Rieccomi
dopo interminabile assenza!! çOç
Dite
la verità che non vi sono mancata affatto XDXD
Mi
scuso sinceramente per tutto il tempo che ho fatto passare, ma ero
veramente
persa in un buco nero e non avevo idea di come continuare…
Infatti il capitolo
è brutto e scritto male XD
Perdonatemi!
T.T
Suvvia,
tra poco la tortura finisce… abbiate pazienza, ancora
qualche chap X3
Grazie
come sempre per le recensioni, siete sempre preziosi… baci
<3
Confronto
La vita è profondamente
ingiusta.
Sono sempre stato convinto di
questo, per ogni attimo
della mia esistenza.
Per questo motivo volevo portare
giustizia alle
persone innocenti che se la meritavano.
Il mondo faceva schifo, la brava
gente andava aiutata.
E per me, vivere è
sempre stato doloroso.
Sempre.
Eppure…
Dopo il tuo arrivo, dopo tutto lo
stravolgimento che
il tuo viso, le tue azioni, le tue parole hanno portato… ci
sono stati dei
momenti in cui non pensavo che vivere fosse brutto.
Anzi.
Si, ci sono stati dei momenti in
cui potevo affermare
con la più assoluta certezza di essere felice.
Nonostante il dolore che mi
occludeva il petto e mi
rendeva difficile il respiro in ogni momento, quando stavo insieme a te
trovavo
una pace che non avevo trovato in nessun altro.
Eppure in quelle occasioni non era
L ad essere padrone
di me.
Era qualcun altro, un ragazzino
apparentemente
normale, che desiderava solo un po’ dell’amore che
di diritto gli spettava.
E di sicuro, su questo potrei
giurarci, neanche tu eri
il solito Yagami Light.
Eri il ragazzo che voleva
disperatamente uscire dalla
sua vita troppo perfetta, che nascondeva un segreto esorbitante, quello
che il
tuo cuore non riusciva a reggere.
Insomma, noi fuggivamo dalle nostre
vite rifugiandoci
in personalità che non ci appartenevano, per cercare
inutilmente un po’ della
serenità che non potevamo trovare qui.
Strano, vero?
Il punto è che Light, il
vero Light… mi aveva viziato,
lui e la sua dolcezza, lui e il suo amore, per una persona che in
realtà non
ero io.
Ryuzaki.
Ma l’essere Ryuzaki,
seppure estremamente ingiusto,
era troppo piacevole, in confronto alla prospettiva di ritornare alla
vita
cruda e vuota di una lettera in Old English.
No, io non volevo. Io non voglio.
Non voglio dover essere costretto
ad una rigidità
mentale che ormai non mi appartiene più, non voglio essere
costretto a vivere
senza farlo realmente, come ho fatto finora.
Non voglio dover sacrificare Light,
per uccidere Kira.
Pur di non vedere morire lui, te,
l’unico che abbia
mai amato, sarei disposto a rinunciare alla mia di vita…
Ma…
Nonostante ciò...
Questi sono i pensieri di un anima
che non esiste, i
pensieri che vogliono sconcentrare e tormentare L. Perché
lui non è così.
Ryuzaki non esiste!
E’ un nome finto, quello
che mi sono dato per
mostrarmi al mondo.
Ma è solo un nome.
Un nome non può amare,
non può provare sentimenti, non
può prendere decisioni.
E quindi Ryuzaki non ti
amerà. Mai più.
Perché non ne ha il
potere, non ne ha il diritto…
Eppure, chi ha creato Ryuzaki? E
perché?
…
Già. E’ stato
L a crearlo.
E per amare te.
************************************************************
Tu.
Bello,
bellissimo, avvolto da una luce quasi innaturale che esaltava la tua
pietrificante bellezza.
Sorridevi,
quasi felice, guardandomi con una sorta di tenerezza che non era da te.
Mi
prendesti una mano pallida.
La
stringevi, fortissimo, quasi per paura di non perderla.
Sentivo
i tuoi polpastrelli sfiorare i miei, disegnare linee perfette sul mio
palmo con
la punta delle dita, eppure non sentivo emanare calore dal tuo corpo...
sentivo
solo gelo, e gelida attrazione…
Eri
freddo, freddo come il ghiaccio.
