Dovevo riprendere a
pubblicare a Settembre, ma la riattivazione di questo account meritava un
piccolo festeggiamento, così eccomi qui.
Non succederà molto in
questo capitolo, ma vi darà la possibilità di scoprire molte cose e di fare un
passo avanti nella conoscenza di Sofi e del suo passato.
In ultimo, lo dedico
alle mie meravigliose donne:
Cippi Ciop, Ally M., Marti Lestrange, Giulia Esse, Lilyhachi, Pikky.
Capitolo
X
Swim to me, swim to me, let me enfold you
I
am puzzled as the newborn child
I
am troubled at the tide:
Should
I stand amid the breakers?
Should
I lie with death my bride?
Hear
me sing, "Swim to me, swim to me,
Let
me enfold you,
Here
I am, Here I am,
Waiting
to hold you"
This mortal coin, Song of the siren
Quando
Stiles aprì gli occhi, era ancora presto. Sofi dormiva ancora e gli dava le
spalle, rannicchiata tra lui e la parete e con il volto per metà coperto dalle
lenzuola. Era una fortuna che non si fosse svegliata perché aveva tutta
l’intenzione di preparare per lei la colazione migliore che avessi mai fatto.
Sgusciò
via da sotto le coperte e poi le sistemò di nuovo intorno a lei. Sembrava quasi
che la abbracciassero, un po’ come aveva fatto lui per tutta la notte.
Si
accorse che era la prima volta che dormiva con una ragazza, la prima volta che
una donna condivideva con lui una cosa così intima come le sue paure per poi
addormentarsi tra le sue braccia.
Prima
si alzarsi si concesse l’ennesima occhiata alla massa di riccioli disordinato
che erano stati il suo cuscino per tutta la notte.
Sentiva
profumo di lillà ovunque, come se l’odore fosse entrato in lui così
profondamente da non abbandonarlo neanche quando lei era lontana.
Quando
uscì dalla stanza lasciò la porta appena socchiusa, poi si stiracchiò mentre
scendeva le scale.
Al
bancone della cucina c’era suo padre che trafficava alla ricerca di qualcosa.
“Se
stai cercando i tuoi biscotti al cioccolato, sappi che li ho nascosti dove non
potrai trovarli”
Lo
sceriffo alzò gli occhi al cielo.
“Andiamo,
Stiles. Un paio a colazione me li puoi concedere”
“Con
te non è mai solo un paio a
colazione. Ma sarò buono e te li andrò a prendere, ma solo per oggi”
“Grazie,
figliolo. O devo ringraziare la bellezza bionda che dorme nel tuo letto?”
Stiles
arrossì in zona orecchie e zigomi e balbettò una spiegazione sconclusionata a
uno sceriffo ammiccante.
Lasciò
che Stiles si barcamenasse ancora un po’ nel tentare di mettere insieme un
racconto esauriente e solo quando ebbe i suoi biscotti decise che poteva
cavarlo d’impiccio.
“Va
bene così, Stiles. L’ho sentita anche io, stanotte. E non ti chiederò perché è
rimasta a dormire qui invece di tornare a casa. Sinceramente penso di saperlo”
“In
che senso?”
“Mi
faresti una tazza di caffè, figliolo?
“Facciamo uno scambio. Io ti preparo il caffè e tu mi darai un’informazione di
cui ho bisogno”
Lo
sceriffo ci pensò un momento, poi sospirò. Dopotutto, non era nulla che Stiles
non potesse sapere leggendo il giornale locale che aveva dedicato all’ultimo
omicidio un articolo piuttosto lungo in prima pagina, con tanto di intervista a
un paio di agenti del dipartimento.
“Affare
fatto. Ma spero che il tuo caffè sia veramente buono”
Stiles
iniziò a trafficare tra gli scaffali alla ricerca del sacchetto con il caffè e
riempiendo la caffettiera di acqua, poi la mise sul fuoco e continuò a
trafficare per cercare il necessario per preparare la colazione per lui e Sofi.
Avrebbero
avuto pancakes e frutta fresca, yogurt e miele innaffiati da tè proprio come
piaceva a Sofi, ma solo quando suo padre fosse stato abbastanza lontano da non
poter mettere le mani su nulla del genere.
“Allora?”
lo incitò lo sceriffo mentre Stiles tirava fuori uova e farina.
