misa, forse si sposeranno. E poi…Dice che gli dispiace per il caso, ma… Ha detto che a questo punto il suo aiuto non serve più, finché ci sei tu…”

Portai un dito alle labbra. “Già. Finché ci sono io.” sussurrai.
E la mia voce, già solitamente roca, si incupì ancora più del solito, provocando un suono strano e triste che non saprei neanche come definire.

I presenti si limitarono a fissarmi, senza capire, guardandomi arretrare e ritornare sui miei passi, con lentezza esasperante.

“Ehm..!” si fece avanti Matsuda, un finto sorriso preoccupato sul volto. Stupido. “Abbiamo cercato di trattenerlo, sai! Gli abbiamo detto che la sua presenza era importante… che anche tu ci saresti rimasto male, ma…”

“La smetta, Matsuda. Va bene così.” mormorai, abbassando lo sguardo.

Il mio sguardo si era fatto ancora più gelido del solito, dicendo quel ‘va bene così’.

No, non mi andava bene. Per nulla.

Ma cosa avrei potuto fare? L’egoismo arrivava fino ad un certo punto… Se tu non mi volevi più era inutile rovinarti la vita in quello stupido tentativo di amarti, quando sapevo che era perfettamente impossibile.

Mi veniva da piangere, già. Ma mi trattenevo, a fatica, ricacciando le lacrime con quell’espressione amara e malinconica che tanto si addiceva a me di solito, e ancora di più in una situazione come questa.

Io ero L. Non potevo piangere.

Mi ritirai lentamente dalla sala, ignorando tutti gli occhi puntati addosso a me, chiudendomi la porta alle spalle e incamminandomi nuovamente verso la mia camera.

Anzi, la nostra camera.

Che ormai di tuo non aveva niente, se non le impronte digitali sulle manette argento.

Ritornai davanti all’entrata dell’ambiente, quello che era stato per un po’ il nostro piccolo mondo, che per me era molto più di un posto dove dormire.

Io in quelle notti, Light, non ho mai dormito…

Ascoltavo il tuo respiro, calmo e regolare, e la pace che ti illuminava, fintanto che non eri un assassino.

Aprii la porta di scatto.

La stanza era vuota e bianca come pochi minuti prima, il silenzio che la riempiva era capace di traforare timpani tanto fosse estenuante.

Il cuore mi batteva. Forte, fortissimo.

Nell’aria si respirava ancora il tuo profumo, il buon aroma di Light, quello che impregnava l’ambiente. Sapeva di dolce, quasi zuccheroso, mischiato con un amaro acerbo.

Il sapore più buono del mondo.

Il sapore che, mi resi conto, non avrei mai più potuto assaggiare da te, dalle tue labbra.

Quell’odore mi entrò nelle narici, lo inspirai più che potei, quasi fosse una potente droga…

E in effetti lo era, esattamente come lo eri anche tu…

Mi portai lentamente al letto sfatto dove avevo dormito, che di regola nei mesi della catena era il tuo. Dicevi che era un po’ stretto per te, che eri abituato al letto matrimoniale.

Sarebbe stato bello, adesso, poter dormire insieme, in un letto spazioso e tutto per noi…

Ma ormai, sinceramente, fare l’amore con te era l’ultima tra le mie preoccupazioni.

Che importava, a questo punto?

Mi sarei accontentato delle liti, degli sguardi furiosi, di pugni e calci, di silenzi angoscianti pur di averti vicino a me, come sempre, il solito sorriso troppo finto e troppo bello che ti illuminava.

Mi sedetti sul materasso, accovacciato nella mia solita inusuale posizione, gli occhi corvini puntati per terra.

Sentivo che non era ciò che volevo. Lasciarti andare, farti abbandonare il caso, abbandonare me non era affatto ciò che desideravo…

… ero sicuro che c’era ben poca giustizia nel voler salvare il mondo, privandosi però della libertà di vivere.

E io, con le mie stesse mani, la stavo togliendo sia a me che a te…

Eppure ormai non ti potevo più imporre nulla. Anzi, avrei solo che dovuto farmi perdonare, per la brutale maniera in cui avevo cercato di mettere fine a tutto… quando poi ero io il primo che non tolleravo la nostra separazione.

Che stupido ero stato.

Tutto per che cosa, infine?

La Giustizia?

Che cos’era la Giustizia? Ormai non esisteva più, veniva offuscata dall’egoismo delle persone, che volevano vivere serenamente la propria vita fregandosene di quella degli altri.

E perché l’ultimo idiota a praticarla ero io, quando io per primo non ne avevo mai ricevuta?

Con questi ideali tanto buoni e giusti mi stavo uccidendo da solo… mi stavo allontanando da te… mi stavo distruggendo. Presto sarei morto, per quella che chiamavano onestà.

