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Autore: Rainbows_Butterflies    27/08/2014    6 recensioni
[Storia ad OC]
Dieci coraggiosi semidei, un antico potere fino ad allora ignorato, decine di ragazzi sfuggiti al controllo dei due Campi ed una profezia che promette sangue.
Quando William Harper viene convocato dal centauro Chirone, stenta quasi a crederci: Caos, il vuoto primordiale, ha deciso che, anche per lui, è giunto il momento di uscire dall'ombra ed agire.
Ma destarsi dalla sua eterna inerzia richiede il dispendio di parecchie energie, che solo una cosa può dargli.
Dal testo:
«Ares ha fatto il tuo nome. Ti vuole schierato in prima linea, per questa battaglia».
[...]«È per questo che sono qui, dunque? Perché mio padre vuole mandarmi a combattere una divinità contro cui non sarei mai in grado di vincere, neanche con settant'anni di addestramento?» chiese allora, con quanta più calma riuscì a mantenere, incrociando le braccia al petto «assurdo. Gli altri penseranno che sono un raccomandato».
Genere: Avventura, Azione, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Gli Dèi, Nuova generazione di Semidei, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 8


Il gruppo di semidei e di Cacciatrici – una trentina di adolescenti inquieti, in tutto – s'infiltrò all'interno di una foresta protetta che pareva sprizzare energia divina da ogni più piccolo arbusto.
I ragazzi camminavano appena dietro a Talia, guardandosi intorno attentamente e cercando di imprimere nelle loro menti ogni più piccolo dettaglio.
Non ne conoscevano il motivo neanche loro, ma tutto, in quel posto, faceva drizzare loro i peli sulle braccia.
A tutti tranne che a William, a quanto pareva, perché il ragazzo continuava a sorridere, arruffandosi i già spettinati ricci biondi e parlottando fitto fitto con Susan.
Nessuno riusciva a cogliere quanto si stessero dicendo, ma sembrava qualcosa di molto personale.
Susan, al contrario di lui, sembrava però sul punto di tornare sui suoi passi e dichiarare che avrebbe aspettato tutti alla jeep, al sicuro da mostri e da divinità probabilmente ostili.
Sem era piuttosto d'accordo con lei, su quel punto. Non aveva alcuna voglia di trovarsi di fronte ad un altro gigante o, peggio ancora, di imbattersi davvero in Eracle. O Ercole, come Altair si ostinava a chiamarlo. Sem era abbastanza certo che, prima o poi, tutta quella confusione tra nomi greci e romani l'avrebbe mandato fuori di testa.
Il figlio di Giove, dal canto suo, camminava vicino a lui, con Rose al fianco e la spada d'oro imperiale che gli ciondolava dalla cintura. Era teso come una corda di violino, come se stesse per incontrare la cosa più orribile del pianeta invece che un suo fratellastro.
Rose doveva continuamente ricordargli di respirare regolarmente.
Dietro di loro, vi erano Skylar e James.
La loro amicizia sembrava essersi rinsaldata parecchio dopo la sana dormita di quella notte, perché non parevano affatto intenzionati ad allontanarsi l'uno dall'altra.
Jonathan aveva cominciato a sentirsi un po' come un terzo incomodo, per cui si era accontentato della compagnia di Brianne, la quale, però, sembrava apprezzare molto più il suo arco che lui.
«È un oggetto meraviglioso» continuava a ripetere la ragazza, fissando l'arma di bronzo celeste appesa alla spalla del ragazzo e sospirando «sembra così letale... un pezzo unico. È davvero un peccato che ce l'abbia un maschio».
Nathan, invece, continuava a sbuffare come un centauro in trappola, guardandosi intorno e corrucciando le sopracciglia.
«Non mi piace questo posto», si lamentò «c'è troppa energia divina, per i miei gusti».
Elle gli rivolse un'occhiata sprezzante, arricciando le labbra color prugna.
«Hai fifa, Ayala?», chiese «i bambini paurosi e piagnucoloni possiamo anche lasciarli qui, ti pare?».