“Ieri
Sofi mi ha detto che l’hai interrogata dopo aver trovato un corpo nel bosco”
“Sì,
è vero”
“Era
il corpo di un ragazzo, giusto?”
“Sì”
“Potresti
dirmi di che colore aveva i capelli?
Farmi una descrizione e mostrarmi una foto, magari”
“Rossi”
mormorò dopo un momento lo sceriffo “Capelli rossi, occhi chiari, pieno di
lentiggini”
Era
la conferma di cui aveva bisogno.
Ci
aveva pensato prima di addormentarsi. Quando era arrivata a casa sua, Sofi
aveva parlato dell’interrogatorio e del ragazzo che le avevano mostrato in
foto, un giovane di vent’anni con i capelli rossi.
Lei
non lo aveva riconosciuto, ma Stiles sapeva per intuito che era lo stesso
ragazzo dei sogni di Sofi.
Non
capiva perché lo facesse e soprattutto perché proprio lei. C’era un legame tra
di loro? Oppure era solo un altro potere di Sofi, comunicare con i morti?
Le
aveva detto di guardare l’insieme, ma Stiles non riusciva a capire perché lo
avesse fatto. Era stato un periodo tranquillo a Beacon Hills: nessuna
sparizione, nessun omicidio strano, nessun mostro in agguato.
Quindi
a quale insieme si riferiva?
Forse
era qualcosa che doveva ancora arrivare, forse c’erano stati dei segni che loro
non aveva visto o collegato, magari qualcosa di apparentemente insignificante o
non troppo insolito che avevano accantonato. Forse li stava solo avvisando che
qualcosa stava per arrivare.
“Stiles,
il caffè!” lo richiamò suo padre e il ragazzo si affrettò a spostare la
caffettiera e a versarne il contenuto in un termos e in una tazza che porse al
padre.
Quando
tornò a versare l’impasto dei pancakes nella padella, si disse che avrebbero
dovuto trovare il modo di interpretare le sue parole. O almeno capire perché
tormentasse le notti di Sofi.
“Figliolo,
io devo andare. Non fate tardi a scuola, mi raccomando”
“Non
preoccuparti, ce la caveremo”
Lo
sceriffo prese il termos che il figlio gli porgeva ed era alla porta quando
venne fermato da Stiles.
“Ehi,
una cosa. Come si chiamava il ragazzo?”
“Martin
Wright. Perché ti interessa? Devo iniziare a preoccuparmi?”
Stiles
fece spallucce “Curiosità. Ciao papà”
L’uomo
gli fece un cenno con la mano e Stiles tornò alle frittelle mentre la porta si
chiudeva. Doveva parlare con Scott della questione, ma sapeva che c’era
un’unica persona che poteva rispondere alle loro domande e trovare un modo per
risolvere ogni dubbio.
Quel
pomeriggio avrebbero potuto andare da Deaton.
Dato
che non c’era altro che potesse fare, per ora, cominciò a sistemare i pancakes
nei piatti poi, in un lampo di ispirazione, prese lo sciroppo d’acero che
teneva nascosto dalle grinfie di suo padre e disegnò una faccina sorridente su
quelli di Sofi.
Stava
sistemando lo yogurt e il miele davanti a uno sgabello quando lei si presentò
in cucina.
Aveva
la maglietta storta sulle spalle, i pantaloni arrotolati intorno ai polpacci e
i capelli aggrovigliati ma, mentre si stiracchiava con le braccia verso l’alto,
Stiles pensò che fosse perfetta anche così.
in
realtà, avrebbe potuto guardarla per il resto della sua vita senza stancarsi, a
prescindere dal fatto che fosse appena sveglia o perfettamente vestita.
Era
quello che c’era sotto la pelle chiara e spruzzata di lentiggini, la luce che
brillava come se fosse fatta solo di quello, ciò che amava. Il resto era un
bellissimo involucro di un’anima altrettanto meravigliosa.
Sofi
veleggiò verso di lui e guardò il tavolo imbandito, poi sorrise appena e si
sporse verso di lui per baciarlo. Sulla guancia, appena un po’ più a destra
rispetto alle labbra.
Sulla
sua pelle c’era anche un po’ del suo profumo, l’odore di libri e limone che
riempiva la stanza di Stiles e lui sorrise.
