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Autore: Phantom13    28/08/2014    5 recensioni
L'umanità ha sempre cercato di raggiungere e conquistare la Perfezione. Sempre. Ma questa volta sono più accaniti e determinati del solito... esattamente come lo è il loro "obbiettivo".
In fondo, noi abbiamo sempre cercato, scavato a fondo, analizzato e smembrato con arroganza ogni aspetto di questo mondo ... o quasi.
Ma è il cosa si cerca che fa la differenza. L'obbiettivo che si vuole raggiungere.
E questa volta, l'obbiettivo in questione è il più inviolabile dei diritti: la vita. Artificiale o autentica che sia.
In questo caso, soprattutto artificiale.
Anche se, in fin dei conti, non fa questa grande differenza. La vita è sempre la vita, indipendentemente dal "come" e dal "perchè" ... non ho forse ragione?
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"–Lui è solo un robot fatto di carne e sangue anziché di metallo. Non è una persona, è una macchina.- disse semplicemente, con una calma stomachevole e arrogante sufficienza. –È un oggetto che cammina. Null’altro.-" (cap. 5)
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AVVERTENZA: alcuni contenuti potrebbero urtare la sensibilità del lettore.
Genere: Azione, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro Personaggio, Rouge the Bat, Shadow the Hedgehog, Sonic the Hedgehog
Note: AU, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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Capitolo 13
– Sangue –
 

Forse, qualcuno avrebbe potuto obbiettare dicendo che stava spingendo la questione un po’ troppo oltre, che stava esagerando. Specialmente tenendo presente il fatto che il suo “avversario” non era in grado di difendersi … non che qualcun altro ne sarebbe stato in grado, dunque nulla da ridire pensandoci bene.
Il femore di Anubis si spezzò a metà.
Colpa sua. Se l’era cercata. Non avrebbe mai e poi mai dovuto provare ad uccidere Rouge. Stava solo ricevendo indietro quello che aveva distribuito: dolore.
Calcio alla bocca dello stomaco. Sputo di sangue.
Aveva sparato Rouge ed ora, come conseguenza, lei aveva in corpo la linfa vitale del più disgustoso essere di quell’universo.
Gomito piegato al rovescio. Taglio di mano sulla nuca.
Rouge … un’amica …. l’unica … in pericolo, solo per essergli stata accanto. Di nuovo. Quel cane: aveva sparato. La voleva uccidere. Di nuovo.
Chaos Spear doppio dritto sul petto, seguito da un possente calcio.
Aveva anche provato a tranciare la facoltà di correre all’incarnazione della velocità. Nessuno poteva venir perdonato, dopo quello. Con chi altri avrebbe dovuto correre, lui, se non quella peste cobalto di riccio?
La gamba sinistra crocchiò atrocemente, il ginocchio si slogò.
Le capsule, con dentro i corpi. Chi si credevano di essere per giocare così con la vita? Non avevano capito che stavano smontando e ricomponendo esseri senzienti? Sperabile di no. L’alternativa sarebbe stata inconcepibile. Anche se, probabilmente, era proprio quella la realtà.
Spalla ruotata all’indietro, slogata pure quella.
E il passato tornò. Ancora una volta, capsule, test, esperimenti, misurazioni, scosse elettriche, iniezioni. Capsule. Tu sei un’arma. Cinquant’anni in neanche due metri quadrati.
Doppio montante con Chaos Spear.
Ma che cosa stavano pensando, eh? Che lui si sarebbe fatto prendere? Potevano sparargli contro tutti i proiettili che volevano, schierare tutti i robot del mondo, lui non si sarebbe piegato. Era stato creato così, del resto. Gliel’avrebbe fatta vedere lui, alla maniera sua. Per una volta, comportarsi da arma vivente non sarebbe stato affatto un problema. Li avrebbe fatti a pezzi. Tutti!
Spin Dash in pieno ventre, volo di dieci metri. Un braccio e una costola incrinati.
Volevano metterlo di nuovo in un laboratorio, in una capsula, esaminandolo e creando chissà quale forza militare? Sarebbe cascata la luna prima che ci sarebbero riusciti, parola di riccio!
Serie di calci e pugni. Quattro costole sbriciolate.
Volevano la guerra? L’avevano avuta. Volevano alzare il tiro? Se ne sarebbero pentiti di brutto, parola di Forma di Vita Definitiva.
Chaos Control in alto, calcio in verticale, pugno d’accompagnamento, e Spin Dash per finale.
E se avessero osato anche solo pensare di fare male di nuovo a qualcun altro oltre che a lui, gli avrebbe fatto sputare anche l’anima a suon di calci, parola di Shadow The Hedgehog!
 
 
Pensare era divenuta un’attività mostruosamente difficile. Lo sforzo di racimolare un intero ragionamento era decisamente troppo grande per le sue capacità in quel momento. La sua mente era volata via.
Aveva lo sguardo spento, da cadavere, sebbene il suo cuore battesse ancora. Ascoltando il suono del proprio respiro spezzato, con la testa voltata di lato, l’orecchio premuto contro la terra, osservava con occhi vuoti lo schizzo di sangue per terra, tempo di battere una palpebra e trascorreva tutta un’eternità. La liquidità viscosa di quella sostanza tanto importante luccicava al sole implacabile della landa desolata in cui era stato portato per morire, lontano da orecchie ed occhi indesiderati. Osservava la luce riflettersi in quel rosso, che si anneriva sempre più. L’aridità della terra screpolata assorbiva rapidamente quelle gocce inaspettate, l’aria torrida, al limite del respirabile, asciugava la superficie del sangue, coagulandolo rapidamente in quell’ammasso scuro e solido, simile in tutto e per tutto a quella stessa terra, se non fosse stato per il colore.
Era giusto vagamente cosciente del fatto che quello non era l’unico schizzo di sangue nella zona. Ne era circondato. Ma quello che aveva davanti agli occhi, era sicuramente quello più recentemente versato.
Il suo corpo non lo sentiva praticamente più, non percepiva più le proprie membra, il proprio ventre, la propria testa. Esisteva solo il martellante fuoco rosso del dolore.
Con l’orecchio appuntito appoggiato a terra, sentì i passi avvicinarsi. Non ebbe la forza, né il coraggio, di ruotare la testa verso il riccio dietro di lui.
Anubis, le iridi gialle puntate sullo schizzo di sangue, sospirò tornando a concentrarsi sul proprio respiro, cercando di ignorare la minacciosa presenza dietro di lui, ben sapendo che non poteva farci nulla. Nonostante il sole sulla pelle, dentro di sé sentiva un freddo gelido, mai provato prima.
Aveva davvero perso tanto sangue.
