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Autore: PrimaLetteraDellAlfabeto    27/08/2014    1 recensioni
« È da non credere vero? » D’un tratto Mirajane decise di soffiare via il silenzio, e sfoggiò sorriso amaro, falso, sperando dentro di sé che il nemico potesse guardarla.
« In questo momento stanno combattendo, ma ci pensi? Pochi giorni fa eravamo tutti insieme e adesso loro sono laggiù a combattere, a rischiare la vita per noi.
A rischiare la vita...
E noi qui, ferme, ad aspettare. »
Lucy si voltò verso di lei, e vide un volto stanco, marchiato dalla sofferenza, stremato dalla guerra.
La guardò a lungo, e si convinse che una ragazza così bella non dovrebbe mai avere un’espressione smile.
« È frustrante. »
Nonostante le parole sibilate, nonostante il dolore celato dietro di esse, la sua voce risultava ugualmente melodiosa, in ogni sua nota.
Una donna è gentile perfino da ferita.
« Già. »
Genere: Azione, Malinconico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Gajil Redfox, Lucy Heartphilia, Luxus Dreher, Natsu, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Erano in viaggio ormai da parecchie ore, e per tutto il tragitto fino a quel momento compiuto nessuno all'interno del furgone aveva osato macchiare quel rispettoso mutismo scheggiandolo con parole vuote.
Natsu poggiò la testa nell’acciaio freddo dell'autovettura, il suo orecchio era ormai abituato al perpetuo rombare del motore, quel suono riusciva quasi a distenderlo, a domarlo, e con lui tutta la squadriglia nutriva la necessità di colmare l’aria con quel rumore incalzante.
Sapevano che se si fosse fermato, sarebbero rimasti schiacciati sotto il peso del silenzio da loro stessi creato.
Chiuse gli occhi, e lasciò che una dolcissima e fatale marea lo levigasse dall’interno, lasciandolo vuoto come un guscio di pietra.
Niente più stomaco, o intestino, niente più nervi, niente più sangue, niente più cuore.
Erano queste le regole del gioco, e vinceva solo chi non aveva paura di perdere se stesso.

Il veicolo sobbalzò nuovamente incontrando un altro rilevante masso lungo la propria strada.
Natsu riaprì meccanicamente le palpebre, lasciandole sempre un poco socchiuse. Da lontano si sarebbe creduto che fosse un ragazzo solo, quasi arreso, quasi malinconico.
Con il braccio destro strinse più forte il fucile, schiacciandolo contro sé, permettendogli di entrare nel nucleo del proprio addome. Vi rinchiuse la sua anima.
Nessuno osava guardarsi negli  occhi.

 


Un’indistinta quantità di voci barbare e confuse lo svegliarono bruscamente.
In quell'istante caotico capì di essersi addormentato.
Si affrettò a rimuovere un rivolo di saliva posatosi lungo il margine delle sue labbra, assumendo la faccia sgomenta di un bambino al quale era stato detratto il pane dal piatto.
Alzò gli occhi verso i propri compagni e vide che erano tutti in piedi scalpitanti sopra di lui, che fremevano mentre sistemavano al meglio le poche cose da raccattare, che si incitavano fra loro intrecciandosi e parlando con voce decisamente troppo alta per quello spazio così esiguo.
Spostò lo sguardo alla sua destra e fissò Gray caricarsi il fucile sopra le spalle, illuminato dalla luce accecante di un sole freddo, mentre osservava di fronte a lui un punto evanescente, troppo lontano, irraggiungibile.
Lì, immobile come una statua di marmo, impettito come un imbecille, a guardare qualcosa che non c’è.
Sapeva che stava cercando di ascoltare una risposta muta tra il chiarore dei raggi , che si stava specchiando nel vuoto.
In quel momento Natsu si accorse che il mezzo era fermo, ed il portone aperto.
 

Troppo marasma intorno a lui, lo aggrediva tenendolo impigliato con una fastidiosa rete astratta; se lo sentiva addosso tutto quel pandemonio, e non sapeva davvero come uscirne.
Semplicemente, risentito iniziò a camminare assieme al suo schieramento come un gregge di pecore ben addestrato. Raggiunsero Erza.
Lei spiegò in breve come avrebbero dovuto muoversi, dettò ordini, e insieme si incamminarono verso una ripida collina.
Natsu seguitò a camminare con gli altri, tenendo gli occhi fissi a terra e sforzandosi di non ciondolare le braccia. Sentiva ancora la puzza del viaggio sotto le narici. Gli veniva da vomitare.
Con entrambe le mani si aggrappò al fucile premuto contro la sua spalla.
Quanto odiava i mezzi di trasporto.