“Ho
fatto i pancakes”
“Ho
una fame da lupo”
Stiles
alzò un sopracciglio e Sofi arricciò le labbra in un’espressione scontenta.
“E’
più divertente quando c’è Scott nei dintorni. O Isaac” ammise e poi assaltò la
colazione mentre Stiles si sedeva accanto a lei e, tra un pancakes e l’altro,
la guardava.
Rideva
alle sue battute, i suoi occhi erano pieni di pagliuzze dorate che non aveva
mai visto e che sembravano raggi di sole sul mare all’alba.
Era
spensierata e felice e non gli importava quanto sarebbe durata. Anche quando
tutta quella gioia sarebbe scomparsa e le nuvole avrebbero oscurato i raggi di
sole nei suoi occhi, lui avrebbe combattuto per quel sorriso.
Non
l’avrebbe mai lasciata andare.
Gli
tornò in mente quello che aveva sussurrato lei quella notte, come se potesse
dimenticare una cosa del genere.
Posso tenerti con me, Sofi?
Dopo
aver raccontato tutto a Scott e Isaac, avevano deciso di parlare con Deaton
prima che la clinica veterinaria chiudesse, quando sarebbero stati sicuri di
non trovare nessun cliente in sala d’aspetto.
Non
che la clinica chiudesse mai veramente, ma quello era sicuramente il momento
migliore per parlare di cose che nessuno doveva sentire.
La
sala d’aspetto era vuota e l’ultimo cliente, una signora anziana, era appena
uscita con il suo cucciolo tra le braccia.
Ufficialmente,
la clinica avrebbe chiuso di lì a pochi minuti così Deaton uscì fuori con un
sorriso e aprì il cancelletto per loro, invitandoli a entrare.
C’era
il solito tavolo di metallo lucido e gli scaffali, il muro di mattoni e la
finestrella in alto. Lo studio di Deaton era un luogo tanto familiare quanto
legato a ricordi non sempre piacevoli.
“Che
cosa vi porta qui, ragazzi?”
“Vorremmo
farle alcune domande. Su una cosa che non riusciamo a capire” spiegò Scott
“Prego,
fate pure”
“C’è
una persona” iniziò Scott “c’è una persona nelle nostre vite e sembra che lei
abbia un potere”
“Che
genere di potere?”
“Non
è proprio un potere” si intromise Stiles “Sono sogni. Almeno, a lei sembrano sogni, ma secondo noi c’è di
più”
Stiles
voleva che Deaton capisse esattamente la gravità della situazione e la
valutasse nel migliore dei modi perché era di Sofi che si parlava e si fidava
di Deaton abbastanza da mettergli in mano la sua vita, ma forse non quella di
Sofi.
“Cosa
c’è di strano nei suoi sogni?”
“Sogna
persona morte. Tipo gente che non conosce, che non ha mai visto”
Deaton
rimase un momento in silenzio guardando prima Scott, poi Stiles e infine Isaac.
Sembrava che li stesse valutando, come per decidere quanto dire e come dirlo.
“La
persona in questione ha altri poteri?”
“Qualcosa
del genere, sì” si mise sulla difensiva Stiles. Scott gli scoccò un’occhiata
perplessa, ma non disse nulla. Sapeva che Stiles voleva solo proteggere Sofi.
“Che
genere di potere?”
“Fa
qualche differenza?”
“Assolutamente,
tutta la differenza del mondo. Vedete, se potesse solo parlare con i morti, vi
direi che avete a che fare con una sensitiva. Ma se avesse altri poteri, ci
sono molte variabili da prendere in considerazione”
“Sposta
gli oggetti con il pensiero” si intromise Isaac.
All’inizio
era stato un gioco divertente, vedere Sofi attirare a sé oggetti per tutta la
casa e ridere come una bambina che ha appena scoperto un nuovo gioco, ma ora
era terrorizzato da quello che le stava capitando. La maggior parte delle
persone pensava che avessero un’amicizia bellissima e avevano ragione, in
parte. Sofi era tante cose, anche un’amica. Prima di questo, Sofi era la
sorella che non aveva avuto e che era comparsa nella sua vita dopo diciassette
anni di solitudine.