Si aspettava che arrivasse altro dolore insieme a quei passi. Invece arrivarono solo quelli, solo i passi. Il riccio si era fermato, e nessun dolore era giunto con lui. Anubis rimase in attesa. Ma nulla accadde.
Forse, era una pausa. Gli stava concedendo riposo?
Sarebbe stata la prima volta dall’inizio. Ma … quanto tempo era passato? Dieci minuti, un’ora, un giorno?
Senza che altro dolore arrivasse a sospingere via la mente del canide, la sua coscienza cominciò lentamente a tornare all’interno di quel corpo assai malmesso. I danni erano troppi per poter venir analizzati, sia interni che esterni. Troppe ossa rotte, troppi lividi, troppi tagli, e l’elettricità che ancora gli scorreva nelle vene rendeva impossibile fare un conteggio dei danni.
Anubis chiuse un attimo gli occhi, li sentì bruciare, asciugati dall’aria calda e dal bagliore della luce.
Uno, due, tre, cinquanta respiri, prima che Shadow si muovesse di nuovo verso di lui. Beh, non l’avrebbe mai lasciato crepare prima del tempo, no? Come sarebbe stato bello, se fosse invece successo.
Il calcio lo colpì sotto le costole, di lato. Anubis volò e atterrò brutalmente, qualche metro più in là. La sua gola ebbe un singulto, un altro fiotto di sangue gli venne alla bocca. Sputò, e altro liquido rosso andò ad annaffiare l’arida radura.
Probabilmente, una delle costole rotte s’era conficcata ancor di più nel polmone. Dentro di lui, era tutto un dolore unico, più o meno rabbioso a dipendenza dei punti. Non aveva voglia, però, di analizzare quali fossero, questi punti.
Ora, grazie al volo e all’atterraggio, Anubis aveva la testa voltata verso Shadow. Lo vide avanzare, vide l’espressione che aveva in viso. E non riuscì a pensare a niente.
La gola, ora un po’ umidificata dall’ultimo rigetto di sangue, riuscì a parlare, senza che la mente potesse farcene qualcosa. La mascella slogata dal primo calcio di Shadow era tornata al suo posto dopo una brutta caduta al suolo, qualche tempo prima. Ironicamente, poteva parlare grazie a quello.
-Chissà- cominciò, debolmente. –Come devi sentirti a vedere qualcuno morire, sapendo che a te non accadrà mai.-
Il riccio si oscurò se possibile ancora di più. Il Chaos Spear seguente parve essere più carico dei precedenti.
Anubis tossì, quando gli spasmi elettrici abbandonarono finalmente il rudere del suo corpo.
-Chissà- disse ancora. –Come devono sentirsi i tuoi amici, quando ti guardano, sapendo che loro moriranno e tu invece no. Che li vedrai spegnersi, come candele, uno ad uno.-
I Chaos Spear arrivarono in due, questa volta. La carica elettrica fece letteralmente saltare Anubis in verticale. La botta che prese alla schiena atterrando gli infranse una delle costole incrinate da una dei colpi precedenti. Il canide chiuse gli occhi, incassando il colpo, e lasciando che il dolore lo travolgesse ancora una volta.
-Chissà se sono arrabbiati con te, i tuoi amici. Forse sono gelosi. Magari, vorrebbero essere immortali come te. Ma tu non darai mai loro questo privilegio, vero?-
Il calcio che seguì quella frase centrò Anubis dritto sulla spina dorsale. Sentì le vertebre spostarsi, ed un dolore dieci volte più forte di tutto il resto lo impalò sul posto, trafiggendogli la mente. Sapeva, da qualche parte nella sua mente, che il riccio sapeva dove l’aveva colpito, e sapeva dunque che lui non sarebbe morto.
Il respiro gli si spezzò, mentre i muscoli gli tremavano tutti, trapassati da quel dolore allucinante. Dovette sforzarsi di respirare nonostante tutto, e l’effetto fu che i polmoni vennero come trafitti da una pioggia di chiodi.
A parlare, fece una fatica enorme. –Chissà cosa vedono, loro, quando ti guardano in faccia. Vedranno una macchina, un’arma, uno scherzo della biotica? Non di certo un mobiano, eh, che dici? Sicuramente, non qualcuno simile a loro.-
Shadow non aveva emesso un singolo suono da quando aveva cominciato, e il grugnito di rabbia che gli sfuggì fu un brutto segno. Molto brutto.
Di nuovo alla schiena. Calcio alla massima potenza, seguito da due Chaos Spear. Uno in pancia, l’altro in faccia.
Anubis non udì il proprio grido, ormai non si sentiva più da tanto tempo. Ma percepì chiaramente gli occhi sfrigolare alla scossa elettrica. Il suo cervello rintronò dal colpo, ma in un qualche modo resse. Scommise che quel Chaos Spear era meno forte degli altri, o del suo cervello non sarebbe rimasto che poltiglia.
-Una macchina, un robot di sangue e carne.- si sentì dire, continuando a parlare. –È così che il mondo ti vede. Che loro ti vedono.-
La mano di Shadow gli si serrò sulla gola, premendo esattamente sulle vertebre spezzate. Anubis gorgogliò mezzo soffocato, guardando con occhi per metà acciecati la luce nera che brillava furente nello sguardo del riccio. Non ebbe nemmeno l’energia per provare paura, ormai aveva appena sperimentato di tutto. C’era ben poco che potesse ancora causargli paura. Guardando quegli occhi (per il semplice fatto che non riusciva a piegare la testa) riuscì ad ansimare. –Un’arma. Non una persona.-
Il pugno che ricevette nello stomaco lo fece sussultare tutto, i suoi muscoli ormai si muovevano per conto proprio, il collo spezzato aveva isolato il controllo della sua mente.
-Chissà cosa ha pensato Rouge, quando s’è trovata il proiettile nello stomaco, sapendo che lei sarebbe morta, mentre tu, con quella stessa ferita, non avresti quasi nemmeno sentito dolore.-
Anubis avvertì il rapidissimo spostamento come una vertiginosa sensazione di vuoto nelle viscere. Shadow l’aveva schiantato a terra, tenendolo sempre ben serrato per il collo.
Il canide sentì la terra piegarsi, sopraffatta dal peso gravato all’improvviso con quell’accelerazione pazzesca.
Il respiro gli si spezzò di nuovo per il contraccolpo, mentre il collo già malmesso lo accecò dal dolore, spegnendo addirittura la sua residua capacità di pensare.
