Erano in viaggio
ormai da parecchie ore, e per tutto il tragitto fino a quel momento
compiuto
nessuno all'interno del furgone aveva osato macchiare quel rispettoso
mutismo
scheggiandolo con parole vuote.
Natsu
poggiò la testa nell’acciaio freddo
dell'autovettura, il suo orecchio era ormai
abituato al perpetuo rombare del motore, quel suono riusciva quasi a
distenderlo, a domarlo, e con lui tutta la squadriglia nutriva la
necessità di
colmare l’aria con quel rumore incalzante.
Sapevano che se si
fosse fermato, sarebbero rimasti schiacciati sotto il peso del silenzio
da loro
stessi creato.
Chiuse gli
occhi, e lasciò che una dolcissima e fatale marea lo
levigasse dall’interno,
lasciandolo vuoto come un guscio di pietra.
Niente più
stomaco, o intestino, niente più nervi, niente
più sangue, niente più cuore.
Erano
queste le regole del gioco, e vinceva solo chi non aveva paura di
perdere se
stesso.
Il veicolo sobbalzò nuovamente incontrando un
altro rilevante masso lungo la propria strada.
Con il braccio
destro strinse più forte il fucile, schiacciandolo contro
sé, permettendogli di
entrare nel nucleo del proprio addome. Vi rinchiuse la sua anima.
Nessuno osava
guardarsi negli occhi.
Un’indistinta
quantità di voci barbare e confuse lo svegliarono
bruscamente.
In
quell'istante caotico capì di essersi addormentato.
Si affrettò a rimuovere
un rivolo di saliva posatosi lungo il margine delle sue labbra,
assumendo la
faccia sgomenta di un bambino al quale era stato detratto il pane dal
piatto.
Alzò gli occhi
verso i propri compagni e vide che erano tutti in piedi scalpitanti
sopra di lui,
che fremevano mentre sistemavano al meglio le poche cose da raccattare,
che si
incitavano fra loro intrecciandosi e parlando con voce decisamente
troppo alta
per quello spazio così esiguo.
Spostò lo sguardo
alla sua destra e fissò Gray caricarsi il fucile sopra le
spalle, illuminato
dalla luce accecante di un sole freddo, mentre osservava di fronte a
lui un
punto evanescente, troppo lontano, irraggiungibile.
Lì, immobile come
una statua di marmo, impettito come un imbecille, a guardare qualcosa
che non
c’è.
Sapeva che stava
cercando di ascoltare una risposta muta tra il chiarore dei raggi , che
si
stava specchiando nel vuoto.
In quel
momento Natsu si accorse che il mezzo era fermo, ed il portone aperto.
Troppo marasma
intorno a lui, lo aggrediva tenendolo impigliato con una fastidiosa
rete
astratta; se lo sentiva addosso tutto quel pandemonio, e non sapeva
davvero come
uscirne.
Semplicemente, risentito iniziò a
camminare assieme al suo schieramento come un gregge di pecore ben
addestrato.
Raggiunsero Erza.
Lei spiegò in breve come avrebbero
dovuto muoversi, dettò ordini, e insieme si incamminarono
verso una ripida
collina.
Natsu
seguitò a camminare con gli altri, tenendo gli occhi fissi a
terra e
sforzandosi di non ciondolare le braccia. Sentiva ancora la puzza del
viaggio
sotto le narici. Gli veniva da vomitare.
Con
entrambe le mani si aggrappò al fucile premuto contro la sua
spalla.
Quanto
odiava i mezzi di trasporto.
Arrivati sulla cima della collina, Erza
si guardò intorno, tirò fuori da una tasca una
cartina geografica e la scrutò
attentamente. Si trovavano a circa trenta chilometri da una
città in cui,
sapeva, avrebbero trovato null’altro che ceneri. Ma
lì erano diretti.
Rammentando le coordinate datele all’inizio
della missione da parte del Generale delle Forze Armate, chiuse
frettolosamente
la piantina, riponendola nella tasca dei pantaloni mimetici, e si
diresse ad Ovest
avanzando verso una boscaglia e comandando ai suoi sottoposti di
riprendere la
marcia.