Era
la ragazza che lo proteggeva dagli incubi quando rivedeva il frigo dove suo
padre lo rinchiudeva, la persona che gli accarezzava i riccioli e restava con
lui fino a quando non si addormentava di nuovo e che, il mattino dopo, gli
faceva trovare la sua colazione preferita sul tavolo.
Era
per quella persona che Isaac era lì, la ragazza che amava come una sorella.
“Non
mi importa come si chiami questa capacità, so solo che sposta le cose con la
sola forza del pensiero”
“E
fa questa cosa solo quando sogna oppure ogni volta che vuole?”
“Ogni volta che vuole. Ne sono sicuro” asserì Stiles “L’abbiamo vista tutti
muovere gli oggetti a suo piacimento”
“Questa
è una buona notizia”
“Sa
che cos’è?”
“Non
c’è un nome preciso per queste persone. Non provate a cercare sul bestiario,
non troverete nulla. Immagino che per qualcuno siano streghe, ma è una
definizione sbagliata”
“Quindi?”
“Ho
sentito parlare di poteri del genere. Tra gli Emissari si tende a pensare che
poteri come la telecinesi siano connessi al mondo degli spiriti. In parole
povere, solo quando uno spirito entra in contatto con il medium questi può
usare questa abilità. Ma la vostra amica non appartiene a questa specie e
questo smentisce milioni di teorie al riguardo”
“E
cos’è?”
“Probabilmente
qualcosa che non ha nome, solo una persona con dei poteri”
“Come
una mutante? Come quelli di X-men?”
domandò Stiles guardandosi intorno. Deaton accennò a un sorriso.
“No.
E’ una cosa innata che possiede, non una mutazione del suo dna. E’ solo lì, una
cosa che è parte di lei. Non è la prima che incontro, anche se è la prima capace
di spostare la materia”
“Quindi
come funziona esattamente? Semplicemente può farlo? E cosa c’entra con i sogni
e le persone morte?”
“Ci
stavo arrivando. Avete mai sentito dire che la mente è l’arma migliore di
ognuno di noi? E’ letteralmente lei che controlla tutto. La telecinesi della
vostra amica è una manifestazione di questa energia mentale”
“Quindi
ognuno di noi potrebbe farlo?”
“No,
assolutamente no. E’ molto più complicato di come lo sto spiegando io, ma è per
farvi capire. Ci sono tanti altri fattori che concorrono a dare a certe persone
i loro poteri. A volte capita che questi altri
fattori diano loro altre capacità. Quella di parlare con i fantasmi
potrebbe derivare da un’empatia fuori dal comune”
Ci
fu un momento di silenzio, come se i tre ragazzi stessero assimilando tutte
quelle informazioni. Fu Isaac il primo a parlare. Se Stiles era fiducioso e
Scott un po’ orgoglioso di ciò che era Sofi, Isaac era solo terrorizzato che
questa cosa si ritorcesse contro di lei. Forse non subito, ma magari un giorno
l’avrebbe spezzata. Cosa sarebbe successo se uno di loro fosse morto e tornato
a perseguitarla nei suoi sogni? Quello l’avrebbe distrutta più di ogni altra
cosa.
“Quindi
ogni persona morta la tormenterà per sempre nei suoi sogni?”
“No”
lo rassicurò Deaton con un sorriso “Non è così semplice. In teoria non posso
darvi informazioni certe. Ogni persona come la vostra amica è unica e speciale,
ma in linea di massima, chi può entrare in contatto con i morti nei sogni deve
rispettare delle condizioni”
“Di
che tipo?” si informò Scott.
“Il
solo fatto di voler comunicare con qualcuno non basta. Non potrebbe mai evocare
l’anima di un defunto dal nulla. E’ come una comunicazione tra due finestre:
devono essere aperte entrambe perché possa avvenire”
“E
come si fanno ad aprire?”
“Come
si aprono le finestre, Isaac? Volontà, ma deve essere reciproca altrimenti la
vostra amica si troverà in una terra di nessuno, a bussare a una porta chiusa.”
“Ipoteticamente
parlando, quindi, potremmo provare a metterci in contatto con il ragazzo che
sogna ogni notte. Sofi potrebbe parlarci” chiarì Stiles.