Mentre l’agognata incoscienza cominciava a calare su di lui, sentì la propria bocca sorridere, e sentì la propria voce dire. –Tu non sei mobiano. Oh, no.-
Shadow assottigliò lo sguardo, i suoi occhi si oscurarono ancor di più. E parlò. –Chaos Control.-
Anubis non ebbe nemmeno il tempo di sorprendersi a quella novità che sentì le proprie cellule risucchiate dal vortice spazio-temporale creato dal riccio. Si sentì sprofondare e poi guadagnare di nuovo sostanza. Ma la sostanza non era più solo sua.
Shadow l’aveva teletrasportato ancor più verso il basso, lui, che già era steso a terra. L’aveva teletrasportato dentro il suolo.
Solo la testa e parte delle spalle emergevano ancora dal terreno, tutto il resto era sotto.
La bocca di Anubis era spalancata in un grido di dolore, troppo intenso però per poter trovare sbocco nella voce. Il suo volto paralizzato in un atroce espressione d’orrore.
Sentiva le proprie cellule invase da particelle di terra, le poteva quasi udire sfaldarsi, soffocate da quella grezza e ruvida massa imprevista. Sentì lo stomaco fondersi con le pietre, le pareti del fegato squarciarsi. Sentì le ossa incresparsi, incorporate ora con sassi ed altro. I polmoni parvero scoppiare, forati come palloncini, terra e sassi integrati con tessuti e cellule, l’interno delle sacche d’aria interamente otturato di terriccio. Percepì i propri muscoli ribellarsi ai corpi estranei che li avevano spezzati. Percepì la terra assorbire i suoi liquidi, i succhi gastrici evadere e corrodere tutto, sassi e cellule.
Udì le vene e le arterie strapparsi, interrotte dalle minuscole scaglie di pietra, grandi in proporzione come macigni. Sentì tutto il sangue del suo corpo vagare in luoghi dove non avrebbe dovuto andare.
E il cuore arrestò il suo battito, con un sasso conficcato di traverso, e terra mischiata ai vasi capillari che alimentavano l’origine della vita di quel suo corpo.
Corpo ormai violato, invaso. Fossilizzato contro natura.
La mente di Anubis, ormai completamente incapace di pensare, non recepì nemmeno l’immagine agghiacciante della chiazza di sangue che si allargava nel terreno attorno a lui. Non memorizzò la figura del riccio, accovacciata accanto a lui, che lo guardava con freddezza.
La sua mente scivolò via. La sua vita si spense come una candela.
Finalmente!
 
 
Shadow si tirò in piedi, muovendo qualche passo indietro, spostando le scarpe dalla rotta della macchia rossa che si espandeva come olio.
Non aveva mai fatto nulla del genere a nessun nemico che aveva incontrato.
L’aveva sempre ritenuta una mossa immorale, troppo violenta anche per i suoi canoni.
Osservò il corpo ingoiato dalla terra. Rivide il corpo di Rouge piegato a metà dalla pallottola.
Da qualche parte, sentì una vocina che gli ricordò di avere appena fatto una cosa a dir poco orribile. Scosse la testa e la scacciò.
Quello era il minimo per qualcuno che aveva ucciso Rouge, che l’aveva costretto a ricorrere al sangue di Black Doom, che aveva tentato di azzoppare Sonic The Hedgehog, e che aveva giocato a fare il dio con la vita di esseri che non c’entravano niente.
Il minimo …
Mosse un altro passo indietro e si voltò, andandosene.
Restava ancora l’altro, il capo operativo, James. E poi colui dal quale prendeva ordini, il capo effettuale.
Ma ora non gli importava neanche.
Stava ancora pensando a Rouge, a quello che aveva rischiato. Il sorriso di Maria si sovrappose per un istante a quello di Rouge.
Continuò a camminare. Già che doveva andare da quell’impiastro di Sonic, doveva per prima cosa calmarsi o avrebbe rischiato di prendere per il collo pure lui. Per non parlare di Knuckles. Aveva una mezza idea di quale sarebbe stata la reazione dell’echidna. E davvero non voleva fargli male solo per l’adrenalina residua che aveva in corpo.
Cercando di ignorare il calore rovente del sole che si appicciava prepotente alla sua pelle nera, scacciò dalla mente ogni pensiero, regolarizzando a forza il proprio respiro.
Avrebbe camminato ancora un po’, decise, prima di rivedere Sonic, e dopo Rouge.
Alle sue spalle, la bizzarra tomba di Anubis diventava sempre più piccola.
In cielo, alcuni avvoltoi volavano maestosi, in cerchio, sempre più bassi.
 
 
Era venuto lì con l’intento di rivedere i suoi amici, compagni di quell’avventura che aveva stravolto la sua vita e la sua realtà. E, magari, venendo indietro in quell’epoca, avrebbe anche potuto trovare un po’ di tranquillità e staccare la mente da tutti quegli sfibranti lavori di sistemazione che avevano occupato ogni suo secondo da quando era tornato a casa, nel futuro. Casa che … era diventata mostruosamente vuota, senza di lei.
Dovevano ricostruire, imparare tutto d’accapo, scoprire come coltivare le piante, come cucinarle, come accudirle, dunque s’era tenuto occupato, aveva distratto i propri pensieri. Ma la verità è che si sentiva solo, là. La sua unica amica era …
Il cielo azzurro che per la prima volta da sempre brillava nella volta del futuro era un incentivo come non se n’erano mai visti. Tutti si impegnavano al massimo, osservando sempre con meraviglia il manto erboso che per la primissima volta cominciava a coprire la terra e i residui di roccia lavica. Ma lui, continuava a pensare al passato, in tutti i sensi.
Dopo una caccia di due settimane, aveva recuperato Smeraldi a sufficienza ed aveva intrapreso il viaggio all’indietro nel tempo. Arrivando a casa di Sonic, non aveva affatto tardato a scoprire che là, nel passato, c’erano invece non pochi problemi, e non poche preoccupazioni.
Avevano appena terminato di raccontagli quale incresciosa situazione si stava avverando. Le conseguenze, le poteva vedere anche da solo.
Bende, stecche, cerotti e lividi, musi lunghi e tirati, stanchezza palpabile. Sonic specialmente: vederlo zoppicare era … semplicemente sbagliato. Come vedere l’acqua bruciare. Non era concepibile.
Non erano solo le gambe ad averlo messo in allarme, erano anche l’atteggiamento del riccio ad essere cambiato. Il sorrisetto di scherno era sempre al suo posto, l’atteggiamento spavaldo era rimasto invariato, le movenze erano sempre quelle. Ma una luce nuova, più tempestosa, brillava ora negli occhi verdi di Sonic.
Era preoccupato, evidente. E forse anche intimorito da qualcosa. In ogni caso, era sicuro che aveva la sua matassa da sbrogliare, l’eroe di Mobius.