 

Arrivati sulla cima della collina, Erza si guardò intorno, tirò fuori da una tasca una cartina geografica e la scrutò attentamente. Si trovavano a circa trenta chilometri da una città in cui, sapeva, avrebbero trovato null’altro che ceneri. Ma lì erano diretti.
Rammentando le coordinate datele all’inizio della missione da parte del Generale delle Forze Armate, chiuse frettolosamente la piantina, riponendola nella tasca dei pantaloni mimetici, e si diresse ad Ovest avanzando verso una boscaglia e comandando ai suoi sottoposti di riprendere la marcia.
Dopo aver aspettato che il suo stomaco la smettesse di turbinare, Natsu raggiunse Erza alla testa del gruppo, e le chiese:
« Dov’è Gajeel? »
Lei rispose affaticata, tra un passo e l’altro:
« Con Laxus, in un’altra città. »
«
Che?! »
«
Con Laxus, in un’altra citta! »
«
Ho sentito, ma…»
«
Non provare a discuterne. Il capitano avrà avuto le sue ragioni per volerlo con sé. »
Natsu si fermò di colpo. Erza lo lasciò indietro.

«
Cazzo, ha iniziato anche a piovere. »
Quella rimostranza proveniente da un soldato della loro stessa schiena esortò gli altri a guardare il cielo.
In pochi minuti la terra venne completamente irrigata.

Che spettacolo magnifico la pioggia.
Ha il potere di ampliare i sensi, di appannare la vista, ma è per questo che è bella.
Dona un paesaggio nuovo, ricco di suoni ovattati, di odori segreti.
Può accarezzarti cullandoti come un’amante, o pungerti come una vespa indispettita.
Persino il suo nome è poesia.
Così labile, sfuggente, così misteriosa…
Nessuno capisce il suo segreto finché non giunge alla conclusione che non c’è nulla da capire.
Poiché solo se l’ascolti ti mostrerà le sue bellezze.
Solo se l’accogli potrai trarne l’essenza.
E giù, giù verso dune infinite.
Giù, ad occhi chiusi, i piedi ancorati al suolo umido ed i palmi delle mani distesi verso l’esterno, aperti per l’inconscio desiderio di toccare quella fluida figlia della natura.
Giù, per assaporarla con le labbra, che così incerte si schiuderanno pronte a riceverla.
Giù, per la gola.
Per sentirsi in pace, per sentirsi vivo.
Giù, tra quelle gocce.

 

Guarda, guarda come piove.
Non lo trovi anche tu uno spettacolo lugubre?.
Sai, sono convinta che la pioggia riveli tristezza, eppure io non riesco a smettere di trovarla affascinante…
Gli esseri umani la scongiurano continuamente, solo quando si sentono soli fanno di lei la loro compagna migliore.
Ma io non voglio essere così crudele, io non l’ho mai disprezzata.
Al contrario, mi è sempre piaciuto pensare che la pioggia sia come me.
Già, proprio come me.

Come me.

 

 

L’aria di fine novembre divenne ancor più fredda di quanto già non fosse in precedenza.
Un’ acquazzone di quella portata spinse tutti i soldati al riparo più immediato. Erza si assicurò di trovare un rifugio sufficientemente pratico in modo da garantire a lei ed alla sua schiera di restare all’asciutto, ma il terreno non offriva depressioni dentro le quali proteggersi, così si ingegnò insieme ai suoi uomini nella costruzione di un bivacco, utilizzando dei teli tenda forniti dall’organizzazione militare e della legna smarrita nel suolo.
Solo Gray rimase fermo nella sua posizione.
Così, fermo.
A fare che?
Niente, a fare niente.
Solo a guardare, a guardare la pioggia dal basso della sua condizione.
Un mortale che contempla un evento più grande di lui.
Allungò il braccio all’altezza del cuore, ed aprì il palmo verso l’alto, aspettando di raccogliere l’acqua proveniente dal cumulonembo che lo sovrastava.
In pochi istanti una goccia di pioggia si posò sul palmo della sua mano, la guardò a lungo, con un’espressione indecifrabile in volto, così serio…
Velocemente ne soggiunsero altre, ed in breve divenne completamente fradicio, ma lui non se ne curò, continuò ostinato a fissare la prima lacrima celeste riversatasi sulla sua pelle.
Chissà perché, proprio lì, proprio in quel momento, iniziò ad ammuffire di dolore.
Strinse il pugno.