Stupendo
ma innaturale, come un Iceberg.
E
come un Iceberg io di te vedevo solo una piccola parte, quella che
usciva allo
scoperto, il 10% della tua anima che osava mostrarsi al mondo; il
restante
I
tuoi occhi ambrati mi guardavano, come volendo scavarmi in fondo al
cuore,
farmi a confessare lo spudorato amore che provavo per te.
Le
tue labbra bisbigliavano qualcosa, muovendosi sinuosamente, tenere e
rosee. Non
sentivo neanche ciò che mi dicevi, tanto ero perso nel
guardarle crogiolarsi
nella loro inumana perfezione.
Mi
baciasti. Mi baciasti con tanta passione che quasi mi travolsi.
La
tua lingua rincorreva la mia, quasi giocando, quasi fosse tutto uno
stupido
scherzo.
Mi
veniva da ridere,nel pensare a quanto quel momento fosse semplice e
bellissimo,
su quanto io in realtà chiedessi poco e che quel poco mi
venisse così
ignobilmente negato.
Io
volevo attimi come quello. E basta. Non mi serviva null’altro.
Alla
fine, ciò che domandavo era soltanto smettere con quella
vita da investigatore
e vivere con te, felice…
Ma
ovviamente tutto ciò era ai limiti dell’assurdo,
che L facesse finta di non
essere L e Kira smettesse di ripulire il suo Nuovo Mondo per essere
felice col
suo peggior nemico.
Perciò,
dato che era sbagliato di per se, non potevo far altro che
accontentarmi di
quello che mi veniva offerto…
Sorridevo,
di quella serenità, così strana…
sapendo che non sarebbe durata, come al
solito…
…
Poi,
caldo.
Tanto,
tantissimo caldo.
Che
mi soffocava, e mi rendeva impossibile il respiro.
Vedevo
tutto sottoforma di vapore acqueo, il tuo viso sorridente si faceva
meno
vivido, e io annaspavo in quel calore innaturale che mi aveva
circondato…
…
Balzai
fuori dalle coperte, che mi sotterravano nel piccolo lettino singolo.
Ero
sudato, la fronte grondante.
Dapprima
strinsi gli occhi, troppo deboli e abituati al buio per abituarsi
subito
all’accecante luce del giorno, e troppo stanchi per il sonno.
Poi li riaprii, a
fatica, guardandomi attorno.
Ero
nella stessa camera di prima, quella dove io e te avevamo coabitato,
risvegliato dopo un sogno.
O
forse un incubo?
Accanto
al letto, c’era un vassoio carico di dolci e una tazza di tea
ormai fredda,
sicuramente portato da Watari.
Ma
il tuo viso sorridente non c’era più. Come mi
aspettavo, dopotutto.
Eri
stata una visione. Una splendida, bellissima, impossibile visione.
Avrei
dovuto rendermene conto, prima o poi.
La
vita non era un film… la mia non era neanche vita, se era
per questo.
Trattavo
casi della peggior specie, entrando nelle vite di ogni genere di
persona,
osservando e analizzando da vicino ogni cosa, circostanza, affare,
dalla più
irreale alla più umana.
Eppure
non avevo ancora capito come andava il mondo.
Io
per primo avrei dovuto saperlo, visto il tipo di lavoro che svolgevo,
ma
nonostante ciò per me solo le vite degli altri erano crude,
dure, difficili, e
la mia chiusa in una teca di cristallo, tra i vizi e
un’infelicità che non
potevo permettermi.
Alzai
a fatica la testa pesante, i ciuffi di capelli neri che mi coprivano
gli occhi,
quasi incapace di muovermi.
Avevo
le mani intorpidite e deboli, la schiena che doleva.
Ecco
l’effetto che mi faceva dormire troppo. Sbuffai sonoramente.
Dovevo
svegliarmi per bene, tentando di ricostruire i miei pensieri prima del
sonno.
Le
immagini si formavano nella mia testa, seguite da suoni e fatti,
ricomponendo
tutto ciò che quel dormire mi aveva fatto dimenticare.
E
per prima cosa non mi ricordai di Kira, delle indagini, dei
sospetti…
No.
Per
prima cosa, mi ricordai di te, di come ti avevo trattato, in che modo
dovevo
farmi perdonare.