Dopo ciò che aveva sentito nel racconto riassuntivo, aveva le sue buone ipotesi su cosa stesse frullando nel cervello del riccio, specialmente dopo una batosta come quella appena subìta. Una battaglia semplicemente disastrosa, grazie al cielo Rouge stava bene, sembrava.
La sua precedente idea si rafforzò: era arrivato nel momento perfetto, proprio quando occorreva aiuto.
-Non serve dire che combatterò con voi, vero?- commentò, guardando il riccio blu.
rispose Sonic, pollice verso l’alto. –Una mano in più non guasta, se poi sono due anche meglio. E se sono anche magiche, come le tue, non si potrebbe proprio desiderare altro!- rispose Sonic, pollice puntato verso l’alto. Tails, seduto lì accanto, annuì. –Grazie davvero.- aggiunse.
Silver sorrise. –Non era comunque una questione da discutere. Vi avrei aiutati anche se voi non aveste voluto.-
Sonic sospirò, massaggiandosi un orecchio. –Beh, Faker questo concetto proprio non riesce a capirlo, pare. Il tuo è stato il discorso perfettamente opposto al suo.-
Il riccio argenteo si voltò verso di lui, la fronte aggrottata. Con “Faker” Sonic si riferiva senz’altro a Shadow, quel misterioso e solitario individuo con cui e contro il quale aveva combattuto. Non sapeva quasi nulla di lui, ma non gli ci era voluto molto per comprendere che era meglio non importunare un tipo del genere.
Da quello che gli aveva detto Tails, era proprio Shadow il protagonista delle scomode vicende di quelle ultime settimane. Silver strinse le mani, era difficile immaginare che qualcuno, o qualcosa, potesse mettere così in difficoltà il riccio nero.
-Non è mai stato il tipo da accettare volentieri una mano, vero?- domandò piano Silver.
-Proprio no!- confermò con enfasi Sonic.
La porta si aprì in quel mentre, Amy e Vanilla fecero il loro ingresso, cariche di borse della spesa e fagotti. Sonic aveva riferito loro l’unica richiesta di Shadow: cibo. E le due si erano subito precipitate a comprarlo, lasciando così il tempo a Tails e Sonic l’occasione di raccontare nei dettagli a Silver tutto quello che era capitato.
Scambiati i saluti, la riccia rosa chiese subito, guardandosi in giro –Shadow non è ancora tornato?-
Sonic scosse la testa. –Credo abbia voluto fare le cose con calma.-
Un brivido attraversò la spina dorsale di Silver. Aveva solo potuto intuire cosa fosse andato a fare Shadow, s’era rifiutato di chiedere i dettagli.
Knuckles, seduto ai margini del salotto, alzò lo sguardo senza particolare interesse verso Amy, che si avvicinava a loro, mentre Vanilla andava in cucina, con le sacche della spesa. Silver osservò l’echidna rosso. Lui, tra tutti, era quello più preoccupante. E non solo per le ferite. Aveva uno sguardo che incuteva angoscia. Probabilmente, c’entrava Rouge.
E Silver ora poteva capire con molta più facilità quello che doveva provare Knuckles, nell’incertezza della sorte di un’amica. E capiva anche cosa aveva dovuto provare Shadow sull’ARK. Sonic gliel’aveva raccontato sbrigativamente prima che lui ripartisse per il futuro, nell’ultima sua visita.
Sospirando, osservò Knuckles, e lo guardò con occhi diversi. Aveva provato su pelle la sua stessa sensazione, anzi, anche peggiore. Non lo stesso poteva dire di Shadow … un orrore così profondo lui non l’aveva ancora visto, anche se c’era andato vicino.
Se Blaze  …. se ne fosse andata nella stessa maniera di Maria … era sicuro che la sua mente non avrebbe retto: sarebbe impazzito senz’altro. Non poteva che provare rispetto per il riccio nero.
-Parlando del diavolo…- La risatina di Sonic lo distolse dai suoi pensieri.
Lo schiocco di Chaos che tagliò a metà il temporaneo silenzio che regnava sulla stanza fece vivamente sobbalzare Silver, la luce lo abbagliò, ed una figura nera si materializzò a mezz’aria. Sonic sorrise, Shadow rischiò di inciampare nel tavolino del salotto di Tails, masticò un imprecazione e fece qualche passo indietro borbottando qualcosa che suonava come un “È già la seconda volta…”.
Silver si ritrovò a fissare la schiena di Shadow, che ancora non l’aveva visto. Doveva ammettere che non era cambiato di una virgola, era rimasto esattamente lo stesso, a differenza degli altri. Certo, le variazioni in Sonic e compagni erano state minime, ma c’erano state. Aculei di qualche centimetro più lunghi per Amy, qualche millimetro in più d’altezza per Tails, muscoli magai un po’ più accentuati negli amici rossi e blu. Ma Shadow era rimasto completamente invariato.
Il nero senza fondo catturò lo sguardo di Silver. Non ricordava Shadow così scuro. Ovviamente, sapeva benissimo che il suo colore era il nero, ma a differenza di altri mobiani che aveva conosciuto in quegli ultimi mesi che vantavano la stessa colorazione corporea del riccio, la pelle di Shadow sembrava ingoiare la luce. Nessun riflesso, anche minimo. Nessuna tonalità d’ombra più scura. Nulla di nulla. Solo puro nero uniforme. Quasi innaturale.
-Hai fatto?- gli chiese Sonic.
Un secco cenno del capo da parte di Shadow fu la sola risposta che ottenne. Ovviamente, niente dettagli.
-È da un bel po’ che non ci si vede, eh?- lo salutò Silver, facendogli un cenno con la mano.
Il riccio nero si voltò. –Silver-. Una constatazione, o un saluto? Impossibile dirlo. Se Shadow era rimasto sorpreso dalla sua presenza, lo mascherò bene.
Il mobiano argenteo sorrise comunque, ben felice. Quando incrociò lo sguardo del riccio si accorse che effettivamente qualcosa in lui era cambiato. Aveva un’aggressività negli occhi che prima non c’era.
-Come stai?- gli chiese Silver, scacciando l’impulso di alzarsi e stringergli almeno la mano, rimanendo seduto. La scossa elettrica che avrebbe ricevuto in risposta non gli sarebbe di certo piaciuta. Sentiva ora come mai prima che aveva un saldo punto in comune con il tenebroso riccio. E sorridendogli si sentì come al cospetto di qualcuno con un’esperienza infinitamente maggiore della sua. Silver non aveva ancora superato … Shadow invece sì.
-Al solito.- fu la stringata risposta. La seguente domanda sorprese Silver. –E tu?-
 
Quando Silver sobbalzò alla domanda, un lieve strato d’irritazione sobbollì in lui. Perché quella reazione?