«Divertente, Willow» commentò lui, regalandole un'occhiataccia «hai un senso dell'umorismo davvero contorto, lo sai?».
Elle replicò con una smorfia.
«Okay, proviamo di qua» disse d'un tratto Talia, dopo ore che camminavano senza sosta, svoltando a destra ed abbandonando il sentiero che aveva seguito fino a quel momento «credo di aver visto...».
La voce le morì in gola, e gli occhi blu elettrico le si illuminarono come i fanali di un'automobile.
«Impronte», sussurrò Brianne.
La Cacciatrice non riuscì a trattenere un gridolino di entusiasmo, e Jonathan si chiese se davvero non fosse tutta matta come, durante la discussione della sera prima, aveva sostenuto Will.
I ragazzi avevano concordato con Talia che avrebbero passato la giornata alla ricerca della Cerva Cerinea insieme a loro, poi, se non l'avessero trovata, sia i mezzosangue che le Cacciatrici avrebbero messo da parte la questione.
I semidei avrebbero proseguito per la loro impresa, mentre le Cacciatrici si sarebbero dirette verso New York e l'Olimpo, pronte a dare man forte in caso di attacco nemico.
A quanto pareva, forse, Talia non se ne sarebbe andata a mani vuote.
La ragazza incoccò una freccia nel suo arco.
«Sono impronte fresche» osservò, scrutando con attenzione le forme degli zoccoli caprini impressi nel terriccio «non sono state lasciate più di cinque o dieci minuti fa».
«E tutto questo tu sai dirlo da delle impronte?» domandò Altair, stupefatto.
«Ti sorprenderebbe sapere quante cose si possono dire da un'impronta, fratellino» replicò Talia, in un sorrisetto.
Altair inarcò un sopracciglio scuro, ancora più perplesso.
«No, dai», disse «eri una figlia di Giove, prima di diventare una Cacciatrice?».
«Della sua forma greca», precisò Talia «e sono ancora figlia sua, quindi, dì qualcosa di sbagliato e riceverai il più grande elettroshock della tua vita».
Altair non aveva paura dei fulmini, ma decise che non fosse il caso di far innervosire una come Talia. Era quasi impossibile, ma non voleva rischiare che Giove – o Zeus – preferisse Talia a lui e decidesse che la sua immunità alle scosse elettriche poteva anche andare a farsi benedire.
Non ci teneva a finire per odorare di aquila all'arancia bruciata, ecco.
Rose, ancora vicino a lui, ridacchiava sommessamente.
«Andiamo» tagliò corto Brianne, alzando gli occhi al cielo. Poi, afferrò Jonathan per la giacca e lo trascinò via, seguendo le tracce sul terreno.
Lo tirò talmente forte che il figlio di Ecate dovette reggersi gli occhiali sul naso, giusto per evitare che gli cadessero.
Talia li osservò per un attimo con le sopracciglia corrucciate, in silenzio, finché William non le passò accanto e le mollò un pizzicotto su un braccio.
«Andiamo davvero, Talia» disse lui, indicando il resto del gruppo che già si stava addentrando tra gli alberi.
La ragazza fu seriamente tentata di fulminarlo, ma non era certa che il figlio di Ares sarebbe sopravvissuto ad una cosa del genere. Aveva già rischiato di uccidere un altro paio di salvatori – o potenziali salvatori – dell'Olimpo in passato, ma Chirone, allora, non ne era sembrato molto felice. Suppose che fosse il caso di lasciare perdere.


Seguirono le tracce per un'ora buona, poi, finalmente, riuscirono ad individuarli.
Non che fosse stato poi così difficile, una volta che la voce di Eracle aveva cominciato a sbraitare imprecazioni contro il padre in greco antico.
Erano tutti abbastanza certi che non fossero molti gli americani che sapevano parlare quella lingua, per cui non avevano esitato neanche un istante a correre nella loro direzione.
Eracle e la cerva stavano attraversando un ruscello. O, per lo meno, quella era la loro intenzione.