“Sì,
certo. Se lui è lì, è perché lei ha aperto una finestra”
“Ma
lei non sa chi sia, ha perso la memoria. Il ragazzo è un perfetto estraneo”
Deaton
sorrise con condiscendenza verso Scott. Voleva bene a tutti loro, ma a volte
non capivano.
“Forse
non ricorda, ma lo sente comunque. La forza degli affetti umani è tale che
perdere la memoria non cambia nulla. E’ la sua anima, il suo spirito, che cerca
l’altro e lo riconosce come qualcuno di caro. Questo vale più di ogni ricordo”
A
quel punto Scott, Isaac e Deaton immaginarono scenari e eventualità, modi per
permettere a Sofi di entrare in contatto con Martin, ma la mente di Stiles era
da un’altra parte.
Lui
pensava a lei, a come avrebbe reagito nel sentire che una persona che
conosceva, che probabilmente aveva amato, era morta e lei neanche lo ricordava.
Le avrebbe spezzato il cuore?
Voleva
tutto tranne quello. Eppure lei doveva parlare con lui, Stiles lo sapeva. Non
solo per capire contro cosa volesse metterla in guarda, ma perché doveva dirgli
addio.
Se
era vero quello che Deaton aveva detto, quella poteva essere l’unica e l’ultima
chance per Sofi di dire addio.
Quando
uscirono dalla clinica, Stiles lesse negli occhi di Isaac e Scott la sua stessa
paura, le stesse esitazioni. Ma tutti e tre sapevano che Sofi meritava quella
possibilità.
Poteva
essere l’unico modo per avere indietro un pezzo del suo passato, anche se
avrebbe dovuto lasciarlo andare subito dopo.
Non
sapeva cosa fosse peggio. Non avere nulla o prenderne un pezzo e poi perderlo
subito dopo.
Ma
forse lo avrebbero scoperto fin troppo presto e Stiles avrebbe preferito che ci
fosse un altro modo.
Uno
che non potesse ridurre Sofi a un mucchio di cocci perché una cosa spezzata non
sarebbe mai tornata più come prima e Stiles lo sapeva meglio di chiunque altro.
“Quindi
devo solo addormentarmi? Tutto qui?”
Sofi
tirò le ginocchia al petto e vi posò sopra il mento guardando i tre ragazzi con
un misto di scetticismo e perplessità. Non che non si fidasse. Il problema non
era che poteva fallire miseramente, anzi: poteva funzionare fin troppo bene.
Non
sapeva cosa la aspettava dall’altro lato, né se la finestra di Martin era
ancora aperta. Magari l’ultima volta che lo aveva sognato, la notte precedente,
era stata davvero l’ultima e non sarebbe tornato.
Martin.
Assaporò
il suo nome sulle labbra e si chiese quante volte lo avesse pronunciato
nell’altra vita, con che intonazione, con quale cadenza. Lo aveva amato?
Odiato? Era stato il suo migliore amico? Oppure un’amante?
Martin
riapriva cassetti pieni di domande che non esprimeva mai e che ora le
affollavano la mente.
C’erano
momenti in cui diventavano così ingombranti da occupare tutto lo spazio.
C’era
un’unica cosa che la teneva ancorata alla realtà ed erano i tre ragazzi davanti
a lei: Scott che si era seduto sulla poltrona che aveva portato dalla sua
stanza, Isaac che si era sistemato ai piedi del suo letto e Stiles, seduto in
fondo al materasso con le gambe incrociate.
Uno
a destra, l’altro a sinistra e uno al centro, un’imitazione quasi perfetta di
un muro, come se volessero proteggerla da qualunque cosa provasse a sfiorarla.
Il loro modo per dire al mondo che se voleva passare, doveva fare i conti con
loro.
Erano
l’unica ragione per cui aveva accettato di provare.
Scott,
Isaac e Stiles sarebbero rimasti sempre lì accanto a lei, fino a quando non si
fosse svegliata, e Sofi aveva capito che era come se stessero dicendo che
avrebbero curato tutte le sue ferite.
Si
sistemò meglio sotto le coperte.
“Solo
dormire” le confermò Stiles “Martin compare sempre, giusto?”
“Ogni
volta che chiudo gli occhi”
“Va
bene. Allora devi dormire”
Sofi
annuì e si coricò, rannicchiandosi sotto le coperte tirate fin sotto il naso.