Shadow piegò leggermente la testa di lato, attendendo la risposta. Se uno aveva in faccia una tale espressione depressa era normale chiedere, no?
-Sto abbastanza bene, grazie.- fu la tenue risposta.
Shadow fissò ancora Silver, controllando di nuovo, anche se non si era affatto sbagliato. Gli occhi d’oro fuso di Argento erano sicuramente più spenti dall’ultima volta che l’aveva visto. Non erano più di quel morbido giallo, scintillante di curiosità e speranza. Non v’era più traccia ne di una ne dell’altra. L’oro liquido s’era indurito, solidificato. Anche la sua postura era diversa, più rigida, il suo corpo s’era fatto più secco e più nervoso. Il scintillio argenteo non era svanito dalla sua pelle madreperlacea, ma i guizzi di luce azzurra avevano movenze più scattanti e meno armoniose.
Non era affatto difficile scovare i segni del suo dolore, se si sapeva cosa cercare.
Niente più ingenuità nello sguardo di Silver. Solo un’opaca rassegnazione, lo spettro di una maturazione piombatagli addosso troppo in fretta, cicatrici di solitudine e abbandono. Niente più pace nella sua mente.
Blaze … aveva lasciato il suo segno.
E Shadow capiva particolarmente bene questa cosa. Anche per quello aveva chiesto.
Con la stessa certezza, sapeva che Silver non stava bene. Non che ci fosse molto da fare, al riguardo.
Per quanto riguardava l’impiastro color mirtillo che gli stava seduto accanto, sembrava assorto nei suoi pensieri, il che sarebbe stato la prima volta, e pareva anche serio, sebbene tentasse di nasconderlo a suon di sorrisi e battute. Shadow si rallegrò, badando bene a non mostrarlo: Sonic aveva capito il messaggio, per una volta, il suo discorsetto di qualche ora prima era stato produttivo. Poteva star sicuro che Sonic non avrebbe più commesso la stessa sciocchezza. Aveva compreso cosa aveva comportato il suo agire avventato. Se una cosa davvero importante per lui c’era, erano senz’altro i suoi amici. Vederli tutti in pericolo in una volta sola, aveva avuto il suo buon effetto.
Un ringhio furente fece voltare Shadow. Un’echidna alquanto alterato sbuffava nella sua direzione.
Più rapidamente di quanto una persona in quelle condizioni, con quella quantità di bende addosso, avrebbe mai potuto muoversi, Knuckles si piazzò esattamente davanti a Shadow, fronteggiandolo apertamente.
-Dov’è Rouge? Sta bene?-
Niente mezze misure per l’echidna. Quando mai c’erano state? Comunque, Shadow se l’era aspettato. Notò solo allora il silenzio che era calato sulla stanza, tutti guardavano ora lui, ora l’echidna.
-È viva.- disse solo.
Knuckles strinse le mani a pugno. –Sta bene?- ripetè di nuovo, a voce più alta, incalzante.
Shadow esitò una frazione di secondo. La verità? Non lo sapeva nemmeno lui.
-La ferita è rimarginata, è sveglia e ha anche parlato. Mi sembra sia tutto a posto.- disse, sperando che bastasse.
Gli occhi di Knuckles si fecero sospettosi, ma la spiegazione sembrò bastargli. Era un tipo che si accontentava di poco, lui. Il silenzio si fece ancora più pesante.
L’accusa seguente fece crollare la speranza che l’echidna la smettesse in fretta. –Dove l’hai portata, si può sapere, eh? Perché non è in ospedale da dei medici competenti?-
-Non era sicuro, là. Avrebbero potuto venire a cercarla e finire il lavoro.-
Il brivido che trapassò l’echidna fu quasi visibile ad occhio nudo. Tails mosse qualche passo verso Knuckles, sfiorandogli il braccio come a volerlo riportare indietro ad una distanza meno ostile. –Andiamo, Kncukles, non è necessario far…- L’echidna se lo scosse via di dosso, agitando il braccio.
 –E come accidenti ha fatto a guarire, eh?- ruggì subito dopo. -Dove l’hai portata? Che cosa le hai fatto?-
Era un’accusa, la sua. Quasi un insulto. La rabbia di Knuckles si incendiò ancor di più.
-L’ho portata in un luogo sicuro, irraggiungibile, molto lontano da qui. Ed ho fatto solo il necessario per non lasciarla morire.- disse, rimanendo di nuovo sul vago. La sua calma si stava incrinando.
Le pupille di Knuckles erano tanto ristrette da sembrare quasi feline, o serpentine. –Dove. Hai. Portato. Rouge!-
Shadow assottigliò lo sguardo, quando notò il guizzo che aveva percorso le braccia di Knuckles. Avrebbe anche potuto attaccare, ma non avrebbe mai osato. Le iridi color sangue di Shadow scintillarono, piegò la testa di lato, e qualcosa scattò in lui. Le immagini di quello che era accaduto mezz’ora prima gli tornarono a balenare davanti agli occhi, come se non fossero passati neanche due minuti. Non era proprio giornata per giocare al tira-molla con lui. Proprio no.
Sospirando, fece un passo in avanti, occhi fissi in quelli di Knuckles. L’echidna impallidì impercettibilmente, e si spostò indietro.
-L’ho portata sull’ARK. Un posto sicuro. Irraggiungibile.- sibilò, sempre mantenendo il contatto visivo diretto con il mobiano rosso. –Dunque se speravi di andare a visitare la tua donzella te lo puoi anche scordare. Rouge scenderà dall’ARK e tornerà qui nel presente solo e soltanto quando lo vorrò io. Anche volando, non la potresti raggiungere.-
Il silenzio ora s’era fatto di tomba, tanto denso da poter esser tagliato con il coltello, o forse era più adeguata una motosega. Non osavano quasi neanche più respirare, né il pubblico né l’echidna.
Gli occhi di Knuckles erano fissi sul pavimento già prima che Shadow finisse di parlare. Era visibilmente sorpreso e anche frustrato, la rabbia bolliva in lui, ma non si sarebbe mai permesso di prendersela con lui. Non dopo aver ridimensionato le posizioni così efficacemente.
-Ho capito. D’accordo.- borbottò, arretrando ancora e tornando dove si trovava prima. –Ma … lei sta bene sul serio, vero?- domandò ancora alla fine.
Shadow calmò a forza la propria espressione, sperando di sembrare meno minaccioso, ricordandosi che Knuckles era sinceramente in pena per le sorti della componente del Team Dark. –Sì, credo stia bene. Anche se sono assente da un po’. Forse e’ peggiorata nelle ultime ore, non saprei dirlo.-
-Dunque, ora torni sull’ARK?- pigolò Tails, l’espressione ancora allibita, forse sperava di cambiare argomento.