La cerva – un meraviglioso animale dalle corna d'oro e dagli zoccoli di bronzo e d'argento – era ormai dall'altra parte della riva, quasi in salvo, ma Eracle era bloccato sulla sponda opposta.
Una naiade decisamente inferocita gli aveva puntato un dito contro e sbraitava infervorata.
Sembrava una bambina di poco più di dodici anni. Aveva i capelli scuri, lunghi e ondulati come le anse di un fiume, ed i suoi occhi erano di un azzurro talmente chiaro da apparire quasi trasparente.
Sarebbe potuta essere considerata “carina”, ma era talmente arrabbiata che stava cominciando ad evaporare e, invece che arrossarsi dal nervosismo, le sue guance si erano fatte del blu intenso degli abissi marini.
«Non posso permetterti di attraversare questo corso d'acqua», brontolò la ninfa «è escluso. Voi semidei credete di poter fare tutto quello che volete solo perché siete figli di un dio. Ma la sai una cosa, carino? Tu non sei tuo padre o tua madre, o chiunque Ade sia il tuo genitore divino! E non attraverserai questo ruscello!».
Eracle si passò una mano tra i capelli scuri, visibilmente esasperato, mentre la cerva si fermava ad osservare incuriosita.
“Va' via!”, avrebbe voluto gridarle Susan, ma si trattenne.
«Come devo dirti che io sono un dio?», ribatté Eracle «sono Eracle! Sono solo in punizione!».
La ninfa emise una risatina di scherno.
«Come no» disse poi, in tono estremamente sarcastico «e io sono una trota!».
«Odio l'umidità», sbuffò Elle «mi arruffa i capelli».
«Ma se i tuoi capelli sono più lisci della cosa più liscia del mondo» commentò Nathan, inarcando un sopracciglio.
«Piantatela» intimò Rose, in un sibilo.
«Ma che stanno facendo?» sussurrò James, perplesso.
Talia sorrise come un giocatore di poker che sa di aver vinto una partita.
«Kismet ci sta dando una mano», rispose.
«Chi?» chiese Sem, confuso «cosa?».
«La naiade che vedete laggiù si chiama Kismet. È un'amica», sorrise Talia «andiamo a darle una mano».
Talia non aspettò la risposta.
Sgusciò fuori dal suo nascondiglio e puntò una delle sue frecce contro Eracle.
«Hey, tu!», gli gridò.
Eracle si voltò di scatto, ed i suoi occhi azzurri fulminarono la ragazza. Se avesse avuto ancora i suoi poteri da dio, con ogni probabilità, l'avrebbe “fulminata” in maniera molto più letterale.
«Oh, no, non di nuovo!», si lamentò lui «che cosa deve fare un povero dio per riuscire a catturare una stupida cerva?».
Brianne scattò in avanti.
«Non parlare della cerva sacra in questo modo, maschio!», sibilò.
Non aveva ancora smesso ti tirare Jonathan, anzi, adesso lo stringeva saldamente per il polso, come se stesse tentando di trattenerlo dal fuggire via. Non che ce ne fosse bisogno, in realtà.
«Ehm... Brianne», sussurrò il ragazzo «mi stai facendo male».
Brianne lo lasciò, orripilata.
«Ah! Germi di maschio!», esclamò.
Jonathan, per tutta risposta, alzò gli occhi al cielo.
«Volete cacciare questo strano tipo o devo affogarvi tutti?» si lamentò Kismet, stizzita.
«Menomale che è un'amica», commentò Nathan, lanciando un'occhiata a Talia.
«Non puoi affogarci, il tuo è un ruscello minuscolo», osservò Sem.
Kismet assottigliò le palpebre e le guance le si fecero ancora più blu.
«Solo perché sei figlio di un dio e credi di potermi intimidire, vero?», soffiò «be', ti sbagli!».
Sem sbatté le palpebre.
«È solo un dato di fatto» disse, a mo' di scuse.
