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Autore: stereohearts    28/08/2014    8 recensioni
Carter Harvey è un concentrato di rabbia, acidità e dolore. Dopo un passato – che non sembra essere poi così ‘passato’ - particolarmente tormentato, un incendio misterioso alle spalle ed un fratello in carcere sta cercando di spostare la sua vita su una strada più rettilinea e con meno dossi possibili, concentrando l’attenzione su scuola, amici ed un secondo fratello, Elia, spesso assente per lavoro.
Justin Bieber - che ha il suo bel da fare con una famiglia, residente a Stratford, decisamente assente ed una zia, vedova, caduta nel baratro di alcool e fumo - è un ventenne dalla bellezza disarmante, incline al perdere molto facilmente il controllo della situazione ed un caratterino pungente, corroso dai segreti che porta con sé ed una, poco salutare, dipendenza dalle sigarette.
 
San Diego.
Un incendio misterioso.
Due vite che si scontrano irreversibilmente.
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'Con questo mio scritto, pubblicato senza alcuno scopo di lucro, non intendo dare rappresentazione veritiera di questa persona, né offenderla in alcun modo'
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In revisione.
Genere: Mistero, Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Justin Bieber, Nuovo personaggio
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate
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‘Con questo mi scritto, pubblicato senza alcuno scopo di lucro, non intendo dare rappresentazione veritiera di questa persona ne offenderla in alcun modo .’

 

 



1.
 
 
 
Justin
[Tre anni dopo]
 
 
 
 
 
 