-Tra poco.- confermò Shadow, voltandosi verso di lui.
Sonic indicò la cucina. –Avete bisogno cibo, no? Ne abbiamo un po’.-
Non finì nemmeno la frase che Amy era già schizzata ad aiutare Vanilla a portare le borse da Shadow.
Non lo volevano far camminare, pareva.
Si permise un lungo sospiro. Quella, non era proprio giornata.
-Le prossime mosse?- domandò Sonic, piegandosi in avanti sulle ginocchia, sempre seduto.
-Aspettare che Rouge si riprenda. Poi vedremo.-
-Mi piace!- ridacchiò Sonic. –Per una volta, siamo d’accordo! In ogni caso, pure da queste parti è necessario del riposo. Tornare immediatamente in azione non sarebbe possibile.-
L’atmosfera si stava tranquillizzando, la tensione si scioglieva pian piano.
-Attento, però. Potreste ricevere visite non desiderate. Sarebbe possibile che vengano a cercarvi ora che siete malmessi. Con Silver, però, non credo avrete problemi, anche se siete tutti malconci.-
Sonic annuì, anche se gli lanciò un’occhiataccia per avergli detto di essere inutile.
-Già che non siete capaci a rimanere fermi.- aggiunse Shadow. –Ci sarebbe anche questo.-
Estrasse un dischetto e lo consegnò a Tails.
-Cos’è?-
-Una copia delle informazioni che io e Rouge abbiamo preso dal laboratorio che abbiamo distrutto.- Evitò accuratamente di segnalare il motivo per cui avevano davvero rischiato di non poterle scaricare tutte, quelle informazioni.
Gli occhi del volpino sprizzavano scintille. –Oh, analizzerò ogni singolo bit!-
-Ultima cosa.- aggiunse Shadow. –Non fate una singola mossa fino a quando non si sarà ripresa Rouge. Se vi cacciate nei guai, non verrò a salvarvi. E questa volta vedete di ricordarvelo-
Sonic stiracchiò un sorriso tremolante. –Non usciremo da qui, promesso!-
Shadow si spostò verso le borse con le provviste. –Non un solo passo.- disse ancora.
Sonic piegò la testa indietro, contro il divano. –La lezione l’ho capita, se era questo il problema.- E non stava sorridendo, mentre parlava.
Il riccio nero lo guardò ancora un attimo. –Forse tra tre giorni ci sentiremo ancora.-
-Solo tre giorni?- Starnazzò Knuckles. –In tre giorni non si guarisce da un colpo di pistola!-
Shadow lo ignorò, attinse agli Smeraldi e preparò il teletrasporto, selezionando con cura luogo e linea temporale. Non poteva dire loro del sangue di Black Moon … semplicemente, non poteva.
Sperando che loro rimanessero effettivamente lì, buoni e fermi, si teletrasportò via, diretto da Rouge.
Con Silver, però, le forze in campo si erano ristabilite. Anche con uno scontro diretto, forse, ce l’avrebbero potuta fare.
Ottimo tempismo, Argento!
 
 
Rouge era in piedi. Ansimava.
Costringere le gambe a reggerla era stato più complicato del previsto, e più faticoso del previsto. Ma ora era in piedi, accanto alla finestra e guardava fuori. Stranamente, la pancia non le doleva, nemmeno nel punto in cui era stata colpita.
Pensava distrattamente, osservando le stelle, nitide più che mai.
Lo scoppiettare elettrico del Chaos Control annunciò l’arrivo di Shadow, e con lui apparvero anche tre borse cariche di cibo, specialmente alimenti facili da conservare.
-In piedi?- osservò il riccio.
-Sentivo il bisogno di stiracchiarmi un po’. Ho dormito troppo.- sorrise.
Calò un attimo il silenzio.
-Anubis ha pagato.- disse. –Lentamente.- aggiunse.
Rouge si voltò verso Shadow. Sorrise tristemente. –Bene.- Guardò il pavimento. –Grazie. Di averlo fatto, intendo.-
-Credimi, è stato un piacere.- sogghignò.
Indicando le borse, la pipistrella chiese. –Notizie da Sonic?-
Shadow spostò il peso su di una gamba. –Silver è tornato. Knuckles è in pena per te. Gli altri sono abbastanza malconci, ma non in modo permanente. Torneranno ad essere in breve la solita banda di scapestrati.-
-Silver?- Rouge era sinceramente sorpresa. –Come mai?-
-Non gliel’ho chiesto. Ma credo si senta solo, senza Blaze.-
-Ah.- Immaginava fin troppo bene.
-Tu? Come ti senti?- le chiese Shadow. –Qualcosa … di particolare?-
Lei scosse la testa. –Nulla di notevole.- Ed era vero, a parte la paralisi ormai debellata e l’improvvisa ondata di energia che l’aveva travolta. –Mi sento molto bene, ad essere onesta.- aggiunse, sorridendo al riccio, per rassicurarlo. Dire se funzionò era ben difficile.
-Porto queste di là.- Annunciò il riccio, sparendo con le borse per poi riapparire solo. Spostamento assai rapido. Rimpianse i viaggi che doveva fare lei per trasferire la spesa dall’ingresso alla cucina.
Abbassò lo sguardo al pavimento, senza incontrare gli occhi del riccio. Si tenne un braccio con una mano.
Rouge deglutì. Doveva chiedergli qualcosa, ed era urgente. Ma non ne aveva il coraggio.
-Shadow, ascolta.- cominciò. Non dovette controllare per sapere di avere la sua completa e incondizionata attenzione. –Tu prima hai detto che i macchinari in quei laboratori sono uguali a quelli dell’ARK, giusto?-
-Sì.-
-Questo …- esitò -… questo significa che hanno fatto anche a te quelle cose che hanno fatto subire a quelle povere creature, vero?-
Silenzio.
Shadow non rispose.
Il che era una conferma. Rouge si sentì sprofondare. –Mentre andavo al database del centro di ricerca … ho visto … molte cose.- Sentì Shadow sospirare. Alzò lo sguardo su di lui, preoccupata.
Lo trovò voltato di schiena.
-Non avresti dovuto nemmeno entrare in quei laboratori.- disse, voce piatta, incolore.
-Ma ci sono entrata.- disse. –Ed ho visto.- esitò. –Anche tu hai …?- lasciò cadere la frase, ma lui aveva di sicuro capito.