Un
campanello trillava nella mia mente.
Avrei
dovuto trovarti, parlarti, scusarmi per quel comportamento idiota nei
tuoi
confronti…e nei miei.
Certo
che dovevo farlo. Almeno ti spettava una spiegazione...
Eppure...in
realtà no.
Non
avrei dovuto.
Sapevo
che era sbagliato, che lasciare le cose così ci avrebbe
allontanato e quindi L
e Kira sarebbero tornati padroni di se stessi, com’era giusto
che fosse.
Ma
a quel punto cos’era il giusto e lo sbagliato?
Cosa
significava la parola ‘Giustizia’, in un mondo dove
regnava un Dio che in
realtà era il più umano tra gli uomini?
Chi
poteva permettersi di praticare il buono, in un posto dove la vita
umana aveva
un prezzo inferiore a qualsiasi oggetto?
Si,
a questo si era ridotto il Mondo… un luogo senza giustizia
né pace, un
surrogato dell’Inferno.
E
per questo dovevo rinunciare alla mia felicità?
Ovviamente
no.
Per
una volta, decisi, L sarebbe stato egoista e menefreghista.
Era
sbagliato?
Non
me ne importava assolutamente nulla.
Come
alla gente non fregava niente della crudeltà che albergava
in ogni disgustoso
anfratto di mondo, io me ne infischiai di quanta giustizia
può esserci in un
amore tra due nemici letali.
Non
mi preoccupai neanche delle mie condizioni. Scesi velocemente dal
letto, corsi
fuori dalla camera e mi fiondai in Sala Computer, dove di solito si
riunivano
tutti.
Dovevo
vederti, parlarti… Non potevo più sopportare
l’idea che tutti gli orribili
pensieri che ti eri fatto su di me stavano diventando sempre
più concreti.
Io
non ero così.
Io
ti amavo, anche se mi ostinavo a negarlo.
E
tu ne dovevi avere la prova. Costi quel che costi, me ne fregavo di che
fine
avremmo fatto. Tu dovevi sapere che il tuo Ryuzaki, il gemello buono
dello
spietato detective, ti amava come nessuno.
Perché
questa era la pura e semplice verità.
Ma
quando mi avresti detto la tua?
Ero
solo io il cattivo della situazione?
Corsi
la scalinata senza fermarmi, tutta d’un fiato,
finché non mi trovai di fronte
alla Sala.
Spalancai
il portone di metallo grigio.
Tutti
i presenti si voltarono.
“Ryuzaki!”
Mi
guardai attorno, osservando i volti di tutti gli uomini scrutandone le
espressioni e gli occhi, come per capire dove ti stessero nascondendo
da me.
No, tu non eri li.
Quell’affusolato
viso pallido, impreziosito dai sottili occhi del colore
dell’ambra più pura,
non degnava il posto della sua presenza. Tutti cominciarono a
tempestarmi di
domande senza senso, che neanche ascoltavo, su come stavo e del
perché ero in
piedi.
Io
scattai verso di loro, i grandi occhi spalancati, con un viso a
metà tra il
preoccupato e il rabbioso.
“Dov’è?”
mi limitai a chiedere velocemente, con un tono che non ammetteva
repliche.
“Chi??”
“Light!
Devo parlargli!”
Tutti
rimasero zitti, in silenzio.
Quasi
volessero realmente nascondermi qualcosa.
Il
punto era… cosa?
Abbassarono
lo sguardo. Matsuda iniziò perfino a sudare.
Prevedevo
guai.
“Ryuzaki…”
Tuo
padre mi guardò serio, con il tono del medico che deve dare
brutte notizie ai
parenti del paziente.
“Posso
sapere dov’è Light-kun si o no?” sbottai.
Il
sovraintendente Yagami si avvicinò lentamente a me, con una
vaga tristezza
nello sguardo, perennemente puntato al pavimento. Un passo dopo
l’altro, in
silenzio, mi portava lentamente novità che potevo aspettarmi
tragiche, e i suoi
sguardi erano lame, che mi uccidevano piano…
Mi
appoggiò una mano sulla spalla, infine. Vicino, vicinissimo,
tanto che potevo
vedere le rughe formarsi su quella fronte arricciata e cupa, e le
labbra creare
una smorfia amara.