Allungai la mano verso il comodino, dove nel cassetto semiaperto brillava ancora l’oggetto in metallo che per tanto tempo avevo dimenticato.

O voluto dimenticare?

Lo estrassi, da quella scatola di legno ammuffito.

Erano manette. Comunissime manette, di una lega resistente, unite da una catena lunga più di 2 metri.

Pesanti, a reggerle così… eppure non mi avevano mai dato alcun fastidio, per tutto il tempo in cui le avevamo usate.

Dopotutto erano un modo per tenerti con me, come potevano infastidirmi?

Nonostante in quei tempi non avrei mai ammesso di provare alcun sentimento per te…in verità li provavo eccome, e quella ne era la prova.

Li avevo sempre provati.

E’ vero, Light. Io ti ho sempre amato, cosciente o no di questa verità.

Da quando ti avevo incontrato quel giorno all’Università, o quando ti avevo sfidato a tennis e mi avevi battuto…

Ti avevo sempre ammirato per l’impeccabile perfezione di Yagami, ti avevo sempre temuto per le studiate bugie di Light-kun, ti avevo sempre odiato per la crudele mentalità di Kira…

e ti avevo sempre amato, per l’umana essenza di Raito.

Ed ora?

Dove venivano buttati, tutti i sentimenti che provavo per te?

Neanche l’astio per il tuo legittimo nemico ti faceva restare qui?

Mi ero indebolito a tal punto, da non essere nemmeno considerato un avversario degno, grazie a te?

Si, era così.

A dimostrarlo erano quelle piccole, insignificanti e stupide lacrime, che mi inumidivano gli occhi tutte le volte che nella mia mente si materializzavano i contorni del tuo viso o il colore dei tuoi occhi.

Le stesse lacrime che mi sentivo di dover piangere in quel momento, eppure che non avrei versato.

Era inutile ormai disperarsi, no?

Stava accadendo proprio ciò che avevo desiderato.

Mi stavo allontanando da te. Così in poco tempo avrei dimenticato il tuo stupidissimo amore, e ti avrei potuto giustiziare e condannare, incolpandoti di essere l’assassino che cercavo, non il ragazzo che avevo amato.

Eppure non potevo fare a meno di pensare che non fosse giusto, che non poteva finire così tra di noi.

Che tutto ciò che era cominciato era troppo grande per terminare in quella maniera…

Come avrei vissuto senza di te?

Ne ero certo, se tu te ne fossi andato io mi sarei tramutato in un essere inumano, neanche capace di provare emozioni e sentimenti, esternando ogni cosa fuori dal suo cervello computerizzato.

Oppure, semplicemente, sarei morto… Ti avrei fatto vincere, divorato dai sensi di colpa per il modo in cui ti ho lasciato e incapace di sopravvivere a questo mondo senza più la mia ragione di vita.

Almeno della vita che desiderava Ryuzaki.

Ma perché terminare un’esistenza così? Perché, in quel modo così inutile?

Il grande L, ucciso non dal Male, non dalla Cattiveria, non dall’Ingiustizia… nemmeno ucciso da Kira. Ma bensì, ammazzato dai propri incontenibili stupidi sentimenti.

No, non poteva finire così. Non potevo lasciarti andare.

Forse era solo egoismo che mi spingeva a scendere da quel letto e andare a fermarti, ma qualunque cosa fosse ero stanco di essere sempre il bravo ragazzo della situazione, quello che doveva sacrificare la propria vita per gli altri.

Si, battere Kira era una cosa che andava fatta.

Kira era malvagio. Andava giustiziato.

Ma per una volta, o forse per l’ennesima, estromettere e diversificare quel lurido assassino dalla pura perfezione di Light era la cosa giusta da fare.

Giusta per me, o per noi, quantomeno.

Nonostante Kira fosse innegabilmente padrone di Raito, e su questo non c’era alcun dubbio.

Senza neanche rendermene conto ero in piedi, a sbattere la porta di metallo e a correre per i corridoi dell’enorme Quartier Generale.

Non sapevo dove trovarti. Forse te ne eri già andato, e io stavo girando a vuoto per un posto in cui tu non avresti più messo piede.

Ma tentavo. Tentavo disperatamente, cercando di non perdere l’ultima speranza, di trovarti e convincerti a restare, rimanermi vicino, da amico o nemico che fosse.

Perché non mi importava in che forma ti presentassi… da bugiardo, da compagno, da pluriomicida… l’importante in quel momento era rivedere i tuoi occhi, il bel volto che mi aveva sempre spaventato ed eccitato al tempo stesso.

Le gambe si muovevano da sole, ad una velocità disarmante.

Volevo solo…averti un altro po’ qui con me…

Un altro poco ancora…

Fino… alla mia morte, almeno…

Tanto, quanto sarebbe mancato? Settimane? Giorni? Ore?