«Bla, bla, bla. Voi semidei ce l'avete sempre con me. Non vi degnate neanche di pulirvi i piedi prima di passare, ed io sono stufa di dovermi togliere di dosso tutta quella robaccia che calpestate», commentò la ninfa, stizzita «adesso mandate via questo impostore!».
«Non sono un impostore, sono davvero un dio!» si lamentò ancora Eracle, agitando una clava come se volesse batterla in testa a Kismet.
«Ma finiscila!», replicò la ragazzina.
Eracle borbottò qualcosa che somigliò molto a “perché a me, padre?”.
Sem si voltò a guardare Skylar e James.
«Ma sono matti?», chiese.
Skylar si strinse nelle spalle.
«Forse un po'» rispose.
James soffocò un sorriso, ma non si espresse.
«Completamente» fece invece Rose, convinta, portandosi una mano davanti alla bocca per non farsi sentire da Eracle o dalla piccola ninfa.
Altair inarcò entrambe le sopracciglia in un gesto di scherno, dicendosi d'accordo.
«Davvero quello è tuo fratello?» chiese poi Rose, rivolta al figlio di Giove.
«Fratellastro», precisò lui.


«Lascia stare quella cerva, Eracle!» intervenne Susan, stufa di tutto quel battibeccare.
«E il ruscello!», insistette la ninfa «ricordatevi del mio ruscello!».
«Non posso!», sbuffo Eracle «catturarla e portarla da mio padre è l'unico modo che ho per tornare ad essere un vero dio! L'ho fatto arrabbiare, capite? Ce l'ha con me da quando ho cercato di far ammazzare quei due con la nave alle mie Colonne ... come si chiamavano? John e Pam... Penny e Mason... non ricordo! Ma adesso non ho neanche più i miei poteri da mezzosangue! Sono così... mortale!».
«E tale resterai» fece William, in tono pacato ed affabile, totalmente in contrasto con ciò che le sue parole significavano per Eracle.
Quel giorno, lui e Susan avevano parlato talmente poco con gli altri, presi com'erano da chissà quali discorsi, che i ragazzi si stupirono quasi di sentire le loro voci.
Eracle parve accorgersi della sua esistenza solo in quel momento.
«Ah!» esclamò, assottigliando le palpebre «mi hanno già parlato di te».
William non sembrò sorpreso.
Aveva un'aria talmente soddisfatta che, con ogni probabilità, non sarebbe potuto sembrare spaventato neanche se avesse dovuto disinnescare una bomba che avrebbe potuto far saltare in aria sua madre.
«Mi hanno detto che stai guidando un'impresa suicida e completamente inutile», continuò «ed anche che credi di avere sette giorni a disposizione, ma ti sbagli di grosso».
Eracle ottenne l'attenzione desiderata.
Susan assottigliò lo sguardo.
«Che vuoi dire?», domandò.
Eracle rise.
«Lasciatemi attraversare questo stupido ruscello e ve lo dirò», propose.
«No!», strillò Kismet.
«No» ripeté William, incrociando le braccia al petto «prima ci dici cosa sai, poi, forse, ti lasciamo attraversare il ruscello».
«Che cosa?!», strepitò la ninfa «non ti ho dato il mio permesso, semidio!».


Rose non aveva mai desiderato di strozzare qualcuno come in quel momento.
Eracle e Kismet le stavano facendo venire un esaurimento nervoso da clinica psichiatrica.
Si rimbracò le maniche come una lottatrice pronta allo scontro.
«Senti, Eracle» disse, stizzita «parla o ti dovremo spezzare l'osso del collo!».
«Chissà se adesso, senza i tuoi poteri, muori e basta o se ti trasformi in polvere come tutti i mostri», le fece eco Altair.
La diplomazia non era esattamente il loro forte.
«Vediamo cosa succede se si colpisce la testa di un semidio con una mazza, invece», propose Eracle «secondo me, otterrei lo stesso effetto se colpissi un cocomero».