“Light
ha deciso che se ne va.”
Silenzio.
Per
dei secondi interminabili, nessun effetto acustico osò farsi
sentire.
Attimi
quasi innaturali di staticità e quiete. Tutti immobili,
fermi, incapaci di
emettere suoni.
Non
mi ricordo bene cosa provai in quel momento.
Tristezza…
Rammarico… Infelicità?
No…
Forse
di più, nella mia mente, premeva la dura consapevolezza
della realtà.
Me
lo aspettavo.
Era
come se un incubo assopito, di cui non mi ero ancora accorto
dell’esistenza, si
fosse svegliato nel momento meno opportuno.
Perché
dopotutto quell’opzione c’era sempre stata, solo io
non me ne accorgevo.
Tu
non eri di mia proprietà.
Nulla
ti legava più a me, ormai. Non le prove, non i sospetti, non
l’affetto. Neanche
una catena.
Eri
stato scagionato, eri libero di andare dove ti pareva…
potevi anche viverti la
tua vita dall’altro capo del mondo, come probabilmente
avresti fatto.
Nemmeno
il tuo prezioso caso Kira ti tratteneva.
Forse
non ti importava neanche più di essere scoperto da
me…
O
forse sapevi già che io avrei rinunciato al batterti?
Rimasi
freddo, immobile. Abbassai giusto per un attimo le grandi iridi nere,
senza
esprimere alcun sentimento o emozione.
Una
macchina. Mi ero tramutato in un computer.
Questo
era L, senza il suo Raito.
“Capisco.”
sussurrai.
“Ryuzaki…
Sai…Vuole andare a vivere con Misa, forse si sposeranno. E
poi…Dice che gli
dispiace per il caso, ma… Ha detto che a questo punto il suo
aiuto non serve
più, finché ci sei tu…”
Portai
un dito alle labbra. “Già. Finché ci
sono io.” sussurrai.
E la mia voce, già solitamente roca, si incupì
ancora più del solito,
provocando un suono strano e triste che non saprei neanche come
definire.
I
presenti si limitarono a fissarmi, senza capire, guardandomi arretrare
e
ritornare sui miei passi, con lentezza esasperante.
“Ehm..!”
si fece avanti Matsuda, un finto sorriso preoccupato sul volto.
Stupido.
“Abbiamo cercato di trattenerlo, sai! Gli abbiamo detto che
la sua presenza era
importante… che anche tu ci saresti rimasto male,
ma…”
“La
smetta, Matsuda. Va bene così.” mormorai,
abbassando lo sguardo.
Il
mio sguardo si era fatto ancora più gelido del solito,
dicendo quel ‘va bene
così’.
No,
non mi andava bene. Per nulla.
Ma
cosa avrei potuto fare? L’egoismo arrivava fino ad un certo
punto… Se tu non mi
volevi più era inutile rovinarti la vita in quello stupido
tentativo di amarti,
quando sapevo che era perfettamente impossibile.
Mi
veniva da piangere, già. Ma mi trattenevo, a fatica,
ricacciando le lacrime con
quell’espressione amara e malinconica che tanto si addiceva a
me di solito, e
ancora di più in una situazione come questa.
Io
ero L. Non potevo piangere.
Mi
ritirai lentamente dalla sala, ignorando tutti gli occhi puntati
addosso a me,
chiudendomi la porta alle spalle e incamminandomi nuovamente verso la
mia
camera.
Anzi,
la nostra camera.
Che
ormai di tuo non aveva niente, se non le impronte digitali sulle
manette
argento.
Ritornai
davanti all’entrata dell’ambiente, quello che era
stato per un po’ il nostro
piccolo mondo, che per me era molto più di un posto dove
dormire.
Io
in quelle notti, Light, non ho mai dormito…
Ascoltavo
il tuo respiro, calmo e regolare, e la pace che ti illuminava, fintanto
che non
eri un assassino.
Aprii
la porta di scatto.
La
stanza era vuota e bianca come pochi minuti prima, il silenzio che la
riempiva
era capace di traforare timpani tanto fosse estenuante.
Il
cuore mi batteva. Forte, fortissimo.