Normalmente quel piacevole tepore e la rassicurante presenza dei tre ragazzi
l’avrebbe aiutata ad addormentarsi, ma sapere cosa la aspettava di lei – non
sapere, in realtà- la manteneva vigile.
“Non
riesco ad addormentarmi” confessò.
“Cosa
possiamo fare per aiutarti?” le domandò Scott alle sue spalle.
“Non
lo so, è una sensazione. Non è come se dovessi solo addormentarmi, c’è troppa
tensione. Forse dovremmo comportarci come se non stesse succedendo nulla di
strano. Dopotutto, sogno Martin da giorni, non
è strano”
“Di
solito cosa fate prima di andare a letto?” chiese Stiles.
“Parliamo.
Beviamo cioccolata, sgranocchiamo cibo spazzatura e parliamo” disse Isaac
alzando lo sguardo verso Stiles.
“Allora
parliamo” dichiarò questi battendo le mani e Sofi ridacchiò.
Fu
Scott il primo a raccontare qualcosa. Disse che quel giorno aveva discusso con
Kira. Lui non discuteva mai con Kira e quello era una specie di avvenimento
biblico. Non riusciva proprio a capire il punto di vista della ragazza, ma Sofi
non dovette intervenire.
Fu
Isaac a spiegargli che l’idea di giocare al laser game a San Valentino non era
esattamente la cosa giusta da dire a una
ragazza e Sofi sorrise.
Il
suo orizzonte era la nuca di Isaac che discuteva con Stiles e Scott. Un giorno,
si disse, un giorno avrebbe trovato la donna perfetta per lui e quella ragazza,
chiunque fosse, sarebbe stata molto fortunata.
E
lei si sarebbe premurata di ricordarglielo sempre perché Isaac meritava una
donna che lo guardasse come lei guardava Stiles, come Scott aveva guardato
Allison e iniziava a guardare Kira, come Lydia guardava Peter, un po’ come se
avessero appena trovato la risposta a ogni domanda e il sole fosse sorto all’improvviso.
E
senza che se ne rendesse conto, allungò una mano per carezzare i riccioli di
Isaac, come per dirgli che c’era qualcuno che lo amava lì, che voleva la sua
felicità più di tutto il resto.
Isaac
sembrò sorpreso, poi si rilassò e si voltò per sorriderle, il suo sorriso un
po’ sghembo che un giorno avrebbe fatto innamorare la donna giusta.
Socchiuse
gli occhi. Ora il chiacchiericcio di Scott e Stiles era solo una litania in
sottofondo mentre il suo intero mondo erano i riccioli di Isaac così morbidi
tra le sue dita. C’era un non so che di ipnotico nel modo in cui le sue mani si
muovevano, nei cerchi che disegnava con i polpastrelli e le unghie corte.
La
luce della lampadina faceva sembrare fuoco dorato e i riccioli danzavano tra le
sue dita, come mille candele ondeggianti.
Quando
la sfiorò con la punta di un dito, l’acqua era gelida, una distesa di un azzurro abbagliante come
non ne aveva mai visti.
In
lontananza, la laguna era chiusa da scogli neri come il carbone e da una coltre
di nubi e vapore che si alzava dall’acqua.
Doveva
fare molto freddo ma lei, con i suoi pantaloncini e la maglietta sbiadita, si
sentiva perfettamente a suo agio.
Davanti
a lei, unica costruzione umana nell’arco di chilometri, c’era un ponte di assi
di legno e una piattaforma ottagonale.
Era
uno strano posto e Sofi aveva la sensazione, guardando la rampa, che avesse un
qualche significato particolare, come se fosse il punto di partenza di un lungo
viaggio tra le nebbie dell’orizzonte.
Le
assi scricchiolavano sotto i suoi passi e sentiva lo sciabordio dell’acqua
sotto i suoi piedi, ma continuò a camminare.
Solo
allora le notò, ma forse erano sempre state lì e lei era concentrata sulla
figura che si era materializzata sulla piattaforma: barchette di legno, piccole
gondole piene di candele che galleggiavano sul mare.
Erano
infinite, si stendevano a perdita d’occhio e probabilmente erano loro a illuminare
la notte, quel cielo stellato ma senza luna che li sovrastava come un mantello.