 

 

Ripresero il cammino una volta che la pioggia ebbe finito di battere.
Era il tramonto, le nubi si erano ormai dissipate, così da permettere ai colori scarlatti del cielo di vezzeggiare l’erba alta della terra.
La squadriglia d’attacco numero 12 giunse ad una vasta radura stipata di verde, il clima rigido non li infastidiva, al contrario, fungeva da tonico per quei visi stanchi e completava il dipinto che si prospettava dinnanzi a loro.
Un soldato sorrise leggero.
« Caspita, che bello qui. »
Ma come ogni storia racconta, la serenità non può esistere nei campi di battaglia.
L’attimo dopo fu l’inferno.

Uno scoppio lancinante piombò improvviso su di loro, frastornandoli e trasformando ogni singolo milite in un fantoccio confuso ed affannato.
Ma la granata proveniente dagli arbusti a Nord-Est li mancò, per poco.
«
Giù! State giù!. »
Un’altra esplosione, questa volta più vicino. Un fragore terrificante.
I più sfortunati dovettero coprirsi il volto per evitare che qualche scheggia proveniente dall’ordigno esplosivo li colpisse in viso.
Un polverone grigio come la paura si innalzò dal terreno e calò inarrestabile sulla loro schiera, inghiottendoli con la bramosia di sopraffare ogni sfumatura di vita.

Erza sibilò mesta tra i denti, fremente di rabbia: « Merda…»
Con uno scatto veloce, si voltò alla sua sinistra.
«
Seguitemi, svelti! »
Rapida condusse i soldati verso un avvallamento alle loro spalle, l’unico porto sicuro in quella situazione così critica.
La selva era decisamente troppo distante dalla loro postazione, non riusciva nemmeno a scorgerne le chiome. Correre fin dentro ai boschi sarebbe stato indubbiamente rischioso.
E la posta in gioco era troppo alta.

Ogni cadetto si acquattò alle spalle del proprio Caporale, nascondendosi tra la vegetazione rigogliosa e selvaggia, ed attese degli ordini che non tardarono ad arrivare.

« Fucili alle mani, state pronti a sparare. La granata proveniva da ore due,  ma non sappiamo quanti, né quali cani dell’Alleanza ci stanno fronteggiando, perciò dobbiamo essere prudenti.
Dividiamoci. Voi sei alla mia destra dirigetevi ad ore tre percorrendo questo scavo, cercate di aggirare il nemico e di visualizzarlo, ma sempre da una posizione sicura, non esponetevi finché non sentirete un mio sparo.
Voi due a sinistra cercate di contattare i rinforzi utilizzando la ricetrasmittente, dovrebbe esserci una squadra d’attacco nelle vicinanze alle nostre coordinate, cercate in primo luogo di mettervi in contatto con loro, ed in seguito fate passare il segnale. 
I cinque che si trovano alla mia sinistra si dirigeranno ad ore dieci, non possiamo permetterci di rimanere scoperti. Nel caso in cui non scorgeste nessuno nei paraggi, al mio segnale riassestatevi immediatamente al mio gruppo.
Gli ultimi quattro laggiù in fondo, che coprano le spalle alla prima squadra che ho schierato, rimanete ad una distanza di circa venti metri da loro, mimetizzatevi nell’erba e tenete gli occhi aperti, non perdeteli di vista. State pronti a lanciare granate nel caso in cui il nemico aprisse il fuoco, lanciate senza aspettare un mio segnale, siamo intesi?.
Gli altri rimarranno con me, li attaccheremo frontalmente. 
Le possibilità di sfruttare il fattore numerico a nostro vantaggio sono davvero minime, ma possiamo batterli in astuzia e velocità, se tutto va come dovrebbe andare potremmo circondarli ed annientarli.
Non fatevi ammazzare. Andate!.
»

Tutti i soldati obbedirono ai comandi senza riversare obbiezioni.
Natsu e Gray rimasero nascosti all’ombra di Erza.
Erano così in preda al panico che i loro occhi roteavano frenetici da un polo all’altro, con la stessa velocità del battito d’ali di un uccello in gabbia. Non riuscivano nemmeno ad udire i loro stessi respiri singhiozzanti.