Nell’aria
si respirava ancora il tuo profumo, il buon aroma di Light, quello che
impregnava l’ambiente. Sapeva di dolce, quasi zuccheroso,
mischiato con un
amaro acerbo.
Il
sapore più buono del mondo.
Il
sapore che, mi resi conto, non avrei mai più potuto
assaggiare da te, dalle tue
labbra.
Quell’odore
mi entrò nelle narici, lo inspirai più che potei,
quasi fosse una potente
droga…
E
in effetti lo era, esattamente come lo eri anche tu…
Mi
portai lentamente al letto sfatto dove avevo dormito, che di regola nei
mesi
della catena era il tuo. Dicevi che era un po’ stretto per
te, che eri abituato
al letto matrimoniale.
Sarebbe
stato bello, adesso, poter dormire insieme, in un letto spazioso e
tutto per
noi…
Ma
ormai, sinceramente, fare l’amore con te era
l’ultima tra le mie preoccupazioni.
Che
importava, a questo punto?
Mi
sarei accontentato delle liti, degli sguardi furiosi, di pugni e calci,
di
silenzi angoscianti pur di averti vicino a me, come sempre, il solito
sorriso
troppo finto e troppo bello che ti illuminava.
Mi
sedetti sul materasso, accovacciato nella mia solita inusuale
posizione, gli
occhi corvini puntati per terra.
Sentivo
che non era ciò che volevo. Lasciarti andare, farti
abbandonare il caso,
abbandonare me non era affatto
ciò
che desideravo…
…
ero sicuro che c’era ben poca giustizia nel voler salvare il
mondo, privandosi
però della libertà di vivere.
E
io, con le mie stesse mani, la stavo togliendo sia a me che a
te…
Eppure
ormai non ti potevo più imporre nulla. Anzi, avrei solo che
dovuto farmi
perdonare, per la brutale maniera in cui avevo cercato di mettere fine
a tutto…
quando poi ero io il primo che non tolleravo la nostra separazione.
Che
stupido ero stato.
Tutto
per che cosa, infine?
La
Giustizia?
Che
cos’era la Giustizia? Ormai non esisteva più,
veniva offuscata dall’egoismo
delle persone, che volevano vivere serenamente la propria vita
fregandosene di
quella degli altri.
E
perché l’ultimo idiota a praticarla ero io, quando
io per primo non ne avevo
mai ricevuta?
Con
questi ideali tanto buoni e giusti mi stavo uccidendo da
solo… mi stavo
allontanando da te… mi stavo distruggendo. Presto sarei
morto, per quella che
chiamavano onestà.
Allungai
la mano verso il comodino, dove nel cassetto semiaperto brillava ancora
l’oggetto in metallo che per tanto tempo avevo dimenticato.
O
voluto dimenticare?
Lo
estrassi, da quella scatola di legno ammuffito.
Erano
manette. Comunissime manette, di una lega resistente, unite da una
catena lunga
più di
Pesanti,
a reggerle così… eppure non mi avevano mai dato
alcun fastidio, per tutto il
tempo in cui le avevamo usate.
Dopotutto
erano un modo per tenerti con me, come potevano infastidirmi?
Nonostante
in quei tempi non avrei mai ammesso di provare alcun sentimento per
te…in
verità li provavo eccome, e quella ne era la prova.
Li
avevo sempre provati.
E’
vero, Light. Io ti ho sempre amato, cosciente o no di questa
verità.
Da
quando ti avevo incontrato quel giorno
all’Università, o quando ti avevo
sfidato a tennis e mi avevi battuto…
Ti
avevo sempre ammirato per l’impeccabile perfezione di Yagami,
ti avevo sempre
temuto per le studiate bugie di Light-kun, ti avevo sempre odiato per
la crudele
mentalità di Kira…
e
ti avevo sempre amato, per l’umana essenza di Raito.
Ed
ora?
Dove
venivano buttati, tutti i sentimenti che provavo per te?
Neanche
l’astio per il tuo legittimo nemico ti faceva restare qui?
Mi
ero indebolito a tal punto, da non essere nemmeno considerato un
avversario
degno, grazie a te?
Si,
era così.
A
dimostrarlo erano quelle piccole, insignificanti e stupide lacrime, che
mi
inumidivano gli occhi tutte le volte che nella mia mente si
materializzavano i
contorni del tuo viso o il colore dei tuoi occhi.