Si
fermò a pochi passi dal ragazzo, ma lui non si voltò subito. Rimase a guardare
la volta stellata come se cercasse di trovare qualcosa e Sofi immaginò il suo
sorriso entusiasta e la sua espressione imbronciata, chiedendosi con quale
delle due stesse osservando il cielo.
Eppure
non ebbe il coraggio di distrarlo perché una parte di lei percepiva che c’era
qualcosa di importante nei suoi gesti, qualcosa che non potevano condividere.
Alla
fine, il ragazzo si voltò.
E
quando la vide e la riconobbe, si aprì in un meraviglioso sorriso, come se le
stesse dicendo che per tutto quel tempo non aveva aspettato altri che lei.
“Hai
aperto la finestra, Sofi. Ora ti sento” ammise con un sorriso, facendole cenno
di avvicinarsi.
“Ti
piace questo posto?” le chiese.
“Dove
siamo?”
“Non
lo so” ammise con una punta di disappunto “So solo che ci sono stato tanto
tempo fa. Devo averlo amato molto se sono qui ora”
“E
tutti gli altri posti in cui siamo stati?”
“Quelli
erano frutto della tua mente, tuoi sogni. Io sono solo entrato da una porta
secondaria”
“Tu
eri sempre lì”
“Perché
tu mi chiamavi e io ti rispondevo”
Le
bastava. Non aveva bisogno di sapere perché o quale fosse il loro rapporto.
Rimasero in silenzio per un momento, guardando l’orizzonte e la colta celeste
che sembrava confluire nell’imbuto formato dagli scogli.
“Ci
sono tante cose che vorrei dirti ora che posso, Sofi” ammise con un sospiro
sconfitto.
“Avrei
voluto avere più tempo”
“Perché
ora ti sento così bene?” lo interruppe.
Le
altre volte era come se un muro si frapponesse fra lei e suoi pensieri, come se
lasciasse una parte di sé da un’altra parte.
Ora
invece la sua mente era lucida e tutto era limpido come non era mai stato
prima, persino fin troppo vivido.
“Perché
hai spalancato la finestra. Prima era a malapena aperta ed era una vera fatica
parlare con te”
“Come
se ci fosse una parete di vetro tra noi”
“Ma
ora l’hai buttata giù. Non abbiamo molto tempo”
“Perché?”
“Io
devo andare” le disse con dolcezza.
“Andare
dove?”
Martin
le dedicò un sorriso enigmatico e Sofi smise di tentare di capirlo. Lasciò che
la conducesse dove voleva perché sentiva che non le avrebbe fatto male.
Il
ragazzo la guardò mentre fissava l’orizzonte. Sentiva il suo spirito accanto a
lei. Avrebbe voluto che fosse eterno, ma sarebbe finita fin troppo presto. Il
tempo stava per scadere, anche se tu potresti benissimo vivere per sempre in
quella terra di mezzo solo per poterle far visita nei sogni e, magari, trovare
il modo di andare dalla donna che hai amato, solo per rivederla ancora senza
che lei sapesse che era lì. Gli sarebbe bastato fino alla fine dei tempi.
Ma
non sarebbe successo.
“Volevo
solo salutarti prima di andare via”
Sofi rimase un momento in silenzio.
“Non
tornerai più, vero?”
“Non
dopo questa notte. Il mio spirito è rimasto indietro perché voleva dirti addio,
ma ora non ho più nulla che mi tenga qui”
“Potrei
venire con te?”
“Suppongo
che se lo volessi davvero, potresti uscire dalla finestra. Ma perché dovresti?
Ho visto la tua nuova vita ed è bellissima. Ti renderanno molto felice”
Sofi
ne era certa, tanto quanto sapeva di non voler andare con lui. Non c’era niente
per lei dall’altra parte, mentre indietro c’erano Stiles e Scott e Isaac, Kira
e Lydia, Melissa.
All’orizzonte
si accese l’aurora boreale, una profusione di luci rosa e verdi, oro e azzurro
e Martin sorrise. Non faceva altro, come se fosse profondamente felice di
andare dovunque dovesse e l’aurora fosse una vecchia amica che rivedeva dopo
tanto tempo.
“Devo
andare, Sofi”
“Tu
mi hai detto che le navi sono arrivate”
“L’ho
detto. Sono arrivate e voi non ve ne siete accorti, ecco perché l’ho fatto.