Parcheggiai la macchina in mezzo a due delle tante vetture che occupavano il secondo piano del parcheggio, togliendo lentamente le chiavi dal cruscotto.
Allungai il braccio destro sui sedili posteriori alla ricerca del mio maglione -  che mi sbrigai ad infilare subito dopo aver sfiorato con le dita la superficie morbida della lana.
Compressi il filtro della sigaretta nel bicchiere del caffè comprato quella mattina e, sollevando di poco il sedere, afferrai il pacchetto dalla tasca posteriore dei jeans.
Soddisfatto, tentai di allungare le gambe sotto il volante per quanto lo spazio ristretto mi permettesse in realtà di fare.
L’aria all’interno dell’abitacolo era talmente impregnata di fumo che a stento riuscivo ad intravedere la punta delle mie scarpe blu.
Ciò non mi impedì ovviamente di accendere l’ultima sigaretta del pacchetto, che poi accartocciai e lanciai nervosamente all’indietro; l’ammasso di plastica e carta si andò a depositare in mezzo agli altri tre consumati precedentemente.
“Amico, davvero, questo sarà il terzo pacco da venti che ti sei fumato nelle ultime tre ore”  mi rimproverò la voce meccanica e poco chiara di Blake, dall’altro capo del telefono, con uno sbuffo esasperato. “Ti verrà un accidente se non la smetti!”
Indifferente scrollai le spalle, dimenticandomi per un istante che lui non poteva vedermi; spostandomi sul sedile socchiusi le labbra per lasciar uscire un’altra nuvoletta biancastra di fumo, che andò ad infrangersi contro il vetro del finestrino.
In realtà lui sapeva perfettamente di stare dando aria alla bocca inutilmente; perché a me, delle  possibili conseguenze sulla mia salute, - soprattutto in quel preciso momento - mi importava poco o niente.
Un altro sbuffò mi arrivò alle orecchie, questa volta molto più soffocato del precedente.
Buttai fuori un’altra nuvoletta di fumo, e quando mi accorsi che mi rimanevano soltanto uno o due tiri prima che anche quella finisse, mi pentii all’istante di non aver aspettato qualche altro minuto prima di accenderla.
E come se avesse percepito la mia riluttanza nel fare qualunque movimento, Blake si schiarì la gola. “Fotterti i polmoni non ti eviterà di entrare in quella stanza, Bieber.”
Quella volta fui io a buttare fuori l’aria dal naso. E non tanto per l’esasperazione o la noia, piuttosto perché - per quanto quelle parole potessero risultare vere alla mia coscienza -, mi avevano urtato particolarmente i nervi.  E in quel momento avere un diavolo per capello era l’ultima cosa che mi serviva per affrontare al meglio la persona che mi aspettava, rinchiusa in una cella.
Tentai di portarmi nuovamente la sigaretta alle labbra, ma quando la sentì bruciare contro la mia carne, mi accorsi che non era rimasto altro che quello tra le mie dita.
Buttando il mozzicone nel bicchiere, lasciai andare la testa sul poggiatesta in pelle, osservando perso un punto indefinito nello specchietto retrovisore - per metà appannato dal mio respiro.
Insofferente, levai di nuovo il maglione - per la ventesima volta -, rimanendo di nuovo per lo stesso numero di volte in canottiera. Lanciai l’indumento sul sedile del passeggero di fianco a me e spostai la mia attenzione sull’orologio al mio polso, notando che lo schermo segnava di già le quattordici e quarantacinque.
Di nuovo un’altra ora persa, sprofondata nel nulla.
Riluttante a qualunque movimento, poggiai comunque una mano sulla leva dello sportello, con una gamba sollevata e lo sguardo ancora fisso sul cellulare, certo che Blake fosse ancora in linea. E probabilmente mi stava insultando mentalmente in tutti i modi da lui conosciuti – che non erano pochi.
Senza dire niente, trovando un briciolo di volontà nella più remota parte del mio cervello, levai la batteria al telefono e saltai giù dalla macchina - accompagnato dalla nuvola di fumo che iniziò a disperdersi lentamente nell’aria. Senza aspettare che quella all’interno dell’auto fosse tornata pulita  chiusi lo sportello e aprì quello adiacente, rimettendo per l’ennesima volta il maglione, certo che sarebbe stata la cosa migliore.
Infilai poi portafoglio e chiavi nelle tasche dei jeans e chiusi le sicure, rimanendo fermo lì, di spalle, facendo dei lunghi e rumorosi respiri.
Quel susseguirsi di espirare ed ispirare si ripeté per altre tre minuti, prima che mi decidessi a risalire le scale del parcheggio e attraversare velocemente la strada - facendo anche poca attenzione al guardare entrambi i lati della strada.
Affondai bruscamente le mani nelle tasche - iniziando a giocherellare con l’orlo dei boxer attraverso il tessuto dei pantaloni - mentre osservavo l’enorme edificio grigiastro sfilarmi di fianco, come ad accompagnare ogni mio passo e ricordarmi dove ero.
Come se potessi realmente fingere di trovarmi semplicemente nella casa di un  vecchio amico che non vedevo da tempo; come se potessi fingere che quella fosse una semplice visita di cortesia e che lui avesse deciso di sua spontanea volontà di rinchiudersi lì dentro, tra quelle tre mura ammuffite che erano diventate la sua camera da tre anni a questa parte.