Le
stesse lacrime che mi sentivo di dover piangere in quel momento, eppure
che non
avrei versato.
Era
inutile ormai disperarsi, no?
Stava
accadendo proprio ciò che avevo desiderato.
Mi
stavo allontanando da te. Così in poco tempo avrei
dimenticato il tuo
stupidissimo amore, e ti avrei potuto giustiziare e condannare,
incolpandoti di
essere l’assassino che cercavo, non il ragazzo che avevo
amato.
Eppure
non potevo fare a meno di pensare che non fosse giusto,
che non poteva finire così tra di noi.
Che
tutto ciò che era cominciato era troppo grande per terminare
in quella maniera…
Come
avrei vissuto senza di te?
Ne
ero certo, se tu te ne fossi andato io mi sarei tramutato in un essere
inumano,
neanche capace di provare emozioni e sentimenti, esternando ogni cosa
fuori dal
suo cervello computerizzato.
Oppure,
semplicemente, sarei morto… Ti avrei fatto vincere, divorato
dai sensi di colpa
per il modo in cui ti ho lasciato e incapace di sopravvivere a questo
mondo
senza più la mia ragione di vita.
Almeno
della vita che desiderava Ryuzaki.
…
Ma
perché terminare un’esistenza così?
Perché, in quel modo così inutile?
Il grande L, ucciso non dal Male,
non dalla
Cattiveria, non dall’Ingiustizia… nemmeno ucciso
da Kira. Ma bensì, ammazzato
dai propri incontenibili stupidi sentimenti.
No,
non poteva finire così. Non potevo lasciarti andare.
Forse
era solo egoismo che mi spingeva a scendere da quel letto e andare a
fermarti,
ma qualunque cosa fosse ero stanco di essere sempre il bravo
ragazzo della situazione, quello che doveva sacrificare la
propria vita per gli altri.
Si,
battere Kira era una cosa che andava fatta.
Kira
era malvagio. Andava giustiziato.
Ma
per una volta, o forse per l’ennesima, estromettere e
diversificare quel lurido
assassino dalla pura perfezione di Light era la cosa giusta da fare.
Giusta
per me, o per noi, quantomeno.
Nonostante
Kira fosse innegabilmente padrone di Raito, e su questo non
c’era alcun dubbio.
Senza
neanche rendermene conto ero in piedi, a
sbattere la porta di metallo e a correre per i corridoi
dell’enorme Quartier
Generale.
Non
sapevo dove trovarti. Forse te ne eri già
andato, e io stavo girando a vuoto per un posto in cui tu non avresti
più messo
piede.
Ma
tentavo. Tentavo disperatamente, cercando di non
perdere l’ultima speranza, di trovarti e convincerti a
restare, rimanermi
vicino, da amico o nemico che fosse.
Perché
non mi importava in che forma ti
presentassi… da bugiardo, da compagno, da
pluriomicida… l’importante in quel
momento era rivedere i tuoi occhi, il bel volto che mi aveva sempre
spaventato
ed eccitato al tempo stesso.
Le
gambe si muovevano da sole, ad una velocità
disarmante.
Volevo
solo…averti un altro po’ qui con me…
Un
altro poco ancora…
Fino…
alla mia morte, almeno…
Tanto,
quanto sarebbe mancato? Settimane? Giorni?
Ore?
Lo
sapevo, una volta lontano da me, avresti
velocemente trovato il modo di ammazzarmi, e senza più
alcuno dei rimpianti che
potevano fermare il solito Raito. Magari avresti usato Misa, o qualcun
altro… Con
una scusa l’avresti mandata qui in visita, avrebbe visto il
mio nome e mi
avresti ucciso facilmente.
Anche
se non era il tuo modo di fare le cose, pur
di farmela pagare sia come L che come Ryuzaki avresti usato qualsiasi
metodo.
Aumentai
la velocità della corsa.
Dovevo
provare a fermarti.
Anche
da un punto di vista egoistico, se tu te ne
fossi andato la mia vita si sarebbe accorciata ancora, di
sicuro… E non volevo
morire sapendo che tu non avevi nessun rimpianto, non volevo morire
senza
averti visto un’ultima volta dopo quella lite…
Diciamola
tutta, non volevo morire senza che tu ne
soffrissi almeno un po’. Volevo le tue lacrime, quelle che
mai Kira
piangerebbe, bagnare la mia lapide al cimitero…
Ero
egoista, lo so.