Lo sapevo, una volta lontano da me, avresti velocemente trovato il modo di ammazzarmi, e senza più alcuno dei rimpianti che potevano fermare il solito Raito. Magari avresti usato Misa, o qualcun altro… Con una scusa l’avresti mandata qui in visita, avrebbe visto il mio nome e mi avresti ucciso facilmente.

Anche se non era il tuo modo di fare le cose, pur di farmela pagare sia come L che come Ryuzaki avresti usato qualsiasi metodo.

Aumentai la velocità della corsa.

Dovevo provare a fermarti.

Anche da un punto di vista egoistico, se tu te ne fossi andato la mia vita si sarebbe accorciata ancora, di sicuro… E non volevo morire sapendo che tu non avevi nessun rimpianto, non volevo morire senza averti visto un’ultima volta dopo quella lite…

Diciamola tutta, non volevo morire senza che tu ne soffrissi almeno un po’. Volevo le tue lacrime, quelle che mai Kira piangerebbe, bagnare la mia lapide al cimitero…

Ero egoista, lo so.

Certo che lo ero. Anche costringerti nuovamente alla mia presenza, alle mie parole, ad una nuova lite che sarebbe venuta se ti avessi trovato… anche qui tu avresti sofferto ancora, e solo per causa mia.

Perché la nostra storia, il nostro amore era l’unico che non portava felicità a nessuno?

Se non in quella effimera e totalmente inutile maniera, che mi avvicinava a te anche solo per farmi sperare di averne di più, di essere ancora contento per un po’, anche se non durava mai abbastanza… come un bambino con le caramelle, che ne vuole sempre di più, sempre di più, fino a scoppiare.

E stavo soltanto aspettando di esplodere, Light, decidendo di morire con tra le labbra la mia ultima dolce caramella, il tuo ultimo dolce bacio.

Era triste, disperato e inutile. E soprattutto, doloroso. Ma non sapevo reggere nient’altro, L avrebbe ceduto, avrebbe perso e si sarebbe concesso fino alla fine la possibilità di sorridere, anche se quella non era vera felicità.

Mi fermai, tirando un lungo respiro, accovacciandomi con stanchezza e appoggiando le mani alle ginocchia piegate, per riprendermi dopo la corsa per le scale. ancora più stancante con in testa quei pensieri.

Ero davanti ad una stanza.

La tua stanza.

Quella dove forse ti avrei trovato, dove forse ti avrei parlato, dove forse mi avresti perdonato.

O forse quella che avevi già abbandonato, in modo triste e gelido come con me.

Guardai la porta.

Era di legno e metallo, con una chiusura elettronica come tutte le stanze dell’edificio.

Solo io, te e Watari sapevamo il codice per aprire la maniglia.

Feci un bel respiro profondo, mi avvicinai all’uscio e, nella casella di inserimento del codice, digitai il numero 311074,

E aspettai.

Aspettai, finché non sentii la serratura emettere un grossolano e metallico ‘clock’, e vedere la porta aprirsi. Spinsi il legno ed osservai.

E passarono i secondi, i minuti, le ore su quella visione…

La tua figura si stagliava imponente, bella, marmorea e perfetta in tutto il suo splendore, in piedi davanti al letto, ad accatastare vestiti dentro un’enorme valigia nera.

La stanza era completamente vuota; le ante degli armadi aperti, così come i cassetti, vuoti, e tutte le mensole svaligiate della propria oggettistica. C’eri solo tu, ancora per poco comunque, tu e le tue valigie pronte per tagliare i ponti con me.

All’aprirsi della porta tu ti girasti, e mi vedesti.

Inizialmente rimasi sorpreso; i tuoi occhi nocciola si spalancarono, le labbra semiaperte, lo sguardo vuoto e sbigottito. Poi lo stupore lasciò il posto al rancore, digrignasti i denti e ti rivoltasti, riprendendo a mettere via indumenti per la partenza.

Io non sapevo cosa dire.

Mi ero illuso che sarebbe stato come nei film, ti avrei fermato e tu mi avresti abbracciato, e tutto si sarebbe concluso con un bacio e la promessa di non lasciarsi mai, cancellando rancore e tristezza.

Che sciocco.

La tua rabbia, la rabbia di un ragazzo, la rabbia di un assassino… non poteva sgretolarsi così, non per me quantomeno. Non mi meritavo il perdono immediato, io.

Ero shoccato, non credevo nemmeno di trovarti qui… eppure eccoti, bello come sempre, acido e crudele, un perfetto Kira con motivazioni più valide però.

“Light…”

“Cosa ci fai qui, Ryuzaki?” dissi brusco, interrompendomi.

Senza guardarmi negli occhi, senza nemmeno lasciarmi il tempo di farti capire… anche solo con uno sguardo… tutto ciò che provavo per te.

  
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