Be', la diplomazia non era il forte neanche di Eracle. Di certo non aveva ucciso l'Idra di Lerna contrattandoci.
Infatti attaccò, roteando la sua clava, diretto verso la figlia di Ermes.
Altair brandì la sua arma, così come il resto degli altri ragazzi, pronto a difendere l'amica, ma non ce ne fu bisogno.
La ragazza sapeva badare benissimo a se stessa.
Schivò la clava e colpì Eracle dritto in mezzo agli occhi con il palmo della mano, ed Eracle si fermò, sbattendo le palpebre.
Sul viso aveva stampata l'espressione di uno che aveva appena sbattuto la faccia contro una porta a vetri che proprio non avrebbe dovuto trovarsi lì.
«Idiota», sbuffò la ragazza.
Non aveva neanche dovuto sfoderare Pantera, la sua spada.
«Bel colpo» fece Altair, stupito «roba da greci?».
«Arti marziali, veramente» rispose Rose, soffocando una risata.
«Me lo fai rivedere?» chiese il figlio di Giove, curioso.
«Appena si riprende», promise Rose «mica vogliamo ucciderlo, no?».


Appena si riprese, invece, Eracle cambiò subito direzione.
La prima cosa che fece fu lanciare la sua clava in direzione di Elle, per poi buttarsi anche lui verso di lei.
Nathan intercettò la clava e brandì Komma, il suo spadone, con entrambe le mani. La clava si divise in due appena entrò in contatto con la lama.
«Ringraziami più tardi, okay?» disse il ragazzo ad Elle, senza guardarla.
«Scordatelo» tagliò corto la figlia di Afrodite, spostandosi di lato per evitare che Eracle la scaraventasse a terra.
Elle rivolse tutta la sua attenzione ad Eracle, che stava di nuovo correndo verso di lei come un toro che ha puntato il torero alla Corrida.
«E tu, imbecille, fermati!», ordinò.
Eracle sembrò dapprima confuso, poi interruppe la sua marcia.
«...o-okay, come vuoi tu», disse.
«Ti conviene» minacciò la ragazza, assottigliando lo sguardo «siediti».
Eracle si sedette a terra.
«Ma cosa...?» prese a dire Nathan, confuso almeno quanto Eracle «come Ade hai fatto, Willow?».
Elle gli regalò un'occhiata di superiorità.
«Noi figlie di Afrodite non siamo tutte shopping e ragazzi, alcune di noi sanno anche fare qualcosa», disse «al contrario dei figli di Ebe, a quanto pare».
Nathan le rivolse un sorriso stiracchiato.
«Almeno io non sono uno stronzo acido ed insensibile», disse.
«Tu sei esattamente uno stronzo acido ed insensibile, Ayala», gli fece notare Elle.
«Non quanto te», precisò il ragazzo.
«Modestamente, se faccio qualcosa, lo faccio meglio di chiunque altro», fece Elle.
Nathan stralunò gli occhi.
«Cosa stavo...?», cominciò a chiedere Eracle.
Elle si rivolse agli altri.
«Volete legarlo o qualcosa del genere, oppure no? Non posso tenerlo qui per sempre!».


Legarono Eracle come un salame.
Kismet era al settimo cielo.
«Ben ti sta, scemo!» disse, pungolando le guance del prigioniero con le dita «questo succede agli sbruffoni che tentano di oltrepassare le mie acque!».
Sem scrutò con attenzione il capo ciondolante di Eracle.
Rose l'aveva nuovamente stordito, questa volta utilizzando un sistema molto più sottile del precedente e decisamente più duraturo: i punti di pressione. Le era bastato premere sul collo del semidio perché quello si abbandonasse sull'erba.
«Questo sarebbe il semidio più forte mai esistito al mondo?» domandò Sem, con una punta di scetticismo nella voce «andiamo bene».
«È privo dei suoi poteri», precisò Talia «un figlio di Zeus nel pieno delle sue forze non si lascerebbe mai battere da un branco di ragazzini in questo modo».