Dopo aver
aspettato che il suo stomaco la smettesse di turbinare, Natsu raggiunse
Erza
alla testa del gruppo, e le chiese: « Dov’è
Gajeel?
»
Lei rispose
affaticata, tra un passo e l’altro: « Con Laxus, in un’altra città. »
« Che?! »
« Con Laxus,
in un’altra citta! »
« Ho sentito,
ma…»
« Non provare a
discuterne. Il capitano avrà avuto le sue ragioni per
volerlo con sé. »
Natsu si fermò di colpo. Erza lo lasciò
indietro.
« Cazzo, ha
iniziato
anche a piovere.
»
Quella rimostranza
proveniente da un soldato della loro stessa schiena esortò
gli altri a guardare
il cielo.
In pochi minuti
la terra venne completamente irrigata.
Che spettacolo magnifico la
pioggia.
Ha il potere di ampliare i sensi, di appannare la
vista, ma è per questo che è bella.
Dona un paesaggio nuovo, ricco di suoni ovattati, di
odori segreti.
Può accarezzarti cullandoti come un’amante, o
pungerti
come una vespa indispettita.
Persino il suo nome è poesia.
Così labile, sfuggente, così
misteriosa…
Nessuno capisce il suo segreto finché non giunge alla
conclusione che non c’è nulla da capire.
Poiché solo se l’ascolti ti mostrerà le
sue bellezze.
Solo se l’accogli potrai trarne l’essenza.
E giù, giù verso dune infinite.
Giù, ad occhi chiusi, i piedi ancorati al suolo umido
ed i palmi delle mani distesi verso l’esterno, aperti per
l’inconscio desiderio
di toccare quella fluida figlia della natura.
Giù, per assaporarla con le labbra, che così
incerte
si schiuderanno pronte a riceverla.
Giù, per la gola.
Per sentirsi in pace, per sentirsi vivo.
Giù, tra quelle gocce.
…
Guarda,
guarda
come piove.
Non lo trovi
anche tu uno spettacolo lugubre?.
Sai, sono
convinta che la pioggia riveli tristezza, eppure io non riesco a
smettere di
trovarla affascinante…
Gli esseri umani
la scongiurano continuamente, solo quando si sentono soli fanno di lei
la loro
compagna migliore.
Ma io non voglio
essere così crudele, io non l’ho mai disprezzata.
Al contrario, mi
è sempre piaciuto pensare che la pioggia sia come me.
Già, proprio
come me.
Come me.
L’aria di fine novembre
divenne ancor più fredda di
quanto già non fosse in precedenza.
Un’ acquazzone di quella portata spinse tutti i
soldati al riparo più immediato. Erza si assicurò
di trovare un rifugio
sufficientemente pratico in modo da garantire a lei ed alla sua schiera
di
restare all’asciutto, ma il terreno non offriva depressioni
dentro le quali proteggersi,
così si ingegnò insieme ai suoi uomini nella
costruzione di un bivacco, utilizzando
dei teli tenda forniti dall’organizzazione militare e della
legna smarrita nel
suolo.
Solo Gray rimase fermo nella sua posizione.
Così, fermo.
A fare che?
Niente, a fare niente.
Solo a guardare, a guardare la pioggia dal basso della
sua condizione.
Un mortale che contempla un evento più grande di lui.
Allungò il braccio all’altezza del cuore, ed
aprì il
palmo verso l’alto, aspettando di raccogliere
l’acqua proveniente dal
cumulonembo che lo sovrastava.
In pochi istanti una goccia di pioggia si posò sul palmo
della sua mano, la guardò a lungo, con
un’espressione indecifrabile in volto,
così serio…
Velocemente ne soggiunsero altre, ed in breve divenne
completamente fradicio, ma lui non se ne curò,
continuò ostinato a fissare la
prima lacrima celeste riversatasi sulla sua pelle.
Chissà perché, proprio lì, proprio in
quel momento,
iniziò ad ammuffire di dolore.
Strinse il pugno.
Ripresero
il cammino una volta che la pioggia ebbe finito di battere.
Era il
tramonto, le nubi si erano ormai dissipate, così da
permettere ai colori
scarlatti del cielo di vezzeggiare l’erba alta della terra.