 « State tranquilli.»
Erza li stava guardando in viso, a tutti e due. Con meraviglia di entrambi dal suo sguardo non affluivano vibrazioni autoritarie, tutt’altro, emanava un aurea compassionevole, quasi materna, ed avvolta da quel sole scarlatto come i rubini nei suoi capelli, sorrideva.
Lei, matura sorella maggiore, ostinata sostenitrice della giustizia, temuta compagna di giochi dei giorni passati.
Inarrestabile, bellissima Erza.
«
State tranquilli, non gli permetterò di farvi del male.»

Parole vane se pronunciate in un contesto come quello che si affacciava davanti ai loro occhi, eppure i due giovani uomini sentivano di dover credere a quel conforto, vollero caparbiamente crederci.
Se la possibilità di ricoprire il ruolo di Caporale fosse stata data a loro, mai avrebbero pronunciato quelle rassicuranti parole, non avrebbero rischiato di battersi il petto solo per aver voluto sostenere l’animo dei propri compagni, perché mai si sarebbero presi la pesante responsabilità di formulare una promessa che non erano sicuri di poter mantenere.
Ma Erza era un grado più in alto rispetto al loro, lo era sempre stata.

 

E poi così, come niente, come una cometa, dal suolo esplose un boato.

 

Il nulla.
Il nulla più assoluto.
Un raccapricciante paesaggio morto.
Silenzioso come il ghiaccio, ed oscuro come l’inferno.
Ogni cosa era spenta, perché niente esisteva lì dentro, in quello spazio infinito, eppure così soffocante.
Forse, un incubo.

Ad un tratto udì un fischio.
Un fischio lunghissimo. Un fischio lunghissimo e penetrante.
Di quelli che si sentono quando la radio è incapace di trasmettere bene la ricezione.
Un rumore strisciante ed assordante, così alto che temette gli perforasse i timpani.
Tutto buio, solo, quel fischio.
…Che fastidio.

E odore di terra bagnata, di erba, e di sangue.
Di sangue…
Un palcoscenico nero, un fischio, una sensazione di caldo opprimente, e del sangue.
Avrebbe dovuto essere altrove.
Lottando contro la paura di capire, raggiunse infine la consapevolezza di ciò che lo avrebbe atteso.
Formulò un pensiero.

È questa la guerra?. Fa schifo.

 

E dopo attimi che sembrarono eterni, finalmente, Natsu riaprì gli occhi.

 

Uno scoppio di spari agghiacciante.
«
Caporale, presto! Si è svegliato... »
Erza corse alla svelta verso chi aveva richiamato la sua presenza, chinandosi a terra prese un uomo per le spalle, e lo guardò dritta negli occhi.
«
Natsu!. Grazie a Dio stai bene!. »
Ma non lo sorresse protettiva troppo a lungo, non poté permetterselo. L’istante successivo spostò lo sguardo alle sue spalle, e si alzò dirigendosi verso i soldati impegnati in un’intermittente sparatoria.

Eppure i suoi occhi ricaddero spesso su di un Natsu accasciato al suolo, abbandonato contro se stesso nella sfumata speranza di riprendere i sensi. Da lontano gli urlava tracce di parole, forse un “Alzati”, forse un “Qualcosa è andato storto”, forse  una domanda.
E tra tutti quegli spari Natsu avvertì con orrore una striatura di incertezza nella sua voce.
Perfino lei era rimasta incrinata da tutto quello.

E poi accadde, dopo lo scoppio di un’ennesima granata, in lontananza qualcuno prese fuoco.
Lui rimase lì, disteso al suolo come un moribondo, attaccato a quei fili d’erba come se fossero nettare per la vita, e si trattenne a guardarlo.
Un suo compagno bruciante tra le fiamme.
Se non ci fosse stata una vita inghiottita tra quell’incendio, avrebbe trovato lo spettacolo di un incanto disarmante. Fiamme vive che danzavano flemmaticamente, con movimenti fluidi, maestosi, magnifiche proiezioni della sua volontà.
Ma la bellezza si spezzò nell’attimo in cui sentì delle grida agghiaccianti tra le fiamme, che così accese e così furenti stavano consumando un corpo ormai esanime.