Sem notò che la Cacciatrice sembrava un po' seccata, forse perché non aveva avuto l'occasione di utilizzare alcuna delle sue frecce.
«Oh, dei!» esclamò invece Kismet, sgranando i suoi enormi occhi cristallini «volete dirmi che questo era davvero Eracle?».
«Certo che era davvero Eracle» rispose Sem, abbozzando un sorrisetto.
Gli veniva un po' da ridere, a guardarla.
In quel momento sembrava quasi una normale ragazzina isterica di dodici anni.
Kismet rimase in silenzio per alcuni istanti – cosa davvero strana perché, da quando i ragazzi l'avevano conosciuta, la giovane ninfa non aveva tenuto la bocca chiusa neanche per un istante –, fissando il corpo privo di sensi dell'uomo con un misto di terrore e sorpresa nello sguardo. Poi guardò Sem.
«Dimmi che gli dei non fulminano le povere ninfe che non riconoscono i loro figli, ti prego» lo supplicò, ma non aspettò la risposta. Cominciò a camminare intorno ad Eracle.
«Oh, dei, mi trasformeranno in una carpa o, peggio ancora, in uno scorfano! E io li odio, gli scorfani!», si lamentò la ninfa.
Sem sbatté le palpebre: quella tipa era davvero strana.


«Dovremmo tranquillizzarla o...», fece James, osservando la ninfa che si agitava intorno al loro prigioniero.
Skylar si strinse nelle spalle, mordendosi il labbro inferiore.
«Non saprei proprio come», ammise «hai mai cercato di tranquillizzare una ninfa?».
James sospirò.
Le naiadi del Campo Mezzosangue, quelle che vivevano sul fondo del loro lago, non gli erano mai sembrate così fuori di testa. Anzi, se ne stavano sempre là sott'acqua e non parlavano mai con nessuno. Al massimo, se eri loro simpatico, ti salutavano con un gesto della mano o ti ripescavano se cadevi in acqua dopo uno dei soliti atterraggi di fortuna.
Di certo non cominciavano a girare in tondo supplicando Zeus e gli altri dei di non trasformarle in scorfani per il solo fatto di non aver riconosciuto un semidio che neanche sembrava tale.
«Mai», rispose.
«Fidati, quando partono... partono», mormorò Skylar.
James accennò un sorriso divertito, e Skylar lo imitò, senza riuscire a trattenersi.
«Che cosa ne facciamo di lui, adesso?» domandò poi lui, rivolto un po' a Talia ed un po' a William, il quale si era inginocchiato di fronte ad Eracle e lo studiava da vicino.
«Proviamo a fargli dire quello che sa», rispose Talia «sembrava importante, per voi».
Anche lei si era accoccolata vicino al fratellastro e lo guardava con attenzione, quasi non riuscisse a credere che quel tizio avesse davvero un qualche grado di parentela con lei.
«Giusto» concordò Skylar, con un filo di voce.
Da una parte, la ragazza non stava esattamente morendo dalla voglia di scoprire che cosa avesse voluto dire Eracle con “credi di avere sette giorni a disposizione, ma, in un certo senso, ti sbagli di grosso”. Dall'altra, sapeva che dovevano scoprirlo.
James le sfiorò involontariamente il gomito con le dita, e Skylar si riscosse.
Si avvicinarono ad Eracle insieme agli altri, finché quello non fu completamente circondato da un gruppo ben assortito di Cacciatrici e semidei.
«E ora a noi, stronzetto», bisbigliò Brianne.


Eracle riprese i sensi pochi minuti dopo, ma nessuno dei ragazzi fu in grado di cavargli una parola di bocca.
Ci provò Susan con le buone, promettendogli di evocare qualche spettro che potesse aiutarlo nel compiere le sue fatiche. Ci provò Sem, dopo aver trovato un accordo con Kismet – o meglio, dopo averle spiegato che suo padre era Poseidone –, giurandogli che avrebbe potuto oltrepassare tutti i fiumi che voleva da lì al Kansas.