La
squadriglia d’attacco numero 12 giunse ad una vasta radura
stipata di verde, il
clima rigido non li infastidiva, al contrario, fungeva da tonico per
quei visi
stanchi e completava il dipinto che si prospettava dinnanzi a loro.
Un soldato
sorrise leggero. «
Caspita, che bello qui. »
Ma come
ogni storia racconta, la serenità non può
esistere nei campi di battaglia.
L’attimo
dopo fu l’inferno.
Uno scoppio
lancinante piombò improvviso su di loro, frastornandoli e
trasformando ogni
singolo milite in un fantoccio confuso ed affannato.
Ma la
granata proveniente dagli arbusti a Nord-Est li mancò, per
poco.
« Giù!
State
giù!. »
Un’altra
esplosione, questa volta più vicino. Un fragore terrificante.
I più
sfortunati dovettero coprirsi il volto per evitare che qualche scheggia
proveniente dall’ordigno esplosivo li colpisse in viso.
Un
polverone grigio come la paura si innalzò dal terreno e
calò inarrestabile
sulla loro schiera, inghiottendoli con la bramosia di sopraffare ogni
sfumatura
di vita.
Con uno
scatto veloce, si voltò alla sua sinistra.
« Seguitemi,
svelti! »
Rapida
condusse i soldati verso un avvallamento alle loro spalle,
l’unico porto sicuro
in quella situazione così critica.
La selva
era decisamente troppo distante dalla loro postazione, non riusciva
nemmeno a
scorgerne le chiome. Correre fin dentro ai boschi sarebbe stato
indubbiamente rischioso.
E la posta
in gioco era troppo alta.
Dividiamoci.
Voi sei alla mia destra dirigetevi ad ore tre percorrendo questo scavo,
cercate
di aggirare il nemico e di visualizzarlo, ma sempre da una posizione
sicura,
non esponetevi finché non sentirete un mio sparo.
Voi due a
sinistra cercate di contattare i rinforzi utilizzando la
ricetrasmittente, dovrebbe
esserci una squadra d’attacco nelle vicinanze alle nostre
coordinate, cercate
in primo luogo di mettervi in contatto con loro, ed in seguito fate
passare il
segnale.
I cinque
che si trovano alla mia sinistra si dirigeranno ad ore dieci, non
possiamo
permetterci di rimanere scoperti. Nel caso in cui non scorgeste nessuno
nei
paraggi, al mio segnale riassestatevi immediatamente al mio gruppo.
Gli ultimi
quattro laggiù in fondo, che coprano le spalle alla prima
squadra che ho
schierato, rimanete ad una distanza di circa venti metri da loro,
mimetizzatevi
nell’erba e tenete gli occhi aperti, non perdeteli di vista.
State pronti a
lanciare granate nel caso in cui il nemico aprisse il fuoco, lanciate
senza
aspettare un mio segnale, siamo intesi?.
Gli altri
rimarranno con me, li attaccheremo frontalmente.
Le
possibilità di sfruttare il fattore numerico a nostro
vantaggio sono davvero
minime, ma possiamo batterli in astuzia e velocità, se tutto
va come dovrebbe
andare potremmo circondarli ed annientarli.
Non fatevi
ammazzare. Andate!. »
Natsu e
Gray rimasero nascosti all’ombra di Erza.
Erano così
in preda al panico che i loro occhi roteavano frenetici da un polo
all’altro,
con la stessa velocità del battito d’ali di un
uccello in gabbia. Non
riuscivano nemmeno ad udire i loro stessi respiri singhiozzanti.
« State tranquilli.»
Erza li stava guardando in
viso, a tutti e due. Con meraviglia di entrambi dal suo sguardo non
affluivano vibrazioni
autoritarie, tutt’altro, emanava un aurea compassionevole,
quasi materna, ed
avvolta da quel sole scarlatto come i rubini nei suoi capelli,
sorrideva.
Lei, matura sorella
maggiore, ostinata sostenitrice della giustizia, temuta compagna di
giochi dei
giorni passati.
Inarrestabile,
bellissima Erza.