Una scena orrenda.
Ma fu a causa di ciò che era appena accaduto che la rabbia montò dentro di lui come una belva inferocita.
Si alzò, incurante del sangue gocciante dalla testa, dei graffi aperti sul viso e sul corpo,  incurante perfino dei muscoli che faticavano a rispondere alla sua determinazione.
Digrignò i denti, e svuotò la mente, solo la collera rimase impressa su di lui come un marchio a fuoco sulla pelle.
Ansimante, prese il fucile tra le mani.
Sentendo ancora quello stridio nelle orecchie.
Vedendo, con la coda dell’occhio, qualcosa muoversi tra l’erba alta a circa trenta metri di distanza, proprio dritto davanti a lui.
E fu quello il momento in cui decise di lasciarsi tutto alle spalle, perfino se stesso.
Perché la guerra è una sentenza senza riscatto, e ad ogni grilletto premuto corrisponde una macchia di vuoto nel cuore.
Sparò.

 

 

 

 

 

 

 

 

~

 

Bhe, volevo dire qualcosa, volevo dire che mi piace scrivere anche se questa storia sta diventando pesante dal punto di vista emotivo, che nonostante tutto in questo fandom ci sono dei confini già tracciati, ed ogni volta che mi cimento a creare qualcosa di mio ho paura di quello che potrebbe venirne fuori.

Personaggi miei, regole mie, un piccolo Dio, ma ogni volta mi fermo. Anche se sto lavorando per un progetto che, molto probabilmente, non pubblicherò qui.

Volevo dirvi che lo scrivere non ha età, che conosco ragazze più piccole di me che mi danno non dieci, ma venti giri, ed un ragazzo, anche lui più piccolo, che è un poeta. E io non mi espongo mai troppo a complimenti. Ma c’è anche l’altro lato della medaglia, ragazzi che si firmano con l’anno ’93, che… dai lasciamo perdere.

Volevo dire che a settembre devo dare 8 esami e mi sento malissimo.

Volevo mostrarvi per la prima ed ultima volta il mio lato serio, dirvi che non ha senso morire da ignoranti, e con ignoranti non miro al livello di cultura personale, ma ignorare ciò che accade davvero nel mondo.

Voglio farvi capire, con queste poche righe scritte male, che la guerra è orrenda, e che purtroppo, anche se lontano da noi, esiste.

Ed ho capito finalmente il perché io ci stia scrivendo sopra. Che poi l’ho sempre saputo. Che di notte piango perché mi spaventa la mia stessa volontà. Che da piccola volevo fare il supereroe, e non lo scrivo al femminile perché è il nome di una droga e non mi piace come suona, volevo salvare il mondo, ma crescendo ho capito che purtroppo non posso fare il ninja, e non posso comandare né l’acqua, né soprattutto il fuoco, che palle, che sfiga, a me ancora oggi piacerebbe comandare il fuoco, ma non si può quindi ciao. Come mi smentisco io non lo fa nessuno, alla faccia della serietà... Il fatto è che mi è rimasto incollato addosso questo assurdo ideale di salvare il mondo, di salvare, di salvare qualcuno,  e non corrisponde ai mie sogni, al contrario, le due cose quasi si annullano, ma io so cosa devo fare, e ci credo davvero, e se avrete anche solo un minimo di perspicacia l'avrete sicuramente capito anche voi, ma non voglio dirlo, perché sa di arie, e non voglio, che non c'è niente che mi fa rabbia come ciò che leggo sui giornali, che non riuscirò mai ad esprimere quanto io seriamente devo farlo, al di la delle uscite, delle distrazioni, dello scrivere, e che sto studiando per essere l’eroe che ho sempre voluto , così che quando da adulta mi guarderò allo specchio finalmente vedrò chi sono davvero.

Che queste cose escono fuori quando ho molto sonno, e si certo,  grazie se leggerete il capitolo.

E non credo proprio che domani cambierò quello che ho scritto qui, a me piace tanto parlare senza filtro, buonanotte.


Oggi è domani ed all'inizio ero fermamente convinta di voler cancellare tutto, che questo non è il posto adatto per parlare di certe cose, che ho esposto male tra l'altro, che certi pensieri è meglio se me li tengo per me, ma poi, in effetti, che mi importa? :)

   
 
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