Certo
che lo ero. Anche costringerti nuovamente
alla mia presenza, alle mie parole, ad una nuova lite che sarebbe
venuta se ti
avessi trovato… anche qui tu avresti sofferto ancora, e solo
per causa mia.
Perché
la nostra storia, il nostro amore era
l’unico che non portava felicità a nessuno?
Se
non in quella effimera e totalmente inutile
maniera, che mi avvicinava a te anche solo per farmi sperare di averne
di più,
di essere ancora contento per un po’, anche se non durava mai
abbastanza… come
un bambino con le caramelle, che ne vuole sempre di più,
sempre di più, fino a
scoppiare.
E
stavo soltanto aspettando di esplodere, Light,
decidendo di morire con tra le labbra la mia ultima dolce caramella, il
tuo
ultimo dolce bacio.
Era
triste, disperato e inutile. E soprattutto,
doloroso. Ma non sapevo reggere nient’altro, L avrebbe
ceduto, avrebbe perso e
si sarebbe concesso fino alla fine la possibilità di
sorridere, anche se quella
non era vera felicità.
Mi
fermai, tirando un lungo respiro,
accovacciandomi con stanchezza e appoggiando le mani alle ginocchia
piegate,
per riprendermi dopo la corsa per le scale. ancora più
stancante con in testa
quei pensieri.
Ero
davanti ad una stanza.
La
tua stanza.
Quella
dove forse
ti avrei trovato, dove forse ti
avrei
parlato, dove forse mi avresti
perdonato.
O
forse quella che avevi già abbandonato, in modo
triste e gelido come con me.
Guardai
la porta.
Era
di legno e metallo, con una chiusura
elettronica come tutte le stanze dell’edificio.
Solo
io, te e Watari sapevamo il codice per aprire
la maniglia.
Feci
un bel respiro profondo, mi avvicinai
all’uscio e, nella casella di inserimento del codice, digitai
il numero 311074,
E
aspettai.
Aspettai,
finché non sentii la serratura emettere
un grossolano e metallico ‘clock’, e vedere la
porta aprirsi. Spinsi il legno
ed osservai.
E
passarono i secondi, i minuti, le ore su quella
visione…
La
tua figura si stagliava imponente, bella,
marmorea e perfetta in tutto il suo splendore, in piedi davanti al
letto, ad
accatastare vestiti dentro un’enorme valigia nera.
La
stanza era completamente vuota; le ante degli
armadi aperti, così come i cassetti, vuoti, e tutte le
mensole svaligiate della
propria oggettistica. C’eri solo tu, ancora per poco
comunque, tu e le tue
valigie pronte per tagliare i ponti con me.
All’aprirsi
della porta tu ti girasti, e mi
vedesti.
Inizialmente
rimasi sorpreso; i tuoi occhi nocciola
si spalancarono, le labbra semiaperte, lo sguardo vuoto e sbigottito.
Poi lo
stupore lasciò il posto al rancore, digrignasti i denti e ti
rivoltasti,
riprendendo a mettere via indumenti per la partenza.
Io
non sapevo cosa dire.
Mi
ero illuso che sarebbe stato come nei film, ti
avrei fermato e tu mi avresti abbracciato, e tutto si sarebbe concluso
con un
bacio e la promessa di non lasciarsi mai, cancellando rancore e
tristezza.
Che
sciocco.
La
tua rabbia, la rabbia di un ragazzo, la rabbia
di un assassino… non poteva sgretolarsi così, non
per me quantomeno. Non mi
meritavo il perdono immediato, io.
Ero
shoccato, non credevo nemmeno di trovarti qui…
eppure eccoti, bello come sempre, acido e crudele, un perfetto Kira con
motivazioni più valide però.
“Light…”
“Cosa
ci fai qui, Ryuzaki?” dissi brusco,
interrompendomi.
Senza
guardarmi negli occhi, senza nemmeno
lasciarmi il tempo di farti capire… anche solo con uno
sguardo… tutto ciò che
provavo per te.