-Sì. Anche a me.- una pausa. –Che tu ci creda o no, è una cosa normale. Era una cosa normale, per me. Ma non pensare che l’ARK e quei laboratori siano simili. Non c’è paragone tra il modo in cui gli esperimenti vengono svolti laggiù su quelli che venivano effettuati qui, su di me.- altra pausa. –Sull’ARK si cercava una cura, che era nel mio corpo. Dovevano analizzarmi. E per curare Maria, questo e altro. Non erano affatto un problema per me, quei test.- un’altra pausa. Rouhe si pentì di averlo chiesto, stava riportando Shadow troppo indietro nel passato. Sapeva di avergli fatto male. Lui riprese, con lo stesso tono di voce incolore. –Ma i ricercatori dell’ARK lavoravano nel rispetto della vita, e nel rispetto mio. Cercavano di non sforzare mai troppo. Cercavano di ridurre al minimo il dolore. Non come i laboratori delle bioarmi di quella gente senza moralità. Questo tienilo bene a mente.-
Shadow cercò il suo sguardo e lo trovò. Rouge aveva la gola serrata. –Scusa. Non avrei duvuto chiedere.-
-Non fa niente.-
Rimasero qualche istante in silenzio, finendo entrambi a guardare di nuovo le stelle.
-Ti dispiace se vado a dormire? Hai ancora bisogno di qualcosa?- domandò Shadow.
-Non devi mica chiedere il permesso!- sbottò Rouge. Si accorse poi con sgomento di non ricordare quand’era l’ultima volta che aveva visto il riccio dormire. E la cosa la spaventò non poco. Forma di Vita Perfetta o meno, dormire era più che necessario anche per lui.  –Va’ pure. Anzi, va’ subito! Hai bisogno di riposo più di me.-
E poi da quando Shadow chiedeva una pausa? Doveva proprio essere esausto. Una giornata eterna.
Lui la scrutò ancora qualche attimo prima di decidersi. –Vado, allora.-
Si avviò verso la porta, camminando.
Prima che uscisse, però, Rouge si ricordò una cosa. –Aspetta un attimo. Sai per caso dove potrei fare una doccia? Ne avrei davvero bisogno.-
Shadow ci pensò un attimo. –Corridoio a destra. Terza porta a sinistra. Tutto dritto e poi a sinistra di nuovo.-
Rouge lo ringraziò, e si congratulò con sé stessa per aver ricordato di chiederglielo. Avrebbe anche potuto vagare tutta la notte per l’ARK prima di trovare i bagni. E non voleva proprio capitare per caso in quella stanza. Le sarebbe sembrata una violazione nei confronti di Shadow.
Si avviò, dunque, del riccio già non si vedeva più l’ombra. A passo titubante seguì le indicazioni. Fortunatamente aveva una buona memoria e non tardò a trovare le docce. Non aveva idea di che ora fosse, ma la pelle appiccicaticcia esigeva acqua.
Sperando che funzionassero ancora, aprì la porta ed entrò. Era una stanza con sei cubicoli, ognuno contenente doccia e mensole per asciugamani, balsami e vestiti di ricambio. Recuperò da un armadio un asciugamano, confidando nel livello di pulizia dell’ARK, e si diresse verso una delle docce.
Si liberò rapidamente dei vestiti e regolò l’acqua. Per miracolo, il sistema di riscaldamento funzionava ancora, e l’acqua calda era un’opzione praticabile.
Sorridendo si lasciò massaggiare dal getto della doccia. La pelle si rilassava, i muscoli si distendevano, e una pace immane cominciò a pervaderla. Mentre si scaldava grazie al calore dell’acqua, tutta avvolta nel vapore, cominciò a sciacquarsi i capelli.
Portandosi dunque le mani oltre il viso, inorridì quando notò un dettaglio. Lasciò perdere l’operazione e si afferrò un polso.
La cicatrice era sparita.
Una vecchissima scottatura che fin da bambina le aveva marchiato per qualche centimetro la pelle era svanita nel nulla. Toccò incredula il punto in questione, la pelle elastica, perfettamente immacolata, era soffice al tatto.
Deglutì.
Possibile … che il sangue di Shadow la stesse curando oltre il necessario?
Controllò freneticamente altri punti in cui sapeva avere cicatrici. Sulla spalla, su di un braccio, su un polpaccio, sul di un fianco. Piccole cicatrici, residui di una vita da ladra, erano svanite. Anche quella nuovissima, dello sparo subìto quattro giorni prima non restava neanche una singola traccia.
Con i vestiti addosso, non l’aveva notato prima.
Non sapeva cosa pensare.
Da un lato era ben felice di riavere indietro la sua liscissima pelle immacolata. Dall’altro, era atterrita all’idea che il sangue di Shadow stesse invadendo con tanta prepotenza il suo corpo.
Chissà perché non s’era aspettata che tra gli effetti collaterali vi fosse una revisione intera del suo corpo.
Rimase sotto l’acqua ancora un po’, godendosi ancora il getto caldo.
Quando ebbe finito, si infagottò nell’asciugamano, levandosi di dosso tutte le gocce residue. Si infilò di nuovo nei vestiti e raggiunse uno specchio. La condensa del vapore l’aveva annebbiato, ma con un gesto della mano lo ripulì.
Si osservò il viso da ogni angolatura, da molto vicino.
Ed esultò selvaggiamente di gioia. Quelle odiose, minuscole e minacciose rughe agli angoli degli occhi e sull’arcuatura del naso, che lei aveva nascosto con chili di fondotinta e di cui aveva il terrore anche solo a pensarci, erano sparite. Sparite! Esattamente come le cicatrici di battaglia.
Saltellò per tutto il bagno ancora per diversi minuti in preda alla felicità, accarezzandosi senza sosta la pelle morbida e perfetta come quella di un bambino.
Il primo effetto collaterale del sangue di Shadow era stato un successo! Assolutamente un successo!
 
 
 
-Ci restano solo due laboratori, Signore.- deglutì James. –Quello ad Ovest, e quello sul mare.-
-L’ultima volta che abbiamo parlato erano quattro.-
James esitò. –Sono … emh … sono successe alcune cose.-
Ringhio.
James si affrettò a fornire dettagli. –Shadow e Sonic hanno attaccato in simultanea due dei nostri laboratori.-
-Dunque, ora abbiamo la via libera per togliere di mezzo il puntaspilli blu.-
-Così parrebbe, signore.- Non gli disse di Rouge, dello stringato rapporto di Anubis The Dog e della sua prevedibile scomparsa. Meglio non far sapere al capo che Shadow era a dir poco furente.