Senza accorgermene, troppo immerso nel seguire il corso nostalgico dei miei pensieri, mi ritrovai già spoglio di tutti gli oggetti di ferro o potenzialmente pericolosi in mio possesso.
“Mi segua” accennò un omone tozzo, ruotando goffamente la cintura che gli pesava sotto la pancia sporgente; imboccò un lungo corridoio dal pavimento impolverato, riempito qua e là da qualche altro uomo in divisa sull’attenti.
Al contrario di ciò che mi aspettavo, e che aveva contribuito a dare leggermente una calmata ai miei nervi, il corridoio non si rivelò più lungo di una cinquantina di passi.
Già, li avevo contati.
Poi, Homer Simpson – l’omone irritato -, si fermò dinanzi ad una fila di sbarre che separavano l’accesso ad un’altra stanza; facendo un cenno d’assenso all’altro collega - sicuramente più giovane e più in forma - , quello mi aprì la porta e tornò sull’attenti aspettando una mia mossa.
“Quindici minuti, ragazzo” mi sussurrò velocemente Homer, prima di spintonarmi rozzamente all’interno della stanza, come fossi anch’io uno dei carcerati.
“Fanculo stronzo” ringhiai a bassa voce, sistemandomi il maglione sulla spalla colpita così rozzamente.
Fosse stata un’altra situazione gli avrei risposto per le rime come mio solito; forse, molto probabilmente lo avrei fatto anche in quel momento se due occhi ghiacciati non m’avessero inchiodato lì, in mezzo a quella sala piena di uomini in tute arancioni o grigie che scambiavano parole d’amore - e a volte di rabbia - con i loro interlocutori.
Ingoiai rumorosamente la bile che mi era risalita in gola, iniziando ad avvicinarmi a passo lento verso l’unico tavolo non occupato da un visitatore, - sotto lo sguardo curioso di qualche spettatore indesiderato.
Che si facessero i cazzi loro.
Ma pensarlo, o anche provare a dirlo,non avrebbe certo cambiato il mio stato d’animo, mentre i miei occhi passavano in rassegna il volto del ragazzo che avevo seduto di fronte: i capelli cortissimi erano tornati della loro tonalità normale di marrone, il fisico ben messo si poteva intravedere anche da quell’orribile sottospecie di pigiamone arancione che era costretto ad indossare. La barba che gli circondava il mento gli dava qualche anno in più e gli occhi, sempre di quell’azzurro intenso, quasi spettrale, che mi trapassavano da parte a parte, sembravano gli stessi.
 Tutto sembrava lo stesso, in lui.
Appunto, sembrava.
Perché, nonostante il suo aspetto risultasse uguale a quando andavamo al campo da basket, i suoi occhi mostravano tutto tranne che benessere.
Tristezza, malinconia, rancore, delusione, amarezza, rabbia. Un mix di emozioni distruttive e ingestibili a lungo termine che  ero certo lui potesse leggere nei miei, di occhi.
“Ciao Justin” accennò un sorriso in mia direzione, nonostante stesse fissando tutto fuorché i miei occhi; io ovviamente mi ero già preoccupato di spostarli sulle macchioline nere che occupavano gran parte della superficie del tavolo, trovandole improvvisamente interessanti.
L’aria era pesante; la sentivo, come se gravasse tutta sulle mie spalle incurvate contro la circonferenza del tavolo.
“Quanti pacchi di sigarette hai fumato prima di venire qui, Biebs?” continuò lui, inclinando un angolo della bocca all’insù.
Inarcai le sopracciglia, alzando divertito lo sguardo su di lui. “Un paio …
Lui ridacchiò semplicemente, mentre scuoteva la testa per spostare qualche ricciolo color cioccolato che gli era scivolato sulla fronte, colpendomi al cuore.
Aveva riso.
Aveva ancora la forza di farlo; ed io mi maledicevo ogni volta che mi capitava, mentre ripensavo a me e lui prima della sua stupida scelta, che io, da stupido quale ero stato, avevo appoggiato molto stupidamente.
“So che non ti piace venire qui, e sai che nemmeno a me piace che tu ci venga” parlò a bassa voce, sporgendosi leggermente sul tavolo e lanciando varie occhiate di ammonimento agli impiccioni attorno a noi. Gli occhi dell’omone di colore che gli stava con il fiato sul collo, con delle chiavi che gli pendevano da un passante della cintura, scattarono velocemente a perlustrare lo spazio alla ricerca di qualche particolare sospetto.
Quelle chiavi dovevano essere quasi sicuramente quelle delle sue manette; e per un breve ed inteso momento, valutai la possibilità di strappargliele da lì in qualche modo strategico per aiutare il mio migliore amico ad evadere da quel buco cui era costretto.
Idiota, mi apostrofai mentalmente, scuotendo la testa.
Allora mi sporsi a mia volta sul tavolo sperando che quell’altro tornasse a farsi i fatti suoi, tappandosi le orecchie. “Ma..?” lo incitai, vedendolo indeciso sul da farsi.
“Ho bisogno che tu mi faccia un favore” sospirò, abbassando la testa. “E sai che non te lo chiederei se non ne avessi davvero bisogno.”