« State
tranquilli, non gli permetterò di farvi del male.»
Parole vane
se pronunciate in un contesto come quello che si affacciava davanti ai
loro
occhi, eppure i due giovani uomini sentivano di dover credere a quel
conforto,
vollero caparbiamente crederci.
Se la possibilità
di ricoprire il ruolo di Caporale fosse stata data a loro, mai
avrebbero
pronunciato quelle rassicuranti parole, non avrebbero rischiato di
battersi il
petto solo per aver voluto sostenere l’animo dei propri
compagni, perché mai si
sarebbero presi la pesante responsabilità di formulare una
promessa che non
erano sicuri di poter mantenere.
Ma Erza era
un grado più in alto rispetto al loro, lo era sempre stata.
E poi così,
come niente, come una cometa, dal suolo esplose un boato.
Il nulla.
Il nulla
più assoluto.
Un
raccapricciante paesaggio morto.
Silenzioso
come il ghiaccio, ed oscuro come l’inferno.
Ogni cosa
era spenta, perché niente esisteva lì dentro, in
quello spazio infinito, eppure
così soffocante.
Forse, un incubo.
Ad un
tratto udì un fischio.
Un fischio
lunghissimo. Un fischio lunghissimo e penetrante.
Di quelli
che si sentono quando la radio è incapace di trasmettere
bene la ricezione.
Un rumore
strisciante ed assordante, così alto che temette gli
perforasse i timpani.
Tutto buio,
solo, quel fischio.
…Che fastidio.
E odore di
terra bagnata, di erba, e di sangue.
Di sangue…
Un
palcoscenico nero, un fischio, una sensazione di caldo opprimente, e
del
sangue.
Avrebbe
dovuto essere altrove.
Lottando
contro la paura di capire, raggiunse infine la consapevolezza di
ciò che lo
avrebbe atteso.
Formulò un pensiero.
È questa la
guerra?. Fa schifo.
E dopo
attimi che sembrarono eterni, finalmente, Natsu riaprì gli
occhi.
Uno scoppio di spari
agghiacciante.
« Caporale,
presto! Si è svegliato...
»
Erza corse
alla svelta verso chi aveva richiamato la sua presenza, chinandosi a
terra
prese un uomo per le spalle, e lo guardò dritta negli occhi.
« Natsu!.
Grazie a Dio stai bene!. »
Ma non lo
sorresse protettiva troppo a lungo, non poté permetterselo.
L’istante successivo
spostò lo sguardo alle sue spalle, e si alzò
dirigendosi verso i soldati
impegnati in un’intermittente sparatoria.
Eppure i
suoi occhi ricaddero spesso su di un Natsu accasciato al suolo,
abbandonato
contro se stesso nella sfumata speranza di riprendere i sensi. Da
lontano gli
urlava tracce di parole, forse un “Alzati”, forse
un “Qualcosa è andato
storto”, forse una
domanda.
E tra tutti
quegli spari Natsu avvertì con orrore una striatura di
incertezza nella sua
voce.
Perfino lei
era rimasta incrinata da tutto quello.
E
poi
accadde, dopo lo scoppio di un’ennesima granata, in
lontananza qualcuno prese
fuoco.
Lui rimase
lì, disteso al suolo come un moribondo, attaccato a quei
fili d’erba come se
fossero nettare per la vita, e si trattenne a guardarlo.
Un suo
compagno bruciante tra le fiamme.
Se non ci
fosse stata una vita inghiottita tra quell’incendio, avrebbe
trovato lo
spettacolo di un incanto disarmante. Fiamme vive che danzavano
flemmaticamente,
con movimenti fluidi, maestosi, magnifiche proiezioni della sua
volontà.
Ma la
bellezza si spezzò nell’attimo in cui
sentì delle grida agghiaccianti tra le
fiamme, che così accese e così furenti stavano
consumando un corpo ormai
esanime.
Una scena
orrenda.
Ma fu a
causa di ciò che era appena accaduto che la rabbia
montò dentro di lui come una
belva inferocita.
Si alzò,
incurante del sangue gocciante dalla testa, dei graffi aperti sul viso
e sul corpo,
incurante perfino
dei muscoli che
faticavano a rispondere alla sua determinazione.