-Prepara una controffensiva degna di venir chiamata tale, in tutte e tre le basi rimaste. I due laboratori e poi Alpha. Rafforzare tutte le misure di sicurezza di quest’ultima, e mandare pesanti forze armate nei centri di ricerca, più in particolare su quello di terra. Sonic non andrà mai in una base subacquea. Dunque, lo troveremo senza dubbio sulla terra ferma.-
-Sì, Signore. Ricevuto, Signore.-
-E le nostre bioarmi a che punto sono?-
-Teta567 ha completato con successo l’operazione d’inserimento di armi da fuoco e armi chimiche. Zeta 587 riporta ancora problemi a rispondere ai comandi, continua a fare di testa sua. È stato trasferito nel laboratorio nel mare per accertamenti. Eta566 …- esitò, alzando lo sguardo e guardando oltre il vetro protettivo. –Lui ha finalmente capito come si combatte. Non credo di esagerare affermando che tra i tre, lui è il più micidiale.-
-L’unica cosa che avresti potuto comunicarmi se ci tenevi alla pelle. Passo e chiudo.-
La comunicazione si interruppe, James sospirò di sollievo.
Mosse qualche passo verso la finestra d’osservazione. La gamba metallica cigolava, ed era mostruosamente pesante, ma riusciva ugualmente a camminarci sopra, anche nonostante il dolore dell’operazione.
Incrociò le braccia, ora nuovamente due, mentre guardava distrattamente il combattimento che si svolgeva al piano di sotto.
I robot d’assalto erano quattro, ma la scheggia metallica che correva tra di loro, rapida come il vento, aveva senz’altro la meglio. Il topolino spiccò un balzo atterrando sulla testa della macchina più vicina, caricò il colpo al plasma nella canna posta sul braccio sinistro e fece fuoco. L’onda d’urto lo spedì in aria, ma con una capovolta atterrò con leggerezza. Un altro colpo già caricato. Il massiccio corpo del robot, ormai fuso nella parte superiore, crollò a terra. Il botto che seguì sollevò una notevole coltre di polvere e terriccio. I sensori dei tre rimanenti robot vennero oscurati. Il flash bianco del colpo al plasma esplose, accecando temporaneamente lo sguardo del solitario spettatore. Un altro robot finì a terra. Eta caricò di nuovo l’arma e sparò un colpo incendiario contro il nemico a terra. Mirando esattamente al generatore d’energia.
L’esplosione fece tremare i vetri della cabina d’osservazione di James.
Un altro robot era stato sfaldato dall’onda dell’esplosione. Il metallo mezzo colato gocciolò a terra. Eta balzò sulla testa della macchina, che gli fece da trampolino, balzando così in aria, esattamente sopra all’ultimo nemico rimasto. Dall’alto fece fuoco, in verticale il bersaglio non ebbe la possibilità né di vederlo né di schivarlo.
Terza esplosione, il cui spostamento d’aria investì in pieno il piccolo cyborg, che non si fece cogliere impreparato. Come prima, atterrò dolcemente, a debita distanza dalle fiamme, come se nulla fosse successo.
James sorrise, sinceramente soddisfatto, mentre il piccolo Eta abbassava la testa, chiudendo forte gli occhi, denti serrati.
Era incredibile il cambiamento che c’era stato. Era bastato dire al piccolo gioiello di genetica e biomeccanica che, se non avesse combattuto ancora, la sua cara Lucy se la sarebbe vista brutta. Eta non aveva neanche preso in considerazione l’opzione di una menzogna, aveva annuito e da quel giorno nell’arena c’era una strage ogni volta che lui entrava in campo.
Era così bello vedere finalmente un esperimento combattere usando il cervello!
Forse, sarebbe stato proprio lui quello che avrebbe potuto tener testa alla Perfezione.
Una campanella suonò, indicando la fine dello scontro. E dell’allenamento, anche. Quella giornata era finita.
Eta si avviò a passo mogio verso la porta, James fece altrettanto. Voleva raggiungerlo e parlargli.
Avevano scoperto che poche parole di incoraggiamento facevano miracoli sul cervellino del piccolo topo.
L’ascensore lo portò al piano di sotto. Raggiunse il combattente, già accerchiato da scienziati che ne controllavano le pulsazioni e i valori.
-Sei stato davvero bravo, Eta.-
-Grazie, James.- il topino provò a sorridere, ma era evidentemente triste.
-Se continui così, riavrai sicuramente indietro la tua Lucy prima che tu te ne accorga.- disse ancora l’uomo, mettendo una mano sulla spalla del topolino.
Eta aggrottò la fronte, forse non comprendendo appieno la frase del capo organizzativo della base. Sospirò, affranto, ma una luce fiduciosa gli brillava negli occhi.
-Stavo pensando, James.- cominciò. –E se Shadow mi taglierà la coda quando andremo da lui a riprendere Lucy?-
James sgranò gli occhi. –La coda?- ripetè. –Perché dovrebbe farlo?- Incredibile come fosse distorta la lista delle priorità del piccolo topino.
Eta fece spallucce. –Mi piace tanto la mia coda. Non vorrei perderla, se possibile.-
James si spalmò una mano sulla faccia. A quel muso supplichevole non si poteva resistere, e poi non era rilevante cosa indossasse il topo sulla coda. L’importante era che combattesse al massimo delle sue capacità senza distrazioni. –E va bene!- esclamò. –Avrai la tua corazza per coda, va bene?-
Gli occhioni dell’esperimento si illuminarono come lampadine. –Davvero?- squittì.
-Sì, davvero.- ripetè James, sprecandosi anche a fargli un sorriso.
I ricercatori accompagnarono via il topino raggiante di gioia, che si teneva in mano la lunga appendice di fine schiena alla quale tanto teneva. James lo guardò andarsene a riposare, prima di fermare uno degli scienziati.
-Inventati una corazza funzionale per la coda di quel ratto. Magari falla anche affilata e tagliente, così da non renderla proprio del tutto inutile.-
-Sì, signore.-





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Ecco, finito! Nuovo capitolo, finito!
Non immaginate la complicazione, specialmente nella parte iniziale. Spero tanto di aver concluso qualcosa di decente (e appagante :3) da leggere.
Abbiamo visto che Silver è tornato, che Sonic ha capito la lezione, che Rouge ha cominciato a notare i primi segni di effetti collaterali, che James sta guarendo e complottando, e che Eta ... beh ... è stato costretto a diventare l'arma che è nato per essere. 
In sostanza, questo era uno degli ultimi capitoli di calma. Dal prossimo, ricominceranno le sparatorie, se tutto va bene. 
Se qualcuno di voi si sta chiedendo che fine ha fatto Shell .... la risposta è che in questo capitolo non ci stava ^.^"  Chiedo venia. La rivedremo alla prossima puntata!

R.I.P. Anubis


Saluti a tutti,
Phantom
  
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