Ci provò anche Talia, minacciandolo di infilargli una pigna in parti del corpo in cui le pigne proprio non avrebbero dovuto essere infilate.
James stava dicendo ad Eracle che sapeva controllare piuttosto bene le ombre ed il buio in generale e che non ci avrebbe messo molto ad offuscargli la vista se non avesse parlato, quando uno scintillio sin troppo intenso li investì.
«Ma cosa...?» chiese Rose, perplessa, sbattendo le palpebre.
Jonathan ebbe un fremito.
La sensazione d'inquietudine l'aveva accompagnato sin da quando erano arrivati lì e adesso aveva anche paura di sapere il perché.
«Oh, no», bofonchiò «oh, no... no, cavolo».
«Cavolo?» fece Brianne, corrucciando le sopracciglia bionde «chi è che dice ancora “cavolo” per imprecare?».
Quando la Cacciatrice terminò la frase, una donna comparve tra gli alberi.
Sin da una prima occhiata, si poteva palesemente capire che non fosse umana.
Era bellissima, certo, ma i suoi occhi erano completamente neri, privi di sclera e di pupilla, come due piccoli buchi neri pronti ad abbattere ogni certezza di chi aveva la sfortuna di incrociarli.
Aveva i capelli dorati, lunghi e legati in una coda alta e l'abito che indossava era del colore del petrolio, in stile greco, ed ondeggiava lievemente.
Jonathan dovette trattenere il fiato: era Ecate, sua madre.
Lui fu il primo ad inginocchiarsi, insieme alle Cacciatrici.
Tutti ammutolirono, persino Kismet.
Ecate parve piuttosto felice della cosa, perché accennò un sorriso inquietante.
«Alzatevi, eroi» disse la dea, ed i ragazzi obbedirono.
Rivolse l'attenzione, per prima cosa, ad Eracle.
«Siete stati bravi a prenderlo», disse «io sono Ecate, dea della magia.».
Regalò una lunga occhiata a Jonathan, ed il ragazzo sbiancò.
Ecate gli sorrise.
«Non caverete un ragno dal buco con Eracle» disse, per poi rivolgersi ad Altair «o con Ercole, comunque voi vogliate chiamarlo. Quindi, dovrete fidarvi di me e... sì, William Jay Harper, temo che questa sia la vostra unica possibilità, anche se sei restio a farti aiutare dalle divinità».
William irrigidì le spalle. Detestava quando lo chiamavano con il suo nome completo. In genere, lo facevano i mostri o sua madre quando voleva fargli una ramanzina. E be', detestava anche quando qualcuno gli leggeva nel pensiero.
La dea mise su una bizzarra espressione compiaciuta e puntò i suoi vacui occhi neri su Elle.
«Il tempo a vostra disposizione è diverso da quanto pensavate, ma forse non inferiore come sostiene Eracle», disse la dea.
Man mano che parlava, passava in rassegna tutti i semidei, soffermandosi un po' su ognuno.
Era inquietante.
«Oggi è il quindici di giugno, se non erro. Voi dovete raggiungere la cima del Monte Elbert entro la fine del diciannove e tornare a New York il giorno stesso» spiegò Ecate «è importante che eseguiate questi passaggi o temo che il destino del mondo... diciamo così, non sarà piacevole».
«Ma come faremo, signora?» domandò Susan, educatamente «è fisicamente impossibile».
Ecate le sorrise dolcemente.
«Capirete quando sarà il momento, eroi», promise «voi, pensate solamente a tornare a New York».
Skylar si morse l'interno della guancia per soffocare una domanda.
«Avete una scelta, ovviamente» proseguì la dea, facendo guizzare lo sguardo su Sem «potete abbandonare qui la vostra impresa e cercare di tornare al Campo Mezzosangue per affrontare la battaglia – e la battaglia ci sarà, ragazzi, qualunque cosa voi ragazzi farete – insieme ai vostri amici. In questo caso, non dovrei dirvelo, ma perireste ancor prima di mettere piede a New York. La vostra fine sarebbe indolore. Una semplice esplosione e puff... tutto finito».