Devi capire per poterla fermare”
“Fermare
chi?”
“Chi
mi ha ucciso”
Tutto
smise di muoversi per un momento, anche se Martin lo disse con la massima
tranquillità, come se stesse parlando di un’altra persona.
“Ho
tradito Amy e lei mi ha ucciso”
“Lei
chi?
“Devo
andare, Sofi. Non ho più tempo”
“Chi
ti ha ucciso, Martin” gli chiese con un’urgenza nuova. Sentiva che quel mondo
si sfaldava tra le sue mani, come se stesse collassando su se stesso, ma lei
aveva bisogno di risposte.
“Le
chiamano Vila. Ma non sono la sua
unica vittima, Sofi. Là dov’ero prima ci sono altre persone che sono morte per
aver fatto un errore. Ma tu troverai il modo di far avere anche a loro la pace,
vero?”
Sofi
annuì quando le carezzò una guancia.
Cadde
il silenzio, ma stavolta Sofi era decisa a non romperlo. Anche se le aveva
detto il nome della creatura che lo aveva ucciso e le aveva dato le
informazioni che aveva, Sofi avrebbe voluto non doverlo lasciare andare.
Per
qualche ragione sentiva che non era pronta, che avrebbe voluto trovare un modo
per tenerlo lì per sempre.
Ma
l’aurora stava sbiadendo lentamente e sapeva che non poteva permettere che lui
restasse in quel luogo di nessuno per l’eternità. Doveva andare oltre.
Guardò
verso il basso, verso le lanterne che galleggiavano pigramente intorno a loro.
“Non
essere triste, Sofi. Sto andando in un mondo perfetto”
“Io
non voglio che tu vada via” ammise con un’espressione corrucciata. Martin la
conosceva bene: iniziava con il disappunto e finiva nella profonda tristezza.
Ma lei non doveva essere triste. Lui stava scivolando via, la stessa sensazione
che aveva provato quando era morto. Stavolta però non c’era dolore: era come
perdere consistenza lentamente, ma non aveva paura.
“Sono
morto, Sofi. Ma va bene così, in effetti. Sono stato lì per un attimo, ma è
stato meraviglioso. Ho avuto una vita bellissima, con persone incredibili. Cosa
posso chiedere di più?”
“Chiedi
che non finisca” sussurrò con le labbra che tremava, stringendole forte per non
lasciarsi sfuggire nessun singhiozzo.
Martin
le sorrise e scosse il capo. Avrebbe voluto sfiorarle la spalla, abbracciarla e
sentirsi ancora una volta umano, ma il tempo stava finendo. Martin guardava già
oltre le cose conosciuti, verso un cielo dove non c’erano ricordi, tombe e
dolore.
Fece
un passo avanti, poi si voltò ancora una volta. Sofi lo guardava con gli occhi
pieni di lacrime, ma si costrinse a regalargli un ultimo sorriso,
un’espressione che sembrava dirgli va, io
sono pronta mentre il vento le spostava i capelli sulle spalle.
Era
l’ultima volta che si sarebbe voltato indietro.
“Non
c’è bisogno di dirsi addio” le sussurrò.
Sofi
accennò un sorriso lacrimoso “Ma questo è
un addio, perciò dillo. Dillo e lasciami andare, proprio come io sto lasciando
andare te”
Martin
le sorrise e poi, inaspettatamente, si inchinò davanti a lei con le braccia
aperte, come se si trovasse di fronte a una platea “Mi chiamavo Martin. Avevo
vent’anni quando fui ucciso. Ti auguro una vita lunga e felice”
E
poi le diede le spalle e seguì la strada tracciata dall’aurora boreale senza
mai voltarsi indietro, lasciando Sofi sul molo a guardare i suoi capelli
danzare nel vento e poi venire inghiottiti dai colori dell’aurora mentre lei
restava immobile tra le candele che si spegnevano piano.
Si
accorse che era andato, lo sentì dentro di sé come un sussurro che si placava
piano, un’onda di calore che la lambì appena e le fece chiudere gli occhi per
crogiolarsi in quell’ultimo frammento di Martin.
Poi
tutto finì e le luci intorno a lei, le stelle, le candele, l’aurora, si
spensero piano.
To
be continued