 
 
 





 
____________________________



 









 
Buttai il mozzicone della sigaretta nel bicchiere del caffè, sporgendomi poi verso il pacchetto sul sedile del passeggero per afferrarne un’altra, infilandola in bocca.
Dopo aver tenuto la fiamma dell’accendino vicino al capo della sigaretta -  abbastanza al lungo perché si accendesse - lo rilanciai all’indietro; atterrò silenzioso tra gli altri pacchi ammucchiati ed il maglione.
Quando notai una lucina rossa avvicinarsi sempre di più a me inchiodai bruscamente sul freno, distogliendo l’attenzione dal flusso dei miei ragionamenti e ringraziando Dio che non ci fosse nessuno dietro di me. Nonostante con quel gesto improvviso mi fossi guadagnato alcune occhiatacce dai guidatori delle auto che affiancavano la mia corsia.
 “Fanculo! Fanculo!” sbottai inferocito. Sbattei in malo modo le mani sul volante, in uno scatto di rabbia e frustrazione.
Sentendomi osservato, notai l’occhiataccia che un’anziana donna mi stava lanciando dalla macchina affianco - sotto lo sguardo ammonitore del marito che probabilmente le intimava di farsi gli affaracci suoi.
E faceva bene, perché un istante dopo, - quando la conversazione con Dante mi si ripresentò davanti agli occhi, come un cortometraggio mal riuscito - preso dall’ennesimo scatto d’ira alzai la mano mostrandole il dito medio e rivolgendole parole poco carine.
Sbuffando, richiusi il più velocemente possibile il finestrino, evitando così di sorbirmi i suoi rimproveri da nonnetta ottantenne quale era.
Riportai lo sguardo sulla strada di fronte a me, notando una ragazza attraversare con molta comodità le strisce, impegnata in un’animata conversazione telefonica. Notai avesse le cuffie alle orecchie, e per quanto ne sapessi io poteva star semplicemente cantando una canzone a squarciagola senza accorgersi che qualcuno potesse fissarla insistentemente - come me in quel momento.
Improvvisamente, cogliendo il corso insensato dei miei pensieri, con un altro scatto d’ira battei un altro pugno sul volante.
Pigiai con foga l’acceleratore, ingranando la marcia, non appena la lucetta rossa e fastidiosa fu sostituita da quella verde.
Fanculo!















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Author's corner:
Ma salve ragazzuole(?)
 

[Prima di tutto, se siete riuscite ad arrivare a leggere fin qui, GRAZIE, non so come abbiate fatto lol]
Sono tipo le 01:13, questo è diciamo il primo vero capitolo di questa sorta di FF e io non so spiegarmi per quale contorto motivo quando aggiorno lo faccio inevitabilmente a questi orari da pipistrello lol
Okay, lasciamo stare.
Tornando a noi, ecco il primo capitolo che è, come avete potuto vedere, dal punto di vista di Justin ouo
Ovviamente, non si è capito esattamente ancora molto riguardo a tutta la trama della storia, ma se così fosse stato che gusto ci sarebbe, no?
In realtà, non so di nuovo cosa dirvi di più. Credo piuttosto che dobbiate dirmi voi cosa ve ne è sembrato o magari cosa vi aspettate da questa storia? Che idea vi siete fatte?
Ovviamente se ci sono errori di ortografia potete segnalarmeli tranquillamente e provvederò ad aggiustarli.
Inoltre, prima di dileguarmi, ci tenevo a ringraziare le tante visite che ha ricevuto il primo capitolo hjdksh *-* cioè, per me sono tante più che altro, quindi GRAZIE 

E poi, boh, recensite(?)
Un bacio, C




 
 
   
 
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