La dea spostò lo sguardo da Nathan a James un paio di volte, ed i due ragazzi strinsero i denti, a disagio.
«Se farete ciò che vi ho detto, invece, le vostre sofferenze saranno indicibili. Vedrete fiumi di sangue percorrere le strade della vostra città, le ossa dei vostri fratelli masticate dai mostri e persone che chiamavate “amici” vi trapasseranno con le loro spade; ma l'Olimpo e il mondo intero saranno salvi» disse, mentre i suoi occhi tornavano a puntarsi sul figlio «adesso sta a voi scegliere: preferite perdere ma non provare dolore o vincere nonostante la sofferenza?».
Jonathan non avrebbe saputo cosa scegliere, e di certo non perché entrambe le proposte fossero troppo allettanti.
Si passò una mano tra i ricci castani, agitato, mentre Ecate non smetteva di fissarlo con quei suoi strani occhi innaturali. Certo, sua madre lo chiamava una volta all'anno tramite IPhone ed il loro rapporto non era poi così pessimo, ma vederla dal vivo era completamente diverso e decisamente più imbarazzante.
«E Jonathan...» disse poi la dea, con voce vellutata, accennando un sorriso più dolce «non credo di averti regalato qualcosa per il tuo compleanno, perciò vorrei che tu prendessi questo».
Questo” era il libro più grande, bello ed antico che Jonathan avesse mai toccato in vita sua.
Doveva possedere almeno seimila pagine ruvide e vecchie come la Terra stessa, e tutte erano riempite da un'elegante scrittura a mano e da disegni ad inchiostro nero. Il tutto era rilegato in una copertina rigida e foderata da un consunto cuoio rosso e oro.
Jonathan lo ricevette con la stessa espressione che doveva aver avuto Mosè quando Dio gli consegnò le tavole dei dieci comandamenti.
«Se cerchi bene, vi troverai la risposta a quella questione che tanto ti assilla» disse Ecate, in tono solenne e delicato al contempo, per poi lanciare una rapida occhiata anche a Brianne, che fissava la dea come se non avesse mai visto niente di tanto affascinante e terrificante come lei «e, magari, anche a problemi che ancora non pensi di avere».
«Ti... ti ringrazio, ehm... mamma» provò a rispondere Jonathan, ma la voce gli uscì come un mormorio indistinto.
Skylar e James gli posarono una mano su una spalla ciascuno, come per infondergli coraggio e, in quel momento, una moffetta si avvicinò ai piedi di Ecate.
«Quella è una...» cominciò Elle, perplessa ed un po' disgustata.
«Una moffetta, sì», rispose Ecate «anche se tutti la scambiano sempre per una donnola ed io proprio non capisco il perché. Sono stata così brava a trasformare quella strega in questo animaletto... così è decisamente più gradevole. Si chiama Gale».
La moffetta sembrò un po' indispettita e cominciò a squittire qualcosa in tono concitato.
«Oh, bene» disse la dea, alla fine «devo proprio andare. Pare che Zeus non gradisca molto il fatto che io e Gale siamo ancora qui e...».
Puntò un indice contro Eracle, che sgranò gli occhi e si strinse nelle sue corde.
Un attimo dopo, era scomparso con un sonoro “CRACK”.
«La Cerva Cerinea adesso dovrebbe essere al sicuro per un po'. Ci vediamo a New York, ragazzi, se gli dei non verranno distrutti da... oh, non importa!», salutò la dea «fate del vostro meglio ed usate la testa, soprattutto tu, Jonathan, ci conto».
E, così dicendo, sparì anche lei in un luccichio.

Angolo di Butterflies:
Hola, ragazzi, come va? :3
Sono talmente di buon umore, oggi, che non so nemmeno cosa dire, quindi vi lascio subito in pace e me ne torno nel mio angolino del buon umore (?)
A presto e fatemi sapere cosa ne pensate,
Butterfliesss ♥

 
  
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