Digrignò i
denti, e svuotò la mente, solo la collera rimase impressa su
di lui come un
marchio a fuoco sulla pelle.
Ansimante,
prese il fucile tra le mani.
Sentendo
ancora quello stridio nelle orecchie.
Vedendo, con
la coda dell’occhio, qualcosa muoversi tra l’erba
alta a circa trenta metri di
distanza, proprio dritto davanti a lui.
E fu quello
il momento in cui decise di lasciarsi tutto alle spalle, perfino se
stesso.
Perché la
guerra è una sentenza senza riscatto, e ad ogni grilletto
premuto corrisponde una
macchia di vuoto nel cuore.
Sparò.
~
Bhe, volevo dire qualcosa, volevo
dire che mi piace scrivere anche se questa storia sta diventando
pesante dal punto
di vista emotivo, che nonostante tutto in questo fandom ci sono dei
confini già
tracciati, ed ogni volta che mi cimento a creare qualcosa di mio ho
paura di
quello che potrebbe venirne fuori.
Personaggi miei, regole mie,
un piccolo Dio, ma ogni volta mi fermo. Anche se sto lavorando per un
progetto
che, molto probabilmente, non pubblicherò qui.
Volevo dirvi che lo scrivere
non ha età, che conosco ragazze più piccole di me
che mi danno non dieci, ma
venti giri, ed un ragazzo, anche lui più piccolo, che
è un poeta. E io non mi
espongo mai troppo a complimenti. Ma c’è anche
l’altro lato della medaglia,
ragazzi che si firmano con l’anno ’93,
che… dai lasciamo perdere.
Volevo dire che a settembre
devo dare 8 esami e mi sento malissimo.
Volevo mostrarvi per la
prima ed ultima volta il mio lato serio, dirvi che non ha senso morire
da
ignoranti, e con ignoranti non miro al livello di cultura personale, ma
ignorare ciò che accade davvero nel mondo.
Voglio farvi capire, con
queste poche righe scritte male, che la guerra è orrenda, e
che purtroppo,
anche se lontano da noi, esiste.
Ed ho capito finalmente il
perché io ci stia scrivendo sopra. Che poi l’ho
sempre saputo. Che di notte
piango perché mi spaventa la mia stessa volontà.
Che da piccola volevo fare il
supereroe, e non lo scrivo al femminile perché è
il nome di una droga e non mi
piace come suona, volevo salvare il mondo, ma crescendo ho capito che
purtroppo
non posso fare il ninja, e non posso comandare né
l’acqua, né soprattutto il
fuoco, che palle, che sfiga, a me ancora oggi piacerebbe comandare il fuoco,
ma non
si può quindi ciao. Come mi smentisco io non lo fa nessuno, alla faccia della serietà... Il fatto è che mi è rimasto incollato
addosso questo assurdo ideale di
salvare il mondo, di salvare, di salvare qualcuno, e
non corrisponde ai mie sogni, al contrario, le due cose
quasi si annullano, ma io so cosa devo fare, e ci credo davvero, e se avrete anche solo un minimo di perspicacia l'avrete sicuramente capito anche voi, ma non voglio dirlo, perché sa di arie, e non voglio, che non c'è niente che mi fa rabbia come ciò che leggo sui giornali, che non riuscirò mai ad esprimere quanto io seriamente devo farlo, al di la delle uscite, delle distrazioni, dello scrivere, e che sto studiando per essere
l’eroe
che ho sempre voluto , così che quando da adulta mi
guarderò allo specchio
finalmente vedrò chi sono davvero.
Che queste cose escono fuori
quando ho molto sonno, e si certo, grazie
se leggerete il capitolo.
E
non credo proprio che
domani cambierò quello che ho scritto qui, a me piace tanto
parlare senza
filtro, buonanotte.
Oggi è domani ed all'inizio ero fermamente convinta di voler cancellare tutto, che questo non è il posto adatto per parlare di certe cose, che ho esposto male tra l'altro, che certi pensieri è meglio se me li tengo per me, ma poi, in effetti, che